Crepe nell’integrità. A Milano va in scena il sequestro della funzione pubblica

Il Paesaggio delle Relazioni

Immaginate un grande palazzo, imponente e solido all’apparenza, ma attraversato da sottili crepe che si allargano lentamente, insinuandosi nelle fondamenta. All’inizio sembrano inoffensive, piccoli segni di usura nel tempo. Ma, giorno dopo giorno, si allargano, si moltiplicano, e il rischio che l’intero edificio collassi diventa sempre più concreto. Il recente caso di corruzione legato alla gestione urbanistica di Milano è una di quelle crepe, una spia di un deterioramento strutturale che non si può più ignorare.

Ci sono vicende che, come le crepe in un muro portante, rivelano la fragilità di un sistema. Un ex dirigente dello Sportello Unico Edilizia del Comune, un intreccio di interessi tra operatori economici, professionisti e funzionari pubblici, il rilascio di permessi edilizi facilitati: la storia è di quelle già viste, ma ogni volta lascia l’amaro in bocca.

Il punto, tuttavia, non è l’ennesimo episodio di malcostume amministrativo, quanto piuttosto le dinamiche relazionali che rendono possibile la degenerazione del sistema pubblico in un’arena di favori, connivenze e reciproche convenienze.

Il teatro della corruzione: oltre l’illecito, il sistema

Dietro la corruzione non c’è mai solo un individuo che cede alla tentazione del denaro. C’è un sistema che si autoalimenta e che trasforma gli spazi decisionali in ambienti permeabili a pressioni e influenze. Il settore urbanistico è particolarmente vulnerabile a queste dinamiche: qui si incrociano interessi economici enormi, norme complesse e un elevato grado di discrezionalità amministrativa.

I fatti emersi raccontano di una Commissione per il Paesaggio trasformata in un’arena di scambi opachi, dove il valore delle decisioni non era più determinato dall’interesse pubblico, ma dalla capacità di attori privati di inserirsi nei meccanismi decisionali. Progettisti e operatori economici, anziché misurarsi con i vincoli normativi, trovavano percorsi alternativi per far avanzare le loro istanze, riducendo la macchina pubblica a un semplice strumento di ratifica. Il ruolo dell’ex dirigente del Comune risulta centrale: da un lato, garantiva il buon esito dei progetti sottoposti alla Commissione; dall’altro, facilitava il rilascio di autorizzazioni e permessi attraverso lo Sportello Unico Edilizia, snodo cruciale per lo sviluppo urbano della città.

Il conflitto di interessi che non si vede (o non si vuole vedere)

Un altro aspetto rilevante della vicenda riguarda i conflitti di interessi in cui si trovava l’ex dirigente. Sua figlia lavorava per una società quotata in borsa specializzata nello sviluppo immobiliare e, inoltre, lui in prima persona avrebbe ottenuto una consulenza da 178 mila euro in tre anni dall’Associazione delle imprese edili di Milano, Lodi, Monza e Brianza. Al momento, le responsabilità penali del dirigente sono ancora tutte da dimostrare, ma il conflitto di interessi è evidente.

Com’è possibile che questi conflitti di interessi non siano mai stati intercettati dal Comune? Oppure – ed è questa la questione più preoccupante – sono stati intercettati, ma non sono stati gestiti? Se un conflitto di interessi non viene riconosciuto e governato, può degenerare in una condizione di “sequestro della funzione pubblica”: il decisore non è più libero di operare nel solo interesse della collettività, ma rimane intrappolato nei suoi stessi interessi privati, diventando facilmente manipolabile da chi ha accesso alle sue vulnerabilità. Questo è il rischio più insidioso: non la corruzione in senso stretto, ma la progressiva perdita di autonomia del sistema decisionale pubblico.

L’illusione della tecnica e il peso delle relazioni

Spesso si pensa che il problema sia di natura tecnica: norme troppo complesse, iter procedurali farraginosi, mancanza di trasparenza nei processi. Ma la vera questione non è (solo) normativa, è relazionale. Le persone non corrompono un algoritmo e non ottengono favori da un modulo online. La corruzione si insinua negli interstizi delle relazioni, lì dove si genera fiducia reciproca, appartenenza a un gruppo, scambi di cortesie. L’errore che si commette spesso nella prevenzione della corruzione è pensare che bastino nuove regole o tecnologie per risolvere il problema. Ma nessun codice etico può arginare un sistema in cui le dinamiche relazionali sono compromesse.

Competenze per l’integrità: il nodo che non si scioglie

A questo punto, il vero problema non è più (solo) individuare i responsabili, ma chiedersi come evitare che il fenomeno si riproduca. E qui entra in gioco il grande rimosso delle politiche di prevenzione della corruzione: la capacità di leggere il peso delle relazioni nelle dinamiche decisionali. La formazione di chi opera nel settore pubblico si concentra ancora troppo spesso su regole e procedure, trascurando completamente gli strumenti per riconoscere e gestire le pressioni indebite, le interferenze politiche, i conflitti di interessi latenti.

Eppure, chi lavora nella pubblica amministrazione sa bene che il confine tra decisione legittima e favoritismo non è sempre evidente. La discrezionalità, quando esercitata in un contesto relazionale opaco, diventa un’arma a doppio taglio: da strumento per garantire la qualità delle scelte a leva per consolidare equilibri di potere e scambi di favore.

Guardare il paesaggio con occhi nuovi

La corruzione, in fondo, non è altro che la conseguenza patologica di un sistema che ha smarrito il senso della propria funzione. Non basta riparare le crepe nel muro, serve comprendere il terreno su cui quell’edificio è stato costruito. E finché non saremo in grado di leggere il paesaggio delle relazioni, continueremo a sorprenderci davanti a scenari che si ripetono, immutabili, a ogni nuova inchiesta.