Il parere di ANAC sul conflitto di interessi: l’ennesimo specchio per le allodole?

C’è un curioso paradosso nella prevenzione della corruzione italiana: più se ne parla, meno la si capisce. Più si affinano le norme, più si rende difficile la loro applicazione concreta. È un po’ come quelle istruzioni di montaggio che accompagnano i mobili svedesi: sulla carta tutto sembra lineare, ma alla fine restano sempre un paio di viti in mano e un senso di smarrimento.

L’ultimo parere di ANAC sul conflitto di interessi, datato 16 dicembre 2024, è un piccolo capolavoro di formalismo giuridico. Riafferma concetti noti, distingue tra conflitti tipizzati e non tipizzati, richiama il principio di imparzialità e buon andamento e invita le amministrazioni a valutare i casi concreti con un approccio “ponderato”. Il problema, però, è sempre lo stesso: alla fine della lettura, il dubbio che ci assale è uno solo. Ma quindi, in concreto, cosa si dovrebbe fare?

L’arte nobile della tautologia amministrativa

Il parere ANAC, con impeccabile coerenza normativa, ci ricorda che i pubblici funzionari devono segnalare i conflitti di interesse e astenersi quando necessario. Caspita, che rivelazione! Ma che succede se un conflitto non è episodico, bensì “diffuso e strutturale”? Ebbene, ci si astiene “ripetutamente”, fino a quando l’astensione stessa non diventa un problema per il buon andamento dell’azione amministrativa. A quel punto… si valutano misure alternative.

E qui entra in scena l’abilità amministrativa di spostare i problemi da una scrivania all’altra: chi valuta queste misure? Quali sono i criteri per decidere che un conflitto è diventato così “diffuso” da richiedere una soluzione più radicale? Quali strumenti operativi hanno i Responsabili della Prevenzione della Corruzione per affrontare il fenomeno, senza trasformarsi in oracoli burocratici? Domande che, puntualmente, restano senza risposta.

Il vero nodo: conflitto di interessi e fiducia pubblica

In realtà, il problema del conflitto di interessi non è solo una questione di diritto amministrativo, ma di fiducia pubblica. Quando un dirigente pubblico firma atti che avvantaggiano amici, colleghi o parenti, il danno non è solo giuridico, ma anche e soprattutto reputazionale. E qui veniamo al vero nodo della questione: la gestione del conflitto di interessi è (o dovrebbe essere) una misura di tutela della credibilità dell’azione amministrativa.

Ma ANAC non sembra volerlo dire chiaramente. Preferisce il linguaggio prudente e tecnocratico delle circolari, in cui si parla di “ponderate valutazioni” e “misure idonee”, ma si evita accuratamente di menzionare la percezione pubblica del problema. Perché il vero conflitto d’interessi non è solo quello che mina l’imparzialità, ma anche quello che distrugge la fiducia dei cittadini nell’amministrazione.

Il rischio della “normalizzazione”

Nel suo parere, ANAC cerca di fornire alle amministrazioni dei criteri per valutare i conflitti di interessi, suggerendo, per esempio, di considerare “la stabilità, sistematicità, assiduità, intensità, continuità delle relazioni e/o la contiguità degli interessi”, nonché “il contenuto delle determinazioni spettanti al personale interessato dal conflitto. Ciò in quanto le determinazioni discrezionali, per loro natura, implicano scelte che possono essere più facilmente condizionate dal fatto che chi concorre all’adozione dell’atto abbia, nella vicenda, un interesse personale. Il rischio di conflitto di interessi è, al contrario, ridotto nel caso di attività vincolata, ossia di quella attività volta a una verifica oggettiva di requisiti, presupposti o condizioni interamente predeterminati per legge”.

Tuttavia, a furia di moltiplicare definizioni e distinguo, si rischia di normalizzare il conflitto di interessi, si finisce per considerarlo una parte integrante dei sistemi pubblici, anziché un rischio che deve essere analizzato e adeguatamente trattato. Ed è proprio questo il punto debole del sistema attuale: un conflitto di interessi ripetuto e diffuso, anziché essere risolto con una misura drastica, viene trattato come un’anomalia da contenere. Fino a quando, ovviamente, l’anomalia diventa la norma.

E allora, cari lettori, chiudiamo con una domanda retorica: siamo sicuri che un sistema che si limita a “ponderare” il conflitto di interessi sia davvero efficace? O forse sarebbe il caso di riconoscere che certe situazioni sono semplicemente incompatibili con il principio di imparzialità e andrebbero risolte con misure più coraggiose?

Nel frattempo, mentre ANAC riflette e i Responsabili della Prevenzione della Corruzione si interrogano su come interpretare l’ennesima circolare, il conflitto di interessi continua a prosperare. Ma con “ponderazione”, si intende.


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