Il Revolving Door e le federe del potere

Il crimine perfetto, a quanto pare, si consumava a 10.000 metri di altitudine.

I ladri? Giornalisti.

La scena del delitto? L’Air Force One.

Il bottino? Cuscini ricamati, bicchieri col sigillo presidenziale, piatti dorati e — chissà — qualche tovagliolo commemorativo.

Pare che la Casa Bianca sia seriamente preoccupata per questo rituale ormai consolidato tra i membri della stampa al seguito del Presidente degli Stati Uniti. Un’abitudine talmente diffusa da sembrare quasi un diritto acquisito!

La notizia risale al 1 aprile 2024 e, a una prima lettura, aveva tutta l’aria di essere uno scherzo. Ma non lo era. Certo, può sembrare una sciocchezza, un vezzo da collezionisti di memorabilia. In fondo, cosa vuoi che sia una forchetta con l’emblema del POTUS?

Ma il punto non è cosa si porta via. Il punto è da dove lo si porta via. Perché l’Air Force One non è un semplice aereo: è un pezzo di Stato, è un’estensione “mobile” della funzione presidenziale. E una domanda ci sorge spontanea:

Se rubi da un aereo presidenziale, cosa ruberesti da un Ministero?

Nella vita reale, i “souvenir” sottratti al settore pubblico non sono piatti o cuscini, ma sono informazioni. Qualcuno arriva da fuori: entra da consulente, da esperto, da tecnico, magari con un curriculum impeccabile e intenzioni nobili. Entra per aiutare e spesso aiuta davvero. Ma poi se ne va, portando via qualcosa. Porta via una mappa del sistema. Porta via contatti, ragionamenti, bozzetti di politiche pubbliche. Porta via, soprattutto, le informazioni non pubbliche: quelle raccolte durante riunioni riservate, nei corridoi dei Ministeri, nei documenti preparatori dei decreti. E quando esce… il mercato lo aspetta.

Una dinamica che, a prima vista, potrebbe ricordare il celebre mito di Platone: lo schiavo che esce dalla caverna, vede la realtà illuminata dal sole e poi torna dai compagni per raccontare la verità che si cela dietro le ombre. Ma la somiglianza è solo apparente, perché nel mito lo schiavo non viene creduto, anzi viene deriso. Nel nostro caso invece l’esperto viene cercato, ascoltato e retribuito profumatamente. Perché non si tratta di verità, ma di business. Non siamo nel mondo astratto delle idee, ma in quello, ben più terreno, del Revolving Door.

Nessuna tangente, nessuna busta scambiata sotto al tavolo. Solo un enorme vantaggio competitivo. Le aziende lo sanno bene: chi è stato “dentro”, chi ha visto come funziona la macchina, sa prevedere le curve, sa cosa bolle in pentola. E sa, soprattutto, sa a chi conviene parlarne.

Così accade che l’esperto, uscito dalle stanze dei bottoni, diventi il consulente più richiesto dalle aziende che vogliono entrare in quelle stanze. Con la differenza che lui la chiave ce l’ha già. Nessuna legge infranta, solo un sistema pubblico che lascia la porta aperta e non presidia l’uscita.

Il Revolving Door non è un reato, ma ha un costo che paghiamo tutti, in termini di imparzialità, di concorrenza, di fiducia. Perché quando le informazioni escono dal settore pubblico e rientrano nel privato sotto forma di consulenza strategica, il danno non è visibile, ma è ugualmente sistemico e profondo. I cittadini non vedono il passaggio di informazioni, ma sentono che il sistema non funziona. Sentono che non c’è imparzialità, che “tanto vincono sempre gli stessi”, che le regole valgono solo per alcuni.

Per gestire il revolving door serve una politica seria di presidio. Serve tracciare i percorsi di questi consulenti, valutare i rischi, fissare regole, prevedere periodi di raffreddamento, obblighi di disclosure, incompatibilità vere. Serve capire che non si può entrare nel cuore pulsante del settore pubblico e uscirne con la chiavetta USB piena di informazioni strategiche.

Perché quando ci abituiamo a rubare souvenir, finiamo per non riconoscere più i confini dell’interesse pubblico. E quando un giorno qualcuno ci ruberà un intero processo decisionale, penseremo che sia solo un altro cuscino….