La TAC, la gatta e l’intuizione di valore che fece cilecca

Immaginate la scena: un radiologo d’ospedale, un professionista serio e rispettato, si aggira per i corridoi del nosocomio con un'aria lievemente preoccupata. Non è l’ennesimo esame urgente, non è un paziente critico, no. È Athena, la sua gatta, che è appena caduta dal sesto piano. La povera creatura, nonostante sia in fin di vita, non ha perduto il suo aristocratico sguardo da imperatrice e lo ha fissato con gli occhi profondi di chi sa di avere il controllo della situazione. E lui, col cuore in subbuglio, ha deciso di fare quello che ogni padrone di felino con accesso illimitato a una TAC avrebbe fatto: una rapida indagine diagnostica con le apparecchiature dell’ospedale.
Immaginate la scena: un radiologo d’ospedale, un professionista serio e rispettato, si aggira per i corridoi del nosocomio con un’aria lievemente preoccupata. Non è l’ennesimo esame urgente, non è un paziente critico, no. È Athena, la sua gatta, che è appena caduta dal sesto piano. La povera creatura, nonostante sia in fin di vita, non ha perduto il suo aristocratico sguardo da imperatrice e lo ha fissato con gli occhi profondi di chi sa di avere il controllo della situazione. E lui, col cuore in subbuglio, ha deciso di fare quello che ogni padrone di felino con accesso illimitato a una TAC avrebbe fatto: una rapida indagine diagnostica con le apparecchiature dell’ospedale.
Ora, lasciamo perdere per un attimo il dettaglio (irrilevante!) che la TAC è un macchinario costosissimo, acquistato con denaro pubblico e destinato ai pazienti umani. L’importante, per il nostro eroe, era che a quell’ora non ci fosse nessuno in lista d’attesa. Nessun paziente penalizzato, nessun danno apparente; solo un gesto d’amore per un essere peloso che, ne siamo certi, una volta tornato a casa non si è neanche degnato di ringraziare, limitandosi a un’occhiata di supponenza e a un’immediata fuga sotto il letto.
Ma qualcosa è andato storto. Non tanto per la TAC o per Athena, che immaginiamo sia tornata a casa a graffiare divani con rinnovato vigore, quanto per il fatto che il buon radiologo è finito sotto inchiesta. E qui veniamo al punto: perché mai gli è scattata l’idea che usare una risorsa pubblica per un interesse privato fosse una buona idea? O meglio: perché non gli è scattata l’intuizione di valore, che gli avrebbe impedito di farlo?
Radiografia di un fallimento etico
Gli esseri umani, quando si trovano di fronte a una situazione eticamente ambigua, attivano una serie di meccanismi intuitivi. Le nostre menti accendono delle spie luminose, quattro per la precisione, che ci aiutano a distinguere il lecito dall’illecito, l’appropriato dall’inopportuno:
- Illiceità: “Sto facendo qualcosa di sbagliato?”
- Logicità: “Ha senso quello che sto facendo?”
- Utilità: “Chi ci guadagna? Chi ci perde?”
- Peso delle relazioni: “Mi sento libero di agire o c’è una relazione che mi vincola?”
Nel nostro caso, la prima spia (“Sto facendo qualcosa di sbagliato?”) non si è accesa. Forse perché, nella sua testa, il medico pensava: “Non c’è danno per nessuno.” La seconda spia (“Ha senso?”) invece ha brillato debolmente per poi spegnersi: “La TAC serve per fare diagnosi e io sto facendo una diagnosi, quindi tutto torna!” La terza (“Chi ci guadagna?”) è rimasta in stand-by, forse perché la gatta non è ufficialmente una “portatrice di interessi privati”.
E l’ultima spia, quella del peso delle relazioni, semplicemente non è mai entrata in funzione. Perché? Perché il radiologo non ha percepito alcun conflitto di interessi.
Athena, per lui, era solo una gatta. Un affetto privato, certo, ma privo di implicazioni “sensibili” sul piano etico e normativo. Se fosse stata sua moglie, un figlio, un parente stretto, magari un campanello sarebbe suonato. Ma un animale domestico? Nella sua mente non era nemmeno lontanamente paragonabile a un soggetto che potesse generare un problema di integrità.
Il suo errore è stato quello di pensare in termini di rilevanza soggettiva e non di uso improprio di risorse pubbliche. Ecco perché, nel suo ragionamento, il fatto che non ci fossero pazienti in attesa è diventato un elemento dirimente: se la TAC non era richiesta da nessuno in quel momento, dove stava il danno? Il problema è che il danno non si misura solo in termini di disponibilità fisica della risorsa, ma di legittimità del suo utilizzo.
A questo punto, immaginiamo un’aula di formazione, dove un partecipante particolarmente animalista alzi la mano e obietti:
“Ma dai, alla fine non ha fatto male a nessuno!”
Ed ecco la nostra risposta che si staglia nell’aria con la potenza di una sentenza inappellabile:
“Ma non è mica tua la TAC!”
Semplice, efficace, brutale. Una frase che riporta alla realtà e scardina ogni auto-giustificazione. Perché il punto non è se c’erano pazienti o meno. Il punto è il principio: un bene pubblico non può essere usato per fini privati. Punto e basta.
Le giustificazioni improbabili e il caso “ospedale-fai-da-te”
La difesa del radiologo ruota attorno a un concetto chiave: “Non c’erano pazienti in quel momento.” E qui dobbiamo fermarci un attimo, perché questa giustificazione apre scenari inquietanti. Se questo fosse un principio valido, potremmo applicarlo a qualunque situazione:
- “Se nessuno sta usando la sala operatoria, posso entrarci per un piccolo intervento fai-da-te sul menisco?”
- “Se il medico legale ha finito tutte le l’autopsie della giornata, perché spedirlo in sala parto, a dare una mano alle ostetriche?”
- “Se la mensa ospedaliera ha cibo in avanzo, che faccio, mi porto via il vassoio per cena?”
Capite il problema? Il fatto che una risorsa pubblica sia temporaneamente disponibile non la rende automaticamente a disposizione di chiunque ne abbia bisogno per altri scopi.
MORALE DELLA FAVOLA
Quando vi viene un’idea brillante come “usare la TAC per la mia gatta”, fatevi una semplice domanda: “Ma è mia la TAC?” Se la risposta è no, allora fate marcia indietro. O preparatevi a finire nei titoli di cronaca.