La formazione sull’etica pubblica: obbligo o opportunità?

Da giugno 2022 la formazione sui temi dell’etica pubblica e sui comportamenti è obbligatoria. L’Art. 4 D.L. 30 aprile 2022, n. 36 stabilisce: “Le pubbliche amministrazioni prevedono lo svolgimento di un ciclo formativo la cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, sui temi dell’etica pubblica e sul comportamento etico”.
A noi di Spazioetico piace pensare che la formazione su queste materia sia un’opportunità per le amministrazioni piuttosto che per le agenzie private che erogano servizi di formazione. Come ogni nuova opportunità di business, infatti, salteranno fuori nuovi e vecchi fornitori intenti a proporre mirabolanti soluzioni. In questo breve articolo cerchiamo di capire come trasformare l’ennesimo adempimento in un’opportunità e come scegliere un buon partner per la formazione.
E’ bene ricordare che l’articolo succitato modifica l’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che tratta del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, così che, un lettura completa del comma 7 della disposizione di legge risulta essere:
- Le pubbliche amministrazioni verificano annualmente lo stato di applicazione dei codici (di comportamento) e organizzano attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi. Le pubbliche amministrazioni prevedono lo svolgimento di un ciclo formativo obbligatorio, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, sui temi dell’etica pubblica e sul comportamento etico.
Le regole del Codice di comportamento vengono poste dalle organizzazioni a presidio dell’integrità dei processi decisionali e al fine di promuovere l’uso appropriato delle risorse (pubbliche o private). Hanno anche una evidente funzione nell’ambito della prevenzione della corruzione, anche se è bene non ridurre un Codice di comportamento ad una mera misura della strategia anticorruzione.
Chiunque abbia un po’ di dimestichezza in queste cose però saprà che il rispetto delle regole di condotta non si esaurisce con l’adozione di un Codice di comportamento. Sono almeno tre gli elementi fondamentali da tenere in considerazione se si vuole ottenere un qualche significativo effetto dall’adozione di un Codice di condotta:
- la qualità della scrittura delle regole (completezza, comprensibilità, riferibilità ai principi etici, previsione di sanzioni, prossimità semantica, ecc…),
- il processo di adozione delle regole di comportamento,
- il trasferimento delle regole al personale attraverso percorsi di informazione e formazione.
Le organizzazioni si concentrano molto sul primo elemento anche se, a giudicare dai Codici che leggiamo, prendono in grande considerazione la completezza, spesso a sacrificio della comprensibilità e degli altri elementi meta-regolamentari. La sanzionabilità è invece presupposta, almeno in ambito pubblico, dalla contiguità tra codice di condotta e codice disciplinare che ormai da qualche anno è fatto consolidato anche se non così scontato.
In merito al secondo elemento, l’articolo 54 del Dlgs n. 165/2001 prevede che le PA definiscano, tramite procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio Organismo indipendente di valutazione, un Codice di comportamento che integri quello nazionale (Dpr n. 62/2013). Si è data grande enfasi, in fase di prima adozione del Piano Nazionale Anticorruzione, al processo di adozione delle regole di comportamento, ma le amministrazioni si sono limitate a mettere in consultazione le bozze senza generare veri e propri processi partecipativi al proprio interno. Ci sono poche ma significative eccezioni, ma le organizzazioni hanno trattato i codici di comportamento come qualsiasi altro strumento regolamentare calato dall’alto.
Abbiamo sempre sostenuto che le regole devono essere immaginate e elaborate insieme a coloro che le dovranno osservare e far osservare. Lo andiamo dicendo da tanto tempo, ma ora le nostre idee sono corroborate da una significativa letteratura scientifica. Si domanda Vittorio Pelligra in un interessante articolo apparso sul Sole24Ore il 7 agosto 2022: “Perché si rispetta di più una regola che ci siamo scelti piuttosto che la stessa regola quando questa viene introdotta da un soggetto terzo?“
Gli studi di Tyran e Feld evidenziano che quando un determinato assetto regolamentare viene esogenamente, assegnato, cioè, viene scelto da un’autorità esterna, la previsione di una sanzione “lieve” non fa aumentare significativamente il livello di cooperazione (ovvero di acquiescenza o conformità) rispetto all’assetto senza sanzione (33% e 30%, rispettivamente). Cooperazione che invece aumenta in maniera significativa nel caso in cui la sanzione sia “severa” (89%). Cioè quando la regola è data dall’esterno ciò che induce i soggetti a cooperare è la paura della sanzione e quando questa è lieve, l’effetto deterrente è scarso. Le cose cambiano radicalmente quando gli assetti vengono scelti attraverso una votazione dagli stessi partecipanti. In questo caso l’introduzione di una sanzione lieve fa aumentare il livello di cooperazione di ben tre volte rispetto al caso in cui si scelga l’assetto senza punizione (62% contro 19%).
Autonomia contro eteronomia, quindi, ma come si fa a scrivere le regole insieme a coloro che le dovranno osservare e far osservare?
Ci sono strumenti di partecipazione interna, piattaforme di consultazione, intranet e altre soluzioni. Ovviamente si presuppone che l’organizzazione abbia una propria “cultura della partecipazione”, altrimenti queste operazioni sanno di falso. Noi di Spazioetico abbiamo anche appositamente coniato la locuzione “integrity washing“, cioè quel complesso di attività che le organizzazioni mettono in campo nell’ambito della cosiddetta “promozione dell’integrità” e che servono solo come vetrina ma che non hanno alcun impatto sulla cultura organizzativa (e che infatti non sortiscono alcun effetto).
Assai più efficaci risultano essere le attività di formazione sui Codici di comportamento. Ecco che il secondo elemento si salda con il terzo e si collega all’evoluzione del contesto normativo che è avvenuta con l’aggiornamento di giugno 2022.
La formazione era una misura obbligatoria anche prima. Noi forniamo formazione sui Codici di comportamento da almeno dieci anni ormai e circa la metà delle amministrazioni che ci contattano, da sempre, ci chiedono formazione sull’etica pubblica e sui codici di comportamento (tecnicamente si chiama “formazione generale con approccio valoriale“; cfr: PNA 2013 sezione 3.1.12.).
La novità è che l’obbligo di formazione sembra non essere così generalizzato, ma ricadere in particolari circostanze:
- a seguito di assunzione,
- passaggio a ruoli o a funzioni superiori,
- trasferimento del personale.
La formazione in ambito anticorruzione raramente è così “circostanziata”. Sia per motivi di budget contenuti, sia per mancanza di visione, i percorsi formativi sono piuttosto occasionali e si riducono ad un semplice incontro, svolto per finalità adempimentali. Un’attività che rischia di cadere nel vuoto, soprattutto se il taglio è strettamente giuridico.
Noi rimaniamo convinti che un buon Piano di formazione in materia di etica pubblica e Codici di comportamento dovrebbe includere le tre circostanze segnalate dalla legge e configurare diverse attività e diversi livelli di approfondimento:
- per i neo-assunti, andrebbe condotta un’attività di formazione generale su tutte le regole con un approccio per casi concreti e dilemmi etici
- per i passaggi a ruoli e funzioni superiori andrebbero privilegiati contenuti relativi al ruolo e alla funzione della leadership nella gestione di alcune regole, come, ad esempio, nella emersione e gestione del conflitto di interessi, nella valutazione del rischio in casi di appartenenza ad associazioni o organizzazioni, nel caso di gestione dei doni non dovuti ed in tutti i casi previsti dall’articolo 13 (disposizioni particolari per i dirigenti).
- in caso di trasferimento del personale, le attività andrebbero personalizzate e contestualizzate rispetto, ad esempio, al Codice di amministrazione.
Dal punto di vista dei contenuti, andrebbero affrontati separatamente i diversi nuclei tematici che compongono i Codici stessi. Ad esempio:
- le regole che tutelano il principio di imparzialità, come l’obbligo di astensione, la partecipazione ad associazioni e organizzazioni e il divieto di accettare doni. Sono le regole fondamentali che caratterizzano una pubblica amministrazione e la loro conoscenza pratica oltre che teorica dovrebbe essere garantita ad un livello generale.
- i doveri e le aspettative connesse al rapporto con il pubblico, al comportamento in servizio e al comportamento nei rapporti tra privati. Sono regole che mirano a rafforzare il buon uso delle risorse e la credibilità e affidabilità delle amministrazioni. La loro conoscenza dovrebbe essere garantita soprattutto per i neo-assunti.
- obblighi e doveri relativi alla gestione delle informazioni: tra questi, il dovere di collaborare con il Responsabile anticorruzione (che prevede il dovere di segnalazione di condotte illecite), la gestione delle informazioni riservate, la gestione delle comunicazioni e la tutela dell’immagine dell’amministrazione, ecc… Si tratta delle regole più controverse dell’etica pubblica e, oltre ad una buona formazione, dovrebbero essere costruire insieme ai dipendenti stessi.
- I temi della leadership etica (art. 13 del Codice nazionale e gestione delle segnalazioni e comunicazioni) andrebbero trattati a parte in una formazione più specialistica dedicata alla dirigenza e, come dicevamo, nel caso di passaggio a ruoli e funzioni superiori.
Infine, si dovrebbe sempre prevedere un’attività di riscrittura del Codice di amministrazione. La partecipazione alla scrittura delle regole, tanto importante per la loro efficacia, come abbiamo visto, potrebbe essere assicurata da una metodologia formativa inclusiva in cui i formatori raccolgono casistiche, ne discutono insieme ai partecipanti e poi elaborano le regole insieme agli uffici preposti. Noi di Spazioetico, attualmente proponiamo questa duplice attività attraverso le 10 lezioni sul Codice di comportamento in cui integriamo una FAD a-sincrona sulle regole del codice di comportamento ed un percorso di accompagnamento alla scrittura o alla revisione delle regole integrative del codice di amministrazione.
Ecco alcuni esempi di come programmare una formazione che, oltra ad assolvere un obbligo, ha l’ambizione di essere efficace. Poi c’è bisogno dei buoni formatori, cioè dei buoni partner che sappiano accompagnare l’organizzazione lungo tutto il percorso e propongano contenuti originali e percorsi davvero coinvolgenti per i dipendenti. Ormai non ci sono più scuse e noi ci aspettiamo, dopo circa dieci anni, che un’organizzazione seria sappia distinguere tra chi fa formazione di qualità e chi, semplicemente, si improvvisa.