IL WHISTLEBLOWER NELLA CASA DEGLI SPECCHI. Intuizioni di valore, ethos organizzativo e sistemi di gestione del rischio

Questo articolo è apparso sulla Rivista Azienditalia Enti Locali, Mensile per gli enti locali e le loro aziende, nel 2023, nell’ambito della rubrica mensile: lo Spazio Etico, Idee, competenze e strumenti per l’integrità.

Nei precedenti articoli abbiamo scoperto che le intuizioni di valore sono una competenza e che, introducendo una serie di conoscenze di base, possiamo costruire una sorta di grammatica dell’integrità, da porre a fondamento di qualunque strategia di gestione del rischio di corruzione (Massimo Di Rienzo, Andrea Ferrarini, La Grammatica dell’integrità pubblica – Le nuove competenze per la prevenzione della corruzione, in Azienditalia 4/2023; Massimo Di Rienzo, Andrea Ferrarini, Le fondamenta invisibili dell’integrità – Opportunità e i limiti delle intuizioni individuali di valore, in Azienditalia 5/2023).

Nel presente articolo aggiungeremo un ulteriore tassello al nostro mosaico: le intuizioni di valore, da sole, non bastano; servono anche contesti organizzativi integri, capaci di coltivare e valorizzare le intuizioni individuali.

“Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”

(Fratelli Grimm, Le fiabe del focolare, 1812).

Una regola imperfetta, dimenticata dal legislatore

L’art. 8 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici non è stato più aggiornato dopo il 2013 (data di entrata in vigore del D.P.R. n. 62) e risulta, di conseguenza, disallineato rispetto alla vigente normativa di tutela del whistleblowing. Questa svista del legislatore ha impedito, per diversi anni, di definire dei doveri minimi di comportamento, validi per tutto il settore pubblico, in grado di incentivare le segnalazioni e di tutelare i segnalanti. E questa lacuna è stata colmata, in modo non omogeneo, dalle singole pubbliche Amministrazioni.

Ogni anno, con l’arrivo della bella stagione che invita a fare gite fuoriporta, arriva puntuale pure lui: l’uomo che riparte dopo una sosta e dimentica sua moglie! Una figura quasi mitica, come lo yeti, che sembra agire seguendo un copione già scritto, pieno zeppo di stereotipi di genere:

– la vicenda coinvolge sempre un uomo e una donna, legati dal sacro vincolo del matrimonio;

– il marito è alla guida di un’automobile e la moglie è seduta sul sedile di dietro;

– il marito si ferma da qualche parte per fare benzina, gonfiare una gomma, o svolgere altre mansioni fondamentali per la buona riuscita del viaggio;

– la moglie scende dal veicolo e si dedica a frivole occupazioni (generalmente va a fare pipì), dimenticando sul sedile il telefono e la borsetta;

– il marito risale in auto e riprende il viaggio, lasciando la moglie appiedata;

– la moglie cerca inutilmente di rintracciare il marito;

– il marito, intanto, macina chilometri e parla allegramente con sua moglie, che però non gli risponde;

– a questo punto è utile (oltreché opportuno) che la coppia abbia dei figli in grado di avvisare il padre che nell’automobile manca qualcuno;

– il marito ritrova la consorte grazie al suo fiuto da segugio e la elogia, per essere riuscita a sopravvivere nella giungla extraurbana senza l’aiuto di un maschio;

– la moglie abbraccia il marito e dichiara ai giornalisti di non essere arrabbiata, perché lui non lo ha fatto apposta.

L’ultimo punto non ci convince del tutto: e se il marito, invece, l’avesse fatto apposta? Si è scordato di sua moglie e “scordare” significa “allontanare dal cuore[1]. Forse l’ha dimenticata per strada perché, inconsciamente, voleva cancellarla dalla sua vita? Non lo sapremo mai. Comunque siano andate le cose, è innegabile che l’amnesia è una forma di potere: chi cancella dalla memoria e chi viene cancellato non sono mai sullo stesso piano. E L’amnesia può assumere diverse forme: c’è il ghosting, per fuggire dal proprio partner e dimenticare l’amore, c’è la damnatio memoriae, per cancellare il nome del proprio nemico e anche il suo futuro; e c’è la cancel culture, perché cambiare il mondo è davvero difficile, è più facile depennare.

Anche le regole dell’etica pubblica possono essere soggette a particolari forme di amnesia. L’art. 4 del Codice di comportamento nazionale[2], per esempio è costituito da ben sette commi e trecentoventi parole, eppure la maggior parte dei dipendenti pubblici ne ricorda solo due: modico valore. Molti dipendenti, inoltre, conoscono le cause di astensione elencate nell’art. 7, ma si dimenticano di astenersi in forza dell’art. 6[3]. Tuttavia, la dimenticanza più eclatante è senza dubbio quella dell’art. 8, che obbliga i dipendenti a rispettare le misure di prevenzione degli illeciti adottate dall’Amministrazione, a collaborare con il responsabile della prevenzione della corruzione e a segnalare le situazioni di illecito. L’art. 8 del Codice di comportamento nazionale impone al dipendente pubblico di segnalare illeciti e irregolarità al proprio superiore gerarchico, mentre ai sensi del D.Lgs. n. 24/2023[4] hanno diritto alle tutele i dipendenti pubblici che segnalano violazioni al RPCT[5], ad ANAC[6] o che effettuano divulgazioni pubbliche[7]. Questo disallineamento è particolarmente problematico, perché la semplice segnalazione al superiore gerarchico non consente al dipendente di acquisire lo status di segnalante[8] e di accedere alle forme di tutela previste dalla normativa[9]. Il povero art. 8, insomma, è stato dimenticato dal legislatore distratto, che è andato per la sua strada come il marito che mette in moto l’automobile e lascia sua moglie all’autogrill; ma in questo caso nessuno è mai tornato indietro a reclamare la moglie!

Il riferimento al superiore gerarchico non l’unico problema che si evidenzia nel sistema segnaletico descritto dal D.P.R. n. 62/2013. L’art. 8 del Codice nazionale è nato, in un certo senso, monco: le sue ingiunzioni hanno tradotto, sul piano etico-comportamentale, i tre obiettivi strategici identificati nel PNA 2013, garantendo esclusivamente il buon andamento dei sistemi di prevenzione (tavola 1).

Tavola 1 – Corrispondenza tra ingiunzioni dell’art. 8 e obiettivi strategici del PNA 2013

Art. 8 del Codice NazionaleObiettivi strategici del PNA 2013
1. Il dipendente rispetta le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell’Amministrazione. In particolare, il dipendente rispetta le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione della corruzione […]Ridurre le opportunità che si manifestino casi di corruzione.
[…] presta la sua collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione […]Creare un contesto sfavorevole alla corruzione.
[…] e, fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’Amministrazione di cui sia venuto a conoscenza.Aumentare la capacità di scoprire casi di corruzione

In pratica, in nome del buon andamento, l’art. 8 ha introdotto solo un dovere di segnalazione mentre, in ossequio ai principi di proporzionalità ed equità, ma anche al comune buon senso, avrebbe dovuto contenere anche delle regole finalizzate alla tutela dei segnalanti.

Diritto o dovere?

Il dovere di segnalazione è, in assoluto, l’ingiunzione più controversa, tra quelle contenute nell’art. 8 del Codice Nazionale. La normativa sul whistleblowing (recentemente aggiornata dal D.Lgs. n. 24/2023) non prevede infatti alcun obbligo di segnalazione, ma esclusivamente misure di protezione e sostegno per chi decide, liberamente, di segnalare.

Nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2023 abbiamo contribuito a realizzare, presso la Scuola Nazionale per l’Amministrazione, un laboratorio di riscrittura dell’art. 8 del Codice Nazionale, che ha coinvolto la Comunità di pratica degli RPCT[10]. Questo ci ha consentito di avviare un interessante confronto con i soggetti gestori dei canali di segnalazione interna[11] e di raffinare la proposta di riscrittura dell’art. 8 che avevamo presentato, lo scorso anno, sulle pagine di questa rubrica[12]. Durante il laboratorio è innanzitutto emerso che le pubbliche Amministrazioni hanno adottato diverse strategie per cercare di integrare le tutele per i segnalanti all’interno dei loro codici (tavola 2)[13].

StrategiaEsempio
1. Rinvio alla normativa“I dipendenti che denunciano, segnalano o divulgano pubblicamente violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea, che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’Amministrazione pubblica, di cui siano venuti a conoscenza nel contesto lavorativo, godono delle protezioni previste dagli artt. 17, 18, 19 e 20 del D.Lgs. n. 24/2023 al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 16 del medesimo decreto”.
2. Riferimento a procedure e canali di segnalazione.“Le segnalazioni devono essere inviate seguendo la procedura adottata dall’Amministrazione, allegata al PTPCT / PIAO, e utilizzando il canale predisposto ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 24/2023, che garantisce la riservatezza dell’identità della persona segnalante, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione”.
3. Doveri a carico del RPCT“Il Responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza cura e verifica la concreta applicazione dei meccanismi di protezione dei dipendenti, previsti dagli artt. 17, 18, 19 e 20 del D.Lgs. n. 24/2023, al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 16 del medesimo decreto”.
4. Obbligo di riservatezza“Il Responsabile della prevenzione della corruzione e tutti coloro che vengano a conoscenza delle segnalazioni per ragioni d’ufficio, o per altra causa, sono tenuti a garantire la massima riservatezza del loro contenuto e della relativa documentazione, nonché dell’identità del segnalante e delle persone coinvolte o comunque menzionate”.
5. Divieto di ritorsione“1. È vietato mettere in atto misure ritorsive nei confronti dei segnalanti. 2. Il divieto di cui al comma 1 vale anche nei confronti dei dipendenti a tempo determinato, dei lavoratori somministrati, di collaboratori, liberi professionisti, consulenti, volontari, tirocinanti e lavoratori o collaboratori di aziende private che svolgono la propria attività lavorativa presso l’Amministrazione, nonché nei confronti delle medesime aziende private”.

Tutte le strategie elencate possono contribuire a completare l’art. 8, richiamando la necessità di tutelare i segnalanti, ma i partecipanti al laboratorio hanno convenuto che le strategie 4 e 5 sono le più efficaci, perché traducono i diritti e i meccanismi di protezione, riconosciuti al singolo segnalante, in standard di comportamento (obblighi e divieti) validi per tutti i dipendenti che entrano in relazione con il segnalante o che sono coinvolti nella gestione della segnalazione.

I partecipanti si sono anche trovati d’accordo sulla necessità di prendere in considerazione anche altri tipi di segnalazione, che non hanno ad oggetto illeciti commessi all’interno dell’Amministrazione, con particolare riferimento alle operazioni sospette di riciclaggio messe in atto dai destinatari dell’azione amministrativa. Queste segnalazioni, infatti, oltre ad essere obbligatorie ai sensi della normativa vigente[14], devono sempre rimanere riservate.

Il dovere di segnalazione, invece, è stato il tema su cui gli RPCT si sono maggiormente confrontati, assumendo posizioni diverse. In effetti, il dovere di segnalazione introdotto dall’art. 8 del Codice nazionale non è previsto dalla normativa sul whistleblowing e può apparire controverso sotto diversi punti di vista[15].

In primo luogo, il dovere di segnalazione rischia di snaturare e banalizzare il whistleblowing che, da esercizio di un diritto fondamentale, quello alla libertà di espressione, viene trasformato in un comportamento obbligatorio[16].

In secondo luogo, per garantire la riservatezza dell’identità dei segnalanti, non sarà mai possibile identificare chi rispetta tale l’obbligo[17] e chi, invece, si sottrae ad esso: una regola di questo tipo è veramente in grado di influenzare i comportamenti e incentivare le segnalazioni?

In terzo luogo, è innegabile che segnalare un illecito alla propria organizzazione può esporre i dipendenti a rischi talmente concreti e diffusi, da rendere necessaria l’introduzione ex lege di un eccezionale regime di protezione, che prevede riservatezza, divieto di ritorsione, misure di sostegno[18] e limitazioni di responsabilità[19]: è giusto obbligare i dipendenti ad adottare un comportamento così pericoloso per loro, oppure è contrario ai principi di proporzionalità ed equità?

Infine, il dovere di segnalazione potrebbe essere stato tacitamente abrogato dalla L. n. 179/2017[20]; anche Raffaele Cantone, già presidente di ANAC, è di questo avviso: “La norma attuale ha implicitamente abrogato la previsione dell’art. 8 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (d.P.R. n. 62 del 2013) che obbliga i dipendenti a segnalare al superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’Amministrazione di cui sia venuto a conoscenza”[21].

Insomma, l’obbligo di segnalare sembra essere una specie di reperto archeologico, una regola difficile e pericolosa (ma ormai abrogata e quindi priva di qualunque valore o utilità) che possiamo lasciarci alle spalle, concentrando la nostra attenzione esclusivamente sugli obblighi di riservatezza e sul divieto di ritorsione.

Ma è davvero così? Possiamo veramente fare a meno di un dovere di segnalazione? Alcuni degli RPCT presenti al laboratorio si sono schierati in difesa di un obbligo di segnalazione, mostrando qualche resistenza all’idea che la decisione di fornire o non fornire informazioni su possibili violazioni, di cui si viene a conoscenza sul luogo di lavoro, dipenda esclusivamente dalla sensibilità, dai valori o dal coraggio del singolo dipendente.

Anche noi di Spazioetico, pur avendo molto rispetto per le intuizioni individuali di valore, siamo d’accordo con questi Responsabili: abbiamo disperatamente bisogno di imporre un dovere di segnalazione; e lo dobbiamo fare per un motivo preciso, che vogliamo cominciare ad esporvi raccontandovi una delle nostre storie in bilico tra realtà e finzione.

La fatale infermità di Pasquale Periscopio

Segnalazioni convergenti, complementari e divergenti: dobbiamo imparare un nuovo lessico, perché le segnalazioni non sono tutte uguali. Alcune assomigliano a delle pugnalate sferrate per colpire al cuore un’organizzazione sotto sequestro di interessi particolari. Sono le più pericolose, ma coloro che soffrono della malattia di segnalare, purtroppo, rischiano di non accorgersene…

I. Parresia minore

Pasquale Periscopio era un bambino vivace, a volte impulsivo, ma su una cosa era strano davvero: non riusciva a trattenersi di fronte ai piccoli e grandi misfatti che subiva lui stesso oppure i suoi amichetti. Ad ogni piè sospinto denunciava pubblicamente, con un bel discorsetto pieno di evidenze incontrovertibili, tutti i comportamenti inappropriati dei suoi compagni e anche quelli delle maestre (in quel caso il destinatario della segnalazione era la Preside). Lo faceva, a suo dire, per un istinto che non poteva spiegare, forse maturato a seguito di una febbre altissima che lo aveva quasi divorato in tenera età.

Il comportamento del piccolo Pasquale stava diventando un problema per sua madre che praticamente ogni settimana veniva chiamata in causa dalle altre famiglie: – Ma suo figlio non impara mai a farsi i fatti suoi? – le chiedevano le mamme davanti al portone della scuola.

Come si può ben immaginare, le relazioni sociali del bambino erano ridotte al lumicino: era odiato dai suoi compagni, dalle maestre che aveva segnalato e anche dalla Preside, che aveva la tendenza a nascondere la polvere sotto il tappeto. Questa condizione lo rendeva socialmente inabile alla maggior parte dei giochi di ruolo. Persino a nascondino veniva bersagliato da raffiche di schiaffi e cazzotti, allorché rivelava il nascondiglio dei suoi amichetti!

Sua madre, la signora Ida Pavida coniugata in Periscopio, prese dunque la decisione di farlo visitare da uno psichiatra che sentenziò, non senza un tono di preoccupazione: – Suo figlio è affetto da segnalazione compulsiva, anche detta catascopofilia o parresia minore[22]-.

La signora Pavida ebbe un sussulto: – “È una cosa grave, dottore?” -.

Il luminare rivolse uno sguardo paterno al bambino, che lo guardava con aria interrogativa, e poi si rivolse di nuovo alla madre: – Diciamo che non avrà una vita facile, signora: dalla catascopofilia purtroppo non si può guarire! -.

A questa perentoria affermazione, il medico fece seguire la prescrizione di un cocktail di psicofarmaci che il povero ragazzo avrebbe dovuto assumere vita natural durante.

II. Punti di vista

Gli anni passano. Pasquale Periscopio è ormai uomo, ma sempre solo. Lo studio delle scienze dell’Amministrazione Pubblica è ormai il suo unico diversivo, ma anche all’università si fa riconoscere, a causa delle sue reazioni scomposte di fronte alle innocenti irregolarità con cui i professori appianano i ridicoli ostacoli burocratici che vessano i loro studenti.

Un giorno, ad esempio, il nostro Pasquale scrive una lettera di denuncia, corroborata da puntuale documentazione, avente ad oggetto il comportamento del Professor Baroni, che ha suggerito ad alcuni studenti la soluzione dei test, come forma di premialità per una assidua presenza alle sue lezioni. Dopo una spiacevole contestazione, il caso si risolve in un nulla di fatto, avendo il professore in questione ben argomentato che il suo comportamento si configura come un incentivo allo studio, avallato, anzi promosso, dal Preside della Facoltà ed in evidente continuità con gli illustri suoi predecessori.

Nonostante la costante irrisione a cui è sottoposto, il nostro Pasquale Periscopio consegue la laurea e trova lavoro in un Ente del Servizio Sanitario Nazionale, dove viene immediatamente assegnato alla funzione di controllo di regolarità amministrativa e contabile.

Dopo pochi mesi, caratterizzati da una encomiabile applicazione, che gli vale il simpatico soprannome di “Voldemort”, scopre che un infermiere, avendo libero accesso alle scorte di medicinali destinati ai pazienti, ha sottratto all’ospedale grossi quantitativi di farmaci, di ogni tipologia.

Il solerte Periscopio, ottemperando alle linee guida aziendali, segnala la circostanza al Responsabile della prevenzione della corruzione dell’Ente, il quale non deve far altro che passare le carte alla Procura, vista la dovizia di particolari incriminanti con cui Periscopio condisce la sua comunicazione. In pochi mesi il caso si chiude con una condanna per peculato e con il licenziamento in tronco dell’operatore sanitario.

Periscopio viene convocato dal Direttore Generale che ne tesse le lodi di fronte alla sua ristretta cerchia di collaboratori: – Ecco un dipendente che fa la sua parte, fino in fondo! -.

In uno stato di piena esaltazione, Periscopio decide unilateralmente di non assumere più i farmaci prescritti in tenera età dallo psichiatra. Sua madre, venuta a sapere della presa di posizione del figlio, lo ammonisce: – ti sei forse dimenticato della tua malattia? -.

Periscopio le risponde con tono di superiorità: – Quella che per te era una malattia, per il mio Ente è un comportamento atteso: mamma, fatti una domanda e datti una risposta! -.

III. Dalle stelle alle stalle

Scalando rapidamente l’organigramma aziendale, Periscopio si trova a ricoprire l’ambito ruolo di risk manager, con responsabilità di supporto ai processi decisionali del management dell’Ente. Mettendo a pieno frutto le sue capacità, che lui scherzosamente chiama “intuizioni di valore”, Periscopio contribuisce all’emersione di numerosi rischi per l’integrità del sistema. Per questo viene invitato come relatore a numerosi convegni dove fa sfoggio delle sue abilità, con il supporto di casi brillantemente illustrati. Elabora persino una interessante teoria: in buona sostanza, sostiene Periscopio, si potrebbe tranquillamente fare a meno delle complicate architetture di prevenzione della corruzione, dei modelli organizzativi e dei Piani di prevenzione: – Sarebbe sufficiente, a mio avviso, allenare lo sguardo e la capacità di osservazione dei nostri ottimi funzionari e mettere in piedi un sistema di segnalazioni e denunce davvero efficace! -.

I successi di Periscopio si accompagnano tuttavia ad una recrudescenza dei sintomi della sua malattia: ora che non è più sotto l’effetto dei farmaci, un irrefrenabile desiderio di giustizia lo assale ad ogni piccolo misfatto. Così che non può fare a meno di notare, scartabellando alcuni documenti relativi all’affidamento di una fornitura di macchinari diagnostici, la presenza dello stesso professionista clinico sia in qualità di supporto al RUP nella elaborazione del capitolato di gara, sia in qualità di project engineer della società che si è aggiudicata la gara.

Un evidente caso di conflitto di interessi! – grida Periscopio a tutta voce nel suo ufficio: “Per di più non dichiarato! Qui ne abbiamo abbastanza per una sanzione disciplinare e una denuncia per abuso d’ufficio!”-.

Ma quando si reca dal RUP a chiedere conto di quanto rilevato e a strappare la promessa di un annullamento della fornitura in autotutela, si sente rispondere: – Eh no, caro il mio Periscopio, si scordi l’annullamento. Poi il capitolato chi me lo scrive, Lei? -.

Periscopio se ne torna nel suo ufficio. Non fa in tempo a riprendersi da quell’insano colloquio, che riceve la visita di un amministrativo dell’Ufficio Accreditamento, con cui è entrato in confidenza: – Sai, Pasquale, il Primario di nefrologia che è andato di recente in pensione? Beh, adesso è Direttore Sanitario di una clinica che abbiamo recentemente convenzionato; un bel premio per il suo pensionamento, non trovi? -.

Periscopio trasalisce: – Ma è un evidente caso di pantouflage! Il Primario aveva tutto il potere autoritativo e negoziale per precostituire una posizione di vantaggio a favore della clinica! -.

Corre dal Direttore Generale, questa volta, per mettere in fila le immonde violazioni a cui era stato testimone. Il DG lo accoglie, lo ascolta e poi lo rassicura: – Vuole che non lo sappia? Ho consigliato io al RUP di coinvolgere quel medico. Lei magari non lo sa, ma quei dispositivi sono gli unici che i nostri clinici sanno usare. E poi, In merito al suo supposto caso di pantouflage, beh… quella clinica assorbe gran parte delle nostre liste di attesa. Direi che è meglio soprassedere … a meno che non si voglia scatenare una guerra! -.

Periscopio passa altre due settimane a fare la spola tra gli uffici e i dipartimenti, traboccanti di violazioni, e i vertici aziendali, che sembrano muri di gomma. Fino a quando il suo responsabile lo convoca e gli mette sotto il naso una lettera dell’ufficio del Personale: – Caro Periscopio, dobbiamo proteggerti da te stesso. Per questo da domani prenderai servizio presso l’Ufficio Protocollo! Così continuerai a mettere il naso nelle cose degli altri, senza però distruggere la vita dei tuoi colleghi! -.

Pasquale Periscopio ha un collasso. Lo accompagnano al pronto soccorso, dove un medico di turno gli somministra 5 cc di Dissuasol Forte® in endovena.

A casa, di sera, l’anziana madre torna ad ammonirlo: – Pasquale, te l’avevo detto che sei malato! La mamma ha sempre ragione! -.

Dalla sua stanza Periscopio non può fare a meno di ascoltare la preoccupata conversazione tra la madre e il medico: – Ha avuto una ricaduta !– geme la madre. E il medico: – Purtroppo dalla catascopofilia non si può guarire! -.

Il whistleblower nella casa degli specchi: il dilemma del segnalante

I contesti amministrativi nei quali i dipendenti pubblici sono immersi somigliano alle Case degli specchi, le giostre tante care alla nostra infanzia. I dipendenti si specchiano dentro le intuizioni di valore, così come nell’ethos[23] delle organizzazioni in cui lavorano. Questo doppio rispecchiamento contribuisce a rinsaldare o a mettere in crisi la loro identità personale oltre che professionale.

La triste storia di Pasquale Periscopio ci può aiutare a fare luce sulla relazione che intercorre tra le intuizioni di valore dei whistleblower[24] e l’ethos delle organizzazioni pubbliche. Nel caso specifico del whistleblowing, il gioco di specchi tra individuo e organizzazione produce tre diverse tipologie di segnalazione:

– segnalazioni convergenti con l’ethos dell’organizzazione;

– segnalazioni complementari all’ethos dell’organizzazione;

– segnalazioni divergenti dall’ethos dell’organizzazione.

Quando Pasquale Periscopio si accorge che un infermiere ruba i farmaci dell’ospedale, e ne parla con il RPCT, effettua una segnalazione convergente, cioè segnala un comportamento che è universalmente stigmatizzato dall’ethos delle organizzazioni sanitarie: chi ruba farmaci attenta alla salute dei pazienti!

Le segnalazioni complementari, invece, evidenziano comportamenti che non sono ancora stati identificati come illeciti dall’Amministrazione, ma che, una volta identificati, possono essere assimilati dall’ethos organizzativo e stigmatizzati. Le segnalazioni complementari, insomma, sono preziosissime, perché aiutano l’Amministrazione a migliorare l’identificazione e la gestione dei rischi.

Nelle segnalazioni convergenti e complementari si realizza un perfetto allineamento tra intuizioni individuali di valore ed ethos organizzativo, che giustifica l’introduzione di un obbligo di segnalazione: perché mai un dipendente non dovrebbe comunicare alla sua organizzazione l’esistenza di situazioni o comportamenti che sono palesemente illeciti? Ma questo allineamento viene meno in presenza di segnalazioni divergenti, che hanno ad oggetto situazioni o comportamenti che sembrano compatibili con l’ethos organizzativo e sono, di conseguenza, avallati, giustificati o addirittura auspicati da chi opera all’interno dell’Amministrazione.

Le segnalazioni divergenti, invece, sono difficili da gestire: il rispecchiamento distorce le percezioni, come le case degli specchi nei luna park. La verità dell’intuizione di valore entra in conflitto con la verità dell’ethos organizzativo, innescando quello che noi chiamiamo il “dilemma del segnalante”. Il dipendente, infatti, deve decidere da che parte stare: deve affidarsi alle proprie intuizioni di valore, oppure deve aderire ai valori e alle aspettative espresse dall’ethos della sua organizzazione? Comunque scelga, perderà qualcosa. Se decide di seguire la sua intuizione di valore, perderà la fiducia della sua Amministrazione e sarà considerato un guastafeste da neutralizzare, come è accaduto al povero Pasquale Periscopio. Se, al contrario, sceglierà di adeguarsi all’ethos organizzativo, perderà la propria autonomia e integrità.

Il dilemma del segnalante è tutto interno alla persona; le credenze, le aspettative e i valori espressi dall’ethos di un’organizzazione vengono interiorizzati dai dipendenti e contribuiscono alla definizione della loro identità professionale: il dipendente potrebbe decidere di non segnalare, per salvaguardare la propria appartenenza all’organizzazione. Introdurre un obbligo di segnalazione può essere allora utile per risolvere questo dilemma: l’Amministrazione deve chiarire la propria disponibilità a ricevere e valutare le segnalazioni, anche quando tali segnalazioni sono divergenti. Il dovere di segnalazione, inteso in questo modo, può aiutare a modificare la cultura dell’organizzazione, facendo emergere tutti i rischi associati a prassi o decisioni che, sotto la maschera rassicurante delle convergenze di interessi[25], rappresentano una minaccia per l’integrità.

La vera sfida, e il vero valore, del whistleblowing, risiede in questo: una persona, seguendo il lume incerto delle sue intuizioni di valore, può vedere più lontano e più chiaramente di un’intera organizzazione abbagliata dal fuoco del proprio ethos; e può indicare la strada, se qualcuno la sta ad ascoltare. Quello che succede nella realtà, invece, è un comportamento di abbandono: un individuo, quando scopre di non potersi rispecchiare nell’ethos del contesto organizzativo a cui appartiene, semplicemente, si abbandona ad esso, oppure abbandona quel contesto (in questo caso anche la segnalazione è una forma di abbandono).

La gestione dell’integrità: tra individuo e organizzazione

Per acquisire, consolidare e mettere in atto competenze per l’integrità, servono contesti organizzativi adeguati. L’obiettivo degli adempimenti, delle regole e dei sistemi di prevenzione dovrebbe essere lo sviluppo di contesti interni che hanno qualità specifiche, che abilitano la promozione dell’integrità pubblica.

Ma in fondo cosa aveva di così sbagliato la strampalata teoria di Pasquale Periscopio, secondo cui la prevenzione della corruzione si potrebbe ridurre ad un sistema evoluto di segnalazioni e denunce? Non è forse questa l’idea di fondo del whistleblowing e anche dell’intero sistema di prevenzione del riciclaggio nella Pubblica Amministrazione? E voi attenti lettori, non vi sarete certo scandalizzati a leggere una simile provocazione: non avete anche voi a volte pensato che la pesante architettura di adempimenti messa in piedi con la Legge n. 190/2012 sembra autoalimentarsi senza dimostrare una reale efficacia nel prevenire i fenomeni corruttivi?

A molti pare un’eresia; e di sicuro lo è. Di certo è una conquista della civiltà giuridica il fatto che un’organizzazione pubblica o privata si assuma la responsabilità dei rischi che genera nello svolgimento delle sue attività[26]. Ma se dal piano della cultura giuridica scendiamo ad un livello più concreto, vediamo solo macerie: l’edificio della Legge 190 è crollato rovinosamente sotto il peso di adempimenti fini a sé stessi. I sistemi di gestione sono stati usati come un surrogato della cultura dell’integrità. L’anticorruzione è diventata un’impresa di sartoria, che cuce piani di gestione, tesse regolamenti, ricama controlli, al solo fine di allestire un abito che riveste la superficie delle organizzazioni, senza modificare il loro funzionamento, un abito che non fa il monaco e non incide sull’ethos organizzativo.

E allora dove sta il grande errore di Pasquale Periscopio?

Pasquale Periscopio ha peccato di ingenuità, perché ha puntato tutto sulle intuizioni di valore, separandole dal contesto interno in cui erano maturate. In termini più generali, non si può predicare un nuovo umanesimo del settore pubblico, che mette al centro dei sistemi le persone e la loro capacità di intercettare i fenomeni, senza prendersi cura anche dell’ethos delle organizzazioni in cui le persone lavorano: le competenze per l’integrità hanno bisogno di contesti adeguati dentro cui  esprimersi e da cui prendere nutrimento.

Abbiamo già proposto degli indicatori per descrivere l’adeguatezza un’organizzazione, in relazione ai temi dell’integrità, in un articolo del 2022[27]. Ci riferiamo, ovviamente alle sette qualità del contesto interno:

LEADERABILITY. La leadership di un’organizzazione è sufficientemente libera da interferenze interne e esterne e rappresenta un esempio per gli Agenti. Non esistono aree di privilegio all’interno dell’organizzazione e la leadership costituisce un reale supporto per i processi decisionali, soprattutto quelli complessi.

ROLEABILITY. L’organizzazione sa di “mettere le persone giuste al posto giusto”. Le persone che prendono decisioni hanno chiaro il proprio ruolo, le proprie responsabilità e gli interessi primari che devono essere perseguiti.

SURFABILITY. L’organizzazione è pienamente in grado di gestire la pressione che viene esercitata sui processi decisionali da parte degli interessi primari e secondari. L’organizzazione è sufficientemente aperta da includere le istanze dei portatori di interessi e sa gestire adeguatamente le aspettative e le pressioni dei Destinatari e degli organi di indirizzo.

DISCUSSABILITY. L’organizzazione che ha saputo costruire un clima inclusivo, in cui ogni individuo sente che le proprie opinioni contano e in cui la possibilità di mettere in discussione le decisioni rappresenta una risorsa.

ACCOUNTABILITY. L’organizzazione è pienamente capace di assumere e far assumere la responsabilità di decisioni o comportamenti adottati, sia a livello organizzativo che individuale.

VISIBILITY. L’organizzazione si è dotata di criteri trasparenti di selezione di ruoli e responsabilità e che è in grado di tracciare le transazioni con i Destinatari, di motivare adeguatamente le decisioni adottate e di gestire correttamente le informazioni acquisite.

PROMPTABILITY. L’organizzazione è in grado di garantire piena operatività delle competenze e delle conoscenze, la disponibilità delle informazioni, l’adeguatezza dei mezzi, delle risorse e dei tempi.

Gli adempimenti della normativa anticorruzione non devono quindi essere eliminati, ma piuttosto ripensati, in modo più o meno radicale: i sistemi di gestione, le procedure, le regole e gli obblighi di trasparenza devono aiutare le organizzazioni a sviluppare o potenziare le sette qualità che vi abbiamo elencato, per ridurre i conflitti tra contesto organizzativo e intuizioni individuali di valore.

Il dovere di segnalazione introdotto dall’art. 8 del codice di comportamento nazionale può essere assunto come paradigma di questo nuovo modo di intendere la funzione degli adempimenti e il rapporto tra le persone e le loro organizzazioni. In primo luogo, tale obbligo non viene introdotto a causa del fatto che i dipendenti non sono propensi a segnalare, ma perché, al contrario, per assecondare la loro capacità di intuire i rischi e condividerli con l’organizzazione. In secondo luogo, il dovere di segnalazione contribuisce a sciogliere il dilemma del segnalante, cioè il conflitto tra l’intuizione di valore ed ethos dell’organizzazione. In terzo luogo, l’obbligo di segnalazione aiuta a promuovere quattro qualità del contesto interno, che sembrano essere fondamentali per promuovere l’integrità: accountability, discussability, roleability e visibility[28].

Gli adempimenti, le regole e i sistemi di prevenzione sono dunque molto utili, nella misura in cui aiutano le Amministrazioni a sviluppare certe qualità. Gli stessi adempimenti, le stesse regole e sistemi di prevenzione sono invece completamente inutili, quando sono posti in essere dalle organizzazioni al solo fine di dimostrare la conformità ad una normativa.

Tuttavia, il nostro viaggio non è ancora finito; il mosaico non è ancora completo: i sistemi, le regole e gli adempimenti, da soli, non sono sufficienti a modificare le organizzazioni: se nessuno li prende in mano e li attua in modo competente e intelligente, restano cose morte. Oltre alle intuizioni di valore, devono allora esistere delle altre competenze per l’integrità, ancora tutte da esplorare, che non servono tanto a percepire i fenomeni, quanto a produrre integrità dentro il sistema pubblico e attraverso il sistema pubblico.

Queste competenze hanno qualcosa di pragmatico ed entrano in gioco quando le persone usano le proprie relazioni (cioè gli altri), gestiscono informazioni, incarnano un ruolo o esercitano un potere.

Queste competenze fanno la differenza: tra il politico impegnato nella lotta alle mafie e quello che invece raccatta voti da chiunque; tra il dirigente che si mette al servizio dei suoi collaboratori e quello che, invece, assomiglia a un bambino che si crede il centro del mondo perché la mamma lo ha messo sul seggiolone; tra il ricercatore che difende la credibilità e utilità del suo lavoro e quello che, invece, come un antico lenone, svende la ricerca scientifica al miglior offerente; tra noi e voi, cocciutamente ancora qui a scrivere e a leggere parole di integrità, e quelli che invece corrono dietro gli adempimenti, come se fossero aquiloni.


[1] Accademia della Crusca (sito online): “Più complessa appare la storia del verbo scordare. Nel senso di ‘dimenticare, non ricordare più’ viene da ricordare: quest’ultimo (presente già nel latino come recordari) significa ‘serbare nel cuore’, con il prefisso re- di movimento al contrario che indica propriamente un ‘rimettere nel cuore’, come invertendo il senso dello sprofondare del vissuto in un oblio progressivo, dove però il cuore è inteso come la sede della memoria e dell’intelligenza. Scordare si forma, come frequentemente avviene, per la semplice sostituzione del prefisso con la s- privativa (Deli, L’Etimologico)”.

[2] D.P.R. n. 62/2013, art. 4 – Regali, compensi e altre utilità.

[3] In realtà la doppia astensione introdotta dall’art. 6 (Comunicazione degli interessi finanziari e conflitti d’interesse) e dall’art. 7 (obbligo di astensione) del Codice nazionale è assai problematica. Ne abbiamo parlato nell’articolo La cuoca di Giulio Cesare,in Azienditalia, 2022.

[4] D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24, “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”.L’art. 24 del Decreto prevede che le nuove disposizioni di tutela dei segnalanti avranno effetto a decorrere dal 15 luglio 2023, con una deroga per i soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori fino a 249: per questi, infatti, l’obbligo di istituzione del canale di segnalazione interna ha effetto a decorrere dal 17 dicembre 2023. Alle denunce e alle segnalazioni effettuate prima di queste date continuano ad applicarsi le disposizioni previste dall’art. 54-bis, D.Lgs. n. 165/2001, dall’art. 6, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del D.Lgs. n. 231/2001 e all’art. 3, L. n. 179/2017.

[5] La segnalazione al RPCT è denominata segnalazione interna dal D.Lgs. n. 24/2023

[6] La segnalazione ad ANAC è denominata segnalazione esterna dal D.Lgs. n. 24/2023

[7] Si ha una divulgazione pubblica (art. 2, comma 1, lett. f e art. 15) quando il dipendente rende “di pubblico dominio informazioni sulle violazioni tramite la stampa o mezzi elettronici o comunque tramite mezzi di diffusione in grado di raggiungere un numero elevato di persone”. Si tratta di un ulteriore canale di segnalazione, introdotto ex novo dalla Dir. UE 2019/1937 e recepito nell’ordinamento italiano.

[8] Abbiamo parlato approfondito questo aspetto, insieme ad altre problematiche relative ai whistleblower italiani, nell’articolo PRO PATRIA MORI? Dovere di collaborazione e tutela del whistleblower nell’art. 8 del Codice di Comportamento dei Dipendenti pubblici,in Azienditalia, 7, 2022.

[9] I requisiti per le tutele, a dire il vero, sono sempre stati interpretati da ANAC in modo non restrittivo: a parere dell’Autorità, infatti, “affinché possano operare le tutele di cui alla normativa whistleblowing, è necessario, ma anche sufficiente, che la segnalazione venga indirizzata ad almeno uno dei soggetti indicati dall’art. 54-bis e non esclusivamente ad essi” (Delibere ANAC n. 1118/2020 e n. 119/2020). Ne consegue, che le tutele non vengono meno, nel caso in cui il segnalante si rivolga, per esempio, al superiore gerarchico o agli organi di indirizzo dell’ente, a patto che, contestualmente, la segnalazione sia anche inviata ad almeno uno dei soggetti identificati dalla normativa.

[10] La Comunità di Pratica (CdP) dei Responsabili per la Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT) si inserisce nell’offerta formativa della SNA allo scopo di sviluppare un centro di apprendimento bottom-up e diffondere best practice trasversalmente alle Amministrazioni sul tema dell’integrità, dell’etica e della legalità attraverso la condivisione di esperienze, strumenti e metodologie da parte dei RPCT. Le CdP, previste dal PNRR come intervento prioritario di sviluppo del capitale umano per il rafforzamento della capacità amministrativa delle PA, rappresentano una metodologia particolarmente efficace per la formazione tra pari, gli scambi di informazioni e la disseminazione di conoscenza. La CdP dei RPCT si inserisce altresì nell’ambito delle iniziative promosse da OGP (Open Government Partnership) e rappresenta la realizzazione dell’azione 2.01.2 del Quinto Piano di Azione Nazionale per il Governo Aperto, che prevede espressamente la creazione, a cura della SNA, di una CdP interistituzionale e aperta ai contributi delle organizzazioni della società civile.

[11] L’art. 4, D.Lgs. n. 24/2023 non ha modificato in modo sostanziale il sistema di segnalazione interno alle singole pubbliche Amministrazioni. Al comma 1, infatti, è previsto che soggetti del settore pubblico e i soggetti del settore privato, sentite le rappresentanze o le organizzazioni sindacali, attivino, “canali di segnalazione, che garantiscano, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione”. I modelli di organizzazione e di gestione. E ai sensi del comma 5 del medesimo articolo “i soggetti del settore pubblico cui sia fatto obbligo di prevedere la figura del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, affidano a quest’ultimo […] la gestione del canale di segnalazione interna”.L’unica novità di rilievo è la possibilità, per i comuni diversi dai capoluoghi di provincia, di “condividere il canale di segnalazione interna e la relativa gestione” (art. 4, comma 4) che deve comunque essere affidata al RPCT. Tale condivisione, tra l’altro, è possibile anche tra aziende del settore privato “che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, non superiore a duecento quarantanove”.

[12] M. Di Rienzo, A. Ferrarini, “PRO PATRIA MORI? Dovere di collaborazione e tutela del whistleblower nell’art. 8 del Codice di Comportamento dei Dipendenti pubblici”, in Azienditalia, 2022.

[13] Gli esempi riportati nella tabella 2 sono stati desunti dalla lettura dei Codici di Comportamento adottati dalle Amministrazioni pubbliche che hanno partecipato al laboratorio. A beneficio dei nostri affezionati lettori, abbiamo aggiornato i riferimenti alla normativa,

[14] L’art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 231/2007 impone agli uffici della pubblica Amministrazione di comunicare alla UIF (Unità d’Informazione Finanziaria per l’Italia) dati e informazioni concernenti le operazioni sospette di cui vengano a conoscenza nell’esercizio della propria attività istituzionale “al fine di consentire lo svolgimento di analisi finanziarie mirate a far emergere fenomeni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo”. Abbiamo già parlato di queste segnalazioni (e della loro connessione con le intuizioni di valore) nel precedente articolo di questa rubrica: Le fondamenta invisibili dell’integrità – Opportunità e i limiti delle intuizioni individuali di valore, in Azienditalia, 5, 2023.

[15] L’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria da parte del dipendente pubblico (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) ha invece un fondamento giuridico preciso, poiché discende dagli artt. 361 e 362 Cod. pen.

[16] Dir. UE 2019/1937 (“considerando” n. 31): “Coloro che segnalano minacce o pregiudizi al pubblico interesse di cui sono venuti a sapere nell’ambito delle loro attività professionali esercitano il diritto alla libertà di espressione. Il diritto alla libertà di espressione e d’informazione, sancito dall’articolo 11 della Carta e dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, comprende il diritto di ricevere o di comunicare informazioni nonché la libertà e il pluralismo dei media”.

[17] Per evitare ridondanze, useremo “obbligo” e “dovere” come sinonimi. Chiediamo scusa ai giuristi.

[18] D.Lgs. n. 24/2023, art. 18: “1. È istituito presso l’ANAC l’elenco degli enti del Terzo settore che forniscono alle persone segnalanti misure di sostegno […] 2. Le misure di sostegno fornite dagli enti di cui al comma 1 consistono in informazioni, assistenza e consulenze a titolo gratuito sulle modalità di segnalazione e sulla protezione dalle ritorsioni offerta dalle disposizioni normative nazionali e da quelle dell’Unione europea, sui diritti della persona coinvolta, nonché sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato.

[19] D.Lgs. n. 24/2023, art. 20: “1. Non è punibile l’ente o la persona di cui all’articolo 3 che riveli o diffonda informazioni sulle violazioni coperte dall’obbligo di segreto, diverso da quello di cui all’articolo 1, comma 3, o relative alla tutela del diritto d’autore o alla protezione dei dati personali ovvero riveli o diffonda informazioni sulle violazioni che offendono la reputazione della persona coinvolta o denunciata, quando, al momento della rivelazione o diffusione, vi fossero fondati motivi per ritenere che la rivelazione o diffusione delle stesse informazioni fosse necessaria per svelare la violazione e la segnalazione, la divulgazione pubblica o la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile è stata effettuata ai sensi dell’articolo 16.

2. Quando ricorrono le ipotesi di cui al comma 1, è esclusa altresì ogni ulteriore responsabilità, anche di natura civile o amministrativa.

3. Salvo che il fatto costituisca reato, l’ente o la persona di cui all’articolo 3 non incorre in alcuna responsabilità, anche di natura civile o amministrativa, per l’acquisizione delle informazioni sulle

violazioni o per l’accesso alle stesse.”.

[20] Legge n. 179/2017, Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato.

[21] R. Cantone, “Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio della riforma del 2017”, in A. Della Bella – S. Zorzetto (a cura di), Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità, Milano, 2020.

[22] Catascospofilia deriva dal greco κατασκοπεω (osservare, ma anche spiare) e φιλια (amore). Si tratta di una rara patologia, forse di origine infiammatoria, che causa delle disfunzioni nella regione frontale e prefrontale dell’emisfero sinistro e nella corteccia cingolata anteriore, cioè in quelle aree del cervello che si attivano quando le persone dicono delle bugie. I primi studi su questa malattia, secondo la tradizione, furono effettuati nel VI secolo a.C. dal filosofo cretese Epimenide, forse a corollario dei suoi studi sul famoso paradosso del mentitore. Ippocrate, nei suoi scritti, si riferisce a questa malattia chiamandola parresia minore,per distinguerla dalla parresia maggiore, che non è una patologia, bensì, come chiarito da Michel Foucault“un’attività verbale in cui un parlante esprime la propria relazione personale con la verità, e rischia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o se stesso) a vivere meglio”.

[23] Usiamo il termine ethos nel significato che ha in inglese, cioè per indicare l’insieme delle credenze, delle idee e dei valori espressi dalle organizzazioni, che generano delle aspettative diffuse sui comportamenti che devono (o non devono) essere adottati e sulle modalità di gestione delle relazioni. Ethos è un sinonimo di cultura organizzativa.

[24] Negli articoli precedenti, pubblicati su questa rubrica, abbiamo introdotto il concetto di intuizione di valore (La Grammatica dell’integrità pubblica – Le nuove competenze per la prevenzione della corruzione, in Azienditalia, 4, 2023) e abbiamo mostrato che queste intuizioni sono alla base delle segnalazioni di illecito e delle segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio (Le fondamenta invisibili dell’integrità – Opportunità e i limiti delle intuizioni individuali di valore,in Azienditalia, 5, 2023). Si rimanda a tali articoli, per un approfondimento di questi argomenti.

[25] Una convergenza di interessi è una situazione in cui la promozione di un interesse rappresenta un potenziale vantaggio anche per un altro interesse. Sono particolarmente critiche le convergenze tra interessi primari e secondari, per esempio la convergenza tra buon andamento e interessi economici dei privati.

[26] Il D.Lgs. n. 81/2008 obbliga le organizzazioni a prevenire i rischi per la salute e la sicurezza dei loro lavoratori; il D.Lgs. n. 231/2001 richiede alle organizzazioni di prevenire i reati commessi nel proprio interesse; il G.D.P.R. (Reg. UE 2016/679) e la normativa sulla privacy prevedono misure di protezione dei dati personali; la Legge n. 24/2017 ha introdotto misure di gestione del rischio clinico. L’elenco non è, ovviamente, esaustivo.

[27] M. Di Rienzo, A. Ferrarini, “L’architettura dell’integrità – L’art. 13 del codice di comportamento e la leadership etica”,in Azienditalia, 12, 2022. In questo articolo abbiamo cominciato ad analizzare le connessioni esistenti tra principi dell’etica pubblica, persone e contesto organizzativo.

[28] Il nesso tra art. 8 e qualità del contesto interno è abbastanza palese, ma per completezza lo esplicitiamo di seguito:

accountability:chi commette violazioni sarà segnalato e sanzionato dall’organizzazione;

discussability:ogni individuo sa che le proprie intuizioni contano e saranno prese in considerazione dall’Amministrazione, anche se sono divergenti dal suo ethos.

roleability:i dipendenti sono consapevoli del fatto che, in virtù del proprio ruolo pubblico, non possono ignorare le situazioni o i comportamenti che minacciano l’integrità della loro organizzazione.

visibility: l’Amministrazione, grazie alle segnalazioni, riduce le asimmetrie e può identificare situazioni a rischio e azzardi morali.