LE FONDAMENTA INVISIBILI DELL’INTEGRITA’. Opportunità e limiti delle intuizioni individuali di valore
Questo articolo è apparso sulla Rivista Azienditalia Enti Locali, Mensile per gli enti locali e le loro aziende, nel 2023, nell’ambito della rubrica mensile: lo Spazio Etico, Idee, competenze e strumenti per l’integrità.
Nell’articolo precedente, “LA GRAMMATICA DELL’INTEGRITA’ PUBBLICA. Le nuove competenze per la prevenzione della corruzione“, abbiamo introdotto l’idea che esistano delle competenze per l’integrità, che non sono associate agli adempimenti anticorruzione o alla gestione dei processi organizzativi, ma alle intuizioni individuali di valore. Abbiamo anche auspicato l’avvio di attività di ricerca e formazione finalizzate a definire e trasferire una grammatica per l’integrità, cioè un nucleo minimo di competenze che traducano le intuizioni individuali in processi, condivisi e ripetibili, di decodifica e analisi dei fenomeni. La metafora della grammatica rimanda ad un’assunzione di fondo, che non è per nulla pacifica e scontata: le INTUIZIONI DI VALORE non sono un semplice punto di inizio, da cui partire per costruire il sistema delle competenze per l’integrità, ma sono parte del sistema, sono esse stesse una competenza.
La vita che dà barlumi
è quella che sola tu scorgi.
A lei ti sporgi da questa
finestra che non s’illumina(Eugenio Montale, Il balcone, da “Le Occasioni”, 1939)
Slittamenti semantici
Proprio come nelle derive formalistiche del politicamente corretto, esiste nel nostro mondo un meccanismo adempimentale che si autoalimenta, facendo pensare ad alcuni, anzi a molti, che la prevenzione della corruzione sia una questione di conformità formale ad una normativa o ad un piano. Fino a paradossi inesplicabili: l’algoritmo imperfetto messo in piedi dalla Legge n. 190/2012 sembra escludere la comprensione dei fenomeni che essa intende prevenire; non è necessario saper riconoscere un conflitto di interessi o il rischio nella gestione di determinate informazioni, è sufficiente produrre la documentazione richiesta, moduli o dichiarazioni, e conformarsi alle misure adottate dall’organizzazione. |
In uno dei meme più esilaranti che circolavano sui social qualche tempo fa, un ragazzo aveva in mano un libro nuovo di zecca. Sulla copertina il titolo vibrava in bella vista: “Il meno giovane e il mare” di Ernest Hemingway. Era la risposta polemica, ma assai arguta, alla vicenda dei ritocchi ai testi delle opere di Roald Dahl, noto autore di libri per ragazzi, ad opera della piattaforma di streaming Netflix che aveva acquistato i diritti di alcune delle sue opere. Questa vicenda è stata la fatidica goccia che ha fatto traboccare il vaso pieno di ipocrisia che contraddistingue i nostri tempi, fatti di “cancel culture” e di “politicamente corretto”, e che guarda alla pagliuzza del linguaggio offensivo mentre trascura la trave dell’arretramento dei diritti e della diseguaglianza sociale.
L’effetto di queste supposte crociate che spopolano soprattutto negli Stati Uniti, ma che anche in Italia trovano i loro epigoni, è un certo straniamento, è la sensazione che ci stiamo allontanando sempre più dalla realtà e dal buon senso. Queste vicende sono anche il sintomo di una deriva assai più profonda, che investe moltissimi campi, compreso quello dell’integrità di cui ci occupiamo noi grassi e vecchi formatori di Spazioetico.
Il dubbio che la forma prevalga sulla sostanza ci assale spesso nell’ambito della prevenzione della corruzione: quando la valutazione di un conflitto di interessi si poggia esclusivamente sulla presenza di un legame, parentale o di conoscenza, e non si esplorano né il peso della relazione, né la potenzialità di influenzamento in un processo; quando ci si accapiglia nelle controversie relative al cosiddetto pantouflage, ovvero il passaggio del personale dal pubblico al privato, e poi non si gestiscono tutte le situazioni in cui interessi gli privati transitano all’interno del sistema pubblico, traghettati dalle nomine nei CdA della società controllate o dagli esperti che popolano le task force di Ministeri e Regioni[1]; quando si stabiliscono puntualissimi obblighi di trasparenza a carico del personale delle amministrazioni e poi si tralascia di regolamentare gli incarichi extraistituzionali dei parlamentari.
L’unico vero dibattito che si accende tra gli esperti è sempre e solo quello che mette al centro gli strumenti, prima il Piano di prevenzione della corruzione, ora il PIAO: esiste sempre un vento di cambiamento che si incarna in un Piano, un Programma, delle Linee Guida.
Questo slittamento continuo del piano di realtà, questa scomparsa dei fenomeni dentro gli strumenti che li dovrebbero gestire, ha l’effetto di omogeneizzare tutti i rischi, di annullare le differenze; e accade così la prevenzione del riciclaggio nelle amministrazioni si sta progressivamente sovrapponendo alla prevenzione della corruzione.
In questo clima hanno facile gioco coloro che ambiscono a smantellare le politiche di prevenzione della corruzione vissute come ingombranti, astratte, insomma, fuori dalla realtà. Le politiche per il cambiamento (e la prevenzione è cambiamento) devono stare molto attente a non tradursi in una retorica del cambiamento e perdere il contatto con la realtà: se questo accade, il buon senso reagisce, ma trova alleati anche in chi il cambiamento non lo vuole.
Cari lettori, voi che comprendete bene che il cambiamento si fa solo con le persone e con le loro capacità e competenze, oltre che con una buona dose di buon senso, seguiteci in questo ragionamento a cuore aperto con cui intendiamo gettare le basi per una sorta di nuovo umanesimo del settore pubblico!
Due domande fondamentali
Questo articolo intende rispondere a due domande: – perché è così importante fare riferimento alle intuizioni di valore? – se le intuizioni di valore sono davvero una competenza fondamentale, allora perché non bastano da sole? Perché dobbiamo identificare ulteriori competenze? |
Nell’articolo precedente[2] abbiamo introdotto l’idea che esistano delle competenze per l’integrità, che non sono associate agli adempimenti anticorruzione o alla gestione dei processi organizzativi, ma alle intuizioni individuali di valore[3].
Abbiamo anche auspicato l’avvio di attività di ricerca e formazione finalizzate a definire e trasferire una grammatica per l’integrità, cioè un nucleo minimo di competenze che traducano le intuizioni individuali in processi, condivisi e ripetibili, di decodifica e analisi dei fenomeni. La metafora della grammatica rimanda ad un’assunzione di fondo, che non è per nulla pacifica e scontata: le intuizioni di valore non sono un semplice punto di inizio, da cui partire per costruire il sistema delle competenze per l’integrità, ma sono parte del sistema, sono esse stesse una competenza. Questa assunzione ci sembra abbastanza sensata: le persone non possono acquisire conoscenze, capacità e strumenti di decodifica o di analisi che fanno riferimento a fenomeni che non intuiscono nemmeno; tuttavia, questa assunzione solleva almeno un paio di interrogativi.
In primo luogo, perché è così importante fare riferimento alle intuizioni di valore? Abbiamo visto che queste intuizioni sono molto differenziate e non sempre attendibili e che dipendono, in modo cruciale, dai valori, dalle regole, dalle prassi e dalle aspettative che le persone incontrano nei contesti educativi (famiglia e scuola) e nel contesto sociale e lavorativo. Di conseguenza, almeno a prima vista, sembrerebbe più logico identificare le competenze per l’integrità partendo dai valori, dalle regole e dalle aspettative che caratterizzano il settore pubblico[4], lasciando da parte le intuizioni di valore.
In secondo luogo, se le intuizioni di valore sono davvero una competenza fondamentale, allora perché non bastano da sole? Perché dobbiamo identificare ulteriori competenze? Reinterpretando, un po’ maccheronicamente, il celebre rasoio di Occam, potremmo dire che “competentia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”: la nostra ricerca deve essere guidata da un principio di economia, che introduce nuove competenze solo quando è strettamente necessario.
La risposta alla prima domanda è scritta, come vedremo subito, nella normativa; mentre la necessità di integrare le intuizioni di valore con ulteriori competenze per l’integrità deriva dal fatto che, in numerose situazioni, la percezione individuale non riesce, da sola, a decodificare i rischi per l’integrità, rendendo necessario lo sviluppo di ulteriori conoscenze e capacità di analisi dei fenomeni.
Le intuizioni di valore nella normativa
Le intuizioni di valore che, in quanto tali, sembrano dei criteri così poco raccomandabili dal punto di vista di un giurista, che deve attenersi strettamente ai fatti, sono alla base di almeno due distinte normative di derivazione europea, che molto hanno a che fare con i temi dell’integrità: la normativa antiriciclaggio e la normativa di tutela del whistleblowing. |
Nel corso di più di dieci anni di formazione sul campo, abbiamo notato che chi osserva una dinamica a rischio ha almeno quattro diverse reazioni percettive, rispetto al protagonista o agli altri soggetti coinvolti[5]:
1. illiceità: cosa può fare (oppure che cosa ha fatto) di male?
2. logicità: quello che può fare (oppure che ha fatto) ha un senso?
3. utilità: chi ci guadagna? E chi perde?
4. peso delle relazioni: è in relazione con qualche altro soggetto? Questa relazione potrebbe “avere un peso” cioè influenzare le sue decisioni?
Queste quattro reazioni si attivano anche in presenza di pochissime informazioni e funzionano come delle lampadine che, sommandosi tra loro, determinano l’intuizione di valore. Ovviamente, persone diverse possono reagire in modo diverso alle medesime situazioni, ma in un gran numero di casi questo meccanismo intuitivo sembra funzionare abbastanza bene ed è alla base non solo delle segnalazioni di illecito (whistleblowing), ma anche delle comunicazioni obbligatorie previste dalla normativa antiriciclaggio.
L’art. 10, comma 4 del D.Lgs. n. 231/2007 impone agli uffici della pubblica amministrazione di inviare delle COS (Comunicazioni di Operazioni Sospette) alla UIF (Unità d’Informazione Finanziaria per l’Italia), cioè di inviare dati e informazioni concernenti le operazioni sospette di cui vengano a conoscenza nell’esercizio della propria attività istituzionale “al fine di consentire lo svolgimento di analisi finanziarie mirate a far emergere fenomeni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo”[6]. Le amministrazioni non devono quindi avere la prova che è stato commesso un reato di riciclaggio, ma segnalare un sospetto che “deve essere basato su una compiuta valutazione degli elementi oggettivi e soggettivi acquisiti nell’ambito dell’attività istituzionale svolta, anche alla luce degli indicatori di anomalia”[7] emanati dalla stessa UIF.
Il modello organizzativo per la prevenzione del riciclaggio più diffuso nelle amministrazioni pubbliche[8] si limita a gestire i flussi informativi tra uffici e Gestore[9], necessari allo sviluppo delle COS: i referenti dei singoli uffici, insieme al personale, rilevano le anomalie nei procedimenti e le segnalano al Gestore che, eventualmente con il supporto di un analista, approfondisce e sviluppa la COS da inviare alla UIF. È un modello abbastanza semplice e che può essere facilmente integrato nel sistema di ruoli e responsabilità previsto dalla Legge n. 190/2012, ma che risulta veramente difficile da attuare! Le maggiori difficoltà si evidenziano nel cosiddetto innesco della COS, cioè il momento, quasi magico, in cui un dipendente dell’ufficio si accorge che ci sono delle anomalie in un procedimento che gli è stato affidato o nel comportamento adottato da un soggetto con cui si relaziona in virtù del proprio ruolo: alcuni dipendenti sono più bravi di altri a riconoscere le anomalie, ma questa capacità non sembra dipendere dalla disponibilità di check-list da compilare o dalla conoscenza approfondita di tutti gli indicatori di anomalia. La stessa UIF ha osservato, infatti, che “la prevenzione antiriciclaggio non può fondarsi sull’applicazione automatica di elementi oggettivi. Essa richiede piuttosto lo sviluppo di una sensibilità specifica che consenta di sfruttare compiutamente le conoscenze maturate nell’espletamento delle singole funzioni pubbliche”. E cos’è questa particolare sensibilità, invocata dalla UIF, se non un’intuizione di valore? Gli indicatori di anomalia sono senza dubbio importanti, e noi per primi li mettiamo al centro dei nostri interventi di formazione; ma questi indicatori sono solo uno strumento, che diventa completamente inutile, se chi li utilizza non è in grado di decodificare intuitivamente i fenomeni.
Se adesso passiamo a prendere in considerazione la normativa di tutela del whistleblowing, ci accorgeremo che il riferimento alle intuizioni di valore è ancora più diretto e cogente. Gli affezionati e sempre aggiornati lettori di questa rubrica già sanno che il 10 marzo 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. n. 24, che dà attuazione alla Dir. UE 2019/1937 di tutela del whistleblowing. Si è molto parlato di questa Direttiva, del ritardo nel suo recepimento da parte dell’Italia, delle nuove tutele introdotte per chi effettua divulgazioni pubbliche[10] e per chi segnala violazioni nel settore privato; e quindi non ci soffermeremo su questi argomenti. Ciò che ci interessa sottolineare in questa sede è che il D.Lgs. n. 24/2023, non modifica in modo sostanziale le condizioni di tutela dei whistleblower. Le misure di protezione, infatti, si applicano alle seguenti condizioni (art. 16 del D.Lgs. n. 24/2023):
a. al momento della segnalazione, della denuncia o della divulgazione pubblica, la persona segnalante o denunciante aveva fondato motivo di ritenere che le informazioni sulle violazioni segnalate, divulgate pubblicamente o denunciate fossero vere e rientrassero nell’ambito di applicazione della normativa[11];
b. la segnalazione o divulgazione pubblica è stata effettuata secondo le modalità e le condizioni previste dalla normativa.
La prima condizione per la tutela è particolarmente interessante, perché fa direttamente riferimento alle percezioni individuali: il dipendente credeva di avere delle informazioni attendibili su una violazione, perché ha percepito un possibile rischio di caduta dell’integrità.
La normativa in materia di whistleblowing (a differenza della normativa antiriciclaggio) non introduce alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni a carico dei dipendenti[12]: l’innesco delle segnalazioni al RPCT o ad ANAC, o la scelta estrema di effettuare una divulgazione pubblica, si può fondare esclusivamente sulle intuizioni di valore dei dipendenti e sulla capacità, che hanno tali intuizioni, di attivarsi anche in presenza di un limitato numero di informazioni. L’intervento dell’intuizione di valore può spiegare anche il ben noto “paradosso del whistleblowing”: da molti anni si approvano normative per proteggere i segnalanti, si acquistano software per garantire la loro riservatezza, si adottano regolamenti che spiegano cosa deve essere segnalato e come; ma i dipendenti non segnalano e, soprattutto, non segnalano all’interno della propria amministrazione: preferiscono segnalare ad ANAC o esporsi pubblicamente. Questo paradosso del segnalante che non segnala, o che lo fa nei modi che lo mettono più a rischio, viene di solito ricondotto alla scarsa fiducia che i dipendenti ripongono nelle loro amministrazioni; ma da dove nasce questa sfiducia? Nasce, a nostro parere, dal fatto che il whistleblower, nella maggior parte dei casi, non è una persona che ha delle informazioni privilegiate o competenze di analisi superiori agli altri: vede esattamente ciò che vedono anche i suoi colleghi e superiori gerarchici, ma ha intuizioni di valore diverse, cioè vede rischi per l’integrità in situazioni che, invece, sono tollerate o avallate dalla sua organizzazione. E di conseguenza non segnala internamente, perché teme che la sua segnalazione non verrà presa in seria considerazione.
Chi l’avrebbe mai detto? Nella prevenzione del riciclaggio e della corruzione si fa leva sulle intuizioni del personale delle pubbliche amministrazioni, per prevenire i fenomeni o per farli emergere! Crediamo di avere risposto, in modo esauriente, alla prima delle nostre due domande[13]: le intuizioni di valore sono una competenza indispensabile, per far funzionare, in tutto o in parte, i sistemi di prevenzione dei fenomeni che mettono a rischio l’integrità.
I punti ciechi dell’intuizione di valore
Esiste un punto cieco nell’occhio umano: è il punto in cui il nervo ottico passa attraverso la retina, per raggiungere il cervello[14]. Anche le intuizioni di valore hanno dei punti ciechi e prendere atto di questo deficit percettivo, ci permetterà di rispondere alla seconda domanda che ci siamo posti: “se le intuizioni di valore sono davvero una competenza fondamentale, allora perché non bastano da sole? Perché dobbiamo identificare ulteriori competenze?” |
I laboratori di mappatura del rischio sono sempre stati, per noi, i più difficili e frustranti da gestire. La mappatura si sviluppa, di norma tre momenti tra loro consequenziali:
– identificare i rischi;
– misurare i rischi in termini di probabilità e impatto;
– identificare delle misure per prevenire gli eventi a rischio.
Siamo in piena “compliance”: il responsabile anticorruzione deve compilare o aggiornare l’allegato con i rischi e le misure di prevenzione e ci chiede di trasferire delle competenze ai dirigenti o dipendenti. In queste situazioni, noi evitiamo di presentarci in aula con elenchi preconfezionati di rischi, tabelline di calcolo o kit di misure buone per tutte le stagioni: questi strumenti, infatti, ucciderebbero le intuizioni di valore. Preferiamo partire da un modello molto semplice, il salto con l’asta (figura 1): la corruzione si manifesta come un azzardo morale, cioè un comportamento opportunistico che procura un vantaggio ingiusto; ma il vero motore della corruzione sono gli interessi e la corruzione si realizza facendo leva sui coni d’ombra o sulle opportunità generate dalla gestione delle informazioni, cioè facendo leva sulle asimmetrie informative[15].
Tavola 1 – Il “salto con l’asta” e gli elementi di base del rischio di corruzione
Questo modello si traduce in una scheda di analisi (Tavola 2), che ci serve da supporto per interagire con i partecipanti e cogliere la loro percezione dei rischi: è una sorta di tela su cui dipingere e analizzare le percezioni individuali di valore, rendendole comunicabili e confrontabili.
Tavola 2 – La scheda di analisi
A volte le intuizioni sono affidabili e allineate, come nel caso seguente:
Ignazio Infermiccio lavora per una cooperativa che gestisce il CUP dell’Azienda Ospedaliera San Contante. Gestisce i pagamenti dei ticket e i rimborsi. Molti pagamenti avvengono ancora in contanti. Il signor Infermiccio ha contratto un ingente debito con una finanziaria: si è fatto fare un prestito, che non riesce a restituire, perché è affetto da ludopatia e si gioca tutto lo stipendio alle macchinette… |
La decodifica di questo caso è quasi sempre immediata: l’Azienda Ospedaliera è esposta a un concreto rischio di peculato. Questo rischio può essere facilmente rappresentato usando la scheda di analisi (Tavola 3).
Tavola 3 – Analisi del rischio – Caso 1
Ignazio Infermiccio è un povero disperato che ha accesso ai soldi del CUP e l’Azienda Ospedaliera non può controllare puntualmente quanti soldi vengono incassati dagli operatori. Questa asimmetria informativa può essere ridotta attraverso procedure di tracciamento, versamento e controllo degli incassi, ma non può essere del tutto annullata: Infermiccio, quindi, potrebbe impossessarsi dei soldi del CUP.
La scheda di analisi consente di identificare gli elementi costitutivi del rischio, che possono essere gestiti con idonee misure di prevenzione[16], ma la percezione del rischio da sottoporre ad analisi è quasi completamente guidata dalle reazioni percettive delle persone, cioè dalle lampadine che accendono o spengono l’intuizione di valore: illiceità, utilità, peso delle relazioni e logicità.
Nel caso del signor Infermiccio, tutte le lampadine si accendono (Tavola 4).
Tavola 4
Illiceità: cosa può fare (oppure che cosa ha fatto) di male? | L’azzardo morale di Ignazio Infermiccio equivale ad un furto, cioè una condotta universalmente percepita come illecita |
Utilità: chi ci guadagna? E chi perde? | Ignazio Infermiccio guadagna a spese della propria azienda, sottraendo risorse pubbliche. |
Peso delle relazioni: è in relazione con qualche altro soggetto? Questa relazione potrebbe “avere un peso” cioè influenzare le sue decisioni? | Ignazio Infermiccio ha contratto un debito che non riesce a pagare. Questa relazione di debito economico può sicuramente influenzare il suo comportamento |
Logicità: quello che può fare (oppure che ha fatto) ha un senso? | Sottrarre soldi al proprio datore di lavoro è una condotta che potrebbe essere sensatamente messa in atto da un soggetto affetto da ludopatia, per saldare i propri debiti. |
Ignazio Infermiccio è un povero diavolo! I partecipanti possono provare pietà per lui e per la sua patologia, ma questa empatia non influisce sulla loro percezione di valore: avrà delle attenuanti, ma deve comunque essere condannato!
Altre volte, invece, le reazioni percettive possono “fare cilecca” e le persone potrebbero non identificare i rischi. Mandare parzialmente in crisi l’intuizione di valore è abbastanza facile, come dimostra il nostro secondo caso:
Mauro Mescola è il responsabile ufficio legale di una società controllata dal Comune di Ottimo. Sta gestendo l’affidamento diretto di un incarico di patrocinio legale per la resistenza in giudizio a seguito di ricorso al TAR promosso da un’azienda esclusa da una procedura di gara. Guardando nell’albo trova due legali: ● l’avv. Ivano Ignoti ● Avvocato Nicola Noto. I due legali hanno le stesse competenze ed esperienze, ma l’avv. Nicola Noto è associato allo Studio Legale che sta seguendo una causa per conto della moglie del dott. Mescola. Il dott. Mescola chiede all’avv. Nicola Noto un preventivo. Il legale comunica che l’importo delle competenze professionali può essere quantificato in euro 5.200 oltre oneri, accessori di legge ed eventuali spese vive. Il dott. Mescola rileva che il compenso risulta conforme ai criteri fissati dal regolamento per l ‘affidamento degli incarichi legali e affida l’incarico all’avv. Nicola Noto. … |
Quando presentiamo casi di questo tipo, durante gli incontri di formazione, notiamo un certo disorientamento in alcuni partecipanti, e crediamo, con un po’ di supponenza, che la fonte di tale sgomento risieda nella seguente tabella (Tavola 5):
Tavola 5
Illiceità: cosa può fare (oppure che cosa ha fatto) di male? | Mauro Mescola ha gestito l’affidamento in modo legittimo e conforme al regolamento adottato dalla sua azienda. |
Peso delle relazioni: è in relazione con qualche altro soggetto? Questa relazione potrebbe “avere un peso” cioè influenzare le sue decisioni? | Mauro Mescola è in relazione con una cliente dello studio legale dell’avv. Noto e questa cliente è sua moglie. |
Utilità: chi ci guadagna? E chi perde? | Entrambi gli avvocati hanno competenze adeguate a patrocinare la causa: comunque scelga, Mauro Mescola non danneggerà la sua azienda. Il conferimento dell’incarico legale, inoltre, non influisce direttamente sull’esito della causa della Moglie di Mauro Mescola |
Logicità: quello che può fare (oppure che ha fatto) ha un senso? | Che Mauro Mescola abbia scelto l’avv. Noto perché è l’avvocato di sua moglie ha poco senso. È più sensato che l’abbia scelto per le sue competenze. |
Si è accesa una sola lampadina, quella delle relazioni: la moglie di Mauro Mescola è cliente dello studio legale dell’avv. Nicola Noto; ma per il resto, l’intuizione di valore sembra dirci che non ci sono rischi: Mauro Mescola sta agendo in modo lecito, promuovendo gli interessi della sua azienda, e l’avv. Noto avrà l’incarico perché è un bravo avvocato.
Il coniugio è una relazione tipizzata[17], che determina l’emersione di un conflitto di interessi. Le norme e tonnellate di sentenze della giustizia amministrativa dicono che Mauro Mescita si deve astenere, anche se non sappiamo perché, quando e come, potrebbe favorire sua moglie: l’obbligo, in questo caso, sovrasta e risolve le incertezze dell’intuizione di valore.
Usando la nostra scheda di analisi siamo comunque in grado di dimostrare, che nella situazione descritta nel caso, sono presenti dei rischi per l’integrità. Possiamo innanzitutto isolare e descrivere gli interessi in gioco e le asimmetrie informative e ipotizzare l’esistenza di un azzardo morale, non ancora identificato, assai vantaggioso, perché promuove tutti gli interessi in gioco, ma determina una minaccia per l’imparzialità e la percezione di imparzialità (Tavola 6)[18].
Tavola 6 – Azzardo morale “vantaggioso”
Trovare un azzardo morale di questo tipo non è poi così difficile: è sufficiente immaginare che esista un collegamento tra la causa della moglie di Mauro Mescola e l’incarico assegnato all’avv. Noto. Questo collegamento può essere realizzato in diversi modi e può abilitare diversi azzardi morali, che possono verificarsi nelle diverse fasi del ciclo di vita di un incarico professionale. Ne citiamo solo alcuni:
– l’avv. Noto potrebbe garantire uno sconto sulla parcella che deve essere pagata dalla moglie di Mauro Mescola, per garantirsi l’assegnazione dell’incarico (interferenza nella fase di selezione del consulente);
Mauro Mescola potrebbe aver chiesto all’avv. Noto di patrocinare gratuitamente sua moglie, offrendo in compensazione un incarico pagato dalla sua azienda pubblica (interferenza nella fase di rilevazione del fabbisogno)[19].
– L’avv. Mauro Mescola potrebbe non rivelarsi così competente in materia di diritto amministrativo; tuttavia, Mauro Mescola potrebbe non rilevare eventuali criticità nella gestione della causa presso il TAR, per non compromettere i rapporti tra sua moglie e lo studio legale (interferenza nella fase di erogazione del servizio)[20].
È evidente il salto di qualità realizzato da questa analisi: finalmente abbiamo capito quando e come Mauro Mescola potrebbe promuovere gli interessi di sua moglie, e perché deve astenersi dallo svolgere qualunque attività, prendere qualunque decisione e gestire qualunque informazione associata al procedimento! Ma per identificare gli azzardi morali di Mauro Mescola dobbiamo superare la semplice intuizione di valore ed acquisire alcune delle competenze per l’integrità che abbiamo identificato nell’articolo precedente, e che riportiamo qui di seguito:
– Conoscere le asimmetrie informative. Una asimmetria informativa è una situazione in cui le informazioni non sono distribuite in modo omogeneo tra due o più soggetti che entrano in relazione. Esistono diversi tipi di asimmetria informativa, ma due sono particolarmente rilevanti: l’asimmetria primaria, che si determina quando l’organizzazione pubblica ha meno informazioni dei suoi agenti (dipendenti, dirigenti, ecc.) e l’asimmetria secondaria, che si determina quando l’agente pubblico ha più informazioni del destinatario.
– Conoscere gli interessi primari e i valori di riferimento della propria organizzazione pubblica. Può sembrare paradossale, ma spesso i dipendenti pubblici non conoscono gli interessi primari e i valori di riferimento della propria organizzazione.
Le organizzazioni pubbliche sono caratterizzate da un certo modo di porsi verso l’esterno: la relazione con i singoli destinatari deve contribuire a promuovere gli interessi della collettività. Questa esigenza si traduce in una terna di valori, che sono caratteristici unicamente del settore pubblico: Imparzialità, Integrità e Parità di trattamento[21].
– Identificare correttamente gli interessi secondari. L’identificazione degli interessi secondari è cruciale, per analizzare le situazioni di conflitto di interessi. È necessario prendere in considerazione non solo gli interessi secondari che provengono dalla sfera privata del dipendente pubblico, ma anche gli interessi dei singoli destinatari e gli interessi strutturali, che fanno riferimento alla sfera professionale del dipendente pubblico.
– Calcolare l’impatto dei comportamenti. Identificare correttamente gli interessi primari, i valori di riferimento e gli interessi secondari (della sfera privata, del destinatario e “strutturali”) consente di analizzare in che modo una singola decisione e un singolo comportamento può avere un impatto su questi interessi e valori.
– Costruire scenari alternativi[22]. L’impatto di una decisione o di un comportamento può essere calcolato in relazione ad uno scenario presente, oppure in relazione a possibili scenari passati o futuri, che risultano connessi allo scenario iniziale.
Acquisire queste competenze, e analizzare il rischio in modo non solo intuitivo, è certamente più faticoso che affidarsi al flusso automatico delle reazioni percettive, e può in certi casi risultare addirittura controintuitivo: nella testa di alcuni partecipanti ai nostri corsi resterà sempre il dubbio che si sia fatto un ingiusto processo alle intenzioni di Mauro Mescola e che degli interessi legittimi siano stati ingiustamente sacrificati sull’altare dell’imparzialità. Questo dubbio è molto significativo, perché dimostra l’esistenza di punti ciechi nell’intuizione di valore: ci sono rischi che non riusciremo mai a percepire, affidandoci unicamente alle lampadine che abbiamo nella testa e che spesso, ma non sempre, ci aiutano a fare luce sui rischi per l’integrità.
Un passo avanti, ma c’è ancora molto cammino da fare
Nella nuova Direttiva Formazione, pubblicata dal Ministro della pubblica amministrazione lo scorso 24 marzo (2023), si legge con interesse che una delle priorità di investimento in ambito formativo è la “strutturazione di percorsi di formazione iniziale per l’inserimento del personale neoassunto, allo scopo di fornire competenze e conoscenze finalizzate al ruolo che lo stesso andrà a ricoprire nell’ambito di ciascuna amministrazione, comprensivi di processi di mentoring a supporto dell’apprendimento”. Questo è certamente un passo in avanti, ma c’è ancora molto cammino da fare. |
Quando si visita Venezia e si prende un battello che solca il Canal Grande non ci si rende conto del miracolo ingegneristico che si sta attraversando: Venezia è letteralmente piantata su pali di legno conficcati nella sabbia. “Le fondamenta degli incurabili”: così le chiamava Josip Brodskij, il poeta russo premio Nobel della letteratura.
Le fondamenta invisibili dell’integrità sono invece le intuizioni di valore, con le loro potenzialità e i loro limiti, di cui nessuno parla o sembra accorgersi e che in questo articolo abbiamo provato ad indagare con occhi pieni di stupore dopo aver, per più di dieci anni, ascoltato e condiviso con il personale della pubblica amministrazione italiana storie, piccoli e grandi misfatti, drammi e redenzioni.
La retorica dominante pone l’accento sulle competenze digitali, e giustamente: è di certo importante che il personale della pubblica amministrazione faccia un salto nel presente; ma non ci spieghiamo il motivo per cui un dipendente pubblico non debba anche comprendere fino in fondo quale è il suo ruolo e quali sono le aspettative che la collettività nutre nei suoi confronti; non riusciremo mai a farci una ragione del motivo per cui è così necessario che sappia confezionare un documento elettronico in formato pdf, ma non che sappia riconoscere una situazione di conflitto di interessi.
Spostare il focus della formazione in materia di integrità pubblica dagli strumenti (il Piano triennale di prevenzione della corruzione, poi il Piano integrato di attività e organizzazione) alle persone rappresenta ancora una sfida sia sul lato della domanda di formazione, sia sul lato dell’offerta. È necessario uscire dalla prospettiva di una formazione adempimentale, fatta per dimostrare di averla fatta, ad impatto zero, anzi ad impatto negativo proprio perché fa intendere che la prevenzione della corruzione non ha alcun appiglio con la quotidianità professionale. È necessario immaginare percorsi di sviluppo di specifiche competenze tecniche, che associano all’intuizione di valore, che rappresenta la competenza di base, la conoscenza dei fenomeni e le competenze per la gestione dei rischi ad essi associati. Tali competenze devono essere applicate a casi concreti per garantire che vengano correttamente internalizzate e solo in un secondo momento devono essere accompagnate dallo sviluppo di procedure o dall’aggiornamento dei codici di comportamento per creare un contesto favorevole alla gestione.
Se dobbiamo immaginare sfide ambiziose e trasformative rispetto all’esistente, allora dobbiamo definitivamente abbandonare un modello formativo meramente formalistico, che nega la dimensione umana e relazionale del rischio di corruzione.
La vera prevenzione della corruzione non si realizza attraverso gli adempimenti, ma attraverso azioni concrete, che hanno l’obiettivo di rafforzare l’integrità dei decisori pubblici, cioè la capacità di gestire il ruolo con modalità che non rappresentino una minaccia per l’imparzialità e all’indipendenza della funzione pubblica.
Inoltre, la corruzione e gli altri fenomeni emergenti come le Porte Girevoli, i conflitti di interessi, il sequestro della funzione pubblica, la proliferazione di centri decisionali paralleli, possono contare sulla scarsa qualità dei decisori pubblici e non distinguono tra uffici amministrativi e organi di indirizzo politico. Intervenire esclusivamente sulla “buona amministrazione” non ha consentito e non consente tuttora di gestire adeguatamente le interferenze nei processi decisionali strategici.
Infine, al netto della complessità delle architetture istituzionali della prevenzione della corruzione, e del fatto che esse hanno bisogno di tempo per funzionare, è importante che esse non vengano percepite come delle sovrastrutture e non vengano vissute come dei meri formalismi senza un reale assorbimento nella gestione dei processi decisionali dei decisori pubblici. Un esempio, in questo senso, è rappresentato dalla normativa per la tutela dei segnalanti, recentemente modificata a seguito del recepimento della Direttiva UE sul whistleblowing: gli applicativi informatici per la gestione delle segnalazioni, che già da qualche anno le amministrazioni hanno cominciato ad adottare, rischiano di ridursi a inutili gingilli tecnologici, se chi opera e decide all’interno dell’amministrazione non sa cosa e perché deve segnalare e non sa gestire adeguatamente le segnalazioni.
Prevenire la corruzione significa promuovere contesti istituzionali e amministrativi integri, soprattutto in termini di qualità del personale. Occorre progressivamente abbandonare la locuzione “prevenzione della corruzione”, e adottare in suo luogo “promozione della cultura dell’integrità pubblica”.
[1] Stiamo parlando del ben noto fenomeno del revolving doors,che abbiamo già approfondito nell’articolo “Le ‘porte girevoli’ uno stargate verso il conflitto di interessi”, (in Azienditalia, n. 4/2021).
[2] Massimo Di Rienzo, Andrea Ferrarini, “La Grammatica dell’integrità”, in Azienditalia, n. 4/2023.
[3] Col termine intuizione, indichiamo la capacità di scoprire la verità immediatamente, fulmineamente, evitando ogni genere di ragionamento logico; è un’illuminazione interiore, una luce del pensiero che chiarisce l’essenza di un problema.
[4] L’etica pubblica procede esattamente in questo modo: identifica e codifica principi, valori e ingiunzioni, per orientare i comportamenti dei dipendenti pubblici nelle diverse situazioni che caratterizzano la loro sfera professionale e privata. E, a voler ben vedere, anche scegliere il comportamento più adeguato al ruolo svolto, tra i tanti comportamenti possibili, è una competenza fondamentale per chi agisce nel settore pubblico.
[5] L’ordine in cui sono elencate le reazioni percettive non è rilevante. Probabilmente si attivano tutte insieme e, sommandosi, determinano l’intuizione di valore.
[6] Il comma 1 dell’art. 10 del D.Lgs. n. 231/2007 identifica una serie di procedimenti e procedure in cui si possono evidenziare operazioni sospette di riciclaggio:
a. procedimenti finalizzati all’adozione di provvedimenti di autorizzazione o concessione;
b. procedure di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi secondo le disposizioni di cui al codice dei contratti pubblici;
c. procedimenti di concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone fisiche ed enti pubblici e privati.
Tuttavia, le pubbliche amministrazioni tendono a segnalare anche operazioni sospette rilevate in altri ambiti. Nel 2022 la UIF (Quaderni dell’antiriciclaggio, n. 19: “Le Pubbliche amministrazioni nel sistema di prevenzione del riciclaggio”) ha evidenziato, per esempio, che “oltre il 60% delle comunicazioni ha avuto origine da istruttorie condotte dalle Pubbliche amministrazioni nelle fasi propedeutiche all’erogazione di fondi o finanziamenti pubblici o relative ai controlli nel continuo in merito ai finanziamenti concessi […]. Un ulteriore 9,5% delle comunicazioni del campione è relativo a casistiche riscontrate nell’ambito di accertamenti fiscali, seguito da un 7,8% relativo ad attività di assistenza qualificata alle imprese nell’ambito di costituzione di start-up innovative […] Le restanti comunicazioni riguardano fattispecie rilevate nel corso di controlli sulla sussistenza dei presupposti normativi per l’esercizio dell’attività (SUAP: Sportello Unico per le Attività Produttive) e sulle Segnalazioni Certificate di Inizio Attività edilizia (3,7%); controlli ispettivi in ambito contabile (2,9%); verifiche sugli appalti pubblici ai sensi dell’art. 80 d.lgs. 50/2016 (2,9%) oppure a seguito di richieste da parte dell’Autorità Giudiziaria o esposti (1,2%). Sono altresì presenti procedimenti amministrativi di diversa natura quali, a mero titolo esemplificativo, la concessione di diritti edificatori perequati, le contestazioni in merito al pagamento di debiti della PA, le istanze di rimborso di somme indebitamente versate (10,3%)”.
[7] Unità di Informazione Finanziaria, Istruzioni sulle comunicazioni di dati e informazioni concernenti le operazioni sospette da parte degli uffici delle pubbliche amministrazioni, Roma, 23 aprile 2018: “Gli indicatori di anomalia consistono in una elencazione a carattere esemplificativo di connotazioni di operatività ovvero di comportamenti della clientela da ritenere ‘anomali’ e potenzialmente caratterizzanti intenti di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Gli indicatori hanno la funzione di ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali e contribuiscono altresì al contenimento degli oneri e al corretto e omogeneo adempimento degli obblighi di segnalazione di operazioni sospette da parte dei soggetti obbligati”.
[8] Facciamo riferimento al modello adottato dal Comune di Milano e dalle amministrazioni (Comuni, Province, Regioni e Aziende Sanitarie) che abbiamo avuto modo di conoscere.
[9] Responsabile antiriciclaggio.
[10] Alla luce della nuova normativa, sono tutelati anche i dipendenti che effettuano divulgazioni pubbliche, cioè che rendono “di pubblico dominio informazioni sulle violazioni tramite la stampa o mezzi elettronici o comunque tramite mezzi di diffusione in grado di raggiungere un numero elevato di persone”. Chi effettua una divulgazione pubblica, tuttavia, beneficia delle tutele previste per i whistleblower se, al momento della divulgazione pubblica, ricorre una delle seguenti condizioni:
– ha previamente segnalato la violazione all’interno della sua organizzazione e all’esterno (ad ANAC), oppure soltanto ad ANAC, ma non ha ottenuto alcun riscontro in merito alle misure previste o adottate per dare seguito alla segnalazione;
– ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse;
– ha fondato motivo di ritenere che la segnalazione esterna (ad ANAC) possa comportare il rischio di ritorsioni o possa non avere efficace seguito in ragione delle specifiche circostanze del caso concreto, come quelle in cui possano essere occultate o distrutte prove oppure in cui vi sia fondato timore che chi ha ricevuto la segnalazione possa essere colluso con l’autore della violazione o coinvolto nella violazione stessa.
[11] L’ambito oggettivo di applicazione della normativa di tutela del whistleblowing è definito nell’art. 1, D.Lgs. n. 24/2023:
1. Il presente decreto disciplina la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato.
I commi 2, 3 e 4 del medesimo art. 1 circoscrivono ulteriormente tale ambito di applicazione.
[12] ANAC ha chiarito (Delibera n. 236 del 4 marzo 2020) che la protezione dei segnalanti “non può estendersi ai casi in cui il lavoratore si improvvisi investigatore violando le norme per raccogliere prove di illeciti nell’ambiente di lavoro. La tutela opera, infatti, solo nei confronti di chi segnala notizie di un’attività illecita, acquisite nell’ambiente e in occasione del lavoro, non essendo ipotizzabile una tacita autorizzazione a improprie e illecite azioni di ‘indagine’. Infatti, come ribadito dall’orientamento summenzionato ‘la normativa in materia di whistleblowing non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge’ (sent. Cassazione penale, sez. V, n. 35792 del 21.05.2018)”.
[13] “Perché è così importante fare riferimento alle intuizioni di valore?”.
[14] Il campo visivo di ogni occhio contiene quindi un piccolo “buco”, che a non viene notato consciamente, per due ragioni:
– l’altro occhio fornisce al cervello informazioni su cosa si trova in quella parte di campo visivo, anche se non molto dettagliate;
– se l’altro occhio viene chiuso, il cervello riempie comunque il buco usando informazioni provenienti dalle zone immediatamente circostanti.
[15] Per approfondire questo modello di analisi, che consente anche di identificare e studiare i rischi di frode, si rimanda all’articolo “IL SALTO CON L’ASTA. Valutare il rischio di frodi e corruzione con il metodo di Spazioetico”.
[16] Nel nostro caso, per esempio, il rischio di peculato può essere gestito riducendo le asimmetrie informative, oppure tenendo sotto controllo eventualmente generate dall’azzardo morale, mentre non è possibile agire sul conflitto di interessi, perché l’organizzazione potrebbe non sapere che Infermiccio ha contratto un debito, né che è affetto da ludopatia.
[17] Con questo aggettivo il Consiglio di Stato (deliberazione n. 667/2019) qualifica le situazioni elencate puntualmente nel comma 1, primo periodo, dell’art. 7 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici: “1. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente”.
[18] La minaccia all’imparzialità si determina quando un agente pubblico, un ufficio o un’amministrazione non sono equidistanti da tutti gli interessi coinvolti in un procedimento o in un processo decisionale. Una minaccia alla percezione di imparzialità si determina, invece, quando un soggetto esterno all’amministrazione (un destinatario, un cittadino o l’opinione pubblica), sulla base delle informazioni di cui dispone, giudica non imparziali le decisioni o i comportamenti adottati dall’amministrazione.
[19] In questo secondo caso la consulenza legale potrebbe essere fittizia e, quindi, l’azzardo morale sarebbe meno vantaggioso, perché procurerebbe un danno economico all’azienda pubblica.
[20] In questo terzo caso l’azzardo morale incide sul buon andamento e, ancora una volta, è meno vantaggioso.
[21] Questi valori, che da alcuni dipendenti pubblici sono percepiti come veri e propri interessi primari, sono dei principi che regolano il funzionamento del sistema pubblico. La vera competenza per l’integrità, in fin dei conti, è sapere che questi valori sono irrinunciabili e devono essere tenuti in considerazione in tutti i casi in cui si agisce o si decide all’interno di un contesto pubblico. Abbiamo approfondito questo aspetto nell’articolo “La geometria delle regole”, in Azienditalia, 3/2022.
[22] Cfr.: “L’uso degli scenari nella valutazione dei conflitti di interessi potenziali”, in Spazioetico, 2021.