LA GRAMMATICA DELL’INTEGRITA’ PUBBLICA. Le nuove competenze per la prevenzione della corruzione

Questo articolo è apparso sulla Rivista Azienditalia Enti Locali, Mensile per gli enti locali e le loro aziende, nel 2023, nell’ambito della rubrica mensile: lo Spazio Etico, Idee, competenze e strumenti per l’integrità.

In questo articolo parliamo delle competenze per l’integrità pubblica, che sono qualcosa di molto diverso dalle competenze necessarie per garantire il corretto adempimento degli obblighi normativi. Il concetto stesso di integrità pubblica , e la sua declinazione nei diversi ambiti di intervento, non può ridursi al rispetto formale delle attuali regole stabilite nell’ambito della Legge n. 190/2012 e successive integrazioni.
Le strategie di prevenzione della corruzione, al netto della loro complessità e del tempo necessario alla loro attuazione, non devono essere vissute come dei meri formalismi senza un reale assorbimento da parte dei dipendenti pubblici e delle amministrazioni. Le competenze per l’integrità rappresentano, quindi, l’immagine sullo sfondo che dà significato e profondità all’architettura organizzativa dell’anticorruzione.

Noi penetriamo foreste, coltiviamo savane,
le nostre braccia arrivano ogni giorno più lontane.
Da noi vengono i tesori alla terra carpiti,
con che poi tutti gli altri restano favoriti […]
Ma riprendiamola in mano, riprendiamola intera,
riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l’abbondanza.

(Claudio Lolli, Ho visto anche degli zingari felici, 1976)

L’era del criceto e della ruota

Anno 2050. La pubblica amministrazione italiana non esiste quasi più. È stata sostituita da ChatgPA, un potente algoritmo di intelligenza artificiale, che produce atti, adotta delibere e sputa fuori regolamenti ineccepibili. Come tanti criceti che corrono sulle ruote, le poche migliaia di dipendenti pubblici, scampati alla Grande Estinzione Post Pandemica, eseguono meccanicamente l’esercizio motorio del recarsi al lavoro, timbrare il cartellino e posizionarsi davanti ai terminali per eseguire le istruzioni che provengono dall’algoritmo pensante.

La residua resistenza belligerante, insieme ai pochi “esperti” rimasti a blaterare nel nulla, ha individuato il responsabile di questa amara deriva nelle riforme che a partire dai primi anni di questo secolo hanno costruito mostruose architetture adempimentali: PFP, PAC, PRSD, PdP, PtPCT, POLA, PAP, ecc. Persino il PIAO, che era nato per semplificare ed integrare questa infinità di documenti programmatori, era finito nelle fauci del più potente apparato digerente che si fosse mai visto fino a quel momento: la Pubblica Amministrazione italiana.

L’idea che gli strumenti potessero sostituire le persone non era certo una novità in quel panorama desolato di pensiero ed azione che oggi noi, cittadini del 2050, chiamiamo “deskillificazione”, un orrendo neologismo che usiamo per indicare quelle situazioni in cui il senso ed il fine delle azioni risiede nell’esecuzione delle azioni stesse, e in cui le competenze utili sono solo quelle necessarie ad eseguire le istruzioni fornite da una macchina.

A distanza di tanti anni, lanciamo un appello ai molti, tra noi e voi, che pur vivendo in tale scempio, non si sono ancora arresi all’evidenza: fermiamo insieme la ruota e facciamo scendere il dipendente pubblico! Facciamogli riprendere fiato, lasciamolo solo per un attimo a guardarsi intorno e poi aiutiamolo a trovare il senso delle cose che fa, prima che sia troppo tardi.

Magari, potremmo suggerirgli di leggere, con la dovuta calma, questo nostro scritto.

La risacca

L’introduzione ex lege di una serie di obblighi minimi di trasparenza amministrativa e di controllo dei processi, a carico di tutte le Pubbliche Amministrazioni italiane, ha consentito di sviluppare un sistema di prevenzione decentrato, di standardizzare la gestione del rischio e definire strategie di contrasto alla corruzione alternative alla repressione sul piano penale. D’altro canto, l’introduzione di un sistema troppo esteso e rigido di obblighi ha contribuito a diffondere l’idea, assolutamente infondata, che gli adempimenti siano un surrogato della responsabilità individuale: la necessità di attuare le misure di gestione previste nei Piani di prevenzione ha preso il sopravvento su tutto il resto. Le competenze per l’integrità, a lungo ignorate, sono oggi più che mai necessarie, perché l’attuale tendenza alla semplificazione degli adempimenti e dei controlli a carico delle imprese, dei cittadini e delle Amministrazioni, per non tradursi in una mancata gestione dei fenomeni corruttivi, deve essere controbilanciata dallo sviluppo, nei dirigenti e nel personale, di capacità finalizzate a identificare e gestire, in modo autonomo e consapevole, i rischi per l’integrità pubblica.

L’adempimento, inteso come “acquiescenza” (compliance) ad una norma, in sé non è un male: nessuna organizzazione pubblica può funzionare senza sistemi di gestione che traducono l’obbligo normativo in una serie di obiettivi, processi, responsabilità e controlli; e quando la dimensione adempimentale manca del tutto, accade persino che la PA non riesca rispondere adeguatamente alle sollecitazioni della normativa[2].

Per costruire le competenze e gli strumenti necessari ad adempiere al dettato normativo dell’anticorruzione italiana, negli ultimi dieci anni sono state spese tantissime risorse pubbliche: sono stati formati Responsabili della prevenzione della corruzione, uffici di supporto e referenti interni; sono stati acquistati sistemi informativi per la gestione ed il monitoraggio delle misure; sono stati adottati regolamenti, policy e codici di amministrazione; sono state acquistate piattaforme per la gestione delle segnalazioni di condotte illecite; è stata condotta una colossale operazione di aggiornamento professionale rivolta ai dirigenti e ai dipendenti pubblici, che hanno partecipato a migliaia di corsi su come adempiere alle misure previste dai Piani triennali anticorruzione o come produrre e pubblicare le informazioni sulle sezioni “Amministrazione Trasparente”. L’esito di questo investimento è sotto gli occhi di tutti: l’infrastruttura adempimentale della prevenzione della corruzione, nel bene e nel male, è ormai entrata stabilmente a far parte del modo in cui funziona una Pubblica Amministrazione italiana.

Ma se una notte, come per magia, una mano invisibile abrogasse all’improvviso tutto l’armamentario di decreti, regole, strumenti, scadenze, check-list e procedure introdotte dopo la Legge n. 190/2012, il giorno dopo cosa succederebbe? La marea degli adempimenti, ritirandosi vorticosamente, cosa lascerebbe? Siamo sicuri che le competenze “adempimentali” non verrebbero spazzate via insieme alla normativa?

L’ipotesi di una sparizione di massa degli adempimenti anticorruzione è, certamente, alquanto bizzarra e improbabile, ma solleva interrogativi urgenti e indifferibili. L’attuazione del PNRR, infatti, sta modificando l’assetto dei controlli interni al sistema pubblico, determinando l’introduzione di nuovi adempimenti (contrasto alle frodi e al riciclaggio) e la semplificazione degli adempimenti esistenti (anticorruzione e appalti pubblici). Non siamo, insomma, di fronte a una bassa marea, ma piuttosto ad un moto ondoso interno ai sistemi di controllo, che sale e che scende, e può creare correnti di risacca: in una situazione così fluida è auspicabile che i dipendenti pubblici abbiano le competenze per percepire, analizzare e trattare i rischi corruttivi, anche se nessuno li obbliga a farlo, semplicemente perché è giusto farlo nell’interesse della collettività.

Una diffusione della cultura dell’integrità e di competenze per l’integrità potrebbe, in ultima analisi, compensare la riduzione degli adempimenti, senza pregiudicare la capacità del sistema pubblico di prevenire i fenomeni corruttivi. Il vero problema è capire quali sono le competenze per l’integrità, chi le possiede e come possono essere sviluppate.

Fare tutto senza capire niente

Nella scena più iconica del film Matrix, dei fratelli Wachowski, Morfeo offre a Neo (il protagonista, interpretato da Keanu Reeves) la possibilità di scegliere: “pillola blu, fine della storia, domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio”. I dipendenti pubblici si trovano spesso, loro malgrado, di fronte ad un dilemma simile: pillola blu e adempi senza capire cosa stai facendo, né perché; pillola rossa e ti fermi, cerchi di capire cosa stai facendo e, se non capisci il senso di quello che stai facendo, non vai avanti. Purtroppo, pochi di loro incontreranno un Morfeo nella loro carriera professionale!

Per la quasi totalità dei dipendenti pubblici, l’adempimento che impone l’obbligo di riempire e firmare un modulo di dichiarazione di presenza/assenza di conflitto di interessi rappresenta un’attività quasi meccanica: il solerte funzionario scorre velocemente l’elenco delle situazioni che impongono l’astensione e si affretta a spuntare la casella che certifica l’assenza di conflitto di interessi, certo della propria integrità, bollando tali procedure come inutili formalità.

Una volta acquisite, queste dichiarazioni servono a dimostrare che l’obbligo è stato regolarmente espletato, per non incorrere negli strali di qualche Autorità, e quindi vengono messe agli atti e dimenticate. Nessuno si pone il problema di verificare che le dichiarazioni corrispondano al vero, men che meno se le dichiarazioni vengano compilate con una qualche idea su cosa sia il conflitto di interessi, sia come istituto giuridico che come fenomeno[3].

Più o meno tutti i dipendenti pubblici, inoltre, sanno di essere soggetti all’obbligo, sancito dall’art. 5 del Codice di comportamento nazionale, di comunicare tempestivamente al proprio responsabile l’adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio. Sarebbe assai interessante verificare a quali risorse cognitive o esperienziali attingono i poveri dipendenti pubblici, per valutare la possibile interferenza degli ambiti di interessi. Un funzionario regionale incaricato di adottare il calendario venatorio, all’atto di iscriversi a un’organizzazione per la protezione dei volatili, potrebbe intuire facilmente l’esistenza di una potenziale interferenza tra le attività del suo ufficio e gli scopi dell’associazione! Purtroppo, questo è un caso raro, che non si verifica quasi mai. Quello che succede nella realtà è che gli ambiti di interessi convergono spesso per un reciproco vantaggio e l’interferenza è latente[4]. Questo accade, ad esempio, quando un professionista della sanità pubblica fa parte di una società scientifica, che organizza corsi di formazione a beneficio della sua azienda sanitaria oppure promuove studi e ricerche sponsorizzate da aziende private.

Potremmo andare avanti all’infinito ed illustrare innumerevoli circostanze in cui un obbligo normativo ad adempiere non produce alcun innalzamento del livello di conoscenza dei fenomeni corruttivi e del rischio da parte del personale, né tantomeno l’acquisizione di competenze di gestione da parte della dirigenza. Ovviamente, esistono delle eccezioni: abbiamo anche conosciuto persone (RPCT, dirigenti, dipendenti pubblici) che hanno saputo sfruttare gli adempimenti come un’opportunità per sviluppare una maggiore conoscenza e consapevolezza dei fenomeni corruttivi; e addirittura, qualche anno fa, un manipolo di veterinari di un’azienda sanitaria locale si rifiutò collettivamente di firmare i moduli sul conflitto di interessi senza avere prima ricevuto una formazione specifica su questo spinoso e controverso argomento! Grazie a questi coscienziosi professionisti, siamo stati contattati dall’azienda sanitaria e abbiamo erogato una serie di interessantissimi interventi formativi.

Ma sono eccezioni che si contano sulle dita di una mano e che sembrano piuttosto confermare una regola: gli adempimenti normativi impongono l’adozione di scelte e comportamenti che possono essere messi in atto senza la necessità di comprendere i fenomeni o identificare gli interessi primari che devono essere tutelati; e di conseguenza non producono un impegno né percettivo né tantomeno cognitivo su come eseguire il compito e sul senso del compito stesso.

Hardware e software

Le competenze per l’integrità fanno riferimento ai fenomeni e non sono direttamente associati all’adempimento di specifici obblighi di legge. Tuttavia, integrano le competenze adempimentali, perché consentono di decodificare i rischi che devono essere gestiti dal sistema di prevenzione decentrato e danno un senso agli obblighi normativi.

Gli affezionati lettori di questa rubrica avranno ormai compreso che ci siamo cacciati in un bel guaio: stiamo cercando un nuovo tipo di competenze, che non sono direttamente associate all’adempimento degli obblighi normativi, ma che sono in qualche modo necessarie sia per adempiere consapevolmente a tali obblighi, sia per comprenderne il senso.

Per circoscrivere meglio ciò che stiamo cercando, possiamo ricorrere ai concetti di hardware e software. Tutte le disposizioni normative e regolamentari derivate dall’approvazione della Legge n. 190/2012 hanno costruito all’interno delle Amministrazioni Pubbliche un hardware, cioè un’infrastruttura di adempimenti normativi e di gestione dei rischi. Su questa infrastruttura sono stati installati un sistema operativo, cioè un sistema di ruoli e responsabilità per la prevenzione della corruzione; e una serie di software strettamente necessari alla corretta esecuzione delle diverse componenti del sistema, cioè le competenze necessarie a garantire un adempimento formalmente corretto degli obblighi normativi. Le dichiarazioni relative al conflitto di interessi e la mappatura dei rischi sono, per esempio, due componenti del sistema, e i software associati a queste componenti forniscono una serie di conoscenze e strumenti: l’elenco delle relazioni tipizzate e l’obbligo di astensione introdotti dall’art. 7, D.P.R. n. 62/2013, i fattori abilitanti e la metodologia di gestione del rischio introdotta da ANAC nell’allegato 1 del PNA 2019, i moduli dichiarativi e le schede di mappatura predisposte dalle singole Amministrazioni, e via dicendo. Questi software sono totalmente interni al sistema e consentono all’organizzazione di produrre una serie di output documentali (dichiarazioni, elenchi di processi a rischio di corruzione, misure di trattamento e piani di gestione) ma non garantiscono che le informazioni veicolate in tali output siano corrette. Questo problema nasce dal fatto che i fenomeni che il sistema deve gestire sono situati all’esterno della struttura adempimentale

Per scongiurare il rischio che il sistema produca output completamente sganciati dalla realtà, è allora necessario installare delle periferiche (dei processi cognitivi) e dei software (le competenze per l’integrità) che fanno riferimento ai fenomeni e che siano in grado di tradurre i fenomeni nel linguaggio-macchina dell’infrastruttura adempimentale.

Le competenze per l’integrità, così definite, suscitano interrogativi del tutto nuovi: quali competenze sono necessarie per identificare le relazioni che fanno emergere le situazioni di conflitto di interessi? Come fanno le persone a determinare che l’intensità di un interesse, (per esempio dell’interesse a farsi carico dei bisogni e delle aspettative di un proprio congiunto) è così elevata da interferire con i suoi processi decisionali? Quali criteri utilizza un dirigente, per valutare se un proprio collaboratore si trova, effettivamente, in conflitto di interessi? Quali competenze sono necessarie per compiere questa valutazione? Come gestirà la situazione?

Si tratta di un mondo in parte nuovo, che può essere esplorato solo se spostiamo il focus della nostra analisi dall’esecuzione dei compiti alla decodifica dei fenomeni. L’esplorazione è soltanto all’inizio: noi siamo riusciti, forse, ad identificare sei competenze per l’integrità, seppure in modo abbastanza fortuito, e non ci risulta che altri abbiano fatto altrettanto. Insomma, c’è ancora molto da cercare, ma dobbiamo innanzitutto capire dove conviene cercare.

Costellazioni valoriali

Bo Rothstein e Nicholas Sorak, nel 2017, hanno identificato alcuni nuclei etici fondamentali (cluster), che descrivono l’universo valoriale del settore pubblico. Questi nuclei fondamentali dell’etica pubblica possono essere un punto di partenza, per identificare le competenze per l’integrità.

Di solito, per identificare le competenze del proprio personale, le organizzazioni prendono in considerazione i propri obiettivi e le attività che devono essere svolte all’interno dei processi. Tuttavia, questo approccio non ci aiuterebbe in alcun modo a identificare le competenze per l’integrità: in forza del principio di legalità, gli obiettivi e i processi che le Amministrazioni Pubbliche mettono in atto per prevenire i fenomeni corruttivi hanno sempre l’obiettivo di garantire l’adempimento di obblighi di legge e, quindi, guardare ai processi non ci consentirebbe di uscire dall’hardware, dall’infrastruttura.

Per trovare le competenze per l’integrità dobbiamo, piuttosto, concentrarci sui valori di riferimento del settore pubblico. A prima vista, può sembrare una proposta azzardata, ma è soltanto un modo diverso di affrontare il problema.

La cultura e i valori di riferimento di un’organizzazione, infatti, generano delle aspettative di comportamento; e di conseguenza le organizzazioni tenderanno a selezionare dipendenti che hanno certe competenze, in virtù delle quali possono mettere in atto i comportamenti attesi. Un’organizzazione criminale, fondata sui valori dell’onore, dell’obbedienza e su una cultura della violenza, cercherà di assoldare persone capaci di usare armi ed esplosivi, fedeli ai propri capi e spietate con i loro nemici. Un’azienda che pensa solo a fare profitti, dedita alla corruzione, cercherà invece dei dipendenti spregiudicati, orientati all’obiettivo, capaci di manipolare le altre persone e che sanno usare in modo cinico le proprie relazioni.

Quali sono invece i valori di riferimento delle Pubbliche Amministrazioni, su quale tipo di cultura si devono innestare le competenze per l’integrità? Per rispondere a questa domanda, possiamo fare riferimento ad un interessante studio dell’Università di Göteborg, realizzato da Bo Rothstein e Nicholas Sorak nel 2017[5]. I due ricercatori hanno analizzato i codici etici di 22 Stati del mondo[6] e, confrontando i loro risultati con quelli derivanti da precedenti studi, hanno identificato nove core value clusters,nove nuclei etici fondamentali attorno a cui tendono ad aggregarsi i valori di riferimento espressi nei codici etici di sistemi pubblici molto distanti e diversi tra loro[7] (tabella 1):

Core Value ClusterDescrizione
Imparzialità (Impartiality)Contiene i valori che orientano all’adozione di decisioni giuste nell’interesse della collettività[8].
Apertura (Openness)Contiene quei valori che guidano il trattamento e la diffusione delle informazioni[9].
Integrità (Integrity)Contiene i valori che definiscono un comportamento etico quando si interagisce con il mondo[10].
Legalità (Legality)Contiene i valori che descrivono il modo in cui la Pubblica Amministrazione tiene in considerazione la legge[11]
Fedeltà (Loyalty)Contiene i valori che determinano la fedeltà dei dipendenti pubblici.[12]
Parità di Trattamento (Equal Treatment)Contiene i valori che definiscono il concetto di uguaglianza e giustizia della Pubblica Amministrazione, sia nel rapporto con il pubblico che sul luogo di lavoro[13]
Affidabilità (Reliability)Contiene valori che denotano dedizione al proprio lavoro[14]
Servizio (Service)Contiene valori che orientano le prestazioni nei rapporti con il pubblico e la presa in carico dei destinatari[15]
Professionalità (Professionalism)È strettamente correlato al cluster “Service”, ma orienta verso l’interno, sull’esecuzione delle attività e sulla creazione di un ambiente di lavoro efficiente[16]

Rothstein e Sorak hanno anche notato che i confini tra i cluster non sono chiaramente definiti: ci sono delle sovrapposizioni, per esempio, tra Imparzialità e Parità di Trattamento, tra Fedeltà e Affidabilità, oppure tra Professionalità e Servizio. Di conseguenza, alcuni valori sembrano essere a cavallo tra due o più cluster. Il grande merito di Rothstein e Sorak, a nostro parere, è avere capito che queste sovrapposizioni non dipendono da un errore di catalogazione, ma riflettono una proprietà strutturale dei nuclei etici fondamentali del settore pubblico: i cluster sono in relazione tra loro, sono come stelle disposte nel cielo a formare una costellazione[17] (Tavola 1):

Tavola 1 – Costellazione di Rothstein – Sorak

La costellazione di Rothstein – Sorak è chiaramente spaccata in due parti: in alto ci sono nuclei etici che contengono valori tradizionali, cioè che, storicamente, hanno sempre fatto parte dell’etica pubblica; in basso invece, ci sono due cluster nuovi, isolati dagli altri, che rappresentano i valori etici caratteristici delle organizzazioni private, diffusi in ambito pubblico dal New Public Management, e che devono essere, in un certo senso, ancora assimilati. Guardando da sinistra a destra, invece, troviamo dei cluster orientati verso l’interno (Inward-Facing) e dei cluster orientati all’esterno (Outward-Facing): i valori outward-facing guidano i funzionari nella loro interazione con il pubblico, mentre i valori inward-facing descrivono il modo in cui i dipendenti pubblici si devono relazionare sul luogo di lavoro e all’istituzione pubblica per cui lavorano.

Territori già esplorati e territori da esplorare

Le competenze per l’integrità non si sviluppano lungo tutta la costellazione di Rothstein e Sorak, ma si concentrano nell’area a destra e sono strettamente associate a quattro cluster: Integrità, Apertura, Imparzialità, Parità di Trattamento. Il resto della costellazione, invece, è coperto da una serie di competenze comportamentali, identificate da ANAC nel 2016, finalizzate a garantire un’efficace attuazione dei sistemi di prevenzione della corruzione. I due insiemi di competenze sono tra loro complementari.

Rothstein e Sorak hanno usato la loro costellazione per studiare, in modo puntuale, le differenze tra i diversi codici etici nazionali. I diversi Stati, infatti, si distinguono per il peso che assegnano ai diversi cluster e per il modo in cui li declinano. Noi invece la useremo per non cercare a caso!

Non siamo i primi, infatti, a cercare di identificare delle competenze utili per prevenire I fenomeni corruttivi. Nel 2016 ANAC ha pubblicato delle Linee Guida[18] sulle competenze trasversali (soft skills) che devono possedere i soggetti che intervengono nel sistema di prevenzione della corruzione. Le linee guida, elaborate insieme a un nutrito numero di Pubbliche Amministrazioni[19], propongono un catalogo di competenze comportamentali[20], declinate in modo diverso a seconda dei ruoli, che possono essere misurate attraverso un sistema di indicatori riferiti a comportamenti organizzativi osservabili. Le competenze mappate sono 13 e descrivono “caratteristiche intrinseche di un individuo che sono causalmente correlate a una prestazione efficace o superiore nella mansione”:

1) Accuratezza e qualità

2) Assertività

3) Empowerment e sviluppo dei collaboratori

4) Flessibilità

5) Orientamento all’altro

6) Pensiero ideativo

7) Sviluppo e trasferimento del sapere

8) Tensione al risultato

9) Iniziativa

10) Impegno verso l’organizzazione

11) Integrità e coerenza

12) Persuasività

13) Sicurezza di sé

14) Team leadership

Leggendo questo elenco, è già possibile intuire a quali cluster della costellazione di Rothstein-Sorak fanno riferimento le competenze di ANAC: Professionalità, Servizio, Affidabilità e Fedeltà. Siamo cioè nella parte sinistra, inward-facing, della costellazione, e nell’area bassa, dominata da valori mutuati dal settore privato. Questa intuizione viene confermata dalla lettura degli indicatori proposti da ANAC per misurare il livello di integrità e coerenza di un dipendente o di un dirigente (tavola 2):

Tavola 2

Indicatori di “integrità e coerenza” (1=minimo, 5=massimo)Descrizione (sintetica) dell’indicatore.
1Non è un modello di integrità e coerenza  Non di rado dà prova di opportunismo sul luogo di lavoro e, sempre per motivi di opportunismo, offre in genere scarsa resistenza a pressioni o sollecitazioni contrarie ai principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, quando non è egli stesso a sollecitare indebiti interventi o interferenze per ottenere incarichi o procurarsi comunque favori. Tende ad esercitare la sua influenza non per gli interessi dell’Amministrazione di appartenenza ma per “giochi di potere” personali e per trarne benefici e privilegi.
2Si adegua, pur con qualche incoerenza, alla normativa Anticorruzione, codice etico, codice di Comportamento:Agisce in genere coerentemente con i valori e i principi a capo della normativa di riferimento, codice etico e codice di comportamento, ma, quando occorre scegliere, tende ad anteporre le pur legittime esigenze personali e familiari ai doveri istituzionali.
3Evita accuratamente situazioni di conflitto d’interessiOltre ad essere onesto, si preoccupa (anche per la tutela dell’immagine e degli interessi della sua organizzazione) di apparire tale, ed è perciò assai attento ad evitare situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di interessi o di incompatibilità nell’ambito della propria professione.
4Dimostra spirito di sacrificioAgisce secondo alti valori etici e professionali, di cui dà testimonianza nel duro impegno di lavoro, superiore ai normali standard, e nella meticolosità e precisione che mette in tutto ciò che fa, anteponendo le necessità dell’ufficio alle esigenze personali e familiari.
5Trasmette valoriNon bada solo all’integrità della propria condotta, ma, sollecitato da una più alta tensione morale, si preoccupa che tutto il proprio ambiente di lavoro sia improntato ai principi e ai valori di riferimento della propria organizzazione.

L’integrità e la coerenza, descritte e misurate in questo modo, sono competenze che hanno poco a che fare con la decodifica dei fenomeni e con la capacità di interagire correttamente con il mondo esterno. Gli indici di rilevazione di queste competenze, inoltre, fanno soprattutto riferimento all’onestà personale, al rispetto delle norme e delle regole, alle condotte adottate sul lavoro, all’esecuzione dei compiti e alla capacità di anteporre le necessità dell’ufficio alle esigenze personali o familiari: Fedeltà, Legalità, Professionalità e Affidabilità la fanno da padrona!

Invitiamo i nostri affezionati lettori a leggere tutte le linee guida di ANAC: si tratta di un documento assai interessante, che descrive in modo accurato alcune competenze necessarie per garantire un’efficace attuazione dei sistemi di prevenzione della corruzione. Arrivati all’ultima pagina, però, si ha l’impressione che manchi qualcosa e questa impressione dipende dal fatto che solo una parte della costellazione di Rothstein-Sorak è stata esplorata (Tavola 3):

Tavola 3: Area esplorata dalle linee guida ANAC (in azzurro)

Non abbiamo alcun interesse a identificare nuove competenze riferibili all’area azzurra nella Tavola 3: è un territorio che è stato già esplorato da ANAC e dalle Pubbliche Amministrazioni che hanno contribuito ad elaborare le linee guida. Ci interessa piuttosto esplorare la parte destra della costellazione, (Integrità, Apertura, Imparzialità, Parità di Trattamento) e identificare le intuizioni, le conoscenze e le capacità che consentono ai dipendenti pubblici di identificare e gestire adeguatamente le dinamiche relazionali, le interazioni tra interessi, le asimmetrie informative e i fenomeni di interferenza nelle logiche di mercato (Tavola 4)

Tavola 4: Area delle competenze per l’integrità (in giallo)

È un territorio apparentemente sconfinato, quello evidenziato in giallo nella Tavola 4, e il rischio di non esplorarlo adeguatamente è assai concreto. La difficoltà maggiore è lasciarsi veramente alle spalle l’area azzurra della costellazione di Rothstein-Sorak, tagliare i ponti che riconducono al contesto interno e sganciare la ricerca da ogni riferimento ai processi che le organizzazioni pubbliche mettono in atto per conformarsi agli obblighi della normativa anticorruzione. Se questo “sganciamento” non avviene, rischiamo di ripetere l’errore commesso (in buona fede) dal gruppo di lavoro coordinato da ANAC, quando ha descritto l’integrità come una competenza inward-facing, che dipende dall’onestà personale, dal rispetto delle norme, dalla disponibilità a sacrificare la vita privata (esigenze personali e familiare) per dedicarsi al lavoro.

Secondo noi, possedere competenze per l’integrità è qualcosa di più che essere un onesto stacanovista! Per identificare questo “di più”, dobbiamo cambiare metodo e cercare qualcosa di nuovo: non tanto le competenze che consentono di gestire i processi organizzativi, quanto, piuttosto, le conoscenze, capacità e abilità che traducono le intuizioni individuali in processi, condivisi e ripetibili, di decodifica dei fenomeni.

Una grammatica per l’integrità

Non dobbiamo fare l’errore di calare dall’alto le competenze per l’integrità. Le persone, infatti, non sono dei vasi vuoti da riempire, ma hanno delle attitudini, delle intuizioni e delle capacità che vanno sempre incanalate, potenziate, chiarite e rese trasferibili. In questo paragrafo, presenteremo brevemente la nostra metodologia di ricerca delle competenze per l’integrità, che assume come punto di partenza le intuizioni di valore dei dipendenti pubblici.

La somministrazione di casi studio[21] e l’osservazione costituiscono il primo step della nostra metodologia di definizione delle competenze per l’integrità: dobbiamo, innanzitutto, identificare le intuizioni[22] di valore[23] (giusto”/“sbagliato”, sicuro”/“rischioso”)che emergono nei dipendenti pubblici in presenza di determinate scelte o comportamenti.

I dipendenti pubblici imparano a categorizzare un comportamento come illecito, o a rischio, perché sono esposti ad un contesto relazionale fatto di persone, interessi, ruoli, regole, prassi e aspettative: la famiglia, la scuola, l’università, le esperienze lavorative o associative, e poi le esperienze associate al ruolo pubblico, plasmano la loro intuizione, cioè la loro capacità di assegnare un valore ad un comportamento in un determinato contesto.

Percepire l’illiceità, o il rischio, di un comportamento è quindi già una competenza per l’integrità, ma si tratta di una competenza soggettiva, non trasferibile e, soprattutto, inconsapevole, che ha inaspettati tratti in comune con la competenza linguistica dei bambini che imparano a parlare la loro lingua madre!

L’apprendimento del linguaggio è un’esperienza relazionale del tutto particolare: i bambini imparano a parlare, interagendo con i genitori e con i propri pari, ed acquisiscono la quasi totalità delle complesse strutture dei linguaggi naturali (fonologia, schemi valenziali, morfosintassi e semantica[24]) entro i sei anni; tuttavia, la loro conoscenza del linguaggio è un insieme di percezioni di grammaticalità tanto naturali e spontanee, quanto inconsapevoli: per esempio, percepiscono che la frase “Mario ha comprato un paio di scarpeè corretta, mentre la frase “Mario è comprato il paio delle scarpe”è drammaticamente sbagliata, ma non sanno spiegare esattamente perché!

Le conoscenze linguistiche dei bambini compiono un deciso salto di qualità, quando cominciano a studiare la grammatica e apprendono, non senza difficoltà, le regole e le convenzioni sottese alle loro manifestazioni espressive. Lo studio dell’ortografia, dell’analisi grammaticale, logica e del periodo, nonostante risulti indigesto alla maggior parte degli studenti, consente anche di sviluppare un bagaglio di conoscenze e competenze fondamentali, ad esempio, per apprendere una lingua straniera: concetti astratti e apparentemente banali come pronome, verbo, modo, tempo, persona e numero sono un ponte che consente di stabilire delle analogie tra le lingue diverse, per poterle studiare e tradurre (Tavola 5)

Tavola 5

Ancora una volta, ciò che vale per il linguaggio vale anche per le intuizioni di valore. Il secondo step della nostra metodologia, infatti, sarà la definizione di una grammatica dell’integrità, cioè di un insieme di conoscenze e competenze di base che:

– consolidano le intuizioni individuali di illiceità e di rischio[25];

– consentono di trasformare queste intuizioni individuali in processi di analisi e decodifica dei fenomeni[26].

L’analogia tra integrità e linguaggio vale fino a un certo punto e non deve farci sottovalutare le difficoltà sottese alla creazione di una grammatica per l’integrità. In primo luogo, i parlanti madrelingua hanno percezioni di grammaticalità pressoché identiche, mentre le intuizioni di valore dei dipendenti pubblici sono molto differenziate e, di conseguenza, è necessario scegliere quali intuizioni privilegiare e quali scartare. In secondo luogo, la grammatica dell’integrità, come quella di una lingua, deve identificare i componenti di base dei fenomeni e le regole per mettere insieme, in modo strutturato, questi elementi: periodo può essere diviso in proposizioni e poi, ulteriormente, in sintagmi, singole parole, sillabe e fonemi; quali sono invece gli elementi costitutivi dei fenomeni che determinano una caduta dell’integrità? E servono grammatiche diverse per ogni fenomeno, oppure ne basta una sola?

Nel nostro piccolo, abbiamo provato ad applicare la metodologia fin qui descritta a due fenomeni: l’orientamento al privato e la proliferazione dei centri decisionali. Abbiamo identificato le più rilevanti intuizioni di valore associate a questi fenomeni e definito delle conoscenze e competenze di analisi. Sono le prime pagine della grammatica per l’integrità, che siamo lieti di presentare adesso ai nostri affezionati lettori.

Intuizioni di illiceità e asimmetrie informative: Marta e l’orientamento al privato.

L’orientamento al privato è un fenomeno assai sottovalutato, anche se è molto diffuso all’interno delle Amministrazioni Pubbliche. Si ha orientamento al privato, quando il dipendente pubblico indirizza il destinatario verso un soggetto esterno all’Amministrazione (un operatore economico, un professionista, una associazione, ecc.) che può fornire delle prestazioni al destinatario. Abbiamo rilevato questo fenomeno in tutte le Amministrazioni presso cui abbiamo svolto attività di formazione o consulenza e questo ci fa credere che l’orientamento al privato sia in espansione ed anche abbastanza tollerato: che male c’è, se l’assistente sociale fornisce ad una famiglia il nominativo di una badante o di un educatore? O se il funzionario dell’ufficio urbanistica segnala il nominativo di un bravo architetto a un cittadino che deve sanare un abuso edilizio? Oppure ancora se il medico di famiglia ci indirizza verso uno specialista bravissimo, che riceve privatamente? Nulla di male, in effetti: queste cose accadono quotidianamente; nella maggior parte dei casi, è il destinatario a chiedere di essere indirizzato verso qualcuno ed il dipendente non consegue alcun vantaggio personale. Va tutto bene, fino a quando non leggiamo sul giornale del Direttore del Dipartimento di Prevenzione di una Asl che è stato arrestato, perché indirizzava i titolari di alberghi e ristoranti a stipulare contratti assicurativi con l’agenzia di suo figlio; oppure di operatori delle camere mortuarie di un ospedale al soldo di imprese di onoranze funebri, che venivano segnalate alle famiglie dei defunti. In questi casi l’innocuo orientamento al privato si salda con il conflitto di interessi, oppure nasconde dinamiche di scambio, e assume il volto di condotte illecite meschine e intollerabili.

Ogni professionista ha il suo asso nella manica, l’arma segreta che sfodera quando deve essere sicuro di raggiungere i suoi risultati. Il nostro asso nella manica si chiama “Il dilemma di Marta”: è uno dei primi casi che abbiamo elaborato e non smette di innescare dilemmi etici nelle persone che partecipano ai nostri corsi.

Marta è una giovane specialista in chirurgia, da poco assunta dall’Azienda Sanitaria Locale di Santa Sgarrupata. Un giorno Marta si trova a visitare una paziente, Francesca, che si prepara per essere operata. Quando Marta le prescrive alcuni esami da svolgersi in tempi rapidi, e comunque prima dell’operazione, Francesca esclama: “Dottoressa, lei è nuova, non sa quanto ci mettono qui a fare questi esami”. Marta è impreparata e azzarda una risposta: “Può provare a chiedere al CUP!”. Ma Francesca incalza: “Dottoressa, guardi, ci sono già passata! Anche l’altra volta ho dovuto chiedere a un suo collega!”; e poi, fa a Marta una semplice domanda: “Conosce qualche ambulatorio privato dove potrei andare?”. Marta non sa bene cosa rispondere. In fondo è poco che si è trasferita in città. Scuote la testa e accenna: “Mi dispiace!”. Quella risposta le gira in testa per un po’. Marta è delusa da se stessa per non aver soddisfatto la comprensibile esigenza di una paziente in difficoltà. Poi nel pomeriggio, durante una pausa caffè, Marta incontra un suo collega, il dottor Lupi, con il quale era entrata in confidenza fin da subito. Gli racconta di quella visita e della sua mancata risposta. Lupi sorseggia il caffè e poi le rivela: “Ci sono tre ambulatori in città che eseguono quella prestazione. C’è il poliambulatorio Horror-MED: degli incapaci che non rispettano mai i tempi. C’è la Clinica De-RUBO: fanno pagare il doppio e spesso ho dovuto far ripetere l’esame al paziente. E poi c’è la Opti-MED: Sono bravi, rapidi e non costano nemmeno troppo!”. Marta ringrazia Lupi per le utili informazioni. Poi, tornata nel suo studio, prende il telefono in mano e chiama Francesca consigliandole di recarsi presso l’ambulatorio Opti-MED

Questo caso è in grado di innescare un potente dilemma: Marta deve o non deve aiutare la paziente? Le intuizioni di liceità/illiceità, davanti a questo caso, sono abbastanza varie e le abbiamo sintetizzate in quattro profili percettivi (tabella 3):

Profilo percettivoDescrizione
L’inconsapevoleAfferma: “Dov’è il problema?” e non ha alcuna intuizione della liceità o illiceità della condotta e strumenti per decodificare lo scenario.
L’onestoDice: “Per me è giusto!”, oppure “Per me è sbagliato!”, senza mezzi termini. Esprime dei valori individuali molto forti, che non sono necessariamente allineati con i valori e la cultura della sua organizzazione e, di conseguenza, potrebbe percepire con una certa intensità l’esistenza di un dilemma etico.
Il conformistaNon ha valori individuali forti ma è facilmente orientato dal contesto di riferimento. Se il contesto di riferimento è poco attento all’integrità, il soggetto può essere facilmente mandato fuori strada. Afferma: “Ma facciamo tutti così”, oppure: “Nessuno di noi lo farebbe mai” e in entrambi i casi, tende a minimizzare il dilemma etico.
Il burocrateDice: “È contro le regole!”, oppure “Non è stato commesso alcun reato!. Ritiene che il rispetto delle norme, regole e delle procedure sia l’unica cosa importante e non percepisce alcun dilemma etico.

L’onesto, il conformista e il burocrate potrebbero percepire correttamente la non opportunità di orientare la paziente verso uno specifico operatore privato, ma ci arrivano per strade diverse e la loro intuizione è basata su elementi (i valori personali, il comportamento degli altri, le leggi e le regole) che sono esterni al fenomeno dell’orientamento al privato: in un certo senso potrebbero valutare la situazione senza capirla fino in fondo, un po’ come una persona che cerca di uscire da una stanza buia e procede a tentoni, senza sapere esattamente dove sta andando. Potremmo consolidare la loro intuizione, facendo riferimento agli standard di comportamento attesi dai dipendenti pubblici: l’art. 12, comma 3, del Codice di comportamento nazionale vieta l’orientamento al privato, perché chiede ai dipendenti “di consentire agli utenti la scelta tra i diversi erogatori e di fornire loro informazioni sulle modalità di prestazione del servizio e sui livelli di qualità[27]. Ma così facendo, potremmo generare ancora più confusione: questa regola, infatti, non vieta di dare informazioni al destinatario, ma obbliga a darle in modo tale da non privilegiare uno specifico operatore economico. In alternativa, possiamo fornire ai dipendenti una serie di conoscenze e competenze utili a capire perché è vietato orientare al privato e come gestire correttamente gli scambi informativi con i destinatari. Noi ne abbiamo identificate cinque:

A) Conoscere le asimmetrie informative. Una asimmetria informativa è una situazione in cui le informazioni non sono distribuite in modo omogeneo tra due o più soggetti che entrano in relazione. Esistono diversi tipi di asimmetria informativa, ma due sono particolarmente rilevanti:

– Asimmetria PRIMARIA, che si determina tra l’organizzazione pubblica e i suoi agenti (dipendenti, dirigenti, ecc.): l’organizzazione non ha le informazioni (o non è in grado di ottenere le informazioni) in merito al comportamento del proprio agente o agli interessi che promuove

– Asimmetria SECONDARIA, che si determina tra Agente e Destinatario: l’agente pubblico ha più informazioni del destinatario.

Nel nostro caso l’asimmetria secondaria riguarda una serie di informazioni relative agli ambulatori privati: Francesca non ha questa informazione, che non è però detenuta da Marta, ma da un suo collega, il dr. Lupi. L’asimmetria primaria, invece, intercorre tra il dr. Lupi e l’Azienda Sanitaria: a quanto ne sappiamo, nessuno, dentro l’organizzazione, è in grado di conoscere le relazioni che potrebbero intercorrere tra Lupi e Opti-MED, né di conoscere i criteri di valutazione che il dr. Lupi adotta, per sentenziare che quel laboratorio è migliore di altri.

B) Conoscere gli interessi primari e i valori di riferimento della propria organizzazione pubblica. Può sembrare paradossale, ma spesso i dipendenti pubblici non conoscono gli interessi primari e i valori di riferimento della propria organizzazione. Nel caso di Marta, sicuramente tra gli interessi primari troviamo il Diritto alla salute, il Buon andamento, e tra i valori la Professionalità e il Servizio[28],ma questi non sono gli unici interessi e valori in gioco. Le organizzazioni pubbliche sono caratterizzate da un certo modo di porsi verso l’esterno: la relazione con i singoli destinatari deve contribuire a promuovere gli interessi della collettività. Questa esigenza si traduce in una terna di valori, che sono caratteristici unicamente del settore pubblico: Imparzialità, Integrità e Parità di trattamento[29]. La vera competenza per l’integrità, in fin dei conti, è sapere che questi valori sono irrinunciabili e devono essere tenuti in considerazione in tutti i casi in cui si agisce o si decide all’interno di un contesto pubblico.

C) Identificare correttamente gli interessi secondari. L’identificazione degli interessi secondari è cruciale, per identificare le situazioni di conflitto di interessi, ma c’è una diffusa tendenza a prendere in considerazione solo gli interessi secondari che provengono dalla sfera privata del dipendente pubblico. Nel caso in esame Marta non ha alcun interesse personale coinvolto nella relazione con la paziente ed eventuali interessi del suo collega, il dr. Lupi, non sono visibili. Ci sono però altri interessi, da tenere in considerazione:

– GLI INTERESSI DEL DESTINATARIO: Francesca ha interesse a tutelare la propria salute;

– GLI INTERESSI “STRUTTURALI” di Marta, cioè gli interessi che non sono riferiti alla sua sfera privata, ma alla sua sfera professionale. Per esempio, Marta ha interesse a non deludere le aspettative della sua organizzazione e a interesse a non deludere le aspettative del destinatario. Quest’ultimo interesse è molto intenso e “muove” l’intero caso: è all’origine del senso di colpa di Marta e la spinge a chiedere informazioni al dr. Lupi;

– GLI INTERESSI DEGLI OPERATORI ECONOMICI: gli interessi dei tre ambulatori (Horror-MED, De-RUBO e Opti-MED)

D) Riconoscere le aspettative del destinatario. Esiste una sottile linea di confine tra la liceità e l’illiceità delle aspettative di un destinatario. Ogni paziente, così come ogni utente di un servizio pubblico o chiunque presenti una richiesta di autorizzazione o viene sottoposto ad un controllo nutre l’aspettativa che il suo bisogno venga considerato in maniera preferenziale rispetto a quello di un altro. L’agente pubblico deve avere la capacità di comprendere fino a che punto lo spirito di servizio, la cortesia e la disponibilità (art. 12, comma 1 del Codice di Comportamento) possano spingersi per non sacrificare l’imparzialità.

E) Calcolare l’impatto dei comportamenti in uno scenario. Identificare correttamente gli interessi primari, i valori di riferimento e gli interessi secondari (della sfera privata, del destinatario e “strutturali”) consente di analizzare in che modo una singola decisione e un singolo comportamento può avere un impatto su questi interessi e valori. Nel caso di Marta, suggerire a Francesca di rivolgersi all’ambulatorio Opti-Med avrebbe il seguente impatto:

promuoverebbe tutti gli interessi secondari in gioco: l’interesse di Francesca, l’interesse “strutturale” di Marta, gli interessi economici dell’ambulatorio Opti-Med

promuoverebbe il Diritto alla Salute e il Buon andamento

minaccerebbe gli interessi economici della Horror-MED e della De-RUBO

determinerebbe una caduta dell’Imparzialità, dell’Integrità e della Parità di trattamento.

Calcolare l’impatto dei comportamenti sugli interessi e sui valori in gioco in uno scenario consente di superare le intuizioni individuali e di definire un metodo di analisi oggettivo, condiviso e ripetibile. Nel nostro caso l’orientamento della paziente verso uno specifico ambulatorio determina una caduta di tutti i valori di riferimento dell’etica pubblica e avvantaggia un singolo operatore economico. Tale orientamento, inoltre, ha luogo in una situazione di elevata asimmetria informativa: non sono noti i rapporti tra il dr. Lupi e la Opti-Med e, quindi, il comportamento di Marta potrebbe promuovere anche interessi illeciti. Infine, caduta della triade “imparzialità, integrità e parità di trattamento” minaccerebbe anche la reputazione dell’Ente e potrebbe avere un impatto sulla fiducia che la collettività ripone nell’azione imparziale di una Pubblica Amministrazione. Alla luce di questa analisi, Marta non deve condividere l’informazione con la paziente: il suo comportamento genera dei rischi ed è contrario alle regole del codice di comportamento; e questo vale a prescindere dalle diverse intuizioni di valore che possono emergere in ciascuno di noi, leggendo la sua vicenda.

Intuizioni di rischio e proliferazione dei centri decisionali/informativi: Gino Ghisa

In processi complessi e carichi di aspettative, come ad esempio gli approvvigionamenti o gli incarichi, è sempre presente il rischio che si verifichino eventi critici che minacciano il buon andamento e ridistribuiscono, in qualche modo, le carte decisionali. Queste dinamiche abilitano la creazione o la proliferazione di centri decisionali e informativi paralleli, formali e informali, volti alla risoluzione di problematiche contingenti. Il rischio di caduta dell’integrità pubblica è elevato se alla costituzione di tali centri decisionali non si accompagnano presìdi di trasparenza (in tempo reale o a posteriori) ed integrità (elevati standard per i decisori pubblici coinvolti, finalizzati a gestire i conflitti di interessi e le asimmetrie informative).

Il secondo caso che vi proponiamo dimostra che la realtà, molto spesso, supera la fantasia, perché rappresenta una vicenda che ha realmente avuto luogo in un’Amministrazione Pubblica e che ci è stata raccontata in aula. Ovviamente, abbiamo riambientato il caso e modificato leggermente le dinamiche, per tutelare la riservatezza dei protagonisti.

Gino Ghisa è comandante della Polizia Locale del Comune di Centovalli. Il territorio di competenza dell’ente comunale è assai vasto e difficile da controllare: 142 frazioni e solo due automobili a disposizione! Le persone preferiscono andare a lavorare presso il vicino comune di Pianacomoda. L’ufficio del personale ha bandito l’ennesimo concorso, per l’assunzione di agenti di polizia locale, ma Gino Ghisa teme che nessuno partecipi. Viene però contattato da un certo Sergio Sòla, un giovane di Roma che si dice interessato a partecipare al concorso: è stanco della grande città e vuole trasferirsi in un tranquillo territorio montano! Gino Ghisa, temendo che Sòla rinunci a partecipare al concorso, gli fornisce il suo numero di telefono personale, gli fornisce diverse informazioni relative all’organizzazione del Comando, lo presenta ai suoi futuri colleghi e gli suggerisce di approfondire alcuni argomenti su cui, presumibilmente, verteranno le prove scritte e orali del concorso.

Il caso, volutamente, non fornisce tutte le informazioni: non sappiamo se Sòla sarà l’unico partecipante al concorso, se lo vincerà e non sappiamo nemmeno quali sono le sue reali competenze: potrebbe essere un incapace oppure, a dispetto del suo nome, potrebbe rivelarsi un ottimo agente di polizia. L’assenza di informazioni abilita percezioni di rischio molto differenziate (tavola 4):

Profili – intuizione di rischio

Profilo percettivoDescrizione
Il ciecoTende a misurare il rischio in termini di effettiva partecipazione dell’agente pubblico al processo decisionale. Potrebbe dire: “Ma non è Ghisa a decidere sull’assunzione, perché non fa parte dell’ufficio del personale e potrebbe non partecipare alla commissione!.
Il fiduciosoAfferma: “Ghisa agisce in buona fede ed esclusivamente per il bene dell’amministrazione! “. Sovrastima l’integrità delle persone o dell’organizzazione. Inoltre, la sua intuizione è legata soprattutto alle intenzioni dell’agente (buona fede / cattiva fede).
Il sensitivoDice: “C’è qualcosa che non mi quadra”, ma non riesce a identificare le fonti di rischio o gli scenari in cui il rischio potrebbe emergere.
Il perito assicurativoTende a vedere i benefici immediati e sottostima i rischi nel medio-lungo periodo. Afferma, per esempio: “Se Sòla ha le competenze per vincere il concorso, non ci saranno danni per l’organizzazione”.
Il calcolatoreAfferma: “Ghisa non ci guadagna niente!”. Tende, quindi, ad associare il rischio solo a quelle condotte che sono motivate dalla volontà di avere un guadagno personale.

Anche in questo caso, lo sviluppo di competenze per l’integrità consente di abbandonare le intuizioni individuali e intraprendere una analisi del rischio oggettiva e condivisa. Le competenze che entrano in gioco sono le stesse identificate nel caso precedente:

– A) Conoscere le asimmetrie informative.

– B) Conoscere gli interessi primari e i valori di riferimento della propria organizzazione pubblica.

– C) Identificare correttamente gli interessi secondari.

– D) Riconoscere le aspettative del destinatario.

– E) Calcolare l’impatto dei comportamenti in uno scenario.

In aggiunta, per consentire l’analisi dei rischi, è necessaria una ulteriore competenza:

F) COSTRUIRE SCENARI[30]. L’impatto di una decisione o di un comportamento può essere calcolato in relazione ad uno scenario presente, oppure in relazione a possibili scenari futuri, che rappresentano possibili evoluzioni di una situazione iniziale. Uno scenario può evolvere perché emergono nuovi interessi, oppure perché vengono messi in atto nuovi comportamenti.

La costruzione di scenari alternativi è cruciale, per comprendere i rischi generati dalla condotta di Gino Ghisa. Possiamo identificare, a titolo di esempio, 3 scenari:

Sòla partecipa al concorso, ma non viene assunto. In questo primo scenario, Imparzialità, Integrità e Parità di trattamento vengono minacciate dal comportamento di Ghisa, ma fortunatamente la procedura di concorso è intervenuta per salvaguardarle. Tuttavia, il comportamento di Gino Ghisa ha avallato l’aspettativa di parzialità del destinatario, che sono poi state, in un certo senso, “tradite” dall’esito della selezione[31]. Questo può avere un impatto rilevante sull’immagine dell’Amministrazione ed esporre Gino Ghisa a rischi di ritorsione.

Sòla vince il concorso e si dimostra un pessimo agente. In questo secondo scenario ci sono impatti negativi anche sul Buon andamento e si determina una rovinosa caduta dell’Imparzialità,dell’Integrità e della Parità di trattamento.

Sòla vince il concorso e si dimostra un ottimo agente. In questo ultimo scenario, non ci sono impatti negativi sul Buon andamento, ma si determina comunque una rovinosa caduta dell’Imparzialità,dell’Integrità e della Parità di trattamento.

Alla luce di questa analisi, nessuno scenario futuro consente di salvaguardare tutti gli interessi e i valori di riferimento dell’Amministrazione. Il rischio è quindi assai concreto.

Le sei competenze che abbiamo incluso nella nostra piccola Grammatica per l’integrità non sono soft skills, ma conoscenze e capacità finalizzate all’analisi dei fenomeni. Ovviamente, queste competenze devono essere declinate in base al ruolo e alle responsabilità: se è opportuno che tutti i dipendenti pubblici conoscano gli interessi primari e i valori di riferimento del proprio ufficio, d’altra parte la costruzione di scenari alternativi è una capacità che deve essere posseduta soprattutto dai dirigenti, perché consente valutare in modo oggettivo le situazioni di conflitto di interessi. Proprio per il loro carattere operativo, l’acquisizione e l’applicazione delle competenze per l’integrità possono essere facilitate dallo sviluppo di strumenti di analisi[32].

La lunga strada da percorrere

A conclusione di questo articolo abbiamo la netta sensazione di aver iniziato a poggiare le fondamenta di una nuova architettura per l’integrità. È certamente assai promettente spostare l’attenzione dalla ruota al criceto, ma c’è molto lavoro ancora da fare per convincere il nostro piccolo roditore a scendere giù!

L’integrità e la sua declinazione nei diversi ambiti di intervento non possono consistere nel solo, pur importante, rispetto delle attuali regole stabilite nell’ambito delle normative anticorruzione. Se dobbiamo immaginare sfide ambiziose e trasformative rispetto all’esistente, dobbiamo progressivamente abbandonare un approccio prevalentemente formalistico, che non include a sufficienza la dimensione umana e relazionale insita nel rischio di corruzione.

La prevenzione della corruzione non si realizza compiutamente attraverso adempimenti dettati da norme, ma richiede azioni concrete, che hanno l’obiettivo di rafforzare l’integrità dei decisori pubblici, cioè la capacità di gestire il ruolo e le aspettative che la collettività nutre nei confronti delle decisioni, delle azioni e della gestione delle informazioni con modalità che non rappresentino una minaccia per l’imparzialità e l’indipendenza della funzione pubblica. Integrità significa avere piena consapevolezza dei rischi e adottare i comportamenti più adeguati nei vari contesti sociali, educativi, istituzionali e amministrativi, soprattutto in termini relazionali ed etici.

Concludiamo il nostro contributo con cinque utili raccomandazioni per chi, nella stanza dei bottoni, ha l’onore e l’onere di decidere e attuare le politiche per l’integrità nel nostro Paese.

Prima raccomandazione: promuovere percorsi di ricerca. Abbiamo mostrato dove e come cercare le competenze per l’integrità. Ne abbiamo trovate alcune, le più evidenti. Ma c’è molto altro da indagare e da far emergere. Università, centri di ricerca, Autorità e istituzioni pubbliche e private dovrebbero rivolgere l’attenzione verso il mondo nascosto delle competenze per l’integrità definendo percorsi di ricerca, elaborando linee guida e modelli per una codificazione stabile dei profili di competenza necessari per assicurare che il settore pubblico garantisca elevati standard di integrità a tutti i livelli.

Seconda raccomandazione: promuovere un’evoluzione della qualità della domanda di formazione. Le competenze, una volta individuate, devono essere trasferite attraverso idonei percorsi di formazione. Nell’ambito della prevenzione della corruzione le competenze “adempimentali” sono state largamente sviluppate per mezzo dell’aggiornamento professionale. Nel caso delle competenze per l’integrità, invece, dovremmo prima di tutto aiutare le amministrazioni ad acquisire la consapevolezza che la loro domanda di formazione è parziale e sbilanciata sugli strumenti (PIAO/PTPCT, obblighi di trasparenza, incompatibilità/inconferibilità, ecc.) Occorre promuovere percorsi specifici di “potenziamento dello sguardo” sui fenomeni e sviluppo di competenze per l’integrità[33].

Terza raccomandazione: migliorare gli strumenti e razionalizzare gli adempimenti. Se si comprende il senso di ciò che si fa, allora se ne comprende anche l’utilità. L’acquisizione di competenze per l’integrità aumenta la capacità di decodificare in modo autonomo i fenomeni e, di conseguenza, può consentire di ridurre il numero degli adempimenti obbligatori a carico delle Amministrazioni. È questa la vera via verso la semplificazione dell’architettura della prevenzione della corruzione, tanto auspicata (anche nel PNRR) ma mai veramente attuata.

Quarta raccomandazione: ampliare lo sguardo sui nuovi e vecchi fenomeni che minacciano l’integrità pubblica. C’è la necessità di ricalibrare il focus della prevenzione della corruzione, ad oggi saldamente ancorato alla definizione e attuazione degli strumenti (prima il PTPCT, ora il PIAO), verso una dimensione di consapevolezza diffusa e una maggiore capacità individuale e organizzativa di far fronte ai fenomeni che minacciano l’integrità pubblica. Una fenomenologia di eventi a rischio che, soprattutto in fase cruciali come l’attuazione del PNRR, è ampia e diversificata: vecchi e nuovi fenomeni alcuni dei quali largamente sconosciuti alla maggior parte degli operatori del settore pubblico.

Quinta raccomandazione: sollevare lo sguardo sul mondo (che non è solo la Pubblica Amministrazione). Al fine di promuovere una reale cultura dell’integrità occorre intervenire su diversi livelli.

In ambito scolastico la necessità di decodificare le situazioni che impongono una intuizione di illiceità e di rischio emerge già nelle prime fasi dell’apprendimento. A livello di scuola primaria e secondaria, è importante individuare come i bambini e le bambine reagiscono di fronte a scenari che mostrano la violazione di norme condivise oppure la cattiva gestione di un potere delegato a causa dell’intromissione di interessi particolari. Allo stesso tempo occorre rafforzare l’autonomia decisionale, la capacità di pensiero critico e di risoluzione dei dilemmi etici, nonché la promozione della segnalazione di condotte ritenute pericolose o dannose. Tutto questo passa per la costruzione di specifiche conoscenze e competenze in capo ai bambini, ma ancor di più in capo agli insegnanti e agli educatori.

In ambito pubblico, occorre sviluppare programmi di formazione profondamente innovativi, che pongano l’individuo e la sua sfera di relazioni al centro. L’integrità, nel decisore pubblico, assume i caratteri di uno “stile relazionale” che è dapprima promosso a livello individuale attraverso le regole dei codici etici e di comportamento e che poi diventa prassi organizzativa attraverso meccanismi di trasparenza e accountability. Una tale visione implica un ripensamento profondo delle metodologie di formazione che devono progressivamente abbandonare un’impostazione di stampo meramente giuridico ed essere sempre più centrate su competenze di decodificazione e valutazione del contesto e delle dinamiche di rischio, nonché sull’utilizzo di casi concreti e di dilemmi etici.

Il settore privato soffre dello stesso atteggiamento adempimentale che notiamo in ambito pubblico[34], con sistemi di compliance che falliscono nel creare le condizioni per un ambiente economico corretto e trasparente. La promozione dell’integrità passa per l’abbandono progressivo di un approccio formalistico o meramente aziendalistico dei sistemi organizzativi e l’acquisizione, da parte del management in particolare, di competenze di valutazione e gestione di dinamiche a rischio.

Le organizzazioni della società civile. In questo ambito è necessario individuare le competenze necessarie per il monitoraggio civico, per la trasparenza e indipendenza del ruolo e per una corretta gestione delle informazioni.

Infine, nel lungo periodo, la sensibilizzazione e l’educazione alla lotta alla corruzione possono consolidare quei valori che promuovono una società senza corruzione. Educare i cittadini sui temi dell’integrità rappresenta un investimento per il presente ed il futuro di una comunità[35].

In breve, gli ambiti di intervento che devono essere necessariamente coinvolti in una seria azione di costruzione e rafforzamento della cultura dell’integrità sono i seguenti:

Istruzione e educazione: promuovere l’integrità nell’istruzione (prima infanzia, istruzione primaria e secondaria, università) e rafforzare le competenze degli insegnanti e degli educatori;

Politica e pubblica amministrazione: promuovere e rafforzare la cultura dell’integrità tra rappresentanti politici, funzionari e dirigenti pubblici;

Settore privato: promuovere e rafforzare la cultura dell’integrità nel management privato;

Impegno civile: rafforzare e qualificare l’impegno della società civile nella promozione delle competenze per l’integrità;

Cittadinanza: sensibilizzare ed educare la collettività all’integrità.


[1] Nelle Raccomandazioni del 2017, l’OCSE fornisce una puntuale definizione di “integrità pubblica”: è l’allineamento coerente e l’adesione a valori, principi e norme etiche condivisi per sostenere e dare priorità all’interesse pubblico rispetto agli interessi privati nel settore pubblico.

[2] In ambito pubblico, abbiamo almeno due casi di parziale “fallimento”, legati alla mancanza di criteri chiari e procedure: il FOIA e la prevenzione del riciclaggio.

L’accesso civico generalizzato ai dati e alle informazioni detenute dalla Pubblica Amministrazione è stato introdotto nel nostro ordinamento senza il supporto di procedure di valutazione e gestione delle istanze e, per ovviare a questa carenza, le Amministrazioni hanno applicato al nuovo istituto le logiche e le prassi adottate per valutare le istanze di accesso civico documentale (Legge n. 241/1990), che sono molto più restrittive e non orientate alla trasparenza dei dati e delle informazioni. Questo ha portato ad un elevato tasso di dinieghi, oppure ad un allungamento dei tempi di gestione delle istanze, che non ha consentito al FOIA di decollare e diventare la principale fonte di accesso alle informazioni detenute dal sistema pubblico.

Per quanto riguarda l’antiriciclaggio, invece, l’obbligo per gli uffici della Pubblica Amministrazione di comunicare alla UIF operazioni sospette non è stato accompagnato dalla previsione di specifici adempimenti, procedure, responsabilità o scadenze a carico degli uffici, che di conseguenza non hanno effettuato alcuna segnalazione. Inoltre, ciascuna singola Amministrazione ha dovuto “inventarsi” le procedure e la tendenza in atto è quella di integrare l’antiriciclaggio all’interno degli adempimenti anticorruzione, anche se i due fenomeni possono avere caratteristiche diverse.

[3] L’Indagine ANAC sulla prevenzione della corruzione, (gennaio 2023) riporta: “La scarsa rilevazione di conflitti d’interessi e violazioni della disciplina sul pantouflage potrebbe sottendere una seria difficoltà nell’intercettazione dei fenomeni con conseguente inefficacia della strategia di prevenzione sul punto”.

[4] Nell’articolo “L’Innocenza rubata – L’adesione o appartenenza del dipendente pubblico ad associazioni od organizzazioni” (in Azienditalia, 2022) abbiamo identificato cinque schemi di interferenza che possono essere innescati dall’adesione alle realtà associative: “il complice”, “il benefattore”, “lo stabilizzatore”, “l’asso nella manica” e “l’utile mediatore”.

[5] Bo Rothstein, Nicholas Sorak, Ethical Codes for the Public Administration. A Comparative Survey QoG Working Paper Series 2017:12, November 2017.

[6] Gli Stati presi in considerazione sono i seguenti: Argentina, Brasile, Bulgaria, Canada, India, Indonesia, Kenya, Mauritius, Paesi Bassi, Nigeria, Perù, Russia, Ruanda, Sud Africa, Svezia, Tanzania, Uganda, Ucraina, Emirati Arabi, Regno Unito, U.S.A e Vietnam.

[7] I core value clusters identificano dei concetti etici di alto livello, abbastanza noti e diffusi, a cui sono facilmente riconducibili anche i principi e i valori espressi nei codici di comportamento delle amministrazioni pubbliche italiane.

[8] Elenco dei valori che rientrano nel cluster:

Imparzialità = {imparzialità, obiettività, neutralità (politica), equità, oggettività}.

[9] Apertura = {apertura, trasparenza, libera concorrenza, trasparenza delle situazioni finanziarie personali, segretezza, riservatezza dei documenti governativi}.

[10] Integrità = {integrità, onestà, veridicità, onore, riservatezza dei clienti, privacy, anonimato, discrezione, legittimità, decenza, responsabilità (nei confronti del pubblico e/o del governo), condotta etica, rispettabilità, interesse pubblico, fiducia pubblica, segnalazione di condotte illecite, salvaguardare i fondi pubblici e la proprietà, disciplina, l’austerità, responsabilità finanziaria personale}.

[11] Legalità = {legalità, regolarità, legittimità, stato di diritto, supremazia del diritto, rispetto del diritto, corretta applicazione del diritto, esecuzione di ordini legittimi}.

[12] Fedeltà = {lealtà, fedeltà al governo, fedeltà alla costituzione, fedeltà alle leggi, lealtà verso i cittadini, fedeltà al paese, rispetto del codice etico, rispetto per il governo, rispetto per i cittadini/stato, subordinazione gerarchica, obbedienza, patriottismo/nazionalismo}.

[13] Parità di Trattamento = {parità di trattamento, rispetto dei diritti, equità, uguaglianza, giustizia, dignità umana, rispetto degli altri, non discriminazione, prevenzione delle molestie, inclusività, rappresentatività, diversità, merito}.

[14] Affidabilità = {affidabilità, dovere, devozione, diligenza, impegno, responsabilità, dedizione, stabilità}.

[15] Servizio = {impegno, umiltà, cortesia, cordialità, cura, flessibilità, reattività, altruismo, simpatia, prontezza, modestia, creatività, chiarezza, accessibilità, attenzione, capacità, leadership, vocazione, spirito di servizio, indipendenza, disinteresse, innovazione, qualità, velocità, eccellenza nel servizio}.

[16] Professionalità = {professionalità, accuratezza, competenza, efficacia, efficienza, aggiornamento, uniformità, produttività, puntualità, controllo dei costi, specializzazione, esperienza, prestazioni, competenza, lavoro di squadra, miglioramento personale, uso corretto delle risorse, rispetto delle procedure}.

[17] Quello che, assai poeticamente, Rothstein e Sorak chiamano costellazione è in realtà un grafo non connesso,un oggetto matematico assai interessante. Sarebbe certamente utile analizzare le proprietà di questo grafo (grado dei nodi, matrice di incidenza, cliques), ma questo esulerebbe in parte dagli scopi di questo articolo.

[18] ANAC, Linee Guida: “Profilo tipo, conoscenze e competenze specifiche dei soggetti che intervengono nel sistema di prevenzione della corruzione”, 2016.

(https://ot11ot2.it/sites/default/files/linee_guida_e_protocolli/LGeP%20Competenze%20per%20la%20prevenzione%20della%20corruzione_estesa.pdf).

Le linee guida sono frutto di un lavoro collaborativo, coordinato da ANAC, all’interno dell’Area di Lavoro Comune “Competenze per la prevenzione della corruzione”, le cui attività sono state finanziate con fondi del PON 2014-2020, OT 11 e OT 2.

[19] Ministero dell’Interno Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Provincia Autonoma di Bolzano, Provincia Autonoma di Trento, Regione Abruzzo, Regione Calabria, Regione Campania, Regione Emilia Romagna, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Regione Lazio, Regione Liguria, Regione Lombardia, Regione Marche, Regione Molise, Regione Piemonte, Regione Puglia, Regione Autonoma Sardegna, Regione Autonoma Sicilia, Regione Toscana, Regione Umbria, Regione Autonoma Valle d’Aosta, Regione Veneto.

[20] Il catalogo è stato costruito sulla base dei Dizionari delle Competenze formulati dall’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia ICE.

[21] I casi studio o case history sono delle narrazioni che mettono in scena dinamiche complesse, che possono avere luogo nella sfera professionale e/o personale dei dipendenti pubblici. Sono uno strumento fondamentale sia nell’ambito della ricerca, perché offrono l’opportunità di suscitare nei partecipanti una vasta gamma di feedback: reazioni emotive, valutazioni cognitive, affermazioni identitarie. Osservando queste reazioni è possibile delineare un quadro completo dei processi cognitivi che il partecipante utilizza per leggere e interpretare lo scenario, percepire la liceità o l’illiceità di una condotta, o dei rischi di una situazione.

[22] Affermava Henry Poincare: “La logica, che può dare soltanto la certezza, è lo strumento della dimostrazione; l’intuizione, lo strumento dell’invenzione”. Mentre Einstein sentenziava: “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”. In ambito psicologico, l’intuizione è quella funzione psicologica che trasmette le percezioni per via inconscia. Tutto può essere oggetto di questa forma di percezione. L’intuizione è una sorta di comprensione istintiva di contenuti di qualsiasi genere. Al pari della sensazione essa è una funzione percettiva non-razionale (Fonte: www.http://www.elisabettacicconi.com/).

[23] L’intuizione è fondamentale per l’apprendimento dell’integrità perché, se ci pensiamo, abilita o disabilita l’acquisizione delle competenze necessarie per decodificare uno scenario e gestire il rischio. Qualche anno fa, in un convegno sulla prevenzione della corruzione in sanità, un avvocato penalista rivelò, con una certa nonchalance, che oramai aveva rinunciato a far testimoniare i medici di aziende ospedaliere pubbliche o di aziende sanitarie. Sosteneva il legale che ogni volta che chiamava i suddetti medici a salire sul banco dei testimoni questi rivelavano dinamiche, situazioni o eventi che portavano il giudice a richiedere per loro una incriminazione di qualche tipo. Possibile che non si accorgevano della liceità/illiceità dei loro comportamenti?

[24] La struttura fonologica di un linguaggio naturale è l’insieme dei suoni (fonemi) che hanno una funzione linguistica (determinano differenze di significato) e delle regole che consentono ai suoni di aggregarsi in unità complesse (sillabe); lo schema valenziale di un verbo identifica le entità che sono coinvolte dall’azione espressa dal predicato e determinano l’assegnazione dei casi e il numero dei sintagmi; la morfosintassi è l’insieme di regole che presiedono alla formazione degli enunciati linguistici; la semantica è l’insieme delle corrispondenze che si instaurano tra elementi del linguaggio (significante) e stati di cose della realtà (significato) e delle operazioni che consentono di sommare i significati dei sintagmi, per ricavare il significato degli enunciati.

[25] Intuire un fenomeno non è una competenza trasferibile, ma l’intuizione, intesa come attenzione nei confronti di un evento, può essere comunque allenata. Un po’ come l’orecchio di un musicista che dopo anni di duro esercizio e fatica riesce a cogliere le note calanti, cioè non perfettamente intonate che escono dal suo strumento.

Allenare l’intuizione di liceità o illiceità di un comportamento è fondamentale per la costruzione di competenze per l’integrità. L’impatto di una violazione di una norma o di uno standard di comportamento è diversificato in ragione dell’allineamento del sistema valoriale individuale rispetto all’etica pubblica, in ragione del particolare contesto culturale e sociale o del clima etico presente all’interno di un’organizzazione, oppure in ragione di prassi consolidate o di un particolare atteggiamento personale che si esprime, ad esempio, attraverso uno spiccato formalismo o nella disponibilità o indisponibilità ad accettare la complessità del fenomeno corruttivo.

L’intuizione fatale che ci interroga sull’opportunità di una condotta, ha salvato e continua a salvare numerosi dipendenti pubblici da decisioni improvvide e da comportamenti sanzionabili. Il dilemma etico che si accende e divampa dietro le fredde scrivanie degli uffici pubblici è certamente salvifico, ma chiede di essere risolto, in un modo o nell’altro. A questo proposito, a quali risorse attinge il dipendente pubblico che si trova davanti ad un fenomeno che lo preoccupa intuitivamente ma che non comprende nella sua complessità?

[26] Nei nostri incontri di formazione questo è molto evidente. Quando presentiamo i nostri casi che mostrano dinamiche certamente complesse come complessa è la realtà dei fenomeni corruttivi, i partecipanti hanno reazioni molto diverse. In generale sono pochi coloro che sanno spiegare perché la condotta del protagonista, anche se non immediatamente stigmatizzabile, presenta dei rischi o apre delle dinamiche che potrebbero mettere a rischio degli interessi primari. La maggior parte dei partecipanti ha una intuizione intuitiva che descrive come “inopportunità della condotta” ma che però non è supportata da una elaborazione cognitiva dello scenario a rischio. Altrettanto pochi partecipanti trovano che non ci sia nulla di particolarmente rischioso.

[27] Si tratta di una “ingiunzione valutativa” che tiene in equilibrio due principi: il buon andamento (garantire la continuità del servizio) e l’imparzialità (consentire la scelta tra diversi erogatori).

[28] I cluster di valori della costellazione di Rothstein-Sorak sono scritti in corsivo, per distinguerli dagli interessi primari.

[29] Questi valori, che da alcuni dipendenti pubblici sono percepiti come veri e propri interessi primari, sono dei principi che regolano il funzionamento del sistema pubblico. Abbiamo approfondito questo aspetto nell’articolo “La geometria delle regole”, in Azienditalia, 2022.

[30] Cfr.: “L’uso degli scenari nella valutazione dei conflitti di interessi potenziali”, in Spazioetico, 2021.

[31] È proprio quello che è accaduto nella realtà. L’agente pubblico che si è esposto con il destinatario ha poi ricevuto da quest’ultimo diversi messaggi (peraltro sul numero privato che aveva incautamente fornito) che mostravano tutto il disappunto del candidato “tradito”.

[32] Per esempio, l’analisi degli scenari può essere facilitata dall’uso di tabelle di polarizzazione, che elencano interessi e valori in gioco e consentono di identificare puntualmente l’impatto dei comportamenti. Cfr.: “LA POLARIZZAZIONE DEGLI INTERESSI. Uno strumento per valutare il rischio di corruzione e l’integrità delle decisioni pubbliche”, in Spazioetico, 2021.

[33] Di recente la Scuola Nazionale Anticorruzione ha promosso un webinar dal titolo “Cultura dell’integrità: quali competenze?” nell’ambito dei lavori della Comunità di Pratica dei Responsabili della prevenzione della corruzione e che ha visto la partecipazione, in qualità di relatore, di uno degli autori del presente contributo.

[34] Noi di Spazioetico abbiamo anche appositamente coniato la locuzione “integrity washing“, cioè quel complesso di attività che le organizzazioni mettono in campo nell’ambito della cosiddetta “promozione dell’integrità” e che servono solo come vetrina ma che non hanno alcun impatto sulla cultura organizzativa (e che infatti non sortiscono alcun effetto).

[35] Nel “Compendio di buone pratiche sulla partecipazione civica e l’educazione all’anticorruzione”, un documento elaborato dal Gruppo Anticorruzione del G20 e approvato al vertice di Bali lo scorso 11 novembre 2022, si legge che “l’educazione all’etica, all’integrità e alla lotta alla corruzione è indispensabile per rafforzare la cultura dell’integrità”.