[Anteprima]… IL DELTA DELL’INTEGRITA’. Verso una nuova definizione di valore pubblico
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https://spazioetico.com/2023/12/23/il-delta-dellintegrita-verso-una-nuova-definizione-di-valore-pubblico-2/
Questa nuova formula del valore pubblico si legge: “Incremento del risultato maggiore di zero e incremento dell’integrità uguale o maggiore di zero. In pratica, si produce valore pubblico, quando l’incremento del risultato non pregiudica il livello di integrità del sistema, che rimane costante oppure si incrementa“.
Integrità e risultato interagiscono l’uno con l’altra, determinando il livello di affidabilità e fedeltà degli agenti e dei decisori pubblici e, in ultima istanza, l’intensità del legame fiduciario che lega la collettività dei cittadini al sistema pubblico. Un modello semplice, ma efficace, di questa interazione, può essere sviluppato trattando il valore prodotto da un sistema pubblico come un valore numerico (una quantità) che aumenta o diminuisce nel tempo in funzione della somma tra la variazione del risultato (Δr) e la variazione dell’integrità (Δi).
Quando il sistema pubblico non produce valore, oppure lo distrugge, si possono determinare tre diverse situazioni: “il fallimento del sistema pubblico”, “l’inerzia amministrativa” e “l’amministrazione a saldo zero”, che sono tre diverse facce del malgoverno e della cattiva amministrazione, che possono incidere in modo molto differenziato sull’integrità e sui risultati.
Andrea Ferrarini e Massimo Di Rienzo ne parlano in questo video, che anticipa l’uscita dell’omonimo articolo per Azienditalia (numero di luglio 2023).
Per chi vive nella dura periferia di Roma, la Vela di Calatrava è un oggetto familiare, quasi un toponimo. Dalla passeggiata di Frascati è impossibile non vederla; si staglia al centro del panorama di cui ha preso possesso nei primi anni ’90 del secolo scorso. “Città dello sport” è il suo vero nome, ma nessuno lo sa. Per noi romani figli di un imperatore minore, che ci ha costretti fuori dalle mura, non è altro che l’agognato traguardo di una serie di incredibili rotonde che gestiscono la viabilità che dalla Tuscolana porta alla Casilina, incrociando il temibile tratto autostradale che dal Raccordo Anulare si immette nella A1. Zona di ciclisti amatoriali, soprattutto, di campi sconfinati in mezzo al nulla e di cantine che danno buon vino. Quando i bambini chiedono cosa sia quella strana costruzione, gli adulti parlano di cattedrali nel deserto, oppure rimangono senza parole. Nessuno, però, si sognerebbe di dire ad un bambino quello che la Corte dei Conti affermò qualche anno dopo la sua (mancata) realizzazione, mettendo in primo piano non l’opera ma l’esecutore: “Una compagine amministrativa incapace di rispettare le regole della concorrenza e della buona gestione, prona ai desiderata del politico di turno e del mondo imprenditoriale con cui si confronta e ai cui interessi risulta spesso asservita, come hanno dimostrato alcune delle vicende giudiziarie che hanno contornato l’iter dell’intervento”. Le parole di Ugo Montella, giudice della Corte dei Conti suonano come una condanna, un caso di maladministration che ha fatto raddoppiare il costo dell’opera con ben sei diverse integrazioni al progetto ma nessun rinvio a giudizio tra gli amministratori (solo alcuni privati sono stati perseguiti). Ora l’attuale amministrazione ha deciso di riqualificare l’area stanziando nuove risorse e definendo un nuovo progetto. Al cittadino romano, talvolta cinico, non si può non perdonare un certo scetticismo ed un senso di profonda sfiducia nelle istituzioni. Confessiamo che all’epoca abbiamo anche sognato di portare un giorno i nostri figli in un impianto sportivo finalmente all’altezza di quelli di Roma Nord, con piscine, campi di atletica e quant’altro promesso. Il nome di Calatrava ci trasportava in esotiche località dove le regole dello sport, la competizione giusta, le pari opportunità, l’accessibilità per tutti ci allontanavano da una periferia estrema, assassina di diritti e di mobilità sociale. È durato poco: i nostri figli sono cresciuti in impianti privati e fatiscenti e noi siamo un po’ meno sognatori di prima.
La Vela di Calatrava ha prodotto un doppio effetto: da una parte, non è stato raggiunto alcun risultato, l’opera è attualmente inservibile e sono state sperperate ingenti risorse pubbliche; dall’altra parte, il rapporto fiduciario tra istituzioni e cittadinanza locale, già fortemente minacciato, è caduto letteralmente a pezzi.
Un destino diverso è toccato ad un’altra emblematica opera pubblica italiana: il MOSE, ovvero “il più grande episodio di corruzione in Italia”. Le parole sono dell’attuale Ministro della giustizia, Carlo Nordio, che è stato a lungo titolare dell’inchiesta. La cifra sperperata, rivelata il 9 dicembre 2022 durante un incontro sul tema della corruzione al MAECI, si aggira intorno al miliardo di euro, ma il MOSE sta attraversando, al contrario della vela di Calatrava, un promettente percorso di riabilitazione. Ebbene sì, come succede per un alcolista o un tossicodipendente, perché non dare una seconda chance? Ed in effetti, il MOSE sta funzionando: “Se la grande opera non fosse entrata in funzione, Venezia sarebbe stata sommersa da 173 cm di acqua alta, il dato più alto dopo i 194 cm del 4 novembre 1966 e i 187 cm del 12 novembre 2019”. È questo che si legge nei commenti della stampa locale a seguito della terza marea eccezionale della storia, che si è verificata a Venezia nel novembre del 2022. Dunque, il risultato è stato raggiunto! A pochi interessa il fatto che con i soldi sperperati si sarebbe potuto mettere in sicurezza una buona parte del territorio del Veneto dai rischi idrogeologici, perché il risultato per cui l’opera è stata realizzata è stato ottenuto: il MOSE rappresenta un argine al cambiamento climatico, un simbolo di protezione dalla natura impazzita.
Il trade-off tra risultato e fiducia è al centro anche dell’attuale dibattito sull’attuazione del PNRR: da una parte, alcuni sostengono che, come sistema Paese, ci possiamo permettere di rischiare di abbassare il livello dei controlli per rendere più agili le procedure e perseguire il risultato, cioè la realizzazione delle opere pubbliche, che è l’unico obiettivo di cui una pubblica amministrazione si dovrebbe occupare. Altri sostengono, invece, che il settore pubblico debba porre la massima attenzione (e per questo rafforzare i controlli) affinché con le risorse dei contribuenti non vengano premiati interessi privati in luogo di quelli generali o che, addirittura, non vengano finanziate attività illecite. I sostenitori del “risultato a tutti i costi”, della “politica del fare”, spendono moltissime parole intorno a riforme necessarie, norme da semplificare, reati da abolire, obiettivi da centrare. Gli “alfieri della regolarità” sfoderano l’arma delle convenzioni internazionali contro la corruzione e degli impegni assunti dall’Italia in sede Europea. L’impressione è che i due schieramenti abbiano optato per una guerra di posizione, in cui si scavano trincee e si rinuncia ad affrontare direttamente il nemico, perché le armi sono spuntate: da una parte della barricata si assoldano i mercenari, che porteranno a casa il risultato nella speranza di arricchirsi con razzie e saccheggi; dall’altra parte si sfoderano controlli meramente formali, processi partecipativi estenuanti e ad altissima conflittualità, vuoti adempimenti anticorruzione, meccanismi di trasparenza ormai arrugginiti, dichiarazioni sul conflitti di interessi che rimangono nei cassetti delle amministrazioni.