Mitologia delle Relazioni
Le relazioni consentono alle persone di interagire, per soddisfare bisogni e condividere interessi. Le relazioni nascono, crescono, muoiono o si trasformano. Questi eventi influiscono sui bisogni, sugli interessi e sui comportamenti dei dipendenti pubblici: anche sui loro comportamenti in servizio.
Dopo aver dedicato un intero libro[1] alle dinamiche relazionali, e anche una guida rapida all’uso delle relazioni[2], ora abbiamo deciso di attingere alla nostra mostruosa cultura classica, per realizzare una sintesi ulteriore: un mitico bignamino, utile a chi deve valutare le situazioni di conflitto di interessi!
Il senso delle relazioni
Stare dentro una relazione significa anche stare al gioco che quella relazione instaura: ruoli, regole non scritte e aspettative. La violazione delle regole, la fuga dal ruolo o il tradimento delle aspettative può modificare la relazione oppure metterla in crisi. Tutto questo può essere percepito come qualcosa di positivo o negativo, in funzione dei nuovi bisogni e dei nuovi interessi che emergono nella vita delle persone.
L’interferenza relazionale si innesca quando, in nome dell’imparzialità e della promozione di interessi pubblici, il dipendente potrebbe essere chiamato ad adottare comportamenti che mettono a rischio una relazione della sua sfera privata. Quando questo accade, il conflitto di interessi subisce una violenta escalation che coinvolge l’intero sistema di ruoli, aspettative e regole non scritte che reggono le relazioni, nonché i bisogni sottesi a quelle relazioni.
NOTE
[1] Cfr. Di Rienzo M., Ferrarini A., L’etica delle Relazioni dell’Agente pubblico, IPSOA, 2020.
[2] Di Rienzo M., Ferrarini A, L’ambiguità delle relazioni sensibili – All’origine del conflitto di interessi, Azienditalia, 2022.
Il Pattern interpersonale esclusivo
Le relazioni tra parenti, affini coniugi e conviventi hanno un pattern interpersonale esclusivo: soddisfano bisogni di generatività e richiedono una reciproca e volontaria presa in carico degli interessi. Queste relazioni sono soggette a regole di diverso tipo.
La regola di Enea
Le relazioni tra consanguinei assegnano ruoli da cui non si può fuggire: i fratelli saranno sempre fratelli e i genitori saranno chiamati, fino alla fine dei loro giorni, ad essere in relazione con i propri figli.
Questa persistenza dei legami familiari è evidente nella statua di Gian Lorenzo Bernini che rappresenta la fuga di Enea: l’eroe porta sulle spalle Anchise, il suo vecchio padre, che regge in una mano la statua dei Penati (gli dei protettori della casa e della famiglia) ed è seguito da suo figlio, Ascanio.
Enea può fuggire da Troia, ormai assediata e distrutta dagli Achei, ma non può fuggire da solo. Leggendo il secondo libro dell’Eneide, che ha ispirato questa scultura, veniamo a sapere che purtroppo durante la fuga Enea ha perso sua moglie Creusa, che
“forse strappata da misera sorte si fermò,
forse deviò dalla via o caduta si fermò, è cosa incerta”[3].
Non poteva girarsi, mentre fuggiva, per verificare che sua moglie lo seguisse? Se lo avesse fatto, avrebbe commesso lo stesso errore di Orfeo…
NOTE
[3] Eneide, II, vv. 738-740: “heu misero coniunx fatone erepta Creusa / substitit, erravitne via seu lapsa resedit, / incertum”
La regola di Orfeo.
Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta un altro tipo di fuga, quella di Orfeo che cerca di strappare Euridice dalle viscere dell’inferno, ma la perde una seconda volta, perché si gira a guardarla:
“e ormai non erano lontani dalla superficie della terra,
quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla,
l’innamorato Orfeo si volse: subito lei svanì nell’Averno”[4].
La fiducia reciproca e incondizionata è la prima regola non scritta delle relazioni di coniugio e convivenza, che coinvolgono persone che non condividono lo stesso patrimonio genetico, ma piuttosto uno stesso progetto di vita.
Orfeo perde Euridice, perché non si fida di lei: dubita che lei lo stia seguendo.
NOTA
[4] Metamorfosi, X, vv. 55 – 57: “nec procul afuerunt telluris margine summae: / hic, ne deficeret, metuens avidusque videndi / flexit amans oculos, et protinus illa relapsa est”
La maschera di Platone
C’è una particolare relazione interpersonale esclusiva, che non viene citata nell’art. 7 del DPR n. 62/2013, ma che invece è molto diffusa, per esempio, in ambito accademico: è la relazione di mentorship tra maestro e discepolo, in cui il maestro, come un padre, cura la formazione del suo discepolo che, come un figlio, erediterà il suo ruolo e proseguirà il suo percorso di studio e di ricerca.
E’ una relazione che soddisfa il bisogno di generatività, cioè il bisogno di sopravvivere alla morte. Un antico esempio di questa relazione è offerto da Socrate e Platone. Socrate, condannato a morte dagli ateniesi, vive per sempre dentro i dialoghi di Platone, dove in virtù di una ardita inversione dei ruoli, il maestro parla ed espone il pensiero del suo discepolo.
Questa nobile relazione tra maestro e discepolo è purtroppo responsabile delle peggiori distorsioni che si verificano ancora oggi nei percorsi di assegnazione di borse di ricerca, dottorati e cattedre universitarie.
Il Pattern interpersonale inclusivo
Non tutte le relazioni sono esclusive. Alcune relazioni sono più fluide di altre, più aperte e meno stabili nel tempo. Il codice di comportamento si riferisce a questi legami, basati essenzialmente sulla condivisione di interessi, chiamandoli “rapporti di frequentazione abituale”.
La regola di Cicerone.
La frequentazione abituale innesca una aspettativa molto particolare, che possiamo descrivere usando le parole di un altro grande autore del mondo antico: “Amicus certus in re incerta cernitur”. In realtà non ci sarebbe bisogno di scomodare Cicerone, per sapere che un vero amico si vede nel momento del bisogno. Questa constatazione un po’ banale, nasconde un’importante regola del gioco: quando si frequenta abitualmente qualcuno, bisogna essere disponibili a promuovere anche i suoi interessi, dimostrargli una certa dose di fedeltà.
Commensali, associati e separati.
L’aspettativa di presa in carico degli interessi può generare interferenze più o meno intense, perché in realtà esistono diversi tipi di frequentazione abituale. Per esempio, la condivisione di luoghi oppure interessi della sfera personale o professionale potrebbe non generare interferenze, se gli interessi condivisi sono poco intensi e la frequentazione non è continuativa[5]. L’adesione ad associazioni e organizzazioni, invece, genera sempre relazioni di frequentazione abituale tra i soci e può causare numerosi tipi di interferenza, che devono essere gestiti attraverso obblighi di comunicazione e astensione[6]. Infine, in una recente sentenza[7] , Consiglio di Stato ha stabilito che lo status di coniugi separati può determinare una situazione di frequentazione abituale, che impone l’obbligo di astensione.
NOTE
5] La giurisprudenza, per esempio, usa il termine “commensalità” per riferirsi ad una relazione di frequentazione abituale (tra un giudice e una delle parti di una causa) che, per la sua intensità e profondità, può far dubitare della sua imparzialità e serenità di giudizio.
[6] Di Rienzo M., Ferrarini A, L’innocenza rubata – L’adesione o appartenenza del dipendente pubblico ad associazioni od organizzazioni. Nell’articolo abbiamo identificato ben cinque tipi di interferenza.
[7] Sentenza n. 7628/2021. La relazione di frequentazione abituale, nel caso di specie, si instaura perché i coniugi sono chiamati a collaborare per esercitare la responsabilità genitoriale.
Il Pattern conflittuale
Le relazioni di grave inimicizia e di causa pendente seguono un pattern conflittuale: si generano quando due persone sentono minacciati i propri interessi e, mosse da un bisogno di auto-protezione, ed entrano in relazione con il solo obiettivo di danneggiarsi vicendevolmente.
La paura di Laocoonte.
“Quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentis!”. Sono queste le parole pronunciate dal saggio Laocoonte, davanti alle mura di Troia, mentre guardava, insieme ai suoi concittadini, il celebre cavallo di legno costruito da Ulisse: “qualunque cosa sia, temo i Greci, anche quando portano doni!”. Sappiamo come è andata a finire: Laocoonte fu divorato dai serpenti marini, i Troiani portarono il cavallo (con la pancia piena di soldati nemici) dentro le mura inespugnabili della loro città… e persero la guerra!
Il grande Virgilio riassume, in questo esametro solenne[8], una regola non scritta che caratterizza le relazioni conflittuali: essere in conflitto con qualcuno significa conoscere i suoi bisogni e i suoi interessi, significa farsene carico e agire, in negativo, per danneggiarli. Ciò che distingue la grave inimicizia dalla semplice inimicizia è proprio questo: l’inimicizia può condurre a ignorare gli interessi dell’altro, mentre la grave inimicizia utilizza gli interessi dell’altro come un bersaglio.
Questa presa in carico in negativo può sfociare nella vendetta (infliggere un danno, in risposta a un danno precedentemente subito), nel contenzioso (affidare ad un soggetto terzo, il giudice, la risoluzione di un conflitto non più gestibile in autonomia dalle parti in causa) ma anche nell’inganno, in cui si finge di promuovere l’interesse dell’altro, in realtà per danneggiarlo.
Le relazioni conflittuali sono caratterizzate anche da sfiducia reciproca e da un’aspettativa negativa: comunque vada, la controparte di un conflitto cercherà di farci del male.
Ora, immaginate cosa accadrebbe, se il povero Laocoonte, rivolgendosi ad una pubblica amministrazione, per chiedere un contributo o un’autorizzazione, trovasse ad accoglierlo allo sportello il suo nemico Ulisse. Avrà ovviamente la sensazione di affidare i propri interessi alla persona sbagliata. Anche se Ulisse agirà correttamente, Laocoonte non riuscirà a togliersi dalla testa l’idea che sarebbe stato meglio rivolgersi ad un altro dipendente pubblico. E potrebbe percepire un rischio per l’imparzialità, non solo di Ulisse, ma dell’intera pubblica amministrazione che non ha saputo rilevare il conflitto di interessi e non ha imposto l’astensione ad Ulisse.
NOTE
[8] Il verso contiene delle allitterazioni (quidquid id est, timeo danaos et dona ferentis) e un arcaismo (ferentis al posto di ferentes) tipici della poesia latina arcaica.
Il Pattern di scambio
Le relazioni che evidenziano un pattern di scambio si instaurano perché una persona ha degli interessi, che però non può promuovere in autonomia: chiede quindi ad un’altra persona di aiutarla a promuovere quell’interesse. Questo caso non si ha una una vera presa in carico dell’interesse, ma, appunto uno scambio: uno dei due nodi accetta di agire per promuovere un interesse non suo e apre, in questo modo, un credito da riscuotere in un secondo momento, quando il debitore sarà chiamato a sua volta a promuovere gli interessi del creditore.
Il debito contratto nel momento in cui si chiede o si accetta lo scambio può essere economico o di altro tipo. Le relazioni di scambio più insidiose sono, certamente, quelle di credito o debito relazionale, in cui c’è incertezza sulle modalità e sulle tempistiche di pagamento del debito e sugli interessi che il debitore dovrà promuovere, per soddisfare le aspettative del creditore.
Le relazioni di scambio sono sempre ad alto rischio, perché i nodi non condividono alcun interesse e potrebbero letteralmente cercare di fregarsi a vicenda. In particolare, il debitore, quando ha ottenuto ciò che voleva, potrebbe uscire dalla relazione, per non pagare il suo debito. Per ridurre questi rischi, di solito lo scambio è regolato da un contratto o dalle convenzioni sociali. Ma in questa sede ci limiteremo ad evidenziare solo un paio di regole non scritte, che sono implicite nelle relazioni di scambio.
L’inganno di Calipso.
“Tu non hai idea di quanto soffrirai, prima di giungere a Itaca! Altrimenti resteresti qui con me, a custodire questa casa, e saresti immortale…”. Più o meno con queste parole, nell’Odissea[9], la bellissima ninfa Calipso si rivolge a Ulisse, deciso a partire per tornarsene a casa. Ulisse, dopo un naufragio, è giunto sull’isola di Ogigia sette anni prima. Ma adesso vuole tornare da suo figlio Telemaco e da sua moglie Penelope; ed ogni giorno piange, guardando il mare. Gli Dei hanno decretato che Ulisse deve partire[10], ma Calipso gioca la sua ultima carta e prospetta ad Ulisse uno scambio apparentemente vantaggioso: se lui resterà con lei, diventerà immortale ed eviterà molte sofferenze. Tuttavia, l’astuto Ulisse conosce la regola non scritta delle relazioni di scambio: se accetta la proposta di Calipso, perderà, e per sempre, la libertà. Ulisse elogia Calipso e la sua immortale bellezza, ma ribadisce che ha proprio tanta voglia di tornarsene a casa…
NOTE
[9] Odissea, Canto V, 206 – 209: “εἴ γε μὲν εἰδείης σῇσι φρεσίν ὅσσα τοι αἶσα / κήδε’ ἀναπλῆσαι, πρὶν πατρίδα γαῖαν ἱκέσθαι, / ἐνθάδε κ’ αὖθι μένων σὺν ἐμοὶ τόδε δῶμα φυλάσσοις / ἀθάνατός τ’ εἴης […]”
[10] Zeus, su richiesta di Atena, ha inviato Hermes da Calipso, per ordinargli di lasciar partire Ulisse
L’errore di Laomedonte.
Ma non tutti i greci erano saggi come Ulisse!
Tanto tempo fa Apollo e Poseidone si offrirono di aiutare Laomedonte[11], re di Troia, a costruire le mura della sua città. Terminato il lavoro, Laomedonte si rifiutò di consegnare agli Dei il compenso pattuito. Apollo, adirato, inviò una pestilenza sulla città di Troia, Poseidone, invece, un mostro marino e un’alluvione. Per salvare la città, Laomedonte dovette sacrificare sua figlia Esione: la incatenò ad una roccia, affinché il mostro marino la divorasse. Passava casualmente da quelle parti l’invincibile Eracle, che si offrì di salvare la figlia di Laomedonte, chiedendo in cambio i cavalli di Zeus[12]. Ma ancora una volta il re di Troia non non mantenne la parola data e così Eracle dichiarò guerra a Laomedonte, uccidendolo e sterminando quasi tutti i suoi figli.
Laomedonte fu, certamente, una pessima persona, che non tenne in alcun conto un’altra importante regola non scritta delle relazioni di scambio: bisogna onorare i propri debiti. L’affidabilità è una qualità del debitore: sfuggire al proprio debito equivale a un tradimento.
Rinuncia alla libertà e fedeltà al proprio debito sono dunque le due regole non scritte delle relazioni di scambio. E’ superfluo dire che queste relazioni possono facilmente incidere sull’imparzialità e l’indipendenza, quando il dipendente pubblico si trova ad avere, come destinatario, un proprio creditore e debitore. Meno superfluo, invece, è notare come l’articolo 7 del Codice di comportamento nazionale identifichi solo il debito/credito economico tra le cause di astensione, tralasciando del tutto i crediti/debiti relazionali: una scelta inspiegabile, se si considerano i rischi associati a queste relazioni [13].
NOTE
[11] Laomedonte fu padre di Priamo, ultimo re di Troia. La sua storia è narrata da Omero (Iliade), Diodoro Siculo (Biblioteca Storica), Valerio Flacco (Argonautica), Ovidio (Metamorfosi) e altri autori antichi, con notevoli varianti.
[12] Questi cavalli erano stati donati da Zeus a Troo (Padre di Laomedonte), come risarcimento per aver rapito suo figlio Ganimede.
[13] Di Rienzo M., Ferrarini A., L’ambiguità del dono – La vera storia dell’articolo 4 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Azienditalia 2022.
Il Pattern di delega
L’affidabilità è un tratto che caratterizza anche gli Agenti, cioè coloro che agiscono per promuovere gli interessi di un Principale, in virtù di una delega. Le relazioni di delega, infatti, possono essere viste come una evoluzione delle relazioni di scambio.
Le relazioni di delega sono caratterizzate da una asimmetria tra gli interessi in gioco, che è assente nelle relazioni di scambio: queste relazioni esistono esclusivamente per promuovere l’interesse di un nodo: l’interesse primario del Principale. La retribuzione che spetta all’Agente, in virtù del suo impegno a promuovere l’interesse del Principale, non “corre” sulla relazione, ma è incluso tra le obbligazioni reciproche (tipicamente elencate in un contratto) che stabilizzano la relazione[14].
I rapporti di collaborazione, diretti o indiretti, con soggetti privati, identificati dall’art. 6 del Codice, e le relazioni di rappresentanza (essere tutore, curatore, procuratore, agente, amministratore, gerente o dirigente di una organizzazione o di una persona), elencate nell’art. 7 sono delle relazioni di delega, che gli economisti chiamano anche relazioni di agenzia.
Come noto, il rapporto di agenzia è caratterizzato da una buona dose di asimmetria informativa tra Principale e Agente[15] e sono esposte al rischio di azzardo morale: l’Agente potrebbe agire in conflitto di interessi e usare la relazione di delega per promuovere interessi propri o di soggetti diversi dal Principale. Tutto il sistema di obbligazioni e regole, esplicite e implicite, che caratterizza queste relazioni è finalizzato a difendere l’integrità del processo di delega e per garantire che l’Agente non promuova interessi che sono in conflitto con gli interessi primari del suo Principale. E la fedeltà ad un Principale nella sfera privata può essere fonte di conflitto di interessi per un pubblico dipendente.
NOTE
[14] La differenza tra delega è scambio è meno sottile di quanto sembri: un agente che lavora solo per soldi (per esempio un dipendente che lavora solo per lo stipendio) senza tenere in alcun conto l’interesse primario del suo Principale, non è un buon Agente. Al contrario, un debitore e un creditore possono stare dentro la loro relazione di scambio solo per promuovere i propri interessi.
[15] Il Principale non può controllare puntualmente e continuamente l’operato dell’Agente
Un cane che si morde la coda.
I nostri attenti lettori si saranno già accorti che un cane si sta mangiando la coda: il vincolo di fedeltà che lega l’agente al suo Principale, e che previene il conflitto di interessi, è a sua volta fonte di conflitto di interessi. Si tratta di un cortocircuito solo apparente: il rapporto contrattuale che lega il dipendente pubblico alla sua organizzazione è di fatto una relazione di delega, con i suoi vincoli di fedeltà e i suoi interessi primari da promuovere. Questa delega in ambito pubblico, tuttavia, può entrare in conflitto con altre deleghe, che il dipendente pubblico riceve nella sua sfera privata: in questo caso, emerge una situazione di conflitto di interessi strutturale, cioè di incompatibilità. Non c’è nessun cane che si mangia la coda, ma ci sono due cani che si azzuffano. E l’agente pubblico diventa servitore di due padroni, come il mitico Prometeo, il titano che donò il fuoco al genere umano.
L’ambiguità di Prometeo.
Trecentoventidue anni prima della guerra di Troia[16], il giovane Zeus mosse guerra a suo padre Crono, per via della cattiva abitudine che aveva quest’ultimo di mangiarsi i figli appena nati[17] e vinse la guerra. Prometeo ed Epimeteo, due titani, si schierarono dalla parte di Zeus e per questo furono autorizzati ad accedere al monte Olimpo.
Prometeo è universalmente noto come amico dell’umanità e del progresso, che ruba il fuoco agli Dei per darlo agli uomini. E’ anche stato assunto come simbolo della ribellione contro la tirannide e della luce della ragione che si oppone alle superstizioni religiose. Tuttavia, se potessimo chiedere un parere a Zeus, probabilmente il padre degli Dei ci racconterebbe tutta un’altra storia, scagliando per la rabbia fulmini e saette!
Zeus stimava molto Prometeo, ma Prometeo lo tradì molte volte. Una prima volta fu incaricato da Zeus di creare gli uomini usando il fango e il fuoco[18] e commise un primo azzardo morale: rubò ad Atena uno scrigno contenente l’intelligenza e la memoria e donò queste doti agli uomini. Un’altra volta Zeus consegnò a Prometeo un enorme bue che doveva essere diviso in parti uguali tra gli Dei e gli uomini e Prometeo, anche questa volta, tradì la fiducia di Zeus: diede agli uomini i pezzi di carne migliori, nascondendoli però sotto la disgustosa pelle del ventre del toro, mentre lasciò agli Dei soltanto le ossa. Quando, infine, Prometeo rubò il fuoco dall’Olimpo per donarlo agli uomini, Zeus perse la pazienza e lo incatenò a una roccia ai confini del mondo, in cima a una montagna del Caucaso. Per evitare che Prometeo trovasse troppo monotona la punizione inflitta, Zeus mandò ogni giorno un’aquila a mangiargli il fegato, che ricresceva durante la notte!
Prometeo era inizialmente un Agente di Zeus, ma con il tempo divenne anche Agente degli uomini e la sua tragica fine svela un’importante regola non scritta che vige nei rapporti tra Principale e Agente: la fedeltà è una questione di punti di vista e dipende dal punto di vista del Principale. Quando un dipendente pubblico interviene in attività o decisioni che coinvolgono gli interessi di un Principale della sua sfera privata, i punti di vista si confondono, gli interessi primari possono entrare in conflitto e in realtà l’astensione non è il modo più efficace per gestire questa situazione: il dipendente deve decidere da quale parte stare. Deve cioè “optare” tra rinunciare alla relazione di delega nel privato e accettare un cambio di ufficio e di mansione.
NOTE
[16] Questa data è indicata dallo storico Tallo, un oscuro personaggio di cui non sono pervenute le opere originali. Per questa ragione, avvisiamo i nostri lettori che tale data potrebbe non essere del tutto esatta!
[17] Questa guerra, nota come Titanomachia, è narrata nella Teogonia di Esiodo. Crono era diventato re dell’universo dopo aver sconfitto (ed evirato) suo padre Urano. In punto di morte, Urano aveva profetizzato a Crono che sarebbe stato spodestato da uno dei suoi figli. Per questo motivo, Crono, dopo aver sposato la propria sorella, Rea, mangiò tutti i figli che lei concepì: Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone fecero tutti questa brutta fine. L’ultimo nato, Zeus, fu salvato da Rea che lo nascose sull’isola di Creta, dando a Crono da mangiare un sasso. Zeus, diventato grande, andò da Crono e gli fece vomitare tutti i suoi fratelli, che uscirono ormai adulti e si unirono a lui nella guerra. I miti greci, indubbiamente, erano roba per stomaci forti!
[18] E’ in corso da millenni una controversia legale, che vede gli antichi greci accusati di plagio, per aver copiato il mito della creazione dell’uomo dalla Bibbia. Anche i Sumeri avevano intentato una causa analoga, sostenendo che il racconto della Genesi biblica era un plagio, evidentemente scopiazzato dal mito sumero della creazione dell’uomo dall’argilla ad opera del dio Enki. Nel frattempo la civiltà sumera ed ellenica si sono estinte, e quindi l’esito di questi contenziosi interreligiosi ormai è alquanto irrilevante.
Il cappio degli interessi propri
Non possiamo concludere questa dotta disamina senza citare il mito della nascita di Pallade Atena. La Dea sorge, armata di tutto punto, dal cervello di Zeus spaccato in due con un’accetta da Efesto dopo che Zeus aveva inghiottito la prima moglie Metis. E’ il caso in cui il nostro dipendente pubblico non promuove interessi di soggetti con cui è in relazione, bensì i propri. Considerate il funzionario di un ufficio comunale che sta trattando un permesso di costruire che egli stesso, in qualità di istante, ha presentato all’amministrazione. Potremmo immaginare che un assordante silenzio/assenso emerge dal cervello del nostro piccolo Zeus di provincia.
Ma se pensate che questi siano casi residuali, dovrete presto ricredervi di fronte a circostanze che, seppure poco note agli antichi, riempiono invece le cronache odierne. Si pensi al famoso caso del Professore universitario che bandì il concorso per poi parteciparvi e che la spuntò perché il nostro Legislatore si era dimenticato di inserire gli “interessi propri” nell’ampia gamma di relazioni poste per contrastare il fenomeno del “familismo universitario”[19].
La vicenda giunse davanti ad un Tribunale Amministrativo Regionale che sconfessò il brillante punto di vista dell’Istituzione universitaria che aveva estromesso il Prof. dal suddetto concorso. Il TAR sentenziò: l’affermazione “ognuno è il primo parente di se stesso, il parente di grado 0, è suggestiva, ma non convince”.
In realtà, in matematica esiste una relazione di grado zero. Si chiama cappio[20] e questo minaccioso termine la dice lunga sul rischio associato alla promozione degli interessi propri.
NOTE
[19] La circostanza è assai nota. Ma se volete approfondire non esitate a leggere l’imperdibile articolo di Gian Antonio Stella: “Il prof che bandisce il concorso per sé «La legge vieta solo l’aiuto a parenti»”, 2018, il Corriere della Sera
[20] Un cappio è un arco a = (n,n) che connette il nodo n di un grafo G = (N,A) con se stesso.