Quel vecchio ripostiglio chiamato Codice di comportamento

Raramente ci è capitato di essere così allineati alle considerazioni della Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato contenute nel Parere espresso nella Adunanza di Sezione del 12 gennaio 2023. Quando è stato pubblicato lo Schema recante modifiche al DPR 16 aprile 2013, n. 62, “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165”, avevamo segnalato il fatto che le diposizioni dei nuovi articoli 11 bis e ter presentavano numerosi problemi.
Molte amministrazioni già avevano provveduto ad integrare i loro codici sulla materia dell’utilizzo dei social network, alcune in maniera assai diligente e puntuale, con l’obiettivo di contestualizzare i rischi per l’integrità dei dati e delle informazioni e per l’immagine dell’amministrazione. Pertanto ci sembrava inutile un ulteriore aggravio del Codice di comportamento, uno strumento assai delicato, anche in ragione della sua funzione disciplinare e che andrebbe perfezionato in molte altre sezioni piuttosto che su tematiche che poco hanno a che fare con l’etica pubblica.
Ma il Parere va oltre. Esprime dissenso su una pratica oramai dilagante che consiste nell’utilizzare una delega (in questo caso il comma 2 dell’articolo 4 del decreto-legge n. 36 del 2022), per inserire ulteriori disposizioni che nulla hanno a che fare con la delega stessa. Afferma il CdS: “Lo schema di decreto propone dunque anche prescrizioni che non trovano titolo nella norma di legge che esso va ad attuare e questo Consesso non può che esprimere perplessità in merito all’introduzione di regole di condotta, ovvero di divieti e di comandi, di per sé capaci di incidere sulle situazioni giuridico-soggettive dei dipendenti pubblici, prive di fondamento nella disciplina primaria, come vuole il principio di legalità che, costituzionalmente, governa l’azione e l’organizzazione amministrativa”.
Il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici non è un ripostiglio confuso dove appoggiare regole all’impronta. E non è nemmeno un terreno di caccia, in cui la politica può fare le sue incursioni, sparando obblighi e divieti, inseguendo le mode del momento e teorie (più o meno sensate) su cosa deve essere una pubblica amministrazione. Gli standard di integrità sono ispirati dai principi contenuti nell’articolo 3 e alla Costituzione e ad essi (e solo ad essi) devono rifarsi. L’etica pubblica è un insieme di standard a cui i dipendenti devono allinearsi per sostenere e dare priorità all’interesse pubblico rispetto agli interessi privati nel settore pubblico[1]. Questo meccanismo è teso a rafforzare l’integrità del sistema pubblico.
Per tutto il resto, ci sono le policy e i regolamenti interni delle singole amministrazioni.
Se un Ministero vuole dettare delle regole in materia di risparmio energetico, allora introduca una specifica policy e, al contempo, assuma delle scelte strategiche coerenti con i comportamenti attesi. A questo proposito il Parere del CdS afferma: “Del pari, quanto alle regole di condotta in materia di rispetto dell’ambiente, anche a tacere del fatto che esse, come detto, non sono richieste dal legislatore, è necessaria un’analisi che dia conto degli sprechi intervenuti nelle risorse e nei materiali e di quanto essi siano addebitabili a comportamenti individuali anziché a carenze di sistema ed al regime di finanziamento in consolidamento di bilancio (che, notoriamente, contraddice la raggiungibilità di standard ambientali virtuosi in assenza di investimenti nelle strutture fisiche della stessa p.a., oltre che, in generale, per tutti i cittadini destinatari di tali standard)”.
Se un Governo percepisce come indifferibile e urgente che lo Stato difenda la propria immagine dalle dichiarazioni che possono fare i suoi dipendenti (anziché difendere la propria integrità dall’azione più o meno occulta di faccendieri, evasori fiscali, mafiosi, corrotti e ladri di polli), deve ricordarsi che la libertà di espressione è un diritto fondamentale che non può essere compresso oltre una certa misura [2].
Tra l’altro, a detta dell’Unione europea, una delle più nobili manifestazioni della libertà di espressione è il Whistleblowing, che tuttavia nessun Governo, fino ad ora, si è preoccupato di tutelare più di tanto. Mentre finiamo di scrivere questo post, ci giunge la notizia che la Commissione europea ha deferito la Cechia, la Germania, l’Estonia, la Spagna, l’Italia, il Lussemburgo, l’Ungheria e la Polonia alla Corte di giustizia per il mancato recepimento della direttiva riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (direttiva (UE) 2019/1937). [3]
In tempi di PNRR questa notizia ci rassicura…
[1] Nel 2017, il Consiglio dell’OCSE, su proposta del Comitato di governance pubblica, ha adottato una Raccomandazione sull’integrità pubblica, che, prendendo atto che l’integrità è uno dei pilastri delle strutture politiche, economiche e sociali e quindi elemento essenziale del benessere economico e sociale, identifica criteri e azioni necessarie alla creazione di un sistema coerente e completo dell’integrità pubblica. L’OCSE, inoltre, conia una puntuale definizione di “Integrità pubblica”: con integrità pubblica ci si riferisce all’allineamento coerente e all’adesione di valori, principi e norme etiche condivisi per sostenere e dare priorità all’interesse pubblico rispetto agli interessi privati nel settore pubblico.
[2] Proprio in relazione alla libertà di espressione, il parere del Consiglio di Stato specifica che: “occorre che l’Amministrazione riferisca in merito a quelle che, genericamente, definisce le “criticità” riscontrate nell’utilizzo dei mezzi informatici, e perciò supporti con un adeguato apparato motivazionale ed accertativo l’introduzione di restrizioni e di limitazioni all’uso di mezzi che sono comunque funzionali anche alla manifestazione del pensiero e che, perciò, non possono fondarsi solo su assunti non confermati o non provati dall’esperienza, sia quanto, appunto, alla determinatezza tipologica sia quanto
alla soglia di rilevanza e diffusione“.