LA DIFFUSIONE DEL DISORDINE. Le ingiunzioni valutative dell’art. 12 del Codice di comportamento

Questo articolo è apparso sulla Rivista Azienditalia Enti Locali, Mensile per gli enti locali e le loro aziende, nel 2022, nell’ambito della rubrica mensile: lo Spazio Etico, Viaggio nel mondo dei codici di comportamento della PA: istruzioni per l’uso.

Introduzione. In questo articolo affronteremo l’art. 12 del Codice di comportamento e, in particolare, le regole sulle dichiarazioni pubbliche dei dipendenti e sull’orientamento al privato. Queste regole, come vedremo, sono molto particolari: sono delle ingiunzioni valutative, che hanno la stessa funzione dei segnali di pericolo del Codice della strada.

L’Etica automobilistica

Immaginate per un momento che l’etica pubblica sia un angusto spazio in cui parcheggiare un’automobile.

Se fossimo negli anni ’70 del secolo scorso, avremmo poco da pensare: una fulminea girata di sterzo, una sgasata roboante, uno stridio di pneumatici sull’asfalto. Così si sarebbe presentato il dipendente/parcheggiatore di periferia all’atto di istruire un procedimento amministrativo.

Ma quell’odore aspro di frizione bruciata se ne è andato, così come è andata la sfrontatezza del dipendente pubblico di fronte alle decisioni da assumere. Un cieco timore ora lo assale, la mano che trema di fronte alla firma, la resa di fronte al giudizio insindacabile del superiore gerarchico o del destinatario/utente!

Ma ecco che arriva il vero e unico park assist dell’etica pubblica, ovvero l’articolo 12 del Codice di comportamento nazionale. L’articolo dedicato ai “rapporti con il pubblico” è uno spazio angusto tra principi confliggenti, con strisce appena accennate sull’asfalto e poco raggio di sterzata. Sembra fatto apposta, il nostro park assist, per tirare fuori il dipendente da alcuni cul-de-sac dell’etica pubblica di cui spesso egli è completamente all’oscuro.

Parlare di comportamento nei rapporti con il pubblico, oggi, significa soprattutto affrontare due fenomeni rilevanti, per le amministrazioni pubbliche di qualunque tipo e qualunque dimensione: le dichiarazioni dei dipendenti, rilasciate agli organi di stampa o diffuse sui social network, e l’orientamento al privato. Il primo fenomeno è ben conosciuto ed è stato affrontato da un recente decreto. L’orientamento al privato, invece, è meno studiato, ma è ben noto, e purtroppo ampiamente tollerato, all’interno di quasi tutte le organizzazioni pubbliche. Ma l’analisi dell’articolo 12 sarà soprattutto l’occasione per capire meglio come sono fatte le regole e i loro principi di funzionamento.

Come è fatta una regola di comportamento?

Molto spesso i Codici di comportamento sono immaginati come lunghi elenchi di divieti. Niente di più sbagliato! In realtà, all’interno del Codice di comportamento nazionale possiamo trovare almeno tre tipi di regole, molto diverse tra loro.

Ci sono senz’altro i divieti, che sono tecnicamente delle ingiunzioni negative, che impongono al dipendente di astenersi dall’adottare un determinato comportamento. Le regole che si sostanziano in un divieto escludono certi comportamenti dall’insieme dei comportamenti possibili e la difficoltà nella loro applicazione sta nel fatto che il dipendente, per rispettare l’ingiunzione negativa, deve trovare dei comportamenti alternativi tra i comportamenti possibili che ha disposizione (fig. 1)

Figura 1 – come funzionano le ingiunzioni negative

Per la corretta applicazione di un’ingiunzione negativa, è necessario che le condotte vietate siano chiaramente definite, altrimenti il dipendente potrebbe non trovare comportamenti alternativi da adottare.

Gli obblighi e i doveri[1], cioè le ingiunzioni positive, sono la seconda tipologia di regola che possiamo trovare nei Codici di comportamento. Le ingiunzioni positive lasciano molta meno libertà di scelta al dipendente, perché identificano delle condotte attese ed escludono l’adozione di altri comportamenti; in pratica, in presenza di un obbligo o di un dovere, tutti gli altri comportamenti possibili è come se fossero vietati (figura 2).

Figura 2 – come funzionano le ingiunzioni positive

Ovviamente, un’ingiunzione positiva, per funzionare bene, deve identificare in modo preciso le condotte attese. Ed è altrettanto ovvio che un eccesso di ingiunzioni positive è controproducente, perché limita la capacità decisionale delle persone e, nei casi estremi, può innescare processi di de-responsabilizzazione: ne abbiamo parlato in un precedente articolo di questa rubrica[2].

Le ingiunzioni positive e negative funzionano in modo abbastanza semplice e, come tutte le cose semplici, funzionano nella maggior parte dei casi. Tutti i Codici, non solo quelli etici o di comportamento, stabiliscono divieti e obblighi che aiutano le persone ad adottare comportamenti sicuri per sé stessi, per la collettività o per la loro organizzazione. Nella figura 3, per esempio, vi proponiamo una serie di cartelli stradali, che tutti noi incontriamo e rispettiamo quando guidiamo, e che veicolano ingiunzioni positive o negative:

Figura 3 – Segnali stradali di obbligo e di divieto.

L’esperienza quotidiana del codice della strada ci può aiutare a identificare anche una terza tipologia di regole. Chiediamo ai nostri lettori di osservare attentamente i quattro segnali stradali riprodotti nella figura 4, per capire se veicolano un obbligo oppure un divieto:

 Figura 4 – Altri segnali stradali.

E’ abbastanza palese che questi cartelli stradali non descrivono un obbligo, e nemmeno un divieto, ma segnalano un pericolo per attirare l’attenzione dell’automobilista, che dovrà adeguare  di conseguenza il proprio stile di guida, per ridurre la probabilità di causare danni a cose, animali e persone. Questi cartelli veicolano delle regole, perché influenzano i comportamenti, ma queste regole non si sostanziano in una ingiunzione positiva o negativa; non descrivono dei comportamenti, ma avviano un processo decisionale, che l’automobilista dovrà gestire in modo autonomo: sono delle ingiunzioni valutative.   

Il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici ha un’impostazione diversa, rispetto al Codice della Strada e questa differenza rende molto più difficile identificare le ingiunzioni valutative; talmente difficile che, a quanto ci risulta, nessuno si è mai preso la briga di cercarle. Questo nostro articolo, di conseguenza, dovrà essere letto come un lavoro abbastanza pionieristico, che cerca di esplorare un mondo ancora pressoché sconosciuto. Non abbiamo certo l’ambizione di descrivere in modo esaustivo tutte le ingiunzioni valutative dell’Etica pubblica! Procederemo in modo abbastanza concreto e induttivo, cercando di capire come si presentano queste ingiunzioni e perché sono fondamentali per gestire determinati fenomeni.

La notte degli spiriti

Cosa intendiamo per orientamento al privato? E perché un dipendente pubblico dovrebbe rilasciare dichiarazioni lesive dell’immagine della propria amministrazione? Per cominciare a rispondere a queste domande, proviamo a vedere, una volta tanto, cosa accade all’estero, facendo un breve viaggio nella Repubblica di Bananas! 

I – Breve storia della Repubblica di Bananas

La Repubblica di Bananas è un piccolo Stato sovrano sperduto in mezzo all’oceano che, per una strana bizzarria della Storia, rappresenta l’unico esempio di repubblica sovietica in cui si parla italiano; e contemporaneamente è l’unica repubblica sovietica che sia sopravvissuta alla disgregazione dell’URSS e alla caduta del Muro di Berlino. Eppure, non troverete l’isola di Bananas su nessun mappamondo o carta geografica, e neppure su Google Maps: un evidente caso di rimozione della memoria collettiva, messo in atto dai “poteri forti” per cancellare una pagina oscura della storia del nostro Bel Paese!

I Bananassi (così si chiamano gli abitanti di questa piccola repubblica sovietica) parlano italiano, perché sono i discendenti dei galeotti inviati sull’isola prima dal Regno d’Italia, poi dalla Dittatura Fascista e, infine, dai primi Governi della Repubblica: regimi tanto diversi furono ugualmente inumani, quando decisero di inviare delinquenti giudicati inutili per la società in un luogo sperduto in mezzo all’acqua, a migliaia di chilometri dai loro amici e parenti. Alla fine degli anni Cinquanta un comitato rivoluzionario costituito, in egual misura, da intellettuali comunisti, ladri seriali di polli e tagliagole, prese il controllo dell’isola e fondò una Repubblica Sovietica, che ben presto cominciò a gravitare nell’area di influenza del Patto di Varsavia.

Nonostante sia nata sotto i peggiori auspici, la Repubblica di Bananas è oggi una entità statale non molto diversa dalla sua Madrepatria, in termini di incidenza percentuale di casi di corruzione, di fenomeni di riciclaggio o di condotte che determinano un danno erariale! Nessuno, ovviamente, ha interesse a divulgare questi dati statistici: per il Soviet Supremo della Repubblica di Bananas, infatti, potrebbero minare la fiducia della Classe proletaria nei confronti del Partito Comunista Bananasso; per lo Stato Italiano, invece, essi dimostrerebbero la cronica inefficienza del proprio sistema di prevenzione e repressione dei reati.

II – Chi fa cosa

Bananas, come tutte le Repubbliche Sovietiche, ha un apparato statale molto sviluppato e capillare. I nomi delle cariche di governo e delle articolazioni dello Stato riflettono il passato carcerario dell’isola: il Soviet Supremo, titolare del potere legislativo, nomina un Carceriere (che ha le competenze di un Primo Ministro), che deve ricevere la fiducia dell’Assemblea dei Galeotti, eletta dai cittadini Bananassi per alzata di mano: un sistema di voto che, negli anni, non ha mancato di attirare l’attenzione degli osservatori internazionali!

Il territorio della Repubblica è diviso in Circondari, che hanno competenze simili alle Regioni Italiane, amministrate da altrettante Case Circondariali. I Circondari, a loro volta, sono suddivisi in Colonie (in ricordo delle antiche colonie penali di Bananas) in cui lavorano dei “secondini”, cioè dipendenti pubblici che hanno grosso modo le funzioni dei funzionari  comunali italiani. Proprio in una di queste Colonie lavora il protagonista della nostra storia: si chiama Massimo Impegno ed è responsabile dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico.

Dopo la dissoluzione dell’URSS, pur rimanendo fedele ai principi del socialismo reale, la Repubblica di Bananas ha modernizzato la propria economia e il proprio sistema amministrativo; ed anche Massimo Impegno, e il suo Ufficio Relazioni con il Pubblico, sono stati coinvolti in questo vasto processo di riforma! 

Nell’esclusivo interesse del proletariato, molti servizi pubblici della sua Colonia  (gas, elettricità, acqua, trasporto pubblico e polizia locale) sono stati appaltati ai privati; e così il povero proletario, che ha bisogno dell’intervento della polizia locale fuori dal proprio quartiere, deve sapere in anticipo a quale azienda di guardie è stato appaltato il servizio! E quando devono allacciare il gas o la corrente nelle loro case, le povere famiglie proletarie devono scegliere tra diversi gestori, che offrono tariffe differenziate e servizi di qualità più o meno scadente! E all’Ufficio Relazioni con il Pubblico, ogni giorno, arrivano centinaia di richieste di informazioni:

Qual è il concessionario dei lavori pubblici che ripara più in fretta le buche nelle strade?

Quale gestore del servizio scuolabus passa da casa mia?

Devo aprire un negozio: a quale professionista mi devo rivolgere, per inviare la CIAP (Comunicazione di Inizio Attività Proletaria)?

Sto cercando un avvocato per fare causa alla Colonia. Ne conoscete uno bravo?

Massimo Impegno e i suoi collaboratori non sanno cosa rispondere! Ma l’Ufficio Relazioni con il Pubblico non può venir meno ai propri doveri, e così trovano una soluzione geniale: costituiscono una rete di informatori, cittadini che volontariamente si mettono al servizio degli altri cittadini, con il compito di valutare la qualità dei servizi di pubblico interesse erogati da imprese e professionisti. Grazie alle informazioni così raccolte, in pochi mesi formano degli elenchi puntuali di operatori economici, suddivisi per settore di attività e tipologia di utenza, e ordinati in base alla qualità dei servizi resi: i migliori in cima alla lista, i peggiori in fondo.  

Massimo Impegno è molto soddisfatto del lavoro svolto: i suoi elenchi sono considerati una best practice a livello nazionale e domani la sua Colonia  sarà premiata dal Soviet Supremo nell’ambito del progetto Valore Proletario – La Pubblica Amministrazione che funziona. Massimo Impegno guarda l’orologio, spegne il computer ed esce dal suo ufficio. E’ il 31 ottobre e una pioggia sottile, mescolata al profumo dell’oceano, scende sulla città. Alcuni bambini travestiti da mostri corrono dentro i negozi, gridando: ‒ Dolcetto o scherzetto? Massimo Impegno li guarda severo: il Soviet Supremo dovrebbe vietare certe feste capitaliste, estranee alla cultura bananassa! Accelera il passo, perché non sa che, tra le pareti di casa, i suoi fantasmi lo stanno attendendo.

III – Meringa, fragola e gelatina.

Massimo Impegno vive, con la moglie e tre figli, in un ampio quadrilocale all’ottavo piano di un casermone per impiegati alla periferia della città. Quando apre la porta di casa, le sue narici si riempiono del profumo delle verze, che stanno cuocendo nel brodo da ore, insieme alle patate e alle cotenne.

A dispetto delle loro origini mediterranee, i Bananassi hanno una cucina molto simile a quella dei tedeschi e degli slavi, che fa ampio uso di carne di maiale, grassi animali, verze, rape e broccoli.  Massimo Impegno va in cucina e aiuta sua moglie a grattugiare il rafano da aggiungere alla zuppa a fine cottura, poi va a farsi una doccia e finalmente si siede a tavola con la sua famiglia. Dopo cena lava i piatti e si prepara per andare subito a letto, perché è molto stanco e poi domani è un grande giorno: alla premiazione, oltre al delegato del Soviet Supremo, ci saranno anche i cittadini e i giornalisti ed è previsto un suo intervento, in qualità di tecnico.   

Forse hai messo troppa cotenna nella zuppa ‒ dice a sua moglie, mentre indossa il pigiama ‒ Lo sai che non la digerisco e poi dormo male!

La prossima volta falla tu e vedrai che dormirai meglio! ‒ risponde lei con voce gentile e soave.

Massimo Impegno ha come la sensazione di avere ingoiato un macigno che adesso resterà per sempre dentro il suo stomaco, ma riesce comunque ad addormentarsi. Riposa per qualche ora, fino a quando, nel cuore della notte, non viene svegliato da uno strano rumore che proviene dal salotto. Si alza per andare a controllare e non crede allo spettacolo che si presenta ai suoi occhi: una strana creatura bianca, simile a una meringa, aleggia tra il divano e il soffitto!

Chi sei? ‒ chiede Massimo Impegno, cercando di mantenere il sangue freddo.

Sono lo spirito delle aziende che hai segnalato!

Di chi?

Dei primi della lista! Sono venuto a ringraziarti, perché sei stato un nostro fedele alleato!

Ma io non ho fatto niente!

Certo, anche i tuoi collaboratori dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico hanno fatto la loro parte, ma non essere modesto: è stata tua l’idea degli informatori!

Beh, sì…  ‒ farfuglia Massimo Impegno, già fiutando aria di fregatura ‒ ma ho fatto tutto nell’interesse del Proletariato!

Veramente? Stiamo a vedere… ‒ e la meringa volante emette un fischio. Massimo impegno si domanda che senso abbia parlare con un ammasso di zucchero e albume rappreso, ma i suoi pensieri sono interrotti da una violenta esplosione che fa tremare la stanza: una specie di enorme fragola rossa si è materializzata sopra il sofà e lo guarda con espressione minacciosa.

E tu? Chi saresti?

E me lo chiedi anche? Io sono lo spirito di tutti gli altri, di quelli che sono finiti in fondo all’elenco e non hanno avuto più nessun cliente!

Avreste dovuto lavorare meglio! E adesso sareste in cima alla lista!

Ci credi veramente? Ti fidi veramente dei tuoi informatori? Non sai che molti di loro chiedono contratti gratuiti, o sconti, o regali preziosi; ed è così che misurano la qualità dei servizi?

Le domande della grande fragola rimangono senza una risposta. Massimo Impegno non ha mai nemmeno pensato a questa eventualità; che qualcuno potesse falsare le carte.

E chi si rifiuta di pagare, per dignità o avarizia ‒ conclude la grande fragola, cercando ora di fare la voce solenne ‒ non arriverà mai tra i primi della lista!

Massimo Impegno sente uno strano rumore; si volta e vede che dalle finestre aperte del soggiorno (eppure lui si ricorda di averle chiuse, prima di andare a dormire) sta entrando un enorme blob di gelatina trasparente, che riempie tutta la stanza e ingloba ogni cosa!

Aiutatemi! ‒ grida Massimo Impegno, che ormai nuota dentro la gelatina.

Sono lo spirito del proletariato. Perché non hai agito nel mio esclusivo interesse?

Aiuto! ‒ geme Massimo Impegno, perché gli manca l’aria dentro la gelatina

Che cosa ci hai guadagnato? ‒ incalza il blob.

Massimo Impegno rantola, mentre tutto intorno diventa buio..

‒  Un encomio del Soviet Supremo?

IV – Il funerale

Caro, svegliati! Cosa succede? Perché gridi aiuto?

Massimo impegno  si sveglia e salta giù dal letto, davanti agli occhi allibiti di sua moglie, e corre in soggiorno: non ci sono meringhe, fragole giganti o mostri di gelatina e le finestre sono tutte chiuse. Capisce di avere avuto un incubo. Colpa delle cotenne!

Si prepara un caffè, perché tanto sa che non riuscirà più a dormire e arriva in ufficio con largo anticipo, con le occhiaie e la barba malfatta. Tutti i suoi colleghi gli vengono incontro e gli stringono la mano: ‒ Oggi è il tuo grande giorno! Tutta la Colonia avrà gli occhi puntati su di te!

Massimo Impegno reagisce a questi complimenti con un certo fastidio, raggiunge la sala conferenze, già gremita di politici e giornalisti, e si sente soffocare. 

La cerimonia comincia con i saluti istituzionali del Sindaco della Colonia, che elogia il lavoro svolto dall’Ufficio Relazioni con il Pubblico, seguiti dai saluti del Presidente del Circondario, che intrattiene i presenti con un panegirico sulla buona amministrazione. Il delegato del Soviet Supremo, arrivato con un certo ritardo, fa invece un breve discorso sul Valore Pubblico e sul futuro del Socialismo. Poi tocca a Massimo Impegno, che si avvicina al microfono con la testa confusa e lo stomaco stretto in una morsa; rivede i fantasmi hanno tormentato i suoi sogni; e finalmente trova un modo per tornare a galla e ricominciare a respirare:  

‒  Negli ultimi trent’anni la nostra Repubblica ha regalato ai privati gran parte dei propri servizi pubblici essenziali; in certi casi è stato positivo, ma nella maggior parte dei casi è stato come gettare le perle ai porci!

Dal pubblico si leva un mormorio di stupore. Massimo Impegno continua il suo discorso, avvicinandosi di più al microfono:

I cittadini bananassi, ormai, lo sanno: la Repubblica non può controllare i soggetti privati. E forse nemmeno vuole. I cittadini bananassi ormai lo sanno: se si rivolgono al professionista sbagliato, oppure ad un concessionario che lavora male, nessuno li aiuterà. E allora vengono prima da noi, negli uffici delle Colonie e ci chiedono “signori, chi sono i migliori?” Ecco, i nostri elenchi dei sono nati per questo.

Il Sindaco della Colonia, il Presidente del Circondario e il Rappresentante del Soviet Supremo sono atterriti e sperano che qualcuno, non loro, perché il gesto finirebbe su tutti i giornali, dica ai tecnici di spegnere il microfono di Massimo Impegno e accompagni fuori dalla sala; ma nessuno lo fa e anche questo finirà certamente su tutti i giornali.

‒  Gli elenchi erano una buona idea ‒  conclude Massimo Impegno ‒  ma l’abbiamo realizzata nel peggiore dei modi. Abbiamo creato una rete di informatori, che ha stabilito delle classifiche tra le aziende senza adottare criteri affidabili; abbiamo aumentato le disuguaglianze, avvantaggiando pochi e svantaggiando molti; abbiamo tollerato persino i ricatti e la corruzione.  Oggi non c’è nessun premio da dare. Oggi dobbiamo celebrare un funerale: l’imparzialità è morta e noi non ce ne siamo nemmeno accorti, a dire il vero!

Massimo Impegno esce dalla sala conferenze, senza nemmeno salutare: sa che il suo destino è segnato. L’ufficio procedimenti disciplinari della Colonia, dopo pochi giorni aprirà un procedimento disciplinare e Massimo Impegno sarà licenziato, per aver diffuso presso i cittadini, i giornalisti e i suoi collaboratori un sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni della Repubblica di Bananas, andando oltre il legittimo esercizio del diritto di critica. Ma si rifarà una vita: approfittando dei contributi statali per il rilancio dell’economia bananassa, fonderà una start-up che produce e vende online fantasiosi gadget personalizzabili. I primi tre articoli prodotti dalla sua azienda, con un notevole successo, saranno dei palloncini a forma di meringa, una grossa fragola morbida, perfetta da usare come cuscino per il divano, e uno slime trasparente che ha la stessa consistenza della gelatina.

Dichiarare e orientare.

Le dichiarazioni pubbliche dei dipendenti e l’orientamento al privato rientrano a pieno titolo tra i problemi emergenti nell’attuale Società dell’Informazione, ma la loro gestione deve tenere conto dei diritti delle persone (innanzitutto della libertà di espressione) e della necessità di supportare i destinatari, che spesso non hanno tutte le informazioni necessarie per interfacciarsi con il sistema pubblico.

Gestire le informazioni

Proprio come Massimo Impegno, viviamo dentro un groviglio quasi inestricabile di realtà e finzione, in un’epoca di crisi del concetto di verità. Questa crisi covava da tempo, ma è esplosa in tutta la sua evidenza negli anni della pandemia, quando abbiamo assistito al diffondersi di teorie complottiste, posizioni negazioniste, tendenze “no-vax” e cure “fai-da-te”, tutte prive di qualunque fondamento scientifico o parvenza di verità; ma abbiamo anche sentito esperti e scienziati affermare, in reazione a questi fenomeni, che la scienza non è democratica, con un atteggiamento dogmatico e semplicistico che dipinge la verità scientifica come certa e immutabile, facendo rivoltare nella tomba il buon Karl Popper e il suo criterio di falsificabilità[3].

La verità vacilla ma non dobbiamo spaventarci più di tanto: è già accaduto; è  un problema che risale addirittura all’Antica Grecia[4] ed è arrivato a noi attraversando tutta la storia del pensiero occidentale[5]. La vera novità del nostro tempo non è tanto la necessità di definire nuovi paradigmi di verità, quanto la disponibilità di una mole mai vista prima di dati e informazioni da gestire, valutare e porre alla base dei processi di costruzione della verità[6].

Le dichiarazioni pubbliche dei dipendenti e l’orientamento al privato sono due declinazioni specifiche del problema generale della corretta gestione delle informazioni, particolarmente rilevanti per la pubblica amministrazione:

  • attraverso le proprie dichiarazioni, i dipendenti possono divulgare informazioni che influenzano l’opinione pubblica e possono generare un danno all’immagine della propria amministrazione;
  • i dipendenti pubblici detengono informazioni relative a soggetti privati che forniscono servizi a favore dei destinatari del loro ufficio, e possono di conseguenza orientare i destinatari verso alcuni operatori economici, a discapito di altri.

Nubifragi e vaselina: il problema non è cosa scrivi, ma quanti lo leggono

Il 30 aprile 2022 il Governo Italiano ha adottato il Decreto-Legge n. 36, introducendo “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”[7]. All’articolo 4, comma 1, il decreto prevede la modifica del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che dovrà prevedere una specifica “sezione dedicata al corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l’immagine della pubblica amministrazione”. Confessiamo ai nostri affezionati lettori di esse rimasti alquanto stupiti, vedendo tale  rinnovato interesse della Politica per l’Etica pubblica: non avremmo mai immaginato che l’uso scorretto delle tecnologie informatiche e le dichiarazioni dei dipendenti sui social network potessero avere un così grande impatto sull’attuazione del PNRR e sul buon uso delle risorse pubbliche! Ad ogni modo, nonostante l’urgenza, il Codice non è ancora stato modificato[8] e questa lacuna non consente di gestire al meglio questa materia. In effetti, la diffusione delle tecnologie informatiche e dei social network sta creando dei problemi, perché aumenta la probabilità che i dipendenti possano veicolare informazioni, commenti o opinioni offensive nei confronti dell’organizzazione per cui lavorano. Questo fenomeno, che interessa anche il settore privato, ha ormai generato anche degli orientamenti sul piano giurisprudenziale[9].

La quasi totalità dei dipendenti pubblici oggi utilizza uno o più social network; tuttavia, nella vita online raramente si fanno delle dichiarazioni, di solito si postano dei contenuti, si fanno dei commenti, si mettono like o si condividono contenuti di altri. Di conseguenza è innanzitutto necessario capire quando un contenuto veicolato sui social si può qualificare come dichiarazione pubblica.  Già nel 2016 il TAR del Friuli-Venezia Giulia[10] ha confermato la legittimità di una sanzione disciplinare inflitta ad un militare per la pubblicazione sulla sua “bacheca” Facebook di molteplici immagini che immortalavano le tende del suo accampamento militare allagate e in precarie condizioni dopo un nubifragio, lamentandosi della situazione in cui si trovava insieme ai circa 2.400 colleghi. Il TAR ha ritenuto che “i social network, in particolare Facebook, non possono essere considerati come siti privati, in quanto non solo accessibili ai soggetti non noti cui il titolare del sito consente l’accesso, ma altresì suscettibili di divulgazione dei contenuti anche in altri siti”, equiparando la condivisione delle immagini ad una dichiarazione pubblica lesiva dell’immagine dell’amministrazione.

Un anno dopo, nel 2017, la Cassazione[11] ha invece dichiarato illegittimo il licenziamento di un dipendente che (dimostrando un certo acume sarcastico) aveva pubblicato su una chat privata di Facebook – nella quale i lavoratori erano soliti scambiarsi informazioni di carattere sindacale – una vignetta raffigurante un coperchio di vasellina cui era sovrapposto il marchio della sua azienda. La Corte ha considerato “illegittimo, in quanto ritorsivo” il licenziamento, in quanto la suddetta pubblicazione satirica rappresentava un “libero esercizio del diritto di critica, a ogni modo non integrante una potenziale lesione dell’immagine aziendale per via della diffusione della vignetta limitata ai partecipanti alla chat“.

In estrema sintesi, ad essere rilevante, sui social network, è il numero potenziale di soggetti che possono visualizzare, commentare e condividere i contenuti veicolati dal dipendente.

La libertà di espressione dei dipendenti pubblici

Resta ora da chiarire quali criteri si debbano adottare per qualificare come lesiva dell’immagine dell’amministrazione una dichiarazione pubblica. Innanzitutto, è necessario sottolineare che alla luce Costituzione italiana (Cost., art. 21)[12], della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU., art. 10)[13] e della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR, art. 19)[14] la libertà di espressione è un diritto inalienabile dell’uomo; e tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche. Tuttavia, (come esplicitamente chiarito dalla CEDU e dall’ICCPR), l’esercizio della libertà di espressione comporta doveri e responsabilità speciali e può essere soggetto a restrizioni, per garantire:

  • il prestigio delle istituzioni pubbliche,
  • la sicurezza nazionale e l’integrità territoriale,
  • l’ordine pubblico e la prevenzione dei reati,
  • la salute pubblica e la morale pubblica,
  • la reputazione e i diritti altrui,
  • la riservatezza delle informazioni,
  • l’imparzialità del potere giudiziario.

Il prestigio di una pubblica amministrazione può essere senza dubbio intaccato da dichiarazioni false o diffamatorie, oppure da dichiarazioni che violano i principi di continenza sostanziale (i fatti narrati devono corrispondere a verità) e continenza formale (l’esposizione dei fatti deve avvenire misuratamente); questi principi, infatti, come evidenziato dalla Corte di Cassazione, devono essere rispettati non solo dai giornalisti, ma anche dai lavoratori nell’esercizio del proprio diritto di critica[15].  Ma un danno alla reputazione di un’istituzione pubblica si potrebbe determinare anche quando un  dipendente segnala pubblicamente un illecito avvenuto all’interno dell’organizzazione: anche questo dipendente deve essere sanzionato? Non si tratta, purtroppo, di una domanda retorica, perché ai sensi della normativa vigente[16] un dipendente pubblico, qualora venga a conoscenza di un illecito, può segnalare in via riservata al RPCT o ad ANAC, senza danneggiare la reputazione della sua amministrazione; e di conseguenza chi si rivolge a un giornalista o denuncia urbi et orbi, magari usando il proprio profilo social, sembra aver scelto davvero il canale meno appropriato, per difendere l’integrità del sistema pubblico: poteva lavare i panni sporchi in casa (come prescrive la legge) e invece ha deciso di  rendere ogni cosa di pubblico dominio!

Attualmente, il dipendente che denuncia pubblicamente degli illeciti, anziché inviare una segnalazione riservata, non è nemmeno considerato un whistleblowere non ha diritto ad alcuna forma di tutela da eventuali misure ritorsive. Siamo sicuri che i nostri illuminati lettori non si sognerebbero mai di avviare un procedimento disciplinare a carico di un dipendente che denuncia pubblicamente un illecito, ma come sappiamo non tutti leggono la nostra rubrica! E per chi effettua segnalazioni pubbliche il rischio di essere sanzionato, o addirittura licenziato è davvero ancora molto elevato. Date queste premesse, è evidente che in certi casi la tutela dell’immagine dell’amministrazione potrebbe diventare un alibi, per coloro che invece vogliono soltanto punire chi segnala delle condotte illecite.

Qualcosa, però, potrebbe cambiare con il recepimento della Direttiva Europea n. 2019/1937, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, che considera il whistleblowing una manifestazione del diritto alla libertà di espressione[17] e prevede che forme di protezione dalle ritorsioni debbano essere assicurate  “sia alle persone che segnalano informazioni riguardanti atti od omissioni all’interno di un’organizzazione («segnalazione interna») o a un’autorità esterna («segnalazione esterna») che alle persone che rendono tali informazioni disponibili al pubblico dominio, per esempio direttamente al pubblico mediante piattaforme web o social media, ai mezzi di informazione, ai rappresentanti eletti, alle organizzazioni della società civile, ai sindacati o alle organizzazioni imprenditoriali e professionali”[18].

L’Italia non ha recepito la Direttiva nei termini previsti (entro il 17 dicembre 2021) ed è davvero un peccato: incentivare e tutelare chi segnala illeciti all’interno della pubblica amministrazione sarebbe certamente un’iniziativa utile alla corretta attuazione del PNRR, molto più dell’introduzione di nuove regole per l’uso dei social network![19]

L’orientamento al privato

Come vi abbiamo anticipato all’inizio dell’articolo, l’orientamento al privato è un fenomeno pressoché sconosciuto, anche se è molto diffuso all’interno delle amministrazioni pubbliche. Si ha orientamento al privato, quando il dipendente pubblico indirizza il destinatario verso un soggetto esterno all’amministrazione (un operatore economico, un professionista, una associazione, ecc…) che può fornire delle prestazioni al destinatario. Abbiamo rilevato questo fenomeno in tutte le amministrazioni presso cui abbiamo svolto attività di formazione o consulenza e questo ci fa credere che l’orientamento al privato sia in espansione ed anche abbastanza tollerato: che male c’è, se l’assistente sociale fornisce ad una famiglia il nominativo di una badante o di un educatore? O se il funzionario dell’ufficio urbanistica segnala il nominativo di un bravo architetto a un cittadino che deve sanare un abuso edilizio? Oppure ancora se il medico di famiglia ci indirizza verso uno specialista bravissimo, che riceve privatamente? Nulla di male, in effetti: queste cose accadono quotidianamente; nella maggior parte dei casi, è il destinatario a chiedere di essere indirizzato verso qualcuno ed il dipendente non conseguire alcun vantaggio personale. Va tutto bene, fino a quando  non leggiamo sul giornale del Direttore del Dipartimento di Prevenzione di una Asl che è stato arrestato, perché indirizzava i titolari di alberghi e ristoranti a stipulare contratti assicurativi con l’agenzia di suo figlio; oppure di operatori delle camere mortuarie di un ospedale al soldo di imprese di onoranze funebri, che venivano segnalate alle famiglie dei defunti. In questi casi l’innocuo orientamento al privato si salda con il conflitto di interessi, oppure nasconde dinamiche di scambio, e assume il volto di condotte illecite meschine e intollerabili.

La diffusione del disordine

L’orientamento al privato è associato, in modo cruciale, ai processi di semplificazione, accreditamento, esternalizzazione, convenzionamento e privatizzazione. Questi processi, infatti, hanno un effetto positivo sulla qualità dei servizi pubblici, ma hanno un costo: aumentano l’entropia[20], cioè il grado di disordine all’interno del sistema pubblico. Per capire questo concetto, immaginiamo un sistema costituito da 10 enti della pubblica amministrazione, 40 operatori privati e un certo numero di destinatari (fig. 5)

Figura 5 – Il sistema (destinatari, P.A. e operazioni privati)

Consideriamo adesso uno stato iniziale di questo sistema, cioè una situazione iniziale in cui tutti i servizi pubblici sono erogati in modo poco efficiente esclusivamente dai 10 enti della pubblica amministrazione (fig. 6):

Figura 6 – Stato 1: la P.A. eroga tutti i servizi pubblici

Nella figura 6, le organizzazioni che erogano servizi pubblici sono evidenziate in rosso; ed è evidente che in questa situazione iniziale tutto è molto ordinato: solo la pubblica amministrazione eroga servizi pubblici; la separazione tra il settore pubblico (inteso come l’insieme delle organizzazioni che erogano servizi pubblici) e settore privato è molto netta; e i destinatari sanno che per beneficiare di un servizio pubblico devono rivolgersi a un numero limitato di pubbliche amministrazioni. L’entropia del sistema è molto bassa, una caratteristica, questa, che non è in alcun modo associata alla scarsa qualità dei servizi, ma che dipende dal particolare tipo di distribuzione dei servizi pubblici (i quadrati rossi) all’interno del sistema.

Consideriamo adesso un secondo stato del sistema, in cui è stata attuata una riforma e alcuni servizi pubblici sono stati ceduti ai privati, attraverso processi di privatizzazione, esternalizzazione o accreditamento. In questa nuova situazione (rappresentata nella figura 7) la qualità dei servizi è migliorata, ma è aumentata anche l’entropia:

Figura 7 – Stato 2: anche gli operatori privati erogano servizi pubblici.

Nella figura 7 i quadrati grandi e bianchi identificano le pubbliche amministrazioni che hanno ceduto ai privati alcuni servizi pubblici, mentre i quadratini rossi indicano i privati che erogano servizi pubblici. Guardando con attenzione, possiamo descrivere in diversi modi questo aumento del disordine: è aumentato il numero di soggetti che erogano servizi pubblici (prima erano 10, ora sono 19); la distribuzione dei servizi pubblici all’interno del sistema si è modificata; i confini tra ciò che è pubblico e ciò che è privato sono più incerti.

Nel nuovo stato di cose i destinatari hanno bisogno di molte più informazioni, per interagire correttamente con il sistema pubblico:

  • Quali sono i servizi che non sono più erogati dalla pubblica amministrazione?
  • Quali soggetti privati, tra i tanti, erogano anche servizi pubblici?
  • Chi garantisce il servizio migliore[21]?

Sembra proprio che la riforma abbia aumentato non solo la qualità e la disponibilità dei servizi pubblici, ma anche le asimmetrie informative!

Da chi avranno le informazioni i destinatari? Potrebbero riceverle direttamente dai soggetti privati che erogano servizi pubblici, che si fanno pubblicità per acquisire fette di mercato, oppure potrebbero essere le pubbliche amministrazioni (magari tramite gli URP) a dare queste informazioni; in entrambi i casi il fenomeno dell’orientamento al privato non si verifica. Ma cosa succede, se i destinatari non hanno tutte le informazioni? Per rispondere a questa domanda basta fare due conti:

  • il 70% delle amministrazioni pubbliche (7 amministrazioni su 10) erogano tutti i servizi;
  • solo il 30% degli operatori privati (12 aziende su 40) eroga servizi pubblici

Per i destinatari che non hanno informazioni è più vantaggioso andare in una pubblica amministrazione e, nel caso in cui finissero in un’amministrazione che non eroga il servizio di cui hanno bisogno, chiedere a quale soggetto privato si devono rivolgere.

La doppia scelta

Lo scenario che abbiamo descritto e molto semplificato e non tiene in considerazione tutta una serie di particolari e vincoli presenti nella vita reale[22]; tuttavia, già a questo livello, l’orientamento al privato rappresenta, per i destinatari, una strategia vincente per orientarsi nel sistema pubblico, a patto che:

  • i destinatari siano nelle condizioni di identificare con precisione l’amministrazione pubblica che funge da “punto di accesso” al sistema;
  • i soggetti privati che erogano servizi pubblici siano numerosi e quindi non facilmente identificabili.

Queste due condizioni si verificano anche nello scenario della doppia scelta, rappresentato nella figura 8, che modellizza la situazione in cui, più o meno, si trova chi deve trovare un professionista, per inviare una SCIA edilizia; chi va dal medico di medicina generale, per farsi prescrivere una visita specialista; oppure chi deve produrre una fideiussione, per stipulare un contratto pubblico:  

Figura 8 – Una pubblica amministrazione, molti operatori privati

Nella figura 8 i destinatari devono fare una doppia scelta: identificare una pubblica amministrazione (quadrato blu) e identificare un operatore privato (quadrati rosso). In questo stato di cose l’amministrazione pubblica è facilmente identificabile (ce n’è solo una!), mentre gli operatori privati sono molto più numerosi; e se i destinatari non hanno informazioni, rivolgersi alla pubblica amministrazione e chiedere di essere orientati verso un privato è ancora una volta la scelta più vantaggiosa.

Collegamenti, impatti e aspettative

Le diverse tipologie di orientamento al privato possono essere identificate prendendo in considerazione il collegamento tra operatore economico e dipendente pubblico; l’impatto dell’operatore economico sui processi gestiti dal dipendente pubblico;le aspettative del destinatario:

  Esempi
Collegamento tra operatore economico e dipendenteNessun collegamentoUn medico fornisce ai familiari di un paziente ricoverato, che risiedono fuori città, i riferimenti di alcuni Hotel ubicati nei pressi dell’ospedale.
Collegamento nella sfera privata (conflitto di interessi)Un medico fornisce ai familiari di un paziente ricoverato, che risiedono fuori città, i riferimenti di un Hotel gestito da sua sorella.
Collegamento nella sfera professionaleUn medico fornisce ai familiari di un paziente i riferimenti di una struttura privata, che eroga percorsi di riabilitazione post-operatoria.
Impatto dell’operatore economico sui processiNessun impattoUn utente si presenta allo sportello anagrafe per rinnovare la carta d’identità, ma si è dimenticato di portare le fototessere; l’impiegato gli segnala che vicino al Comune c’è uno studio fotografico.
Impatto significativoL’impiegato dell’ufficio tecnico indica il nominativo di un professionista a un cittadino che deve sanare un abuso edilizio.
Aspettative del destinatarioAspettative moderateUn cittadino, che deve presentare la dichiarazione ISEE, si reca al CAF segnalato dall’ufficio.
Aspettative elevateUn imprenditore si rivolge ad un consulente segnalato da un ispettore ASL, per sistemare alcune criticità da quest’ultimo rilevate durante un controllo.

Gli scenari e le schematizzazioni che vi abbiamo proposto sono un primo tentativo (certamente migliorabile) di fare luce sull’orientamento al privato. Dalla nostra analisi risulta palese che le asimmetrie informative sono il principale fattore abilitante di questo fenomeno, così come è altrettanto evidente che il destinatario, quando non ha informazioni, desidera che l’amministrazione pubblica scelga al posto suo. Ma se l’amministrazione sceglierà al posto del destinatario, pregiudicherà fatalmente la propria indipendenza e imparzialità, ma anche la libera concorrenza tra gli operatori economici. 

Le regole dell’equilibrio[23]: l’art. 12 del Codice di comportamento nazionale 

E’ palese a tutti che le informazioni e l’immagine della pubblica amministrazione devono essere tutelate e che orientare un destinatario verso uno specifico operatore economico minaccia le dinamiche del libero mercato: vietare in modo assoluto queste condotte sembrerebbe la soluzione più semplice e immediata per risolvere qualsiasi problema. Il ricorso ad ingiunzioni di tipo valutativo, anziché a semplici divieti, potrebbe essere la scelta migliore, per gestire questi fenomeni.

Le dichiarazioni pubbliche offensive per l’amministrazione e l’orientamento al privato riducono in modo incontrollato le asimmetrie informative che intercorrono tra sistema pubblico e destinatari (attuali o potenziali), e impattano (a seconda dei casi) sulla fiducia dei cittadini e sull’imparzialità. Ma la complessità dei meccanismi di emersione di questi fenomeni rende pressoché impossibile il ricorso ad ingiunzioni negative.

Vietare in modo assoluto ai dipendenti di fornire ai destinatari qualunque informazione relativa a operatori economici o professionisti violerebbe i principi di trasparenza, uguaglianza ed equità, perché non tutti i destinatari hanno la possibilità o la capacità di procurarsi da soli tutte le informazioni necessarie, per orientarsi all’interno del sistema pubblico: la capacità di risolvere in modo autonomo le asimmetrie informative non può diventare un pre-requisito di accesso ai servizi pubblici, perché se questo accadesse, intere categorie di cittadini (in particolar modo le categorie più fragili) sarebbe discriminate.

Allo stesso modo, vietare in assoluto ai dipendenti pubblici qualunque dichiarazione pubblica che possa avere un impatto sull’immagine del proprio ente violerebbe il principio di legalità, perché negherebbe la libertà di espressione, il diritto di critica e si porrebbe in contrasto con la direttiva europea di tutela e promozione del whistleblowing.

Vietare non serve a nulla. Serve invece segnalare che esiste un pericolo e chiedere ai dipendenti di adottare comportamenti in grado di tenere in equilibrio trasparenza e imparzialità, esercizio della libertà di espressione e tutela dell’immagine della propria amministrazione; servono delle ingiunzioni valutative.

Dopo avere a lungo parlato dei fenomeni, ora è venuto il momento di cedere la parola all’art. 12 del Codice di comportamento, che detta le regole di comportamento cui si devono conformare i dipendenti pubblici, nelle loro relazioni con i destinatari.

Gestione delle attività e relazioni con il pubblico: il comma 1 dell’articolo 12

Il comma 1 dell’art. 12 può essere diviso, idealmente, in sei parti e contiene una serie di ingiunzioni dal contenuto assai diversificato. La prima ingiunzione introdotta da questo comma è relativa alla riconoscibilità del dipendente pubblico:

  • 1. Il dipendente in rapporto con  il  pubblico  si  fa  riconoscere attraverso l’esposizione in modo visibile del badge od altro supporto identificativo  messo  a  disposizione  dall’amministrazione,   salvo diverse disposizioni  di  servizio,  anche  in  considerazione  della sicurezza dei dipendenti.

Qui il Codice sembra dire una cosa e il suo contrario: il dipendente pubblico deve essere riconoscibile, ma la sua amministrazione può decidere che non lo sia. Ovviamente, questa regola cerca di tenere in equilibrio tre principi dell’etica pubblica: trasparenza, proporzionalità ed equità. In virtù del principio di trasparenza, il destinatario deve sapere con chi ha a che fare, in modo tale che l’agente pubblico risponda delle proprie azioni, secondo una logica di accountability; tuttavia, in nome della trasparenza non possiamo mettere in pericolo la sicurezza dei dipendenti: sarebbe sproporzionato e ingiusto, oltre che molto stupido. 

Il comma 1 dell’articolo 12  ci mostra, finalmente, quale forma assumono le ingiunzioni valutative nei Codici di comportamento: non sono segnali di pericolo, ma regole che tengono in equilibrio principi in conflitto; non identificano un comportamento specifico, bensì una rosa di comportamenti possibili, lasciando al dipendente, oppure alla sua organizzazione, la responsabilità di scegliere.

La seconda parte del comma 1 contiene invece un’ingiunzione positiva, fondata sui principi di buon andamento, correttezza e buona fede[24]:

  • [il dipendente] opera con spirito di servizio, correttezza, cortesia e disponibilità e, nel rispondere  alla  corrispondenza,  a chiamate telefoniche e ai messaggi di posta elettronica, opera  nella maniera  più  completa  e  accurata  possibile.  Qualora   non   sia competente  per  posizione  rivestita  o   per   materia,   indirizza l’interessato al funzionario  o  ufficio  competente  della  medesima amministrazione.

Le restanti quattro parti del comma 1 introducono altre ingiunzioni specifiche, relative alla gestione delle attività d’ufficio e ai rapporti con i destinatari; che abbiamo deciso di sintetizzare nella tabella seguente:

Contenuto dell’ingiunzioneTipo ingiunzione
Il dipendente, fatte  salve  le  norme  sul  segreto d’ufficio, fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in  ordine al comportamento proprio e di altri dipendenti dell’ufficio dei quali ha la responsabilità  od  il  coordinamento.Ingiunzione valutativa, che in virtù del principio di trasparenza, garantisce una riduzione sicura e controllata delle asimmetrie informative: il dipendente deve agire in modo tale da garantire un giusto equilibrio tra accountability e riservatezza, cioè tra la necessità di rendere conto ai destinatari e la necessità di mantenere riservate alcune informazioni.
Nelle  operazioni  da svolgersi e nella trattazione delle pratiche il dipendente  rispetta, salvo diverse esigenze di servizio  o  diverso ordine di priorità stabilito dall’amministrazione, l’ordine cronologico…Ingiunzione valutativa, che tiene in equilibrio i principi di imparzialità e buon andamento: il dipendente deve garantire l’imparzialità nella gestione delle pratiche, rispettando l’ordine cronologico; tuttavia, l’amministrazione può definire altri criteri di gestione che garantiscano il buon andamento, senza pregiudicare l’imparzialità.
… e  non rifiuta prestazioni a cui sia tenuto con motivazioni generiche.Ingiunzione negativa, fondata sui principi di buon andamento e trasparenza.
Il dipendente rispetta gli appuntamenti con i cittadini e risponde senza ritardo ai loro reclami.Ingiunzione positiva, fondata sui principi di buon andamento e trasparenza

Dichiarazioni pubbliche: il comma 2 e dell’articolo 12   

Il comma 2 dell’art. 12 ci interessa parecchio: contiene la regola dell’etica pubblica sulle dichiarazioni pubbliche dei dipendenti. Questa regola è ancora una volta un’ingiunzione valutativa, che impone al dipendente di mantenere un equilibrio tra legittima tutela dei diritti sindacali e tutela dell’immagine della sua amministrazione:

  • 2.  Salvo  il  diritto  di  esprimere  valutazioni   e   diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da    dichiarazioni     pubbliche     offensive     nei confronti dell’amministrazione.

Quando non è in gioco la tutela dei diritti sindacali, la regola del comma 2 si traduce in una ingiunzione negativa: il dipendente non può fare dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione. Dunque, il Codice nazionale non vieta in modo assoluto ai dipendenti pubblici di esprimere pubblicamente la propria opinione, ma si concentra sull’impatto delle dichiarazioni pubbliche. Questo approccio è senza dubbio apprezzabile, perché riconosce il diritto alla libertà di espressione, ma nel complesso il comma 2 sembra una bella cornice che non incornicia alcunché: non fornisce alcun criterio per determinare il carattere pubblico di una dichiarazione o il suo carattere offensivo e, soprattutto, non affronta il problema delle segnalazioni pubbliche di illeciti. L’estrema vaghezza del comma 2 dell’art. 12, insomma, non aiuta i dipendenti ad identificare con precisione standard di comportamento adeguati a gestire tutta la multiforme complessità delle dichiarazioni pubbliche e deve essere necessariamente integrato. 

La regola nascosta: il comma 3 dell’articolo 12 

Il comma 3 sembra essere fatto di tutt’altra pasta, anche perché si applica ad un ambito molto più facile da circoscrivere con precisione: l’erogazione di servizi a diretto contatto con il pubblico. Questo comma è diviso in due parti e introduce innanzitutto una chiara ingiunzione positiva, ispirata dal principio di buon andamento:  

  • 3.  Il  dipendente  che  svolge  la  sua  attività  lavorativa  in un’amministrazione che fornisce servizi al pubblico cura il  rispetto degli   standard    di    qualità    e    di    quantità    fissati dall’amministrazione anche  nelle  apposite  carte  dei  servizi. 

Adesso leggiamo insieme la seconda parte del comma 3, che a nostro parere contiene una vera e propria perla dell’etica pubblica::

  • Il dipendente opera al fine di assicurare la continuità  del  servizio, di consentire agli utenti la scelta tra  i  diversi  erogatori  e  di fornire loro informazioni sulle modalità di prestazione del servizio e sui livelli di qualità.

Ad un lettore superficiale la seconda parte del comma 3 potrebbe apparire come poco rilevante, un semplice corollario della prima parte, in cui si chiarisce che per “curare il rispetto degli standard di qualità e di quantità fissati dall’amministrazione”, il dipendente deve adottare tre comportamenti:

  • deve “assicurare la continuità del servizio”,
  • deve “consentire agli utenti la scelta tra i diversi erogatori”
  • deve fornire agli utenti “informazioni sulle modalità di prestazione del servizio e sui livelli di qualità”

Ma chi sono gli erogatori che gli utenti devono scegliere? perché il dipendente deve necessariamente  consentire agli utenti di scegliere tra i diversi erogatori? Se consideriamo erogatori tutti i soggettiprivati, che possono fornire delle prestazioni utili al destinatario, scopriremo che in realtà la seconda parte del comma 3 dell’art. 12 nasconde l’ingiunzione valutativa che previene le condotte di orientamento al privato: in nome del buon andamento, il dipendente pubblico deve fornire al destinatario tutte le informazioni utili per scegliere un soggetto erogatore, ma, in nome dell’indipendenza e dell’imparzialità, non deve sostituirsi al destinatario, deve lasciargli la libertà di scegliere:  se questo non è possibile, se cioè fornire le informazioni significa anche orientare la decisione del destinatario, allora il dipendente deve astenersi dal fornire qualunque informazione!

Probabilmente gli estensori del Codice nazionale non avevano in mente nulla di simile, ma hanno regalato, a loro insaputa, una regola duttile e preziosa, che può essere applicata per gestire il rischio dell’orientamento al privato senza ricorrere ad un divieto assoluto, che rischierebbe, in nome dell’imparzialità, di precludere a certi destinatari la possibilità di accedere ai servizi. Tuttavia, l’ingiunzione valutativa dell’art. 12 comma 3 è assai criptica e di difficile comprensione: sembra uno dei famosi aforismi di Eraclito di Efeso!

Sarebbe quindi quanto mai opportuno rendere più esplicita questa regola[25].

Ancore di responsabilità

L’ancoraggio delle regole. In questa ultima parte dell’articolo illustreremo tre tecniche di ancoraggio, che possono aiutare ad attuare le ingiunzioni valutative dei commi 2 e 3 dell’articolo 12 del Codice nazionale: la codificazione delle regole, adozione di procedure e la leadership etica.

Scrivere le regole

Le ingiunzioni valutative, proprio come i segnali di pericolo, devono essere esaustive e chiaramente comprensibili ai destinatari. Purtroppo, come abbiamo visto, i commi 2 e 3 dell’art. 12 non hanno tutte queste caratteristiche:

  • l’ingiunzione del comma 2 sulle dichiarazioni pubbliche è eccessivamente vaga;
  • l’ingiunzione del comma 3 sull’orientamento al privato è eccessivamente criptica.

Il contenuto del comma 2 sarà certamente modificato nei prossimi mesi, ma non sappiamo esattamente in che modo: potrebbe prevalere la volontà di presidiare maggiormente l’uso dei social network, per tutelare l’immagine delle pubbliche amministrazioni, in linea con le indicazioni fornite dal Decreto-Legge n. 33/2022; oppure potrebbe prevalere l’esigenza di tutelare i dipendenti che segnalano pubblicamente degli illeciti, in linea con i contenuti della Direttiva UE n. n. 2019/1937. A nostro parere, le due visioni sono difficilmente conciliabili e difendere l’integrità del sistema pubblico, oggi più che mai, è più urgente che tutelarne l’immagine; ma la nostra è certamente una deformazione professionale! E per onestà intellettuale, preferiamo non proporre, almeno in questo articolo, una nostra riscrittura del comma 2 dell’art. 12 del Codice nazionale, che potrebbe in futuro essere in conflitto con le scelte del Legislatore.

Invece, siamo convinti della necessità di riscrivere il comma 3, per valorizzare la preziosa ingiunzione valutativa, che potrebbe aiutare i dipendenti a gestire il rischio di orientamento al privato[26]:

  • 3.  Il  dipendente  che  svolge  la  sua  attività  lavorativa  in un’amministrazione che fornisce servizi al pubblico cura il  rispetto degli   standard    di    qualità    e    di    quantità    fissati dall’amministrazione anche  nelle  apposite  carte  dei  servizi. 

Il dipendente opera al fine di assicurare la continuità  del  servizio e  fornisce ai destinatari  informazioni sulle modalità di prestazione del servizio e sui livelli di qualità, al fine di consentire ai destinatari l’accesso ai servizi e la scelta tra i diversi soggetti erogatori.

3-bis. A tutela dell’imparzialità, dell’indipendenza e dell’integrità dell’amministrazione, nonché delle dinamiche di mercato, il dipendente non indirizza, e nemmeno orienta, i destinatari verso specifici soggetti erogatori.

3-ter. Sono soggetti erogatori tutti gli operatori economici, nonché le persone fisiche e gli enti associativi, che erogano servizi o prestazioni a beneficio dei destinatari.

Procedure di gestione

Le ingiunzioni valutative impongono una modifica dei comportamenti e quelle dei commi 2 e 3 dell’art. 12, in particolare, impongono ai dipendenti di modificare il modo in cui comunicano le informazioni. L’organizzazione può supportare questo cambiamento, adottando delle procedure, valide per tutti i dipendenti, di gestione delle informazioni. Per esempio, potrebbe essere utile identificare una sola unità organizzativa (per esempio l’Ufficio Relazioni con il Pubblico o il settore comunicazione) responsabile di fornire ai destinatari informazioni sulle modalità di accesso ai servizi e sui soggetti erogatori. Per quanto riguarda, invece, le comunicazioni pubbliche, è importante notare che, molto spesso, i dipendenti segnalano all’esterno, perché hanno la percezione che nessuno, all’interno dell’amministrazione, si faccia carico di determinate situazioni problematiche; di conseguenza potrebbe essere utile incentivare le segnalazioni interne e identificare chiaramente i soggetti che sono autorizzati a rilasciare dichiarazioni agli organi di stampa.

Leadership etica

L’orientamento al privato e le dichiarazioni lesive dell’immagine dell’amministrazione possono anche essere una reazione al clima organizzativo. In un certo senso la qualità del contesto interno influisce sulle qualità dei dipendenti: in un contesto poco inclusivo cresceranno dipendenti infedeli; in un contesto disorganizzato, cresceranno dipendenti incapaci; e in un contesto eccessivamente competitivo cresceranno dipendenti che faranno carte false per raggiungere i risultati.

I dirigenti di un’amministrazione pubblica non solo incarnano le regole (questo già lo sappiamo) ma plasmano anche le qualità del contesto interno: affronteremo questo argomento nel dettaglio nel prossimo articolo; tuttavia, non è inutile anticipare adesso alcuni concetti.

Le qualità del contesto interno sono associate ai principi dell’etica pubblica e, di conseguenza, anche alle diverse regole del codice di comportamento. In questa sede prenderemo in considerazione due qualità:

  • La discussability: nel contesto interno c’è un diffuso benessere organizzativo, il clima è inclusivo e i dipendenti hanno l’opportunità di condividere e discutere obiettivi e criticità;
  • La roleability: nel contesto interno i ruoli e le responsabilità sono chiaramente definiti e i dipendenti hanno chiari gli interessi primari che devono promuovere.

E’ abbastanza chiaro che la tendenza dei dipendenti a condividere all’esterno dell’organizzazione eventuali problemi riscontrati sul lavoro (con il rischio di ledere l’immagine dell’amministrazione) è inversamente proporzionale alla discussability del contesto interno: se c’è discussability, le persone potranno discutere i loro problemi all’interno dell’organizzazione e, di conseguenza, sentiranno meno il bisogno di segnalare all’esterno.

La roleability, invece, è associata all’orientamento al privato: se è scarsa, i dipendenti non avranno chiari gli interessi primari che devono promuovere e, quindi, potrebbero pensare di essere al servizio dei destinatari. Al contrario, se il contesto interno è caratterizzato da un’elevata roleability, i dipendenti non si sogneranno mai di mettere a rischio l’imparzialità del proprio ruolo, al solo fine di soddisfare le aspettative dei destinatari.

L’etica delle piccole cose

Conclusioni. Concludiamo con un simpatico “dietro le quinte”: sapete come abbiamo scoperto il fenomeno dell’orientamento al privato? Correva l’anno 2014 e la formazione anticorruzione prendeva il volo. Noi di Spazioetico stavamo inventando un approccio nuovo, la formazione con casi concreti e dilemmi etici. Una formazione così aveva bisogno di una profonda conoscenza delle dinamiche e delle differenti tipologie di amministrazioni esistenti: un caso che era buono per i medici di una ASL non avrebbe avuto speranza in un Ente Locale. Eravamo dei cacciatori di casi, e in realtà lo siamo ancora…

Nel 2014 stavamo facendo una giornata di formazione in un Comune di media grandezza del Lazio, e mentre dialogavamo amabilmente con alcune funzionarie dell’ufficio anagrafe, una di loro ci raccontò una storia breve, ma che avrebbe cambiato per sempre il nostro modo di fare formazione.

La signora in questione, prossima al pensionamento, ci parlò di una sua ex collega che seguiva in particolare i procedimenti di iscrizione dei cittadini extracomunitari presso l’anagrafe comunale. La solerte funzionaria aveva messo in piedi un perfetto meccanismo di presa in carico e supporto agli istanti. In realtà si trattava di supporto di natura privatistica, dal momento che se un richiedente aveva il problema di attivare una assicurazione sanitaria, ecco che la signora lo inviava prontamente dal cugino, titolare di un’agenzia assicurativa. Così come, se il richiedente necessitava di aprire un conto corrente, la signora individuava un accesso privilegiato alla filiale presso cui lavorava il marito. Per non parlare della fototessera e di ogni altra necessaria incombenza!

La signora faceva tutto questo per un reale sentimento di empatia nei confronti degli stranieri richiedenti i quali, spesso, non parlavano la nostra lingua. Allo stesso tempo aveva animato un mercato di servizi locali che erano a lei collegati da rapporti di familiarità o di frequentazione abituale.

Quella dinamica di orientamento al privato fu la radice da cui si svilupparono molti dei casi con cui aprivamo i nostri corsi, soprattutto in Sanità. La solerte funzionaria dell’ufficio anagrafe si era trasformata in Marta, un’operatrice sanitaria che avrebbe fatto di lì a poco il giro d’Italia.

Marta è un’operatrice sanitaria che da poco lavora presso il dipartimento di chirurgia generale dell’Ospedale di XY. In questa prima fase si è trovata a gestire le procedure di ricovero programmato occupandosi, in particolare, dell’agenda del dipartimento.

Il suo lavoro è a contatto con il pubblico che è composto, per lo più, da persone che si trovano nella spiacevole situazione di doversi sottoporre a un intervento chirurgico.

Un giorno Marta si trova ad avere a che fare con una paziente, Francesca, che da tempo si prepara per essere operata.

Marta nota che il medico chirurgo di Francesca le ha richiesto una serie di prestazioni ambulatoriali da svolgersi in tempi rapidi e comunque prima dell’operazione.

Una di queste prestazioni è particolarmente complessa e Francesca, che è già avvezza a questo tipo di analisi, confessa a Marta che probabilmente non riuscirà a trovare spazio negli ambulatori convenzionati con l’Ospedale.

Francesca allora le chiede: CONOSCI QUALCHE AMBULATORIO PRIVATO DOVE POTREI ANDARE?

Marta non ha quell’informazione.

Chiedendo a uno specialista del dipartimento, il dottor Lupi, Marta viene a sapere che uno dei tanti poliambulatori presenti nel quartiere gli ha messo a disposizione dei biglietti da visita da consegnare ai richiedenti, nel caso si trovassero a dover produrre questo tipo di analisi che è notoriamente complessa da ottenere dal servizio pubblico. Gli ha assicurato che i propri operatori sono in grado di produrre la prestazione in tempi brevissimi a un costo relativamente contenuto.

A Marta viene in mente di consigliare a Francesca quel poliambulatorio, consegnandole uno di quei biglietti da visita.

La stessa Marta poi avrebbe lasciato il posto al dottor Massimo Impegno e ad altri cento personaggi che ci hanno aiutato a rendere meno noiose le giornate di formazione. Ci hanno permesso di aprire quella porta invisibile che spesso rimane chiusa tra il docente, sedicente portatore di conoscenza, e il discente, bottiglia da riempire con inutili adempimenti. Una porta si spalancava, finalmente, sui dilemmi etici che quotidianamente i dipendenti pubblici sono chiamati a risolvere, spesso in situazioni emergenziali e con un forte carico di aspettative da parte delle amministrazioni e dei destinatari. Una formazione sulle piccole decisioni quotidiane, che aprono spiragli verso comportamenti corruttivi spesso mascherati da comode scorciatoie e abilitati da rassicuranti bias cognitivi.


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[1] Obblighi e doveri non sono la stessa cosa: un obbligo viene imposto per garantire interessi specifici di uno o più soggetti, mentre il dovere promuove interessi generali: pagare a un creditore il proprio debito è un obbligo, mentre pagare le tasse è un dovere. Nell’ambito dei codici di comportamento, tuttavia, si parla di obblighi di trasparenza, anche se la trasparenza promuove interessi generali, e di dovere di collaborazione con il RPCT, anche se la collaborazione è rivolta a uno specifico soggetto. Lasciamo a chi, meglio di noi, conosce i fondamenti del diritto l’arduo compito di mettere ordine in questo guazzabuglio. Si tratta, in entrambi i casi, di ingiunzioni positive.

[2] Massimo Di Rienzo, Andrea Ferrarini, Il Ladro di cestini, Azienditalia, 2022. In questo articolo, partendo da una serie di esperimenti sociali condotti da Robert Cialdini (A Focus Theory of Normative Conduct: Recycling the Concept of Norms to Reduce Littering in Public Places June 1990, Journal of Personality and Social Psychology) abbiamo concluso che le regole dei codici di comportamento non devono sostituirsi al filtro etico individuale, disattivando la percezione morale. Questo causerebbe una grave deresponsabilizzazione degli Agenti pubblici, che sarebbero chiamati a seguire le regole in modo inconsapevole. Le regole, invece, devono affiancare il filtro etico delle persone, consolidando le loro percezioni su cosa si può fare e non si può fare in ambito pubblico; e dovrebbero sostituirsi ai valori individuali nei soli casi in cui tali valori non siano in grado di orientare i comportamenti, oppure risultino fuorvianti.

[3] Karl Popper, Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza, Einaudi, 2010. Le posizioni di Popper sono ancora oggi oggetto di un dibattito, che non è possibile rappresentare in questa sede. Tuttavia, l’idea di Popper che una conoscenza non possa dirsi scientifica, se non c’è la possibilità di falsificarla, ci sembra sensata e utile, per comprendere la differenza che intercorre tra la verità e la fede incondizionata; tra imporre ex cathedra un dogma e sperimentare costruire una verità.

[4] La Grecia Antica è stata la culla del pensiero matematico e filosofico, ma anche la culla delle sue contraddizioni: ha regalato al mondo la sistematizzazione assiomatico-deduttiva della geometria di Euclide, ma anche, all’opposto, l’idrostatica di Archimede, basata su un metodo deduttivo e sperimentale; e in ambito filosofico ha sperimentato il conflitto insanabile tra ricerca della verità (Parmenide, Zenone, Socrate, Platone e Aristotele) e ricerca sui limiti della verità e sui rapporti tra verità e linguaggio (Eraclito, Cratilo, Giorgia, Pirrone di Elide, Carneade e Sesto Empirico).

[5] Cfr. Mario de Caro, Emilio Spinelli, Scetticismo. Una vicenda filosofica, Roma, Carocci, 2007: “L’intera vicenda del pensiero occidentale, dalle più remote origini greco-romane sino ai dibattiti che caratterizzano lo stato attuale della ricerca in filosofia, è segnata in profondità dalla cosiddetta “sfida scettica”. Le domande che questa sfida pone sono infatti della più grande rilevanza filosofica: è possibile la conoscenza? Siamo giustificati a credere ciò che crediamo? Possiamo vivere senza certezze?”. Occam, Cartesio, Hume, Kant, Hegel, Wittgenstein, Husserl, Heidegger e Sartre sono solo alcuni dei filosofi che hanno cercando di rispondere, in diversi modi, a questa sfida.

[6] La maggiore disponibilità di dati e informazioni è una caratteristica dell’attuale economia post-industriale, basata sullo sviluppo dell’informatica e delle reti telematiche (c.d. “Società dell’Informazione). 

[7] Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79.

[8] L’art. 4 comma 1 del DL n. 36/2022 in effetti non ha modificato il Codice di Comportamento, ma ha integrato l’art. 54 del D.lgs n. 165/2001, che definisce in termini generali i contenuti del Codice, le sue modalità di approvazione e il suo recepimento da parte delle pubbliche amministrazioni. L’effettiva modifica dei contenuti del Codice di comportamento dovrà essere attuata (presumibilmente da un DPR) entro il 31 dicembre 2022

[9] Le casistiche riportate sono tratte da Elio Guarnaccia, La prima giurisprudenza sul rapporto tra pubblico impiego e social media, Informatica e diritto, 2017

[10] TAR Friuli-Venezia Giulia, sentenza n. 562/2016

[11] Cass. civ., sez. lav., n. 2499/2017

[12] Cost., art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”

[13] CEDU, art. 10 – Libertà di espressione: “1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente

articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.

2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di

informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”.

[14] ICCPR (ONU), art. 19 – “1. Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni.

2. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare,

ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per

iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta.

3. L’esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche”

[15] Vito Tenore, La libertà di pensiero tra riconoscimento costituzionale e limiti impliciti ed espliciti: gli argini normativi e giurisprudenziali per giornalisti, dipendenti pubblici (e privati) e magistrati nell’uso dei social media, Rivista della Corte dei Conti, 2019.

[16] Legge 179/2017 – Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato. Abbiamo parlato di questa norma (e approfondito il delicato tema della tutela dei c.d. whistleblower) nell’articolo “Pro patria mori? Dovere di collaborazione e tutela del whistleblower nell’art. 8 del Codice di Comportamento dei Dipendenti, comparso sulle pagine di questa rubrica.

[17] Direttiva UE n. 2019/1937, considerando n. 31: “Coloro che segnalano minacce o pregiudizi al pubblico interesse di cui sono venuti a sapere nell’ambito delle loro attività professionali esercitano il diritto alla libertà di espressione”

[18] Direttiva UE n. 2019/1937, considerando n. 45.

[19] Ma non tutto è perduto! La Legge n. 127/2022  (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti normativi dell’Unione europea) all’articolo 13 delega il governo a recepimento la Direttiva UE sul whistleblowing. La legge è entrata in vigore il 10 settembre e il governo avrà 3 mesi di tempo per recepire la Direttiva.

[20] L’entropia è un concetto fisico assai complesso, che entra in gioco nell’enunciazione del secondo principio della termodinamica. La definizione matematica di questo concetto, come una funzione di stato di un sistema in equilibrio termodinamico, è totalmente incomprensibile agli autori di questo articolo! I lettori che hanno studiato attentamente la fisica ci perdoneranno, se usiamo il termine entropia come semplice sinonimo di disordine!

[21] Dal momento che la riforma è stata fatta per migliorare la qualità dei servizi, questa domanda sorge spontanea!

[22] Nella vita reale, per esempio, i destinatari non possono sempre scegliere liberamente a quale pubblica amministrazione rivolgersi.

[23] «Com’era quella frase dei Fratelli Karamazov? “Chi mente a se stesso e presta ascolto alle proprie menzogne arriva al punto di non distinguere più la verità, né in se stesso, né intorno a sé”. La citava spesso mio nonno, e diceva che la regola dell’equilibrio morale consiste nell’opposto del comportamento descritto in questa frase. Consiste nel non mentire a noi stessi sul significato e sulle ragioni di quello che facciamo. Consiste nel non cercare giustificazioni, nel non manipolare il racconto che facciamo di noi a noi stessi e agli altri.»(Gianrico Carofiglio, La regola dell’Equilibrio, Einaudi, 2014)

[24] A nostro parere il principio di buona fede entra in gioco laddove leggiamo che il dipendente rispondere alla corrispondenza, alle chiamate telefoniche e ai messaggi di posta elettronica “nella maniera più completa e accurata possibile”, cioè con una completezza e accuratezza che non sono assolute, ma dipendono anche dal tempo a sua disposizione, dai carichi di lavoro e, in generale, dalla necessità, per il dipendente, di svolgere anche altre attività, oltre alla comunicazione con i cittadini. Il principio di correttezza e buona fede stabilisce che “la pubblica amministrazione non deve causare consapevolmente danni ingiusti ai singoli destinatari o alle collettività”. Di conseguenza, qualora il dipendente risponda in modo poco completo o accurato, sarà censurabile solo se ha volutamente agito al di sotto delle proprie possibilità, mentre non sarà censurabile se ha fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità, entro i limiti posti dal contesto organizzativo in cui è inserito.      

[25] L’art. 12 del Codice di comportamento ha cinque commi, ma nostra analisi ma la nostra analisi di ferma al comma 3, perché i commi 4 e 5 sono già stati presi in considerazione, rispettivamente, negli articoli La Geometria delle regole e Il filo di Arianna, pubblicati nel 2022 in questa rubrica.

[26]Come di consueto, le nostre modifiche sono evidenziate in grassetto