LA CUOCA DI GIULIO CESARE. Gli artt. 6 e 7 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici

Questo articolo è apparso sulla Rivista Azienditalia Enti Locali, Mensile per gli enti locali e le loro aziende, nel 2022, nell’ambito della rubrica mensile: lo Spazio Etico, Viaggio nel mondo dei codici di comportamento della PA: istruzioni per l’uso.
“Cäsar schlug die Gallier. / Hatte er nicht wenigstens einen Koch bei sich?“
Cesare sconfisse i Galli. / Non aveva con sé nemmeno un cuoco?
(Bertolt Brecht, “Domande di un lettore operaio”)
Uccideresti la persona che ami?
Premessa. Gli articoli 6 e 7 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (D.P.R. n. 62/2013) introducono obblighi di comunicazione e astensione, finalizzati alla gestione del conflitto di interessi, senza tuttavia mai definire chiaramente questo fenomeno. I due articoli contengono lunghi e articolati elenchi di situazioni e relazioni sensibili della sfera privata, che determinano un conflitto di interessi: un po’ come se, in presenza di nuvole nel cielo, le persone aprissero l’ombrello, senza sapere esattamente cos’è la pioggia. |
Il nostro viaggio tra le regole sta per approdare in una nuova terra. Come marinai in mezzo al mare, vediamo da lontano la sagoma di un’isola misteriosa e i due moli di un porto che sembra abbastanza sicuro: sono gli artt. 6 e 7 del Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici e l’isola misteriosa è il conflitto di interessi.
Consultiamo le nostre carte nautiche e, quasi quasi, siamo tentati di virare altrove e dirigerci verso altri lidi. Sulle pagine di questa rubrica, nel 2021, abbiamo infatti dedicato al conflitto di interessi ben otto articoli, ora confluiti in un e-book[1], studiando tutte le sue varianti sotto tutti i punti di vista. Ma alla fine decidiamo di entrare nel porto, perché c’è ancora una questione da affrontare che sarà al centro di questo articolo.
Regole esplicite e regole situazionali
La gestione dei conflitti di interessi rappresenta il nocciolo duro[2] del Codice di comportamento nazionale ed è attuata attraverso ingiunzioni di diverso tipo, disseminate in numerosi articoli del codice:
– obblighi di comunicazione (art. 5, comma 1; art. 6, comma 1; art. 14, comma 3; art. 13, comma 3);
– divieti (art. 3, comma 3; art. 4, comma 1 e 2; art. 10; art. 14, comma 1);
– obblighi di astensione (art. 6, comma 2; art. 7; art. 14, comma 2).
Tuttavia, il conflitto di interessi non viene mai definito in modo esplicito all’interno del codice: in particolare, gli artt. 6 e 7 non ci dicono cos’è un conflitto di interessi, ma forniscono un elenco (peraltro non esaustivo) di relazioni sensibili, che sono fonte di conflitto di interessi.
In un certo senso, questi articoli introducono una regola situazionale: l’obbligo di astensione si attiva in situazioni specifiche, cioè quando sono coinvolti gli interessi del dipendente o gli interessi di determinati soggetti con cui egli è in relazione nella sua sfera privata. Qualcosa di molto diverso da una regola esplicita, che definisce il fenomeno che si vuole gestire (cioè il conflitto di interessi) e introduce l’astensione come strumento per gestire il fenomeno. Le due regole hanno una struttura profondamente diversa, come mostrato nella Tavola 1:
Tavola 1 – Regole esplicite e situazionali

Anche i codici di comportamento in vigore prima della Legge n. 190/2012, risalenti al 2000 e al 1994[3], trattavano i conflitti di interessi ricorrendo a regole situazionali. Tra i tre codici ci sono delle differenze anche notevoli[4], ma in linea di massima le relazioni sensibili identificate sono riconducibili a cinque schemi, che chiameremo pattern relazionale[5]:
– pattern interpersonale esclusivo (relazioni con parenti, affini entro il secondo grado, con il coniuge, con i conviventi)
– pattern interpersonale inclusivo (rapporti di frequentazione abituale o commensalità)[6]
– pattern conflittuale (relazioni di grave inimicizia o di causa pendente)
– pattern di scambio (relazioni di credito economico e relazioni debito di economico)[7]
– pattern di delega (rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti[8]; relazioni con soggetti od organizzazioni di cui il dipendente è tutore, curatore, procuratore o agente, amministratore, gerente o dirigente)[9].
Come già detto, l’elenco delle relazioni non è esaustivo e, di conseguenza, è possibile l’astensione anche per gravi ragioni di convenienza in situazioni non tipizzate dal Codice.
Una proposta azzardata
Durante i nostri corsi di formazione rileviamo sempre una grande difficoltà, da parte dei dipendenti, a comprendere e applicare concretamente le ingiunzioni degli artt. 6 e 7, in assenza di una chiara definizione del fenomeno del conflitto di interessi. La regola situazionale sembra essere una comoda scorciatoia, per identificare situazioni tipizzate, che rendono necessaria l’astensione; ma che lascia il conflitto di interessi sullo sfondo, come qualcosa di indefinito che emerge in presenza di certe situazioni, ma non è chiaro come emerga e perché. Una regola esplicita sarebbe senza dubbio più utile, anche perché una definizione abbastanza accurata di conflitto di interessi esiste ed è contenuta nell’art. 42, comma 2 del codice degli appalti[10]. Prendendo spunto dal codice degli appalti, possiamo fornire la seguente definizione generale di conflitto di interessi:
– Un dipendente è in conflitto d’interessi quando interviene in un processo della sua amministrazione, o può influenzarne, in qualsiasi modo il risultato, avendo, direttamente o indirettamente, un interesse che può essere percepito come una minaccia all’imparzialità e all’indipendenza del suo ufficio.
Questa definizione copre tutti i casi in cui gli interessi della sfera privata del dipendente pubblico rappresentano una minaccia per l’imparzialità, reale o percepita.
Il conflitto di interessi, dunque, è una situazione di rischio: gli interessi del dipendente potrebbero generare delle interferenze, oppure il dipendente, anche agendo correttamente, potrebbe non apparire imparziale. Abbiamo usato il condizionale, perché il dipendente, quando è in una situazione di conflitto di interessi, non ha ancora adottato nessun comportamento: potrebbe adottare comportamenti che minacciano l’imparzialità, ma potrebbe anche, all’inverso, risolvere il conflitto agendo in modo imparziale.
Saremmo quasi tentati di concludere qui il nostro articolo e suggerire alle amministrazioni un cambio di strategia: “basta con gli elenchi di relazioni che impongono l’astensione a dipendenti inconsapevoli! Definite chiaramente il conflitto di interessi e poi gestitelo con ingiunzioni positive, per aiutare i dipendenti ad adottare comportamenti ispirati ai principi di imparzialità, indipendenza e integrità!”.
Ma sarebbe una proposta azzardata, un errore imperdonabile! Un dipendente in conflitto di interessi non è totalmente libero di agire promuovendo l’imparzialità, anche se lo vorrebbe fare: il suo processo decisionale subisce la pressione delle aspettative che reggono le relazioni della sua sfera privata. Il rischio, reale o percepito, di caduta dell’imparzialità, derivante da comportamenti che devono ancora essere adottati, è solo la faccia più rassicurante del conflitto di interessi. L’altra faccia, più oscura, è l’interferenza relazionale, è il peso delle relazioni sensibili elencate nell’art. 7 del Codice di comportamento, che esistono prima che si generi il conflitto di interessi e che lo attraversano.
Le ingiunzioni positive non servono. È necessaria l’astensione. Perché la domanda giusta da fare a chi è in conflitto di interessi non è: “quale comportamento deciderai di adottare?”. la domanda giusta è: “In nome dell’imparzialità, uccideresti la persona che ami?”[11].
La vita di qualcun altro
Il caso. Il conflitto di interessi è una questione di punti di vista: per l’avvocato che studia le sentenze del tribunale amministrativo, è una situazione giuridica che può avere effetti sulla legittimità di atti e procedure; per l’opinione pubblica che apprende e giudica, è un danno alla credibilità dello Stato; per il dirigente che deve decidere sull’astensione, è un problema organizzativo, che va gestito garantendo comunque il buon andamento dell’ufficio. Ma per il dipendente che è in conflitto di interessi, esattamente il conflitto di interessi cos’è? |
Lei si chiamava Barbara Braccata ed era convinta di essere la cuoca di Giulio Cesare. Passava le sue giornate con carta, penna e dizionario, a scrivere una monumentale opera di cucina in latino, il De Frictura Gallica. Ogni tanto si guardava intorno, con occhi allarmati: temeva di essere attaccata dall’esercito di Vercingetorige.
Lui si chiamava Francesco, ma tutti lo chiamavano Cecco. Cecco Lista, meccanico radiatorista presso l’Autofficina di Viale Alberto Audit, nel Comune di Smemoranda. Un malaugurato giorno l’insegna della sua officina era caduta e Cecco era sotto: trasportato in coma al pronto soccorso, si era svegliato dopo qualche mese, convinto di essere un auditorprofessionista.
Entrambi erano ricoverati in una Comunità Terapeutica, dove medici, psicologi ed educatori cercavano di ricondurli alle loro vere identità, ma con risultati diversi. Barbara Braccata, grazie ai farmaci, aveva superato la sua fobia per i Galli, ma ora temeva i Britanni e, nel complesso, non dava grandi segni di miglioramento. Cecco Lista, invece, stava sempre meglio: adesso riusciva a leggere un intero numero di Quattroruote senza usare una checklist ed elencava correttamente i componenti di un motore ibrido, senza chiamarli items.
Un mattino di maggio, purtroppo, la salute mentale di Cecco Lista ebbe un tracollo ed egli si svegliò in preda ad un feroce delirio ispettivo. Uscì di corsa dalla sua stanza e, giunto nel cortile della Comunità Terapeutica, si diresse verso Barbara Braccata, che era seduta su una panchina vicino ad una vecchia quercia ed attendeva il ritorno delle legioni di Giulio Cesare:
– Buongiorno signora! Lei è stata selezionata per una verifica ispettiva a sorpresa, finalizzata al miglioramento del sistema di gestione della sua azienda!
– Ma tu sei veramente pazzo? – chiese Barbara Braccata, senza scomporsi.
– Non sono un pazzo. Sono un auditor aziendale. Mi fornisca cortesemente le sue generalità, il ruolo, l’unità organizzativa di appartenenza e i riporti!
– Sì, sei veramente pazzo. A te posso dire tutta la verità – concluse Barbara Braccata. Fece una breve pausa e poi incominciò a raccontare:
– Mi chiamo Barbara Braccata e lavoravo presso l’ufficio appalti del Comune di Smemoranda. Il mio dirigente era Claudio Cecato e mio marito era dipendente della Lavoben Spa, un’impresa di pulizie.
– Si attenga alle domande! – la redarguì Cecco Lista – L’audit è sul suo lavoro, non sulla sua vita privata!
– Certamente! Mi atterrò alle domande. Quando presi servizio, mi diedero un modulo da compilare e io dichiarai che mio marito lavorava alla Lavoben. Di conseguenza, il dott. Cecato…
– … il suo dirigente, giusto?
– … esatto! Il dott. Cecato, dicevo, decise che non avrei mai dovuto occuparmi di gare per l’affidamento dei servizi di pulizia, perché ero in una situazione di conflitto di interessi.
– Ottima procedura! – esclamò Cecco Lista – Ci sono evidenze oggettive della decisione presa dal dott. Cecato?
– È tutto messo per iscritto e archiviato nel mio fascicolo personale.
Barbara Braccata e Cecco Lista non si erano accorti che una psicologa della Comunità, avendoli visti parlare, si era nascosta dietro la quercia e li ascoltava con attenzione.
– Mio marito ed io ci amavamo molto. Anche se non abbiamo quasi mai avuto tempo di dircelo. Entrambi, per molti anni, abbiamo pensato solo a crescere i figli e a lavorare. Poi i figli sono diventati grandi e mio marito ha deciso di cambiare vita. Ha dato le dimissioni e ha aperto un bar.
– E lei, dott.ssa Braccata, ha aggiornato la sua dichiarazione, dicendo che suo marito aveva cambiato lavoro!
– Esatto. E non essendo più in una situazione di conflitto di interessi, adesso potevo occuparmi anche degli affidamenti per i servizi di pulizia e sanificazione dei locali del Comune. E c’era proprio un contratto di questo tipo, che era in scadenza…
Gli occhi scuri di Cecco Lista si illuminarono e un sorriso apparve sul suo grezzo viso da radiatorista, reso scuro da anni di fiamma ossidrica:
– L’audit odierno prevede la verifica documentale di un campione di procedure di gara. Quindi, mi dica come è stato gestito questo bando per i servizi di pulizia…
La psicologa nascosta dietro la quercia notò che tra i due si era instaurata un’intesa particolare: Cecco Lista sembrava assecondare Barbara Braccata, che sembrava fidarsi di lui.
– Dopo qualche mese, Claudio Cecato mi chiamò e mi disse che avrei dovuto essere io il RUP della procedura di gara. Il contratto sarebbe stato triennale e l’operatore economico selezionato con una procedura aperta e con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Prima di nominarmi RUP, Cecato mi chiese di firmare una dichiarazione, per attestare ancora una volta l’assenza di conflitti di interessi.
– Una pura formalità – esclamò Cecco Lista – inutile burocrazia! Ovviamente non c’era più alcun conflitto di interessi … suo marito adesso faceva il barista!
– In realtà … non era tutto così chiaro. Almeno per me… Dopo che mio marito aveva smesso di lavorare per la Lavoben, erano successe delle cose…
Barbara Braccata fece una pausa e chiuse gli occhi, come per ricordare. Cecco Lista rimase con la bocca aperta, in attesa che il racconto proseguisse. La psicologa scrisse degli appunti sul suo taccuino: la paziente, per la prima volta dopo dieci anni, stava parlando senza citare Giulio Cesare, i Galli e le specialità gastronomiche dell’Antica Roma!
– Per affrontare le spese di avviamento del bar, mio marito faceva conto sul TFR… il trattamento di fine rapporto …
– … cioè la liquidazione, giusto?
– Esatto! Ma dopo le sue dimissioni, del TFR nemmeno l’ombra! All’inizio i titolari della Lavoben avevano preso tempo, dicendo che erano un po’ in crisi. Ma alla fine è saltato fuori che il TFR di mio marito non lo avevano proprio in nessun modo accantonato!
– Una gravissima non conformità! E lui cosa ha fatto?
– Si è rivolto a un avvocato, che ha proposto un pagamento a rate del TFR dovuto … L’avvocato era ottimista: la Lavoben, per evitare una causa, alla fine avrebbe pagato. Insomma, prima di firmare il modulo, ne parlai con il dott. Cecato, per capire se fossi ancora in conflitto di interessi.
– E lui cosa disse?
– Ci pensò su per un po’. Ma neanche tanto. Poi mi disse che le cause di astensione sono tipizzate e non possono essere interpretate in modo troppo fantasioso. Io non ero in causa con la Lavoben e se un avvocato stava per trovare un accordo per il pagamento a rate del TFR … beh … non si poteva certo dire che ci fosse grave inimicizia! Insomma, il dott. Cecato non vedeva alcun collegamento tra il mio ruolo di RUP e i problemi di mio marito con il TFR, nessuna grave ragione che potesse far dubitare della mia imparzialità e rendesse conveniente un’astensione …
Cecco Lista già da un po’ non stava più ascoltando Barbara Braccata e guardava impaziente l’orologio. Si alzò dalla panchina e le strinse la mano:
– Direi che possiamo considerare conclusa questa sessione di audit, anche perché oggi devo fare un’ispezione in un’altra azienda e sono già in ritardo. Le comunicherò l’esito dell’incontro odierno ed eventuali non conformità rilevate!
Si allontanò trotterellando, lasciando Barbara Braccata da sola sulla panchina. La psicologa decise, allora, che era giunto il momento di farsi vedere:
– Buongiorno Barbara! Sarei curiosa di sapere come è andata a finire …
– Stavi ascoltando?
– Sì, per tutto il tempo. E credo che sia arrivato il tuo momento: ora puoi dirmi tutta la verità.
Barbara Braccata abbassò gli occhi e ricominciò il suo racconto, ma le frasi adesso sembravano cadere a pezzi tra le sue labbra:
– Sono rimasta al mio posto. Poi mio marito … quella sera è arrivato a casa … era tutto felice … i titolari della Lavoben lo avevano chiamato … gli avevano parlato di una gara al Comune di Smemoranda … e mio marito era tutto felice… disse che avremmo avuto i soldi… perché io …
Barbara Braccata cominciò a piangere e la psicologa finì la frase al posto suo:
– … perché tu eri il RUP di quella gara e potevi avere un occhio di riguardo per la Lavoben…
– Sì. Mi ha chiesto se potevo parlare con loro, dare qualche informazione …
– E tu cosa gli hai risposto?
– Che non potevo. Ma lui mi ha detto…
– Vediamo se indovino … “Se mi ami davvero devi farlo!” … “Siamo nella stessa barca!” … “Tu sai quanto ci tengo a quel bar!” … “Per te il mio lavoro è sempre stato un problema!” … ha detto una di queste cose, giusto? Quando gli uomini vogliono farci sentire in colpa, dicono più o meno sempre le stesse cose. È successo anche a me.
– Ha detto più o meno così e io ho accettato e una domenica siamo andati nella sede della Lavoben, dai suoi “capi” (li chiamava così), che mi hanno fatto un sacco di domande. Poi ci hanno portato fuori a pranzo, a mangiare il pesce. Mio marito a tavola era molto allegro e aveva bevuto qualche bicchiere di troppo: scherzava con uno dei due titolari, ricordando aneddoti del suo lavoro alla Lavoben. L’altro socio, invece, parlava con me in tono cortese e a un certo punto mi ha chiesto di poter vedere le bozze del capitolato d’appalto…
– E tu?
– E io non ho saputo cosa dire. Mi sembrava di vivere la vita di qualcun altro. Ho solo detto a mio marito che volevo andare a casa. Poi… nel pomeriggio, mio marito ha preso una scala per montare una tenda da sole sul balcone. Era lì, un po’ brillo, in bilico su un piolo… ed io ho pensato per un istante che, se lo avessi spinto giù, forse avrei risolto tutti i miei problemi.
– Ma non lo hai fatto – disse la psicologa con voce rassicurante.
– No. Non l’ho fatto. Ho preferito diventare la cuoca di Giulio Cesare… Mi è venuto in mente leggendo una poesia di Brecht: “Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco?”. I cuochi di Cesare erano stati cancellati dalla Storia. Io potevo provare a cancellarmi dalla vita.
– E ci sei quasi riuscita. Hai ingannato tutti. Sei stata un’ottima attrice!
– Adesso però la commedia è finita, vero? – chiese Barbara Braccata con una luce di speranza negli occhi.
– Sì, è finita. È troppo tempo che ti punisci, senza aver fatto nulla di male…
La strategia dell’opossum
I Principi. Il conflitto di interessi può essere gestito, in diversi modi. È possibile imporre al dipendente l’astensione, ma è anche possibile lasciare che svolga le sue funzioni, controllando il suo operato. In teoria, si potrebbe anche agire sul destinatario, che è in relazione con il dipendente pubblico, per impedire che venga coinvolto nei processi gestiti dall’ufficio. Queste diverse strategie possono essere più o meno accettabili, a seconda dei principi etici che entrano in gioco, nel momento in cui il responsabile di un ufficio deve gestire il conflitto di interessi di un proprio collaboratore. Alla luce dei principi di Imparzialità, Integrità, Indipendenza e Proporzionalità, l’astensione risulta essere la misura di gestione più adeguata. |
La povera Barbara Braccata decide di fingersi folle, per sfuggire al conflitto che si è generato tra il suo ruolo pubblico e la sua sfera privata. Ma il suo superiore gerarchico, Claudio Cecato si rivela davvero privo di senno, quando decide di non farla astenere, perché interpreta in modo confuso l’art. 7 del Codice di comportamento e sottovaluta l’intensità degli interessi e delle aspettative che pulsano dentro le relazioni della nostra sfera privata.
Il marito di Barbara Braccata ha una chiara aspettativa nei confronti di sua moglie: si aspetta che lei faccia di tutto per aiutarlo a incassare il TFR, anche interferendo nella procedura di gara. Quel TFR è come se fosse di Barbara Braccata, perché moglie e marito viaggiano nella stessa barca e devono farsi carico l’uno dell’altro, nella buona e nella cattiva sorte: è la regola delle relazioni interpersonali esclusive. Deludere questa aspettativa di presa in carico significa mettere a rischio la relazione.
Barbara Braccata, insomma, deve scegliere se essere una buona moglie o una buona RUP, se stare dalla parte di suo marito o dalla parte della sua Pubblica Amministrazione. Formalmente, è un po’ burocraticamente, possiamo liquidare la questione dicendo che Barbara Braccata deve astenersi perché la procedura di gara coinvolge un soggetto che ha un rilevante debito economico nei confronti di suo marito. Ma nella sostanza, quello che Barbara Braccata sta vivendo è un atroce dilemma, che coinvolge la sua dimensione etica e organizzativa, innescato da una potente interferenza relazionale, che deve essere gestita con adeguate strategie.
Fingersi morti
L’opossum della Virginia (Didelphis virginiana) ha sviluppato una singolare tecnica, per salvarsi dai predatori: fingersi morto. Questo piccolo mammifero marsupiale diffuso nel continente americano, quando si sente minacciato, entra in una forma di coma, con la bocca aperta, gli occhi vitrei e la lingua che fuoriesce. La sua pantomima è resa ancor più realistica dal terribile odore di putrefazione che emette da apposite ghiandole anali. Questa strategia di difesa, comune anche ad altri animali (coleotteri, colubridi, anfibi e pesci) è detta tanatosi.
A pensarci bene, l’obbligo di astensione è una sorta di tanatosi organizzativa. Quando si trova in conflitto di interessi, il dipendente è chiamato a sospendere tutte le sue funzioni d’ufficio: deve fingersi morto, per sfuggire alla minaccia rappresentata dagli interessi della sua sfera privata.
L’obbligo di astensione consente di ridurre le interferenze relazionali e il rischio che il dipendente adotti comportamenti che minacciano gli interessi pubblici e la percezione di imparzialità. Tuttavia, è una misura difficile da attuare se un ufficio è in carenza di personale, oppure in ambiti in cui, a causa dell’elevata specializzazione, il dipendente non può essere sostituito, senza mettere a rischio l’erogazione dei servizi o il buon andamento dell’azione amministrativa.
Lo struzzo e il quokka
Confrontandoci con i responsabili degli uffici, abbiamo spesso rilevato che l’astensione molto spesso per loro rappresenta un problema. I responsabili degli uffici comunali, i dirigenti delle unità organizzative delle aziende sanitarie, i quadri delle società pubbliche, e tutti gli altri soggetti che sono chiamati a decidere sull’astensione di un dipendente, spesso sono tentati di adottare strategie diverse, per gestire il conflitto di interessi. Ne elenchiamo due, che sono particolarmente interessanti:
– la strategia dello struzzo[12]: lasciare che il dipendente svolga le proprie funzioni, pur essendo in conflitto di interessi, nella convinzione che il dipendente non svolga attività caratterizzate da un elevato grado di discrezionalità (le norme e le procedure interne decidono al posto suo) e che le interferenze relazionali non siano così intense da condizionare il suo operato;
– la strategia del quokka[13]: agire sull’altro nodo della relazione “sensibile” che determina il conflitto di interessi, cioè impedire che diventi a tutti gli effetti un destinatario dell’amministrazione, escludendolo da una gara, convincendolo a non partecipare a un concorso pubblico, dissuadendolo dal richiedere un contributo.
La strategia dello struzzo non può essere esclusa a priori: l’art. 7 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici stabilisce che “sull’astensione decide il superiore gerarchico”, e quindi il superiore gerarchico può effettivamente decidere di non far astenere il dipendente. Esistono inoltre delle soluzioni intermedie, delle alternative all’astensione che non lasciano completamente da solo il dipendente: il superiore gerarchico può avocare a sé la decisione finale, lasciando il dipendente a gestire le fasi istruttorie, oppure può affiancare al dipendente un collega, oppure ancora può esercitare un controllo rinforzato sulle attività e sulle decisioni gestite dal dipendente in conflitto di interessi. Queste soluzioni alternative sono una variante della strategia dello struzzo: una strategia dello struzzo prudente.
La strategia del quokka, invece, è un po’ più controversa. L’art. 80, comma 5, lett. d) del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50 2016), per esempio, permette di escludere un operatore economico da una gara, nel caso in cui tale partecipazione determini una situazione di conflitto di interessi non diversamente risolvibile. Questa strategia scarica i costi del conflitto di interessi sul destinatario e in certi casi non può in alcun modo essere attuata: non è possibile, per esempio, impedire a un destinatario di presentare una istanza di autorizzazione ad un ufficio, oppure chiedergli di rinunciare ad una prestazione sanitaria, per evitare che si determini un conflitto di interessi.
L’astensione: una “extrema ratio”?
In questa sede, non ci interessa approfondire più di tanto i vincoli normativi oppure organizzativi, che possono consentire di adottare le strategie dello struzzo (più o meno prudente) e del quokka. E non ci interessa nemmeno esplorare l’intuizione morale associata a queste strategie: indubbiamente, molte persone (dipendenti pubblici inclusi) percepiscono come ingiusto scaricare la responsabilità della gestione del conflitto di interessi sul dipendente o sul destinatario, mentre, al contrario; ma tutto questo, lo ribadiamo, adesso non ci interessa. Vogliamo invece capire se queste strategie sono compatibili con i principi dell’etica pubblica e, soprattutto, se l’astensione, alla luce di tali principi, è da preferire alle altre misure di gestione, oppure se, al contrario, è una extrema ratio, da prendere in considerazione solo nei casi in cui il conflitto di interessi non sia in altro modo gestibile.
Come sappiamo, non tutti i principi dell’etica pubblica sono rilevanti in tutte le situazioni: dobbiamo quindi capire, quali principi scendono in campo e sono in gioco nella gestione del conflitto di interessi.
Il conflitto di interessi minaccia la percezione di imparzialità e di conseguenza faremo scendere in campo innanzitutto tre principi TRUST[14] strettamente connessi tra loro:
– Imparzialità: la Pubblica Amministrazione deve essere equidistante da tutti gli interessi in gioco;
– Integrità: la Pubblica Amministrazione deve promuovere gli interessi della collettività;
– Indipendenza: la Pubblica Amministrazione non può essere condizionata da gruppi o interessi particolari.
La strategia dello struzzo non soddisfa questi principi: è molto probabile che il dipendente in conflitto di interessi, lasciato da solo, non sia in grado di resistere alle interferenze relazionali che, come abbiamo visto, possono essere molto potenti. La strategia dello struzzo prudente, invece, sembra adeguata: attraverso l’avocazione, l’affiancamento e i controlli è possibile ridurre sensibilmente le interferenze relazionali e impedire che il dipendente favorisca interessi della propria sfera privata a discapito degli interessi primari del suo ufficio[15]. Lo stesso discorso vale per la strategia del quokka: se i soggetti che sono in una relazione sensibile con un dipendente pubblico non possono diventare suoi destinatari, l’interferenza automaticamente si annulla!
Ovviamente, la strategia dell’opossum, l’astensione del dipendente, è adeguata a soddisfare tutti i principi in gioco, ma il problema è che lo è a pari merito con altre strategie. Se sono in gioco solo l’imparzialità, l’indipendenza e l’integrità dell’amministrazione, non abbiamo buone ragioni per suggerire ai superiori gerarchici di preferire l’astensione come strategia di gestione del conflitto di interessi: se si comportano come dei quokka o degli struzzi prudenti, non fanno nulla di male.
Secondo round
Proviamo allora a continuare il nostro gioco (che in realtà è una seria analisi degli statement[16] su cui si deve fondare la regolazione dei conflitti di interessi) facendo scendere in campo un altro importante principio TRUST:
– Proporzionalità: la Pubblica Amministrazione deve agire in modo da non eccedere i propri fini ed effettuare un corretto bilanciamento degli interessi in gioco, affinché la promozione degli interessi primari non danneggi in modo ingiustificato altri interessi.
A nostro parere, questo principio, entrando in campo, ribalta le sorti della nostra partita, proprio come un fuoriclasse del gioco del pallone!
La strategia del quokka, infatti, non supera il test del principio di Proporzionalità: escludere alcuni soggetti dal novero dei destinatari di un ufficio, a causa del conflitto di interessi di un dipendente, significa comprimere i diritti di questi soggetti e impedire loro di promuovere interessi che sono legittimi. Questa strategia, insomma, se da un lato elimina le interferenze relazionali, dall’altro danneggia in modo ingiustificato gli interessi e i diritti dei destinatari. Anche la previsione dell’art. 80, comma 5, lett. d) del Codice dei contratti pubblici deve essere considerata a tutti gli effetti come una extrema ratio: l’esclusione del concorrente è una strategia residuale, che può essere adottata solo quando non è stato possibile gestire in altro modo il conflitto di interessi.
La strategia dell’opossum centra in pieno l’obiettivo: l’astensione gestisce il conflitto di interessi senza chiedergli di rinunciare alle proprie relazioni o agli interessi della sfera privata e senza incidere sui diritti dei destinatari. Se, per esempio, il dipendente di un Comune ha una moglie che è titolare di una società informatica, costui non dovrà rinunciare a sua moglie e sua moglie potrà tranquillamente partecipare alle gare bandite dal Comune: il dipendente sarà semplicemente escluso da qualunque fase del processo di approvvigionamento e si dovrà astenere anche dall’acquisire e diffondere informazioni che possano avvantaggiare la moglie. Il dipendente potrà anche, in cuor suo, fare il tifo per la moglie, augurarsi che vinca la gara, ma non potrà fare l’arbitro: dovrà seguire il match seduto tra il pubblico. Non c’è davvero nulla di sproporzionato nell’astensione.
La strategia dello struzzo prudente[17], invece, deve essere usata con estrema cautela: dalla triste storia di Barbara Braccata (vi ricordate?) abbiamo imparato che un dipendente in conflitto di interessi, se non riesce a gestire le interferenze, potrebbe mettere a rischio le relazioni della sua sfera privata: esporre un dipendente a un tale rischio è senza dubbio una scelta che non rispetta il principio di Proporzionalità. Si tratta, quindi, di una strategia che può essere adottata solo quando, realmente, il dipendente in conflitto di interessi non può influenzare in modo rilevante l’esito di una procedura o di un procedimento dell’organizzazione.
In sintesi, l’entrata in campo del principio di Proporzionalità ha deciso le sorti della partita: gli opossum hanno vinto alla grande, perché l’astensione è risultata essere la misura di gestione del conflitto di interessi che soddisfa tutti i principi dell’etica pubblica in gioco: imparzialità, indipendenza, integrità e proporzionalità. Seguono, al secondo posto, gli struzzi prudenti, mentre i quokka sono in coda alla classifica. E, ovviamente, mai e poi mai possiamo mettere la testa sotto la sabbia, fingendo che il conflitto di interessi non esista e lasciando i dipendenti da soli ad affrontare la tempesta delle interferenze relazionali.
Terzo round
I quokka ci sono rimasti male e chiedono a gran voce una rivincita. Vorrebbero giocare un terzo round, facendo scendere in campo i principi di Buon andamento, Efficacia ed Efficienza. Ma il conflitto di interessi è un fenomeno che minaccia la credibilità di una Pubblica Amministrazione, non la qualità dei servizi o dei procedimenti. Questi tre principi, se entrassero in campo, giocherebbero con altre regole, che in alcun modo aiuterebbero le amministrazioni a gestire il conflitto di interessi.
Gli autori di questo articolo hanno deciso, senza possibilità di appello, che il terzo round non verrà mai disputato.
L’archeologia delle regole
Le ingiunzioni. Il conflitto di interessi viene gestito, come noto, principalmente in due articoli del D.P.R. n. 62/2013: l’art. 6 e l’art. 7. I due articoli non sono collegati tra loro e hanno anche una diversa impostazione. L’art. 6 sembra ispirato soprattutto ai principi di trasparenza e indipendenza, cioè alla necessità della Pubblica Amministrazione di rendere conto delle relazioni che intercorrono tra dipendenti pubblici e soggetti privati. Invece l’art. 7 chiama in causa maggiormente i principi di imparzialità e integrità assimilando il decisore pubblico ad un “terzo” rispetto alle parti in causa. Gli obblighi di dichiarazione e astensione erano già presenti nel primo codice di comportamento dei dipendenti pubblici, emanato nel 1994 e, attraverso l’aggiornamento del 2000, sono confluiti nel 62/2013. Un percorso di sviluppo durato quasi un ventennio, fatto di stratificazioni e ripensamenti, con esiti che, come vedremo, non sono sempre soddisfacenti in termini di coerenza e chiarezza. |
Anche le regole hanno una storia e quella degli artt. 6 e 7 è molto interessante. Le ingiunzioni contenute in questi due articoli sono già presenti nel Codice Cassese (il primo codice di comportamento dei dipendenti pubblici) varato con un Decreto del Ministro della Funzione Pubblica il 31 marzo 1994.
L’approvazione di questo codice deve essere inquadrata nel percorso di riforma della Pubblica Amministrazione avviato negli anni Novanta, in particolare nel D.Lgs. n. 29/1993[18] di privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego: una riforma profondamente influenzata Tangentopoli e che si tradusse anche in un tentativo di reazione al sistema di malaffare e corruzione portato alla luce da Mani Pulite, per restituire credibilità alla politica e alle istituzioni repubblicane[19].
Il D.Lgs. n. 29/1993 introdusse infatti il principio di distinzione tra attività di gestione e l’attività di indirizzo politico e delegò al Dipartimento della funzione pubblica la responsabilità di definire e adottare un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni[20]. I Codice del 1994, ispirato ai code of ethicsstatunitensi[21], doveva essere recepito nei contratti collettivi di lavoro e nacque proprio con l’obiettivo di identificare un nucleo minimo di principi e doveri di etica pubblica, definiti in modo unilaterale dallo Stato, da salvaguardare nell’ambito del percorso di privatizzazione del pubblico impiego. Sull’efficacia dei codici e sulla effettiva possibilità di definire regole di etica pubblica e nel quadro di un rapporto di lavoro privatizzato, il dibattito è ancora aperto[22] e noi non intendiamo intervenire in questo dibattito: ci concentreremo esclusivamente sui contenuti, come dei pazienti archeologi che scavano in decreti ministeriali ormai abrogati e dimenticati da tempo, per ricostruire la storia delle regole.
Regole sinottiche
Gli obblighi di comunicazione e di astensione erano già contenuti, rispettivamente, negli artt. 5 e 6 del Codice Cassese, che è stato aggiornato nel 2000, con un decreto dell’allora Ministro Franco Bassanini[23]. Il Codice del 2000 ha riscritto quasi completamente le regole di comunicazione e astensione, che sono poi confluite, con alcune rilevanti modifiche, negli artt. 6 e 7 del Codice di comportamento nazionale, introdotto dal D.P.R. n. 62/2013.
I tre codici hanno comunque un impianto molto simile e, come i vangeli, possono essere letti in modo sinottico[24], come nelle tavole seguenti:
Tavola 2 – Obblighi di dichiarazione a carico dei dipendenti[25]
Codice Cassese (D.M. 31 marzo 1994) | Art. 5. Obblighi di dichiarazione 1. Il dipendente informa per iscritto il dirigente dell’ufficio degli interessi, finanziari o non finanziari, che egli o suoi parenti o conviventi abbiano nelle attività o nelle decisioni inerenti all’ufficio. 2. Il dipendente informa per iscritto il dirigente dell’ufficio degli interessi finanziari che soggetti, con i quali abbia o abbia avuto rapporti di collaborazione in qualunque modo retribuita, abbiano in attività o decisioni inerenti all’ufficio. |
Codice Bassanini (D.M. 28 novembre 2000) | Art. 5. Trasparenza negli interessi finanziari 1. Il dipendente informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti di collaborazione in qualunque modo retribuiti che egli abbia avuto nell’ultimo quinquennio, precisando: a) se egli, o suoi parenti entro il quarto grado o conviventi, abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione; b) se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all’ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate. |
Codice Nazionale (D.P.R. n. 62/2013) | Art. 6 Comunicazione degli interessi finanziari e conflitti d’interesse. 1. Fermi restando gli obblighi di trasparenza previsti da leggi o regolamenti, il dipendente, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni, precisando: a) se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione; b) se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all’ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate. 2. Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici. |
Tavola 3 – Obblighi di astensione[26]
Codice Cassese (D.M. 31 marzo 1994) | Art. 6. Obblighi di astensione 1. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere, direttamente o indirettamente, interessi finanziari o non finanziari propri o di parenti o conviventi. L’obbligo vale anche nel caso in cui, pur non essendovi un effettivo conflitto di interessi, la partecipazione del dipendente all’adozione della decisione o all’attività possa ingenerare sfiducia nella indipendenza e imparzialità dell’amministrazione. 2. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere, direttamente o indirettamente, interessi finanziari di soggetti con i quali abbia rapporti di collaborazione in qualunque modo retribuita. Nei due anni successivi alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro o di collaborazione, il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere, direttamente o indirettamente, interessi finanziari dei soggetti sopra indicati. Per il dipendente che abbia avuto cariche direttive in imprese o enti pubblici o privati, l’obbligo di astensione ha la durata di cinque anni. L’obbligo vale anche nel caso in cui, pur non essendovi un effettivo conflitto di interessi, la partecipazione del dipendente all’adozione della decisione o all’attività possa ingenerare sfiducia nella indipendenza e imparzialità dell’amministrazione. 3. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni e ad attività che possano coinvolgere, direttamente o indirettamente, interessi finanziari di individui od organizzazioni che, negli ultimi cinque anni, abbiano contribuito con denaro o altre utilità alle sue spese elettorali. 4. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni e ad attività che possano coinvolgere, direttamente o indirettamente, interessi finanziari, di individui od organizzazioni presso cui egli aspira ad ottenere un impiego o con cui egli aspira ad avere incarichi di collaborazione. 5. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere, direttamente o indirettamente, interessi finanziari o non finanziari: a) di individui di cui egli sia commensale abituale; b) di individui od organizzazioni con cui egli stesso o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito; c) di individui od organizzazioni di cui egli sia tutore, curatore, procuratore o agente; d) di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente. 6. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il dirigente dell’ufficio; quando l’astensione riguarda quest’ultimo, decide il dirigente competente in materia di affari generali e personale. 7. Nel caso in cui, presso l’ufficio in cui presta servizio, siano avviati procedimenti che coinvolgano gli interessi di individui o organizzazioni rispetto ai quali sia prevista l’astensione, il dipendente informa per iscritto il dirigente dell’ufficio. |
Codice Bassanini (D.M. 28 novembre 2000) | Art. 6. Obbligo di astensione 1. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri ovvero: di suoi parenti entro il quarto grado o conviventi; di individui od organizzazioni con cui egli stesso o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito; di individui od organizzazioni di cui egli sia tutore, curatore, procuratore o agente; di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il dirigente dell’ufficio. |
Codice Nazionale (D.P.R. n. 62/2013) | Art. 7 Obbligo di astensione 1. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza. |
Dimmi da dove vieni e ti dirò chi sei
Da poco usciti dallo tsunami dell’inchiesta Mani Pulite, i redattori del Codice Cassese hanno sentito certamente l’esigenza di introdurre misure di disclosure[27], per garantire una adeguata trasparenza nei rapporti tra funzionari pubblici e soggetti privati. Nel vecchio Codice del 1994 gli obblighi di dichiarazione sono descritti in modo abbastanza generico: il dipendente è tenuto ad “informare per iscritto il dirigente degli interessi, finanziari o non finanziari, che egli o suoi parenti o conviventi abbiano nelle attività o nelle decisioni inerenti all’ufficio”e deve anche rendere edotta la sua amministrazione “degli interessi finanziari che soggetti, con i quali il dipendente abbia o abbia avuto rapporti di collaborazione in qualunque modo retribuita, abbiano in attività o decisioni inerenti all’ufficio”.
Il Codice Bassanini, nel 2000 ha migliorato la comprensibilità di queste ingiunzioni, riformulandole più o meno così come le troviamo ancora oggi nell’art. 6 del D.P.R. n. 62/2013, anche se con piccole ma significative differenze. Nell’attuale formulazione, ad esempio, è stata introdotta la locuzione “diretti o indiretti”, relativamente ai rapporti di collaborazione intercorsi, è stato chiarito che la dichiarazione deve essere rilasciata “all’atto dell’assegnazione dell’ufficio” e devono essere dichiarati i rapporti di collaborazione intercorsi “negli ultimi tre anni”, a differenza del Codice Bassanini, che prendeva in considerazione gli ultimi cinque anni.
Questo articolo non è privo di stranezze e incertezze. Per esempio, alla fine del comma 2 si fa riferimento agli interessi “derivanti dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici”: un riferimento, nemmeno troppo velato, alle interferenze (politiche, sindacali o del superiore gerarchico) che possono generarsi all’interno di un’amministrazione, piazzato come una postilla in coda ad un articolo che è però dedicato alle collaborazioni e agli interessi finanziari della sfera privata.
Un’altra incertezza è relativa ai soggetti privati che potrebbero essere destinatari dell’ufficio. Nella lett. b) del primo comma si chiede al dipendente di identificare i soggetti “che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all’ufficio limitatamente alle pratiche a lui affidate”. Questo riferimento alle pratiche è alquanto problematico, perché il dipendente, che ha appena preso servizio, potrebbe non sapere esattamente quali pratiche dovrà gestire.
Ma la più grande stranezza dell’art.6 è rappresentata senz’altro dall’obbligo di astensione previsto nel comma 2[28]. Come vedremo in seguito, questo obbligo di astensione sembra affiancarsi e sovrapporsi all’obbligo di astensione previsto dal successivo art. 7.
Nemo iudex in re sua
La genesi dell’obbligo di astensione dei dipendenti pubblici è facilmente individuabile nell’art. 51 c.p.c.[29] che stabilisce le cause di astensione del giudice. Molte delle situazioni identificate nell’art. 51 del c.p.c. sono diventate anche cause di astensione del dipendente pubblico, comprese le “gravi ragioni di convenienza” Con un certo dispiacere per noi vecchi tromboni classicisti, la “commensalità”, invece, diventata “frequentazione abituale”[30].
Secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale, l’elenco delle cause di astensione dei giudici è tassativo e non suscettibile di interpretazione analogica né estensiva, mentre relativamente all’elenco dell’art. 7 del Codice di comportamento c’è un dibattito acceso[31], rispetto al quale noi abbiamo scelto la strada della “non tassatività” che sembra essere peraltro indicata sia dall’art. 42 del Codice degli appalti[32] sia da orientamenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato[33].
L’attuale elenco delle situazioni tipizzate che determinano l’obbligo di astensione si è sensibilmente modificato nel corso degli anni. Nel Codice Cassese, per esempio, era esplicitamente previsto che il dipendente si dovesse astenere da decisioni o attività che coinvolgessero interessi di soggetti con cui aveva rapporti di collaborazione in atto o conclusi negli ultimi due anni o presso cui aspirasse di trovare un impiego (art. 6, commi 2 e 4); di soggetti che avessero finanziato le sue spese elettorali (art. 6, comma 3); e di enti pubblici e privati presso cui avesse svolto funzioni direttive (art. 6, comma 2). Si tratta di situazioni che non sono più richiamate dall’art. 7 del Codice, ma questa circostanza non le rende meno esposte al rischio di interferenza relazionale: l’elenco delle relazioni “sensibili” è senza dubbio non esaustivo e meramente indicativo!
L’obbligo di astensione è una misura che deriva dall’impossibilità oggettiva per il dipendente pubblico di rimanere nel processo o procedimento. Tale impossibilità emerge da due diverse prospettive: la prima è riferita alla oggettiva limitazione della sua prerogativa di osservare i fatti dalla necessaria distanza e affermare il verbo dell’interesse pubblico. La seconda è riferita al giudizio o al pregiudizio che un osservatore esterno può trarre dalla circostanza che un interesse diretto o indiretto del dipendente pubblico potrebbe interferire nel procedimento.
Nella prima prospettiva, viene minacciata l’imparzialità, cioè l’equidistanza della funzione amministrativa da ogni interesse in gioco e la garanzia di promozione, in via esclusiva, degli interessi primari.
Nella seconda prospettiva, viene minacciata è la percezione di imparzialità, cioè l’aspettativa che la collettività nutre nell’azione imparziale di un’organizzazione pubblica.
La seconda prospettiva sembra essersi persa nel passaggio tra il Codice di comportamento del 1994 e l’attuale. Ebbene sì, il vecchio Codice, all’art. 6, comma 1, conteneva questo bell’inciso che poi è andato perduto: “L’obbligo (di astensione) vale anche nel caso in cui, pur non essendovi un effettivo conflitto di interessi, la partecipazione del dipendente all’adozione della decisione o all’attività possa ingenerare sfiducia nell’indipendenza e imparzialità dell’amministrazione”. Ecco spuntare il conflitto di interessi apparente o percepito si direbbe. In realtà, il Codice del 1994 anticipa i tempi, preoccupandosi del fatto che le interferenze relazionali hanno un pregiudizio potenziale sull’imparzialità e sull’indipendenza dell’azione amministrativa, mentre hanno un pregiudizio diretto sull’immagine di imparzialità e indipendenza dell’azione amministrativa[34].
Attraverso la locuzione “sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”, la regola identifica un soggetto gestore, riqualificando la natura dell’obbligo a carico del dipendente: in realtà non ci troviamo di fronte ad un vero e proprio obbligo di astensione, bensì, di dichiarazione.
Anche l’art. 7 non è esente da incertezze e stranezze. Innanzitutto, il dipendente è chiamato ad astenersi dal prendere decisioni e dallo svolgere attività, mentre non viene fatto alcun riferimento alla gestione delle informazioni detenute dall’ufficio, che potrebbero essere utilizzate dal dipendente per avvantaggiare i soggetti con cui è in relazione nella sua sfera privata.
L’elenco delle situazioni tipizzate che sono fonte di conflitto di interessi, che occupa gran parte dell’art. 7 include poi delle relazioni sensibili di difficile o non immediata comprensione come, ad esempio, le relazioni di frequentazione abituale. Altre relazioni, invece, sembrano poco aggiornate, poiché non tengono conto della modifica dei costumi (oggi al coniugio o alla convivenza si affiancano forme di partnership più fluide, ma non meno esclusive) e delle relazioni professionali. Ed è assai singolare che i rapporti di collaborazione, diretti e indiretti, e gli interessi finanziari, che devono essere dichiarati ai sensi dell’art. 6, non siano poi elencati tra le cause tipizzate che determinano l’obbligo di astensione!
Infine, l’articolo pone sulle spalle del superiore gerarchico l’onere di decidere sull’astensione, senza identificare i criteri che il superiore gerarchico deve tenere in considerazione, per valutare e gestire il conflitto di interessi di un suo collaboratore.
Il mistero della doppia astensione
Gli artt. 6 e 7 del Codice Nazionale sembrano, a tutti gli effetti, ispirarsi a principi di etica pubblica diversi. L’art. 6 è associato ai principi di trasparenza e indipendenza, cioè alla necessità, per la Pubblica Amministrazione, di fare luce sulle relazioni che intercorrono tra dipendenti pubblici e soggetti privati. Invece l’art. 7 chiama in causa maggiormente i principi di imparzialità e integrità, assimilando il decisore pubblico al giudice terzo rispetto alle parti in causa. Il codice, in conclusione, sembrerebbe offrire una robusta strategia di prevenzione, basata su un dovere individuale di comunicazione e un obbligo di astensione deciso dall’organizzazione. Tuttavia, le cose non sono così lineari, come sembrano ad una prima lettura. Entrambi gli articoli, infatti, introducono un dovere di astensione. In particolare, il comma 2 dell’art. 6 impone al dipendente di astenersi “dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado”, introducendo un’ingiunzione che sembra totalmente sganciata dagli obblighi di comunicazione[35].
L’obbligo di astensione dell’art. 6 si sovrappone parzialmente a quello introdotto nell’art. 7. Tuttavia, l’astensione dell’art. 6 fa riferimento anche alle situazioni di conflitto di interessi potenziale e“può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici”.
Abbiamo ragionato a lungo sulle ragioni di questa duplicazione: si tratta di due obblighi di astensione differenti o della stessa astensione, descritta in due modi differenti?
in effetti, gli artt. 6 e 7 sembrano descrivere due misure di gestione del conflitto di interessi completamente diverse, che possiamo ancora una volta descrivere servendoci di una tavola:
Tavola 4 – Astensione ex art. 6 vs astensione ex art. 7
Situazioni che determinano l’astensione | |
Articolo 6 Relazioni interpersonali inclusive (coniuge, conviventi, parenti e affini entro il secondo grado); relazioni della sfera lavorativa (politici, sindacati, superiore gerarchico) | Articolo 7 Relazioni interpersonali inclusive, relazioni conflittuali, relazioni di scambio, relazioni di delega, altre relazioni non tipizzate (“gravi ragioni di convenienza”) |
Interessi in gioco | |
Articolo 6 Interessi propri, interessi della sfera privata, interessi derivanti “derivanti dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici” | Articolo 7 Interessi propri, interessi della sfera privata |
A quale conflitto di interessi si applica l’astensione | |
Articolo 6 Si applica anche alle situazioni di conflitto di interessi potenziale. | Articolo 7 Si applica genericamente a tutte le situazioni di conflitto di interessi, senza alcun riferimento alla tipologia. |
Chi decide sull’astensione? | |
Articolo 6 Il dipendente (non è previsto l’intervento del superiore gerarchico) | Articolo 7 Il superiore gerarchico. |
Insomma, per giustificare questa duplicazione, potremmo dire che l’astensione prevista dall’art. 7 è una misura organizzativa, che chiama in causa il superiore gerarchico e, per le sue caratteristiche, sembra più adatta a gestire le situazioni di conflitto di interessi attuale; mentre l’astensione dell’articolo 6 è un vero e proprio dovere individuale in capo al dipendente, che deve astenersi in tutte quelle situazioni in cui il conflitto è ancora potenziale, oppure quando il conflitto si genera a causa di pressioni o interferenze che provengono dall’interno dell’amministrazione.
È tutto chiaro? No, non c’è nulla di chiaro, anche se (lo ammettiamo) una distinzione così netta tra le due tipologie di astensione potrebbe, per la sua linearità, chiarire le idee a più di un RPCT alle prese con l’aggiornamento del codice di comportamento della sua amministrazione. Purtroppo, distinguere gli obblighi di astensione in base alla tipologia di conflitto di interessi è come distinguere gli angeli in base al loro sesso[36]: non esiste, infatti, una chiara e condivisa definizione di conflitto di interessi potenziale e attuale. Nonostante il grande impegno profuso da ANAC[37] e dal Consiglio di Stato[38], per proporre classificazioni tra loro incompatibili, il conflitto di interessi resta un fenomeno che sfugge ad ogni rigida catalogazione a priori. Noi di Spazioetico abbiamo speso intere pagine[39] per provare a dimostrare che non occorre tanto considerare la potenzialità o l’attualità dei conflitti di interessi, quanto piuttosto la probabilità e l’impatto che essi hanno su imparzialità e percezione di imparzialità, in relazione a scenari presenti o futuri. Ma non abbiamo intenzione di aprire questo fronte che ci porterebbe davvero troppo lontano. Vogliamo soltanto segnalare che le nozioni di conflitto di interessi attuale e potenziale sono così scivolose e difficili da comprendere, che, presumibilmente, nessun dirigente o dipendente riuscirà mai a usarle, per identificare quale tipo di astensione, tra le due possibili, è più opportuna per gestire una specifica interferenza relazionale. Paradossalmente, in presenza di un procedimento che coinvolge gli interessi di un proprio coniuge, un dipendente potrebbe invocare l’intervento del superiore gerarchico (art. 7), il quale, invece, potrebbe rifiutarsi di decidere sull’astensione, sostenendo che tale situazione rientra tra le cause di astensione dell’art. 6: sembra uno scenario fantascientifico, ma vi assicuriamo che, davanti ad un conflitto di interessi, spesso le persone cercano qualunque appiglio per non decidere!
Ancora più problematica è l’ipotesi in cui un dipendente si debba astenere da una situazione in cui il conflitto è determinato da un interesse “derivante dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici”: quanti interessi entrano in gioco in questo conflitto? E soprattutto, come può astenersi un soggetto che subisce una pressione all’interno del proprio ente, magari dal suo stesso superiore gerarchico? Sarebbe meglio suggerire al povero dipendente di segnalare questa indebita pressione al RPCT, oppure di denunciare il tutto alla Procura della Repubblica! In questo caso, chi ha redatto il Codice Nazionale, nel 2013, ha formulato in modo contorto, criptico e infelice, un dato di fatto che, in realtà è assai rilevante: il conflitto di interessi si può generare anche dalle relazioni della sfera professionale pubblica, e in questo caso coinvolge da un lato gli interessi di soggetti interni all’amministrazione (ad esempio dirigenti, politici, rappresentanze sindacali), e dall’altro l’interesse del dipendente a non deludere le aspettative dei propri superiori, a non generare conflitti, o in certi casi semplicemente a non complicarsi la vita[40].
Quello della doppia astensione, oltre a un mistero, sembra un vicolo cieco che non porta a nulla. E siamo fermamente convinti che, in questo caso, è proprio sbagliato il modo in cui è stata scritta la regola.
Esiste un solo tipo di astensione, che deve essere decisa dal superiore gerarchico.
Questa astensione può essere imposta al dipendente alla luce della dichiarazione rilasciata all’atto dell’assegnazione all’ufficio, e fare riferimento a un numero indeterminato di procedimenti futuri[41]; oppure può essere imposta relativamente ad uno specifico procedimento, quando il dipendente dichiara (o suppone) di essere in conflitto di interessi.
L’astensione impedisce al dipendente di gestire attività, decisioni o informazioni che possono influire (in positivo o in negativo) su interessi:
- propri, della sfera privata o professionale,
- di soggetti con cui è in relazione nella sfera privata (inclusi i rapporti di collaborazione di cui all’art. 6, comma 1),
- di politici, dirigenti, colleghi di lavoro e sindacati della sua amministrazione[42].
Non vi sembra che, scritto in questo modo, tutto risulti immediatamente più chiaro?
Con le mani sporche d’olio
L’ancoraggio delle regole. Gli artt. 6 e 7 del Codice nazionale sono come il motore di una macchina che dovrebbe gestire il conflitto di interessi. Ma questo non funziona bene. Quindi, dobbiamo prima di tutto riscrivere le regole. Questa volta, il nostro non sarà un lavoro di collaudo: dobbiamo letteralmente smontare il motore, cioè smembrare gli artt. 6 e 7 del codice, e poi riscriverli ex novo, con le mani sporche d’olio |
La gestione del conflitto di interessi, in sintesi, prevede due modalità di gestione:
– dichiarazione di interessi;
– astensione.
La dichiarazione di interessi permette di ridurre le asimmetrie informative a carico dell’Ente. Specialmente in ambito sanitario, buona parte delle iniziative di gestione del conflitto di interessi si risolvono in un aumento della trasparenza dei rapporti che intercorrono tra medici, società scientifiche e case farmaceutiche. Anche in ambito privato la dichiarazione è il principale strumento di gestione dei conflitti: per esempio l’art. 2391 del Codice civile prevede che l’amministratore di una società, debba dichiarare il proprio conflitto di interessi agli altri amministratori e al collegio sindacale; ma non impone alcun obbligo di astensione, a meno che non rivesta il ruolo di amministratore delegato.
La trasparenza è nulla, senza controllo
Tuttavia, in ambito pubblico la sola dichiarazione di un conflitto di interessi non è sufficiente: se alla dichiarazione non segue una presa in carico e gestione da parte dell’amministrazione, la minaccia alla percezione di imparzialità, paradossalmente aumenta.
Prendiamo il caso di un dirigente apicale del Ministero della Salute che dichiari di essere anche membro del Consiglio di Amministrazione di una fondazione che ha come unico finanziatore un noto player dell’industria farmaceutica, che produce vaccini. Il nostro dirigente apicale, all’interno del Ministero si occupa proprio di politiche vaccinali: inevitabilmente, tutti noi percepiamo un rischio per l’imparzialità. Veniamo però a sapere che è stato proprio il Ministero a designare il dirigente quale membro del CdA della fondazione e che l’incarico è a titolo gratuito: questa notizia diminuisce in qualche modo la minaccia alla percezione di imparzialità? Ovviamente no. Il Ministero è libero di inserire un proprio dirigente nel CdA di una fondazione finanziata da un operatore economico che produce vaccini, ma poi deve impedire che questo dirigente si occupi di politiche vaccinali. Oppure può evitare di inserire propri rappresentanti in organizzazioni che veicolano gli interessi degli operatori economici.
Parafrasando un vecchio adagio pubblicitario, si potrebbe dire che: “La trasparenza è nulla senza controllo!”.
L’astensione è, come abbiamo visto, la migliore misura di gestione del conflitto di interessi: imporre l’astensione di un dipendente è una scelta organizzativa che dimostra senso di responsabilità nei confronti degli interessi primari dell’amministrazione e delle aspettative della collettività. Tuttavia, per fare questo, un’amministrazione ha bisogno di regole chiare, che descrivano in modo coerente il processo di valutazione che, a partire dalla dichiarazione di un possibile conflitto di interessi, prenda in seria considerazione i rischi di interferenza (anche solo percepita) e adotti misure di gestione adeguate e credibili.
Scrivere le regole
All’inizio di questo articolo, abbiamo identificato l’utilità di definire chiaramente il fenomeno del conflitto di interessi. Di conseguenza dovremo innanzitutto riscrivere l’art. 6, introducendo una definizione di conflitto di interessi.
– Art. 6: Definizione di conflitto di interessi.
1. Un dipendente è in conflitto d’interessi quando interviene in un processo della sua amministrazione, o può influenzarne, in qualsiasi modo il risultato, avendo, direttamente o indirettamente, un interesse che può essere percepito come una minaccia all’imparzialità e all’indipendenza del suo ufficio.
2. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, inclusi gli interessi associati alla sfera lavorativa, nonché gli interessi di politici, dirigenti, colleghi di lavoro e sindacati.
Successivamente gli obblighi di dichiarazione, previsti dall’attuale art. 6 del Codice Nazionale, devono confluire in un articolo a parte:
– Art. 6-bis: Obblighi di dichiarazione
1. In ossequio ai principi di Trasparenza e Indipendenza dell’azione amministrativa, il dipendente informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti con soggetti privati che abbiano interessi in attività svolte, decisioni adottate o informazioni detenute dall’ufficio, secondo le modalità specificate nei commi 2 e 3.
2. All’atto dell’assegnazione all’ufficio, il dipendente informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni, precisando se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione.
3. Ai fini dell’assegnazione a un dipendente di responsabilità nell’istruttoria e in ogni altro adempimento inerente a un singolo procedimento nonché, eventualmente, nell’adozione del provvedimento finale, il dirigente chiede al dipendente di dichiarare per iscritto che il procedimento in oggetto non coinvolge interessi propri, ovvero:
– i suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi;
– di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, inclusa la partecipazione ad associazioni e organizzazioni;
– di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia;
– di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia significativi rapporti di credito o debito, economici o di altra natura;
– di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente.
– di soggetti privati con cui intrattenga rapporti di collaborazione, diretti e indiretti, in qualunque modo retribuiti, in corso o conclusi negli ultimi tre anni.
Il dirigente richiede altresì al dipendente di dichiarare se la sua partecipazione al procedimento possa ingenerare sfiducia nell’indipendenza e imparzialità dell’amministrazione.
Abbiamo confezionato un unico articolo che individua due distinte dichiarazioni, che devono essere rilasciate in momenti diversi. Abbiamo fatto riferimento agli standard minimi di trasparenza individuati dal Codice di comportamento nazionale. Tuttavia, le amministrazioni possono ampliare la gamma delle situazioni da dichiarare, soprattutto al comma 2. Per esempio, potrebbe essere utile, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, prevedere l’obbligo di dichiarare eventuali cause pendenti o debiti/crediti significativi con potenziali destinatari dell’ufficio.
Le dichiarazioni rilasciate nell’art. 6-bis rappresentano l’input del processo di valutazione a carico del superiore gerarchico, che dobbiamo descrivere in un nuovo articolo.
– Art. 7: Modalità di gestione del conflitto di interessi
1. Per garantire l’Imparzialità, l’indipendenza e l’integrità dell’azione amministrativa, il dirigente destinatario delle dichiarazioni di cui all’art. 6-bis identifica misure idonee a gestire efficacemente eventuali situazioni di conflitto di interessi.
2. L’adozione delle misure di gestione deve essere deve essere valutata sulla base dei seguenti criteri:
– rilevanza delle situazioni dichiarate e intensità degli interessi coinvolti;
– potenzialità di influenzamento del procedimento, con particolare riferimento alle attività svolte dal dipendente, alle decisioni adottate e alle informazioni detenute;
– percezione e aspettative di soggetti interni ed esterni, con particolare riferimento alla collettività e ai destinatari del procedimento.
3. Qualora la valutazione sia effettuata all’atto dell’assegnazione all’ufficio ed evidenzi la presenza di un conflitto di interessi, il dirigente non assegna il dipendente ad attività, decisioni o alla gestione di informazioni che coinvolgano i soggetti di cui al art. 6-bis comma 2. Nell’ipotesi in cui la valutazione evidenzi una incompatibilità di fatto tra le funzioni svolte dal dipendente e i rapporti di collaborazione dichiarati, il dirigente richiede all’amministrazione che il dipendente sia assegnato ad altro ufficio.
4. Qualora la valutazione sia effettuata ai fini dell’assegnazione a un singolo procedimento ed evidenzi la presenza di un conflitto di interessi, il dirigente adotta la misura dell’astensione. Qualora, per motivi legati all’organizzazione dell’ufficio, non sia possibile adottare la misura dell’astensione il dirigente può adottare una delle seguenti misure di gestione alternative:
– avocare a sé il procedimento,
– affiancare il dipendente nella gestione del procedimento,
– eseguire un controllo rinforzato sulla gestione e sugli esiti del procedimento.
Il dirigente motiva per iscritto le decisioni adottate, alla luce degli esiti della valutazione.
Da ultimo, dobbiamo capire come gestire le pressioni indebite e le interferenze che possono essere esercitate da soggetti interni all’amministrazione: politici, sindacalisti e superiori gerarchici. Come ricorderete, il riferimento a queste situazioni, attualmente, è inserito, come una postilla, alla fine del comma 2 dell’art. 6. È semplicemente nel contesto sbagliato: le indebite interferenze non sono una situazione di conflitto di interessi, ma specifiche condotte che generano rischi corruttivi. In quanti tali, devono essere trasportate nell’art 8 del Codice, che affronta direttamente il tema della prevenzione della corruzione. La nostra proposta è che le pressioni indebite siano annoverate tra gli illeciti o irregolarità che devono essere segnalate al Responsabile della prevenzione della corruzione (c.d. whistleblowing):
Il dipendente è tenuto a segnalare, in via riservata, al Responsabile per la prevenzione della corruzione, eventuali pressioni e interferenze subite da politici, sindacati o superiori gerarchici, che potrebbero minacciare l’imparzialità, l’indipendenza e l’integrità della sua azione amministrativa. Al segnalante sono garantite le tutele previste dalla vigente normativa sul whistleblowing.
Abbiamo finito di riscrivere le regole. E forse adesso il processo di comunicazione, valutazione e gestione del conflitto di interessi appare un po’ più chiaro. Le amministrazioni possono anche valutare un coinvolgimento del Responsabile della prevenzione della corruzione e Trasparenza (RPCT), specialmente nelle fasi di valutazione e adozione delle misure; oppure possono prevedere che il responsabile comunichi al RPCT la presenza di conflitti di interessi e la loro modalità di gestione, quale misura di reporting e monitoraggio prevista nel PTPCT.
Formare il personale
Se pensavate di cavarvela con la scrittura delle regole, allora non avete compreso la complessità del fenomeno del conflitto di interessi che, proprio perché coinvolge relazioni della sfera privata e professionale di un dipendente pubblico, sfugge spesso dalla logica del categorizzare così cara ai giuristi e chiama in causa discipline assai più intriganti, come la psicologia[43], la sociologia, persino l’antropologia.
Categorizzare con esattezza le relazioni è di certo un esercizio di grande rilevanza e può essere svolto in un contesto formativo attraverso, ad esempio, l’uso di casi concreti e di situazioni che i dipendenti spesso fanno fatica a definire con chiarezza; oppure ricorrendo a strumenti che aiutano ad orientarsi nel complesso mondo delle relazioni umane, come il panopticon delle relazioni sensibili, che riproduciamo di seguito (Tavola 2)
Tavola 5 – Panopticon delle relazioni sensibili

Attraverso questa infografica, rappresentiamo la complessità delle relazioni sensibili della sfera privata del dipendente pubblico, che rappresentano l’ecosistema in cui si generano i conflitti di interessi.
Di fronte ad un freddo modulo di dichiarazione, chiamato a dichiarare qualcosa che non conosce, il dipendente assume un atteggiamento difensivo: non fa emergere le situazioni di conflitto di interesse perché le confonde con comportamenti stigmatizzabili; non vuole creare problemi alla sua organizzazione che si troverebbe nella talvolta onerosa circostanza di farlo astenere. Di rado non dichiara situazioni di conflitto di interessi per trarre un vantaggio personale.
DI fronte ad un formatore che elenca altrettanto freddi commi di previsioni normative, il dipendente percepisce l’astrattezza e la lontananza di un mondo che sembra nato per mettergli i bastoni tra le ruote.
La formazione deve rappresentare, invece, un luogo in cui il dipendente riconosca l’utilità e il senso delle regole poste a presidio dell’imparzialità, dell’indipendenza e della credibilità del settore pubblico.
Una buona formazione, dunque deve avere come obiettivo:
– una corretta categorizzazione delle relazioni della sfera privata e professionale del dipendente e delle aspettative che esse generano
– la capacità di riconoscere in concreto dove e come si genera il rischio di interferenza (attività, decisioni, gestione delle informazioni)
– la capacità di assumere il punto di vista di un osservatore esterno, sia esso la collettività o un destinatario
– la conoscenza dei principi di funzionamento dell’agire amministrativo e di come essi si leghino, di volta in volta, alle regole di condotta.
Insomma, la valutazione di una situazione di conflitto di interessi deve diventare una competenza specifica del dipendente pubblico, alla stregua della redazione di un atto o della corretta istruttoria di un procedimento.
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[1] Massimo Di Rienzo, Andrea Ferrarini, Dinamiche corruttive e conflitto di interessi nella P.A., IPSOA 2022 (https://shop.wki.it/ebook/ebook-dinamiche-corruttive-e-conflitto-di-interessi-nella-p-a-s754099/).
[2] Questa efficace espressione è stata coniata nel 2019 da Gruppo di lavoro sulle Linee Guida ANAC in materia di codici di comportamento dei dipendenti pubblici, nella sua relazione finale (p. 58).
[3] Decreto del Ministro per la funzione pubblica del 31 marzo 1994: “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” (abrogato nel 2000) – Decreto del Ministro per la funzione pubblica del 28 novembre 2000: “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” (abrogato nel 2013).
[4] Il codice del 2000 è particolarmente stringato e, stranamente, non cita le relazioni di frequentazione abituale. Il Codice di comportamento del 1994, al contrario, è molto dettagliato ed elenca tutte le relazioni identificate anche dall’art. 7 del D.P.R. n. 62/2013.
[5] Un pattern relazionale è un “modello” o “schema ricorrente” che caratterizza una relazione. I legami tra le persone sembrano assumere un numero infinito di forme, proprio come i nodi dei marinai. Tuttavia, la maggior parte delle relazioni segue un numero limitato di pattern. Abbiamo identificato e descritto i pattern nell’articolo L’ambiguità delle relazioni sensibili – all’origine del conflitto di interessi, pubblicato nel 2021 sulle pagine di questa rubrica. In questo articolo completeremo tale descrizione, identificando le aspettative e le regole non scritte, che regolano le relazioni riconducibili ai singoli pattern.
[6] Chi ha letto il precedente articolo di questa rubrica (“L’innocenza rubata – L’adesione o appartenenza del dipendente pubblico ad associazioni od organizzazioni”) sa già che l’adesione ad organizzazioni o associazioni determina una relazione di frequentazione abituale tra i soci, ma non è contemplata tra le casistiche di astensione elencate nell’art. 7 del D.P.R. n. 62/2013.
[7] L’art. 7 del D.P.R. n. 62/2013 ingiunge l’obbligo di astensione solo in presenza di debiti o crediti di significativo ammontare, mentre i precedenti codici non facevano riferimento L’art. 7 non considera le relazioni di debito/credito relazionale, di cui abbiamo parlato nell’articolo L’ambiguità del dono – La vera storia dell’articolo 4 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
[8] Facciamo riferimento a tutti i rapporti di collaborazione elencati nell’art. 6, comma 1 del D.P.R. n. 62/2013), che non rientrano, tuttavia, tra le cause di astensione elencate nel successivo art. 7.
[9] Il Codice di comportamento del 1994 impone al dipendente di astenersi anche in presenza di due particolari categorie di destinatari: “individui od organizzazioni che abbiano contribuito con denaro o altre utilità alle sue spese elettorali” e “di individui od organizzazioni presso cui egli aspira ad ottenere un impiego o con cui egli aspira ad avere incarichi di collaborazione”. Le relazioni con questi soggetti, che rientrano nel pattern di delega, non sono citate nel codice del 2000 e nel Codice di comportamento vigente, ma possono certamente determinare una astensione per gravi ragioni di convenienza.
[10] Art. 42, comma 2 del Codice degli appalti: “Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. […]”.
[11] La risposta ovviamente è negativa, come dimostrato dalla triste vicenda di Lord Fénelon, che abbiamo narrato nell’articolo “Un’assicella di legno che chiamiamo imparzialità – La tappa finale del nostro viaggio nel mondo dei conflitti di interessi”.
[12] Lo struzzo (Struthio camelus) è noto ai più per nascondere la testa sotto la sabbia, quando è in pericolo: una strategia di difesa che sembra alquanto inefficace e semplicemente finalizzata a non volersi occupare di un problema imminente. In realtà, lo struzzo non mette il collo dentro la sabbia, ma si china con il collo disteso e con il corpo appoggiato a terra cercando di imitare un cespuglio o una grossa roccia. Se il predatore si avvicina troppo, poi, lo struzzo cambia strategia: scappa oppure prende a calci l’aggressore.
[13] Il quokka (Setonix brachyurus) è un piccolo marsupiale australiano. È diffusa la credenza (supportata anche da diverse notizie che circolano sul web) che le femmine di quokka lancino i propri piccoli contro i predatori, per creare un diversivo che consenta loro di fuggire. Una crudele strategia di difesa, che sembra effettivamente messa in atto da questo tenero animaletto, anche se si tratta di una strategia estrema (raramente questi animali si trovano ad affrontare dei predatori), resa in qualche maniera sopportabile dalla elevata capacità riproduttiva dei quokka.
[14] I Principi TRUST descrivono dei requisiti di funzionamento del Sistema pubblico, che lo rendono affidabile, cioè idoneo a promuovere interessi di tipo generale, a differenza dei Principi FIT, come ad esempio il Buon andamento o l’Economicità, che invece lo rendono idoneo ad erogare servizi ai singoli Destinatari. Abbiamo approfondito tali differenze nell’articolo di questa Rubrica: La Geometria delle Regole.
[15] Ovviamente, queste misure, per essere efficaci, devono essere attuate in modo corretto: il superiore gerarchico, per esempio, deve avocare a sé non soltanto la decisione finale del procedimento, ma deve anche sovrintendere alle diverse fasi dell’istruttoria. In generale, qui e in seguito, presupponiamo che le strategie siano attuate in modo adeguato.
[16] Uno Statement è un’affermazione che rimanda a un principio etico o morale ed è, insieme alle ingiunzioni, un elemento costitutivo delle regole. Gli Statement delle regole dei codici di comportamento fanno, ovviamente, riferimento ai principi dell’etica pubblica, che sono elencati nell’art. 3 del Codice di Comportamento Nazionale.
[17] Ovviamente non consideriamo la strategia dello struzzo non prudente, perché ha già perso il round precedente.
[18] D.Lgs. n. 29/1993, Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della Legge 23 ottobre 1992, n. 421. Questo decreto è stato abrogato con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 165/2001.
[19] S. Belligni, Corruzione, malcostume amministrativo e strategie etiche. Il ruolo dei codici, Torino, 1999; F. Pinto, Bassanini, Brunetta e i gattopardi nella difficile riforma della pubblica amministrazione, Napoli, 2008.
[20] D.Lgs. n. 29/1993, art. 58-bis.
[21] S. Belligni, ibidem, pp. 70 – 71: “Data questa struttura in cui si combinano principi e prescrizioni specifiche per situazioni concrete, ma in cui manca la previsione di sanzioni disciplinari per chi ne disattende le disposizioni, il Codice [del 1994] configura un ibrido tra i tipi ideali del codice etico e del codice disciplinare (a cui peraltro si avvicina maggiormente) e rientra nella classe intermedia dei codici di condotta, dove l’efficacia delle norme è consegnata soprattutto alla moralità e alla reputazione”.
[22] E. Carloni, I Codici di Comportamento, in Il Lavoro nelle Pubbliche amministrazioni, 2017: “È in questo cortocircuito, determinato dalla difficoltà di collocare doveri ‘pubblici’ in un rapporto di lavoro regolato essenzialmente per via contrattuale, governato dai poteri ‘datoriali’ del dirigente, in cui le ‘violazioni e le relative sanzioni’ rilevanti a fini disciplinari sono definite dal contratto, le cui controversie sono affidate al giudice ordinario come giudice del lavoro, specie alla luce della ‘primazia’ affidata, fino alla riforma del 2009 (ed ora di nuovo, ma con limiti per quanto attiene alla materia disciplinare), alla fonte contrattuale nella disciplina degli aspetti ‘già regolati dalla legge’, che emerge la perdita di attenzione ai contenuti e quindi ai doveri pubblici disciplinati dal codice, alimentata in ultima istanza dall’idea di un valore essenzialmente ‘etico’, ed in ogni caso non ‘disciplinare’, dei codici di comportamento”.
[23] Decreto del Ministro per la Funzione Pubblica del 28 novembre 2000, “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.
[24] I vangeli sinottici sono quelli attribuiti a Marco, Matteo e Luca che sono molto simili tra loro: se si mette il testo dei tre vangeli su tre colonne parallele, con uno sguardo d’insieme (σύνοψις in greco antico) si notano facilmente molte somiglianze nella narrazione, nella disposizione degli episodi, a volte anche nei singoli brani.
[25] L’art. 5 del Codice del 1994 identificava anche degli obblighi di comunicazione a carico dei dirigenti (commi 3 e 4). Il codice del 2000 ha mantenuto questa impostazione, mentre nel 2013 gli obblighi di comunicazione a carico dei dirigenti sono confluiti nel comma 3 dell’art. 13.
[26] L’art. 5 del Codice del 1994 identificava anche degli obblighi di comunicazione a carico dei dirigenti (commi 3 e 4). Il codice del 2000 ha mantenuto questa impostazione, mentre nel 2013 gli obblighi di comunicazione a carico dei dirigenti sono confluiti nel comma 3 dell’art. 13.
[27] Termine anglosassone che può essere tradotto con “apertura” o “rivelazione”, utilizzato soprattutto nell’ambito della trasparenza.
[28] Art. 6, comma 2: “Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado”.
[29] Codice di procedura civile, art. 51 (Astensione del giudice). Il giudice ha l’obbligo di astenersi:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
6) in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.
[30] Ahinoi, avremmo preferito la parola “simposio”!
[31] Cfr.: La gestione del conflitto di interessi nei contratti pubblici. Proposte operative per sviluppare competenze di valutazione del rischio di conflitto di interessi per il personale delle stazioni appaltanti, Spazioetico, 2021: “In breve, se si adottassero misure legislative o regolamentari che rendessero ‘tassative’ le situazioni di conflitto di interessi, avremmo certamente un beneficio immediato in termini di certezza del diritto, ma faremmo molti passi indietro in termini di cultura della gestione del rischio all’interno delle amministrazioni”.
[32] Il comma 2 dell’art. 42 del Codice degli appalti stabilisce che “In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, 62”.
[33] Cfr.: Consiglio di Stato., Sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415.
[34] In particolare, il Codice del 1994 anticipava una delle innovazioni che l’art. 42 del Codice degli appalti del 2016, cioè la particolare attenzione alle implicazioni reputazionali del conflitto di interessi. Non è un caso che il dettato della norma faccia esplicito riferimento all’elemento della percezione di imparzialità: “Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione”.
[35] Nel comma 2 dell’art. 6, gli interessi dei soggetti privati (persone, aziende, enti o associazioni) con cui intercorrono o sono intercorsi rapporti diretti o indiretti di collaborazione o rapporti finanziari, che sono oggetto delle dichiarazioni del comma 1 dell’art. 6, non sono presi in considerazione ai fini dell’astensione, così come non lo saranno nell’art.7.
[36] Si narra che i teologi bizantini continuassero imperturbabili le loro sterili, secolari disquisizioni circa l’eventuale sesso degli angeli mentre i turchi di Maometto II stavano per espugnare Costantinopoli (1453) e porre fine all’Impero Romano d’Oriente. E noi non vogliamo, ovviamente disquisire sulla tipologia dei conflitti di interessi, mentre le interferenze relazionali sequestrano i procedimenti e i processi decisionali della pubblica amministrazione!
[37] Una definizione alquanto complicata di conflitto di interessi è contenuta nelle “Linee Guida per l’adozione dei Codici di comportamento negli enti del SSN”, approvate il 20 settembre 2016, da ANAC., Ministero della Salute e AGENAS. In questo documento, vengono identificate ben cinque tipologie di conflitto di interessi:
1) Conflitto di interessi attuale, che è presente al momento dell’azione o decisione dell’agente pubblico;
2) Conflitto di interessi potenziale, che potrà diventare attuale in un momento successivo;
3) Conflitto di interessi apparente, che può essere percepito dall’esterno come tale
4) Conflitto di interessi diretto, che comporta il soddisfacimento di un interesse dell’agente pubblico
5) Conflitto di interessi indiretto, che attiene a entità o individui diversi dall’agente pubblico.
[38] Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti normativi, parere n. 667/2019 sullo schema di Linee Guida ANAC per la gestione dei conflitti di interessi nelle procedure di gara, pp. 12 – 14: “Per sciogliere il nodo giova rammentare che il conflitto di interessi è una situazione di pericolo in sé, e qualunque pericolo è per sua natura una potenza e non un atto. Il danno all’interesse funzionalizzato non si è ancora verificato (salvo quello all’immagine). Qualificare la natura del pericolo, e quindi del conflitto, come ‘situazione potenziale’, cioè ritenere che il Legislatore si sia voluto riferire a un ‘conflitto potenziale’, sarebbe quindi una tautologia. […] Le situazioni di ‘potenziale conflitto’ sono, quindi, in primo luogo, quelle che, per loro natura, pur non costituendo allo stato una delle situazioni tipizzate, siano destinate ad evolvere in un conflitto tipizzato (ad es. un fidanzamento che si risolva in un matrimonio determinante la affinità con un concorrente)”.
[39] Cfr.: L’uso degli scenari nella valutazione dei conflitti di interessi potenziali, Spazioetico, 2021. Cfr., anche: M. Di Rienzo, A. Ferrarini, Il naufragio del dottor Titanico… ovvero della tempestosa natura del conflitto di interessi esogeno”, in Azienditalia, 2021.
[40] Tali interessi, che noi chiamiamo “strutturali”, non riguardano pertanto la sfera privata del dipendente pubblico (cioè non sono “esogeni”), bensì la sfera relazionale pubblica e, in quanto tali sono “endogeni”. Cfr.: Il conflitto di interessi ESOGENO e la “scoperta” degli interessi strutturali, Spazioetico, 2020. In merito a tali interessi, l’astensione sembra una soluzione poco utile.
[41] È l’astensione decisa dal dirigente di Barbara Braccata, quando lei comunica che suo marito lavora alla Lavoben: lei si asterrà da qualunque processo di acquisizione di servizi di pulizia.
[42] Per completezza, anche gli interessi primari possono entrare in conflitto tra loro, ma questo conflitto di interessi, detto endogeno, non può essere gestito dagli artt. 6 e 7 del codice di comportamento e quindi non lo prenderemo in considerazione.
[43] Si pensi all’analisi dei bisogni che da A.H. Maslow, passando per D. Kendrick determina l’intensità degli interessi. Ne abbiamo parlato nel Capitolo 3 della nostra pubblicazione Etica delle relazioni dell’agente pubblico, IPSOA, 2020.