L’AMBIGUITA’ DEL DONO. La vera storia dell’articolo 4 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici

Questo articolo è apparso sulla Rivista Azienditalia Enti Locali, Mensile per gli enti locali e le loro aziende, nel 2022, nell’ambito della rubrica mensile: lo Spazio Etico, Viaggio nel mondo dei codici di comportamento della PA: istruzioni per l’uso.

In copertina: I Simulacri della morte, Hans Holbein (anno 1538)

LO HAU, LUTERO E L’ARTE DELLA REMUNERAZIONE

PREMESSA. Lo scambio di regali e utilità in ambito pubblico è strettamente regolato dal Codice di comportamento nazionale (art. 4) ed è generalmente vietato. Eppure doni e scambi sono stati sempre molto rilevanti per le società umane, per la loro capacità di creare legami stabili tra le persone. E sono anche un ingrediente essenziale della religione. Quando nei nostri corsi di formazione parliamo di come gestire regali e altre utilità, spesso abbiamo l’impressione di raccontare, in qualche modo, un pezzo di storia dell’umanità. Vi sembra un’esagerazione? Allora seguiteci e vedrete che non ve ne pentirete!

Folgorato sulla via di Erfurt

La strada verso Erfurt non era altro che una tortuosa mulattiera e il giovane Martin Lutero l’aveva percorsa mille volte tornando da Mansfeld, dove il padre lo mandava a formarsi nel mondo degli affari. Così lui, un amante della contemplazione, che di affari non voleva sentir parlare, trovava quel breve tragitto una benedizione.

Anche quel giorno di piena estate del 1505 Martin passava da un lato all’altro della strada personificando, di volta in volta, il suo dialogo interiore. Non si era accorto della imminente tempesta e di quel cielo nero come la terra stessa. A pochi chilometri da casa, quando ancora la foresta non aveva lasciato spazio ai campanili e alle torri della città di Erfurt, ecco che una luce fortissima abbagliò la sua vista. Non fece in tempo ad udire il gigantesco frastuono che si ritrovò in terra scaraventato dal suo cavallo che iniziò a galoppare verso una radura: un fulmine aveva colpito il suolo a pochi metri da lui.

Il suo cuore si fermò per un attimo, i suoi pensieri tacquero. Con lo sguardo rivolto al cielo, si rivolse a Sant’Anna protettrice dei minatori come suo padre:

– Donami protezione e io ti donerò la mia vita: mi farò monaco.

Come sappiamo, il voto di quel giovane superstite avrebbe cambiato per sempre il volto della cristianità[1].

Dunque anche Lutero, che si scagliò così ferocemente contro le pratiche di scambio che da sempre contraddistinguono la relazione tra fedeli e clero, fu protagonista, suo malgrado, di un fenomeno noto come “reciprocità”. Questo potrebbe sembrare un paradosso, o una diceria messa in giro dai cattolici, per screditare l’odiato frate riformatore, ma nella realtà tutte le religioni conosciute evidenziano meccanismi di reciprocità tra credente e divinità: l’uomo rivolge offerte, danze, preghiere o sacrifici cruenti alla divinità, per attirare la sua attenzione e la sua benevolenza (la promessa di Lutero rientra in questo primo schema di comportamento); oppure si sdebita, perché la divinità ha agito favorevolmente nei suoi confronti. Nella maggior parte dei casi, una varia schiera di intermediari, sacerdoti, oracoli, santi e anime defunte giocano il ruolo di intermediari, per garantire l’efficacia del dono che si offre o che si vuole ricevere. Di fronte al mistero di una natura potente e terribile un ragazzo del sedicesimo secolo si affida ad una Santa. Di fronte alla potente asimmetria informativa di un uomo che non sa spiegare il fenomeno naturale, si accende l’aspettativa che un attore celeste gli doni protezione e salvezza.

Ma esiste un’asimmetria informativa ancora più profonda e terribile, che faceva impazzire un semplice ragazzo della borghesia tedesca come Lutero, così come ogni moderno CEO della più innovativa azienda high-tech: “Cosa succede dopo la morte?”. La più efferata delle asimmetrie informative. Non lo sapremo mai. Non sappiamo se esiste davvero una vita dopo la morte. Non sappiamo se entreremo un giorno nel Regno dei Cieli e ogni religione fonda la propria autorità sulla risoluzione di questa terribile asimmetria informativa: la discesa di Ulisse nell’Ade, la parola di Gesù Cristo, il viaggio di Maometto all’Inferno, la Commedia dantesca rafforzano nei fedeli la fede e offrono una rassicurante/inquietante testimonianza di quello che sarà.

Nel giovane credente Lutero, dunque, sorge l’obbligo di offrire un sacrificio necessario ad ingraziarsi l’onnipotente, anche attraverso un suo intermediario. È la cultura dell’ex voto[2],l’oggetto (la consacrazione della vita di Lutero) offerto per grazia ricevuta, come remunerazione per un dono che si è ricevuto dalla divinità o da suoi intermediari, come i Santi o i propri defunti. Anche il Regno dei Cieli diventa una ricompensa, una remunerazione per gli atti compiuti in vita: la relazione tra Dio ed il credente si colora delle diverse tonalità attraverso cui si manifesta la reciprocità.

Nel Sedicesimo secolo, però, la reciprocità tra uomini e Dio si era ormai degradata fino a diventare un mercimonio di cose sacre[3]. Il Protestantesimo si scaglia inizialmente contro la vendita delle indulgenze e, in seguito, ridisegna la relazione tra umano e divino in modo del tutto contrario alla reciprocità. Il Dio di Calvino, per esempio, dona in assoluta libertà. Calvino non sarebbe mai stato disposto ad ammettere che Dio avesse un obbligo, anche minimo, nei confronti di qualche entità esterna: “Dio non può ricevere alcun beneficio da noi” e “A Padre, a padrone, a Dio onnipotente non si può restituire l’equivalente”. Ai doni di Dio i cristiani devono rispondere obbedendo, amando, dimostrando gratitudine. Secondo Calvino, tutti i cristiani sono legati da obblighi reciproci, che tuttavia non si qualificano in una struttura rigidamente determinata, in un circuito del dare e ricevere. Gli uomini restano liberi e non legati al vincolo del dono. Gli effetti di tale impostazione ricaddero sulla legislazione di Ginevra dove Calvino risiedeva: le leggi ponevano limiti assai rigidi ai doni, nella speranza di imporre un comportamento decoroso in una città di Dio e di trasformare i rapporti che accompagnavano lo scambio di doni.

Ma Calvino nuotava controcorrente: lo scambio di doni, anche se di valore intrinseco non fondamentale, è infatti uno dei modi più comuni e universali per creare relazioni umane.

L’economia del dono

Il meccanismo del dono[4] si articola in tre momenti fondamentali basati sul cosiddetto principio di reciprocità: dare (Munus), ricevere l’oggetto o l’utilità (è necessaria l’accettazione); ricambiare (Re-muneratio).

Munus è il dono che obbliga a uno scambio, proviene etimologicamente dalla radice “mei” che significa “dare in cambio”. Da munus si sono generati dei termini che sono per noi molto significativi. Ad esempio, “Communis” è propriamente chi ha in comune dei munia cioè dei doni da scambiarsi. Ora quando questo sistema di compensazione gioca all’interno di una stessa cerchia, si determina una “comunità”, cioè un insieme di uomini uniti da questo legame di reciprocità. Remuneratio,invece, è l’azione del dare indietro un munus, quindi del ricompensare per un dono precedentemente ricevuto.

Marshall Sahlins[5] identifica diverse tipologie di reciprocità:

– Reciprocità generalizzata. Essa si verifica quando una persona condivide beni o lavoro con un’altra persona senza aspettarsi nulla in cambio (gratuità). Questa transazione non prevede lo stabilirsi di alcuna relazione.

– Reciprocità bilanciata. Si verifica quando qualcuno dona a qualcun altro, in attesa di un giusto e tangibile ritorno in un futuro indefinito. Si tratta di un sistema molto informale di scambio. L’aspettativa che il donatore sarà rimborsato è basata sulla fiducia e sulle conseguenze sociali della mancata remunerazione. Questa transazione prevede lo stabilirsi di relazioni la cui intensità dipende dagli usi che si condividono in un contesto sociale e dal perdurare dell’utilità data in dono.

– Reciprocità negativa è ciò che gli economisti chiamano baratto. Una persona che fornisce beni o lavoro e si aspetta di essere ripagato immediatamente con alcuni altri beni o lavoro di pari valore. La reciprocità negativa può comportare un quantitativo minimo di fiducia e una distanza massima sociale. Può avvenire tra estranei. Non genera alcuna relazione.

Aborigeni in cravatta

L’analisi di Marshall Sahlins è senza dubbio interessante, però la spiegazione definitiva sul perché il dono imponga una remunerazione è stata sviluppata dalle tribù maori della Nuova Zelanda, studiate dall’antropologo Marcel Mauss negli anni ’20 del Novecento[6].

Secondo i Maori negli oggetti esiste un’anima, chiamata hau, che li lega a colui che li dona: i doni sono una sorta di prolungamento degli individui, che si identificano nelle cose che possiedono e che scambiano, e conservano una forza che li fa ritornare al loro proprietario sia nella sua forma originaria, sia sotto forma di altri doni equivalenti.

Gli hau non obbligano soltanto a ricambiare i doni ricevuti, ma obbligano anche a donare e ad accettare i doni: “tutto, cibo, donne, bambini, beni, talismani, terreno, lavoro, servizi, uffici sacerdotali e ranghi, è materia di trasmissione e di restituzione. Tutto va e viene, come se ci fosse scambio costante di una sostanza spirituale comprendente cose e uomini, tra i clan e gli individui, suddivisi per ranghi, sessi e generazioni”[7].

In questa varia umanità, non è escluso che a volte si doni in modo disinteressato. Ma il più delle volte il dono è una trappola per comprare gli altri, o per farsi comprare dagli altri in nome di una gratitudine che di gratuito non ha quasi nulla. Le sottili strategie di scambio, manipolazione e sequestro del settore pubblico, che mettiamo in atto nelle società evolute (corruzione, clientelismo, pantouflage, ecc.) non sono diverse dall’economia del dono dei Maori. L’unica differenza sta nel fatto che loro indossavano sgargianti tatuaggi, noi la cravatta.

ISTITUTO DI CREDITO “RES PUBLICA”

Eventi. Favoritismo, clientelismo, nepotismo, revolving doors, sponsorizzazioni e forniture di beni e servizi a titolo gratuito: il principio di reciprocità è alla base di un’ampia gamma di fenomeni che determinano un rischio di caduta dell’integrità e che modificano la percezione del Valore pubblico generato da un’amministrazione o di un sistema pubblico.

Santi in Paradiso e Mediatori in Terra

Avere un Santo in Paradiso” è una espressione tipicamente italiana che racchiude nella sua semplicità tutta la potenza della reciprocità bilanciata che consta nel rimettere ad un intermediario le sorti del proprio destino. In questa dinamica il donante ed il donatario giocano ruoli ambiguamente intrecciati, vincolati da dinamiche potenti. L’espressione ha avuto vita facile nel traslare da un campo religioso ad un ambito politico e amministrativo.

Con il Santo in Paradiso oggigiorno ci riferiamo al potente politico locale che ci spiana la strada verso una carriera nella Pubblica Amministrazione così come ad un infermiere o un operatore sanitario che può favorire noi o un nostro congiunto in qualche necessità di salute.

Il donante compie un munus nei confronti del donatario. In questo modo apre un credito relazionale. A differenza del credito economico (e della reciprocità negativa), il credito relazionale (reciprocità bilanciata) è incerto su almeno tre elementi:

– “se” il donatario sarà chiamato ad una remunerazione,

– “quanto” il donatario dovrà eventualmente remunerare,

– “in che modo” tale eventuale remunerazione verrà corrisposta.

La stabilità di questa transazione, che a prima vista sembrerebbe debole e incerta, è invece garantita da due fattori[8]:

– la stigmatizzazione da parte del contesto sociale e organizzativo in cui si è immersi,

– la paura della perdita dell’utilità (ovviamente se l’utilità non viene goduta nell’immediatezza della transazione, ma perdura nel tempo).

L’accettazione di un dono da parte del dipendente pubblico ha il potenziale di generare un conflitto di interessi tra “interesse primario” e, cioè, l’interesse pubblico che l’amministrazione deve promuovere e l’“interesse secondario” che, in questo caso è rappresentato dall’interesse a ricambiare o a sdebitarsi che viene attivato all’accettazione del dono. La relazione di scambio si sovrappone e interferisce con la relazione di agenzia pubblica modificandone le caratteristiche e la stessa finalità.

Se seguite i nostri scritti da un po’ vi sarete di certo accorti che ci sono tutti gli ingredienti perché emerga un potente rischio di corruzione: la presenza di rilevanti asimmetrie informative, condite da interessi la cui intensità è massima.

Non di sole quaglie …

È venuto il momento di fare un catalogo dei fenomeni (più o meno criminali) che innestano nel sistema pubblico dinamiche di scambio. E dobbiamo chiedere scusa ai nostri affezionati lettori: contrariamente alle loro aspettative, non includeremo nel nostro catalogo le regalie occasionali donate da disinteressati benefattori, che per mera cortesia elargiscono quaglie, casse di vino e altre amenità ai dipendenti pubblici. Anche perché non abbiamo mai visto un operatore economico o un cittadino/utente donare con spirito di totale liberalità, al di fuori di qualsiasi procedimento passato presente e futuro, cioè senza che si generino aspettative di remunerazione.

A nostro modesto parere sono assai più rilevanti fenomeni come il clientelismo, il favoritismo e il nepotismo, in cui la reciprocità diventa un vero e proprio stile relazionale e di leadership: il politico, il docente universitario e il dirigente pubblico usano in modo strumentale i processi di selezione del personale, o di assegnazione di appalti e incarichi, per favorire determinati soggetti che, in cambio, garantiscono ad essi una assoluta fedeltà. Questa dinamica di asservimento, che richiama molto da vicino il patronato dell’antica Roma, è facilmente esposta a derive di tipo corruttivo.

In un precedente articolo[9] abbiamo analizzato i fenomeni di revolving doors, sottolineando come il passaggio incontrollato di persone, competenze e informazioni dal settore pubblico al settore privato (e viceversa) danneggino la credibilità pubblica amministrazione. Tuttavia, in certi casi questi fenomeni possono nascondere vere e proprie dinamiche di scambio: l’Agente pubblico potrebbe sfruttare la propria posizione per assicurarsi impieghi e consulenze nel settore privato, che possono anche rappresentare delle tangenti differite nel tempo; oppure i consulenti provenienti dal settore privato portano competenze ed esperienze nelle amministrazioni pubbliche e, in cambio, raccolgono informazioni che utilizzano per avvantaggiarsi sul mercato

Infine, anche le sponsorizzazioni, le consulenze pro bono[10] e la fornitura di beni o servizi a titolo gratuito possono innescare crediti relazionali: in questi casi, il dono è rappresentato dalle risorse economiche messe a disposizione dal soggetto privato, oppure dalla gratuità della prestazione, ed è l’Agente pubblico che si deve sdebitare. Si tratta di fenomeni molto diffusi e in certi settori di mercato l’apertura di crediti relazionali è diventata una vera e propria strategia di vendita. Sono fenomeni che anche noi, nel nostro piccolo, possiamo osservare: alcuni esperti o società offrono formazione a titolo gratuito alle Amministrazioni, al solo fine di creare le premesse per la vendita di servizi di consulenza. Una strategia di marketing che, oltre a svalutare il senso della formazione, rischia anche di danneggiare chi, invece, offre le proprie competenze in modo trasparente, richiedendo semplicemente un giusto compenso

Chi paga il conto?

Il principio di reciprocità garantisce un equilibrio tra gli interessi del donatore e del donatario, ma quando gli scambi coinvolgono soggetti che rivestono una funzione pubblica, tale principio rischia di modificare il concetto di Valore Pubblico[11], che è uno degli assi portanti dei Piani Integrati di Attività e Organizzazione (PIAO), introdotti nell’art. 6 del D.L. n. 80/2021 (Decreto Reclutamento)[12]. Il Valore Pubblico dovrebbe essere misurato in termini di benessere sostenibile generato dalla Pubblica Amministrazione a favore della collettività. Invece, quando un’organizzazione diventa teatro di scambi relazionali, il valore pubblico viene misurato esclusivamente in termini di crediti accumulabili e le Amministrazioni Pubbliche finiscono per essere percepite come degli istituti che, simili a delle banche, raccolgono e fanno fruttare crediti relazionali: esistono per consentire l’accumulazione dei crediti e si attivano (a richiesta) per garantire il pagamento dei debiti.

È inutile dire chi pagherà il conto di questo sequestro: se i ruoli, processi decisionali e i servizi erogati da una Pubblica Amministrazione diventano veicolo di debiti e crediti relazionali, a pagare il conto saranno tutti i soggetti che non possono, non riescono o non vogliono entrare in dinamiche di scambio con il potere pubblico.

IL PRIMO COMANDAMENTO DELL’ETICA PUBBLICA

Principi. Il divieto di accettare beni, compensi e altre utilità si fonda sul principio di imparzialità e contribuisce a rendere l’Agente pubblico affidabile agli occhi dei destinatari e della collettività: l’Agente pubblico deve garantire equidistanza dagli interessi in gioco, ma questa equidistanza è messa a rischio dal legame creato dallo scambio di doni. Il divieto è molto antico (è già chiaramente espresso nel libro dell’Esodo) ed è stato introdotto in riferimento alla figura dei giudici che, in un processo, devono garantire di essere al di sopra delle parti. Il principio di reciprocità, infatti, ieri come oggi, non incide tanto sulla qualità delle decisioni, ma sull’uguaglianza tra i destinatari: una Pubblica Amministrazione “accecata” dai doni si dimostra equa, efficiente ed affidabile nei confronti di alcuni, mentre è iniqua, inefficiente e inaffidabile per altri, con conseguente perdita di universalità, integrità e indipendenza.

Il giudice cieco

Questa volta non ci sono dubbi: all’economia del dono, basata su un principio di reciprocità che si traduce in un obbligo morale (il dono non può essere rifiutato e impone a sua volta un obbligo di remunerazione), dobbiamo opporre un’etica pubblica basata sul principio di imparzialità: la funzione pubblica non è una merce di scambio e l’Agente pubblico non deve utilizzare la propria funzione allo scopo di garantirsi un credito esigibile. Dobbiamo interpretare in questo modo il divieto introdotto dal primo comma dell’art. 4 del Codice di comportamento nazionale: “Il dipendente non chiede, né sollecita, per sé o per altri, regali o altre utilità”. Un’ingiunzione negativa, che sgombra il campo da qualsiasi valutazione.

Questa regola, che viene meglio specificata nella seconda parte del comma 2, ha fatto parte dell’etica pubblica praticamente da sempre. La prima codificazione, legata alla particolare figura di pubblico ufficiale che è il “giudice”, la troviamo nel Libro dell’Esodo della Bibbia, in cui si legge: “I giudici devono aborrire i regali. Poiché il regalo acceca anche coloro che hanno la vista chiara e perverte le parole dei giusti (Esodo 23,8)”.

Nel XVI° secolo, Hans Holbein elaborò delle sofisticate illustrazioni che mettevano in scena proprio questo passaggio della Bibbia. Nei Simulacri della morte (anno 1538) viene ritratto uno strano gruppo di giudici: la figura centrale è il Presidente della Corte, accecato dai doni ricevuti e distratto dal prendere la giusta decisione, e mentre il contendente povero è solo e in disparte, il giudice porge la mano al ricco, che è ripreso nell’atto di mettere la mano nella borsa. Nell’illustrazione completa, si vede la morte che viene a prendersi il giudice. Il messaggio di questa illustrazione ammonisce su come il dono che aspetta una remunerazione non ha libertà di movimento e aspetta solo di essere contraccambiato.

L’ipotesi di una connessione tra il Libro dell’Esodo e l’etica pubblica venne avanzata da Jean de Coras, giurista francese del XVI° secolo. De Coras affermava: “siamo compensati dal nostro principe, gli stipendi ci vengono pagati regolarmente ogni trimestre. Inoltre riceviamo le sportule dalle parti per ogni giudizio. Come possiamo accettare di vedere le nostre cucine riempite di cacciagione, selvaggina e altri alimenti forniti da ricchi e da poveri?…” In più l’accettare doni induce i litiganti a pensar male del funzionamento della giustizia. Eliminare i doni significava per Jean de Coras, deciso sostenitore della sovranità regia, stringere i legami che univano i giudici al sovrano e, contemporaneamente, allentare quelli concorrenti, che li vincolavano invece alle aristocrazie locali. Altrettanto significativo è il fatto che Jean de Coras fosse un protestante. Egli formulò, infine, una vigorosa metafora: “Per un giudice toccare un dono era come per un pescatore toccare una torpedine. Prima gli addormentava i polpastrelli, poi la mano intera e poi, poco a poco, tutto il resto del corpo”.

Questi autorevoli interpreti avevano intuito quale fosse l’implicazione più perversa dell’accettare doni, quando si è in una posizione pubblica: chi avalla il dono accetta di essere governato da regole di un Codice “altro” rispetto a quello riconosciuto dall’ordinamento (il “Codice del Re”). Tale Codice esprime delle “regole proprie”, dinamiche peculiari di potere, leadership incerte e un certo grado di reciprocità. Chi decide (più o meno consapevolmente) di entrare nel gioco della reciprocità decide anche di abbandonare lo schema del rapporto pubblico che è sciolto da ogni reciprocità e che si basa su principi quali imparzialità, buon andamento, trasparenza, ecc.

Il metanolo di Stato

Nel 1986 in Italia 23 persone morirono e 19 persone rimasero cieche, dopo aver bevuto qualche bicchiere di Barbera. Non erano giudici e le bottiglie di vino non erano un dono, quindi sui malcapitati non si era abbattuta la maledizione del Libro dell’Esodo, oppure la profezia di Jean de Coras: il Barbera era stato adulterato con del metanolo, per aumentarne la gradazione alcolica, ma in dosi tali da risultare letali.

Il principio di reciprocità non uccide le persone, ma immette stabilmente interessi secondari nel sistema pubblico, modificandone i meccanismi di funzionamento[13]; e lo avvelena, come il metanolo fa con il vino. Il sistema pubblico diventa equo ed efficiente esclusivamente per chi accetta di farsi coinvolgere nelle dinamiche del debito e del credito relazionale, mentre è iniquo e inefficiente per chi è escluso da tali dinamiche, con una fragorosa caduta del principio di universalità[14] e un conseguente aumento delle disuguaglianze. In secondo luogo, quando una Pubblica Amministrazione diventa un Istituto di credito relazionale, viene completamente travisato il principio di correttezza e buona fede[15]: poiché lo scambio di utilità è caratterizzato da reciprocità bilanciata, correttezza e buona fede diventano una caratteristica dell’Agente pubblico, che deve stare al gioco, tenere fede ai patti, pagare i debiti e garantire la riscossione dei crediti. Infine, i principi di imparzialità, integrità e indipendenza diventano irrilevanti, quando non sono considerati addirittura disfunzionali: un sistema pubblico equidistante dagli interessi in gioco, infatti, non sarebbe più in grado di gestire correttamente i crediti e i debiti relazionali.

In sintesi, un sistema pubblico governato dal principio di proporzionalità non smette di funzionare, ma comincia piuttosto a funzionare in modo diverso: l’Istituto di Credito Res Publica, a dispetto del proprio nome, non è di tutti, perché promuove gli interessi di un numero ristretto di clienti e investitori.

Lo stigma invisibile

Il divieto di chiedere o accettare doni dovrebbe servire a disinnescare le dinamiche di scambio e remunerazione, che possono avvelenare il sistema pubblico. Questa regola ha un potente effetto preventivo: la sua violazione è fonte di responsabilità disciplinare, ma ad essere sanzionata non è la strumentalizzazione del potere pubblico o l’interferenza nei processi decisionali (per questo i giudici e i reati del Codice penale), bensì la scelta di stare al gioco, di diventare creditore o debitore, di essere parte di una relazione di scambio entro cui potrebbe, eventualmente, essere messo in atto un comportamento penalmente sanzionabile.

Tuttavia, questa azione preventiva deve essere realizzata in modo consapevole, anche per tutelare i dipendenti pubblici: gli scambi relazionali seguono schemi complessi, che spesso sono difficili da decodificare e servono regole per gestire questi schemi. Inoltre, il rifiuto di stare al gioco, la violazione delle regole non scritte dell’economia del dono, è soggetta ad uno stigma invisibile, ad una condanna del contesto, interno ed esterno, di riferimento. Di conseguenza, le regole devono essere chiare e ben ancorate all’interno dell’organizzazione.

Il resto dell’articolo parlerà di questi importanti ingredienti della strategia etica di contrasto all’ambiguità del dono.

LE INGRATITUDINI DI CANDIDO DI LEMMA

Casistiche. Gli scambi che si basano sul principio di reciprocità seguono degli schemi ben definiti: il munus può accendere un credito nella sfera professionale o nella sfera professionale del dipendente pubblico e può chiudersi, ancora una volta, nella sua sfera privata o nella sua sfera professionale. Il modo più semplice per identificare questi schemi e vederli all’opera, in una serie di transazioni relazionali.

Il signor Candido Di Lemma vive lavora alle dipendenze di una piccola ditta di spedizioni e in groppa al suo camion bianco, come un moderno cavaliere errante, sfida ogni giorno il traffico, i sensi unici, i cantieri, i tamponamenti, per consegnare merce di vario genere a destinatari sparsi nei diversi quartieri di Roma.

Il 23 dicembre, rientrando a casa dopo un’intensa giornata di consegne pre natalizie, le narici di Candido Di Lemma sono travolte da un profumo familiare: sua moglie ha cucinato per cena la coratella con i carciofi, di cui lui è assai ghiotto! Si siede a tavola e manga diversi piatti del prelibato cibo, innaffiato da buon vino, lamentandosi del proprio lavoro:

– Non ne posso più! Quest’anno sembrano tutti impazziti: inviano regali a chiunque, come se fosse l’ultimo Natale del mondo! Ho sbagliato mestiere: dovevo fare il dirigente pubblico!

– Per fare il dirigente pubblico dovevi avere una laurea – osserva la moglie, mentre gli passa con sano realismo il macinapepe.

– Ma cosa dici? Bastava conoscere le persone giuste … e adesso me ne starei al caldo in ufficio, ad aspettare regali, proprio come il dirigente pubblico al quale oggi ho recapitato una cassa di vino pregiato!

– Ma tu cosa ne sai della vita degli altri? Magari stanno peggio di te!

Candido Di Lemma non si degna nemmeno di dare una risposta a sua moglie. Si alza da tavola e si sdraia sul divano del soggiorno, cercando una serie televisiva che gli faciliti la digestione. Ma dopo pochi minuti si addormenta e fa una serie di stranissimi sogni …

Sogno numero 1

Vede un uomo, che si chiama Dante. L’uomo sparecchia velocemente la colazione, scappa via lungo le scale che lo portano all’uscita e a testa alta solca i vicoli della sua città. La sua cravatta floreale è uno splendore, mentre pensa e ripensa a cosa succederà di lì a poco, quando incontrerà la donna che ama, alla quale ha fatto recapitare, la sera prima, un enorme mazzo di rose rosse:

– Non posso certo fallire con un dono così galante!

Candido Di Lemma si guarda allo specchio e si accorge di essere lui la donna che Dante ama! Vede il mazzo di rose rosse dentro un vaso: le rose sono molto belle, ma Dante non è proprio il suo tipo! Deve trovare velocemente una soluzione! Esce di corsa e va da un fiorista. Acquista un mazzo di gerbere gialle che fa recapitare a casa del signor Dante, con un biglietto. Il biglietto dice:

– Gentile signor Dante, le significo, tramite codesto presente, la mia irragionevole passione per le fioriture stagionali, che, a quanto pare, condividiamo e Le porgo i miei più cordiali saluti.

Squilla un vecchio telefono della SIP. Candido Di Lemma risponde. Dall’altra parte della cornetta c’è Dante, molto arrabbiato:

– Mi hai preso in giro e mi hai spezzato il cuore! – seguono insulti di vario genere, che fanno riferimento alla propensione di Candido Di Lemma ad accompagnarsi con uomini sempre diversi e per di più a pagamento!

Sogno numero 2

Ora Candido di Lemma si ritrova nella corsia di un reparto ospedaliero. Vicino a lui c’è un infermiere, pronto ad entrare in sala operatoria:

– Dr. Di Lemma, il paziente si chiama Federico Fedele. Ha avuto un infarto mentre spalava la neve dall’ingresso del suo ristorante… la situazione sembra disperata … pensa di poter fare qualcosa?

– E perché proprio io dovrei fare qualcosa? – chiede Di Lemma candido, di nome e di fatto.

– Perché Lei è il primario! – esclama l’infermiere, senza nascondere un certo stupore.

Candido Di Lemma non ha mai effettuato un intervento chirurgico. Ma nel sogno tutto è molto più facile: – Bisturi! Garza! Pinze! Ago! Filo! – e l’operazione si conclude con successo! Federico Fedele è salvo e tra pochi giorni sarà dimesso.

Nel sogno il tempo passa più veloce che nella realtà: i mesi sembrano minuti. È arrivato l’inverno e Candido Di Lemma adesso sfreccia su una pista da sci. Ha fame e decide di entrare in un rifugio per mangiare. Gli servono polenta e spezzatino di cervo, ma stranamente il cervo ha un retrogusto di coratella. Candido Di Lemma chiede più volte il conto, ma nessuno sembra ascoltarlo e spazientito va alla cassa, per parlare con il gestore del rifugio:

– Vorrei pagare, ma nessuno mi ascolta!

– Non devi pagare nulla. – dice l’uomo alla cassa, offrendogli un bicchiere di grappa.

– Sì che devo pagare! Ho mangiato polenta e cervo!

– Ma tu sai chi sono io?

– No! Non ci siamo mai visti: è la prima volta che mangio in questo rifugio – chiarisce Candido Di Lemma, che comincia ad essere un po’ confuso.

– Io sono Federico Fedele: mi hai salvato la vita, quando ho avuto un infarto.

– Ho fatto solo il mio lavoro…

– Perché vuoi pagare? Se adesso ti faccio pagare, sarò per sempre in debito con te.

– Voglio pagare, perché ho mangiato!

– Esci immediatamente dal mio locale! – grida il signor Fedele, agitando minacciosamente un bastone nodoso che ha tirato fuori da sotto il bancone.

Sogno numero 3

Candido Di Lemma, per evitare guai, se ne va senza pagare. Esce dal rifugio sculettando con eleganza su un paio di scarpe col tacco, preso in trappola da un tailleur grigio fumo[16]: ora sogna di essere Candida Di Lemma, dirigente del Settore Affari Generali di un’Amministrazione regionale. Sta facendo colazione con sua figlia Catena, che mentre beve il caffè già legge le ultime e-mail arrivate sul telefono aziendale. Candida di Lemma guarda sua figlia e si sente piena di orgoglio: subito dopo la laurea il titolare di una società che fornisce servizi di assistenza tecnica alla Regione, il dott. Carmine Ricatto, le ha offerto una opportunità di stage non retribuito e Catena non si è certo tirata indietro, anzi ha lavorato più di tutti, ha fatto la sua gavetta e alla fine è stata assunta!

Si mette un filo di trucco sugli occhi ed esce di casa. Sua figlia la segue e sale in macchina con lei:

– Mamma, potresti darmi un passaggio?

– Certamente, dove devi andare?

– Da te in Regione.

Candida di Lemma guida fino alla sede dell’Amministrazione regionale. Passa dall’ingresso riservato al personale, salutando i commessi, e sua figlia la segue. Prende l’ascensore e sua figlia la segue. Entra in ufficio e sua figlia si siede davanti alla sua scrivania:

– Cosa ci fai qui?

– Oggi resto qui con te.

– Non vai al lavoro?

– Da oggi lavoro qui: il dott. Ricatto mi ha assegnato al Settore Affari Generali!

Sogno numero 4

Di Lemma chiude gli occhi e quando li riapre non è più donna. Ora è il responsabile del Settore Welfare del Comune di Incrisi. A causa dell’Emergenza Covid-19, il Comune deve potenziare il servizio di scuolabus, per trasportare gli alunni nelle diverse scuole sparse sul territorio, ma non c’è tempo e non ci sono soldi per selezionare un operatore economico a cui affidare il servizio. Nell’ufficio, insieme a Candido Di Lemma, c’è anche l’assessore, che ha in mente una soluzione:

– Possiamo chiedere un piccolo favore a Paolo Prestito, presidente della cooperativa che si occupa del trasporto anziani…

– Ma siamo sicuri che accetteranno? – chiede Di Lemma – Nel contratto non è previsto il servizio di scuolabus …

– Non ti preoccupare, lo chiamo io – rassicura l’assessore – la cooperativa ha il contratto in scadenza e quindi è anche loro interesse dimostrarsi disponibili!

Qualche istante dopo nel sogno sono già passati molti mesi: il Comune pubblica un bando di gara con procedura aperta per l’affidamento del trasporto anziani. Il telefono suona feroce. È Paolo Prestito che parla a Candido Di Lemma con tono risentito:

– Quando avevi bisogno degli scuolabus, io ti ho aiutato E mi sarei aspettato in cambio una proroga del servizio o al limite un affidamento diretto. Sei un ingrato!

Candido Di Lemma si sveglia di soprassalto, gridando:

– Ma io non ti ho chiesto niente! È stato l’assessore!

– Cosa stai dicendo? – esclama la moglie preoccupata – Hai fatto un brutto sogno per colpa della coratella con i carciofi?

Di Lemma si alza dal divano e si trascina in cucina. Mentre beve il caffè pensieroso, rivolge alla moglie parole confuse:

– Avevi ragione tu: cosa ne so io della vita degli altri? Hanno la coscienza che puzza come una fogna…

-Ma di chi stai parlando? – chiede la moglie, che comincia a dubitare che Candido Di Lemma ancora stia sognando.

– Parlo di quelli che passano la loro vita cercando di comprarsi a vicenda.

REGOLE PER (QUASI) TUTTE LE OCCASIONI

Le ingiunzioni. Sono tre gli schemi di apertura e chiusura dei crediti relazionali, caratterizzati da reciprocità bilanciata: 1. il credito di apre nella sfera professionale e si chiude nella sfera pubblica (Fedele); 2. il credito si apre nella sfera privata e si chiude nella sfera professionale (Ricatto); 3. il credito si apre e si chiude nella sfera professionale (Prestito). L’art. 4 del Codice di comportamento, nei suoi diversi commi, è in grado di gestire (anche se con qualche criticità) solo due di questi tre schemi.

Lo schema “Dante”

In realtà, il primo sogno è di certo un incubo, ma solo per il nostro Candido Di Lemma, non certo per l’etica pubblica. Si tratta di un malinteso tra una cortese signora ed un focoso pretendente. La dinamica però ci interessa perché descrive mirabilmente tutta l’ambiguità del dono e il fatto che l’oggetto donato non è altro che un intermediario simbolico, un contenitore di segnali ambigui che possono essere fraintesi. Il munus, costituito dal bel mazzo di rose, vuole essere remunerato non certo con un altro mazzo di fiori. L’equivoco manda su tutte le furie Dante che evidentemente aveva altri progetti.

Tavola 1 – Schema “Dante”

La particolarità di questa transazione relazionale è che si apre e si chiude all’interno della sfera privata dei due protagonisti. Per questo non ha alcun impatto sull’etica pubblica (ma, ahimè, ha un forte impatto sul morale del nostro povero Dante!).

Lo schema “Fedele”

Il secondo sogno illustra una affascinante dinamica relazionale. Candido Di Lemma svolge il proprio lavoro di professionista clinico, ma la sua prestazione professionale viene interpretata dal destinatario come una utilità, cioè un munusche impone l’obbligo di remunerazione. Abbiamo già parlato del munus, ma ora che abbiamo visualizzato la dinamica sarà più facile comprendere la meravigliosa complessità di questa transazione relazionale[17].

Se ci pensate, il compimento di un atto del proprio ufficio può innescare l’obbligo morale a ricompensare in molti ambiti del lavoro pubblico. Nella prevenzione della corruzione, ad esempio, facciamo riferimento ad una particolare area a rischio, cioè quella dei provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario, con o senza effetti economici diretti per il destinatario. Nella prima categoria si fa riferimento, ad esempio, rientrano le concessioni che permettono a soggetti privati o ad operatori economici di svolgere ulteriori attività e quindi di ampliare una casa o un’attività, con ampliamento anche del business. Nella seconda categoria si fa riferimento ai contributi economici erogati a persone o organizzazioni che, ovviamente, migliorano il proprio stato economico, riducendo il rischio di povertà oppure permettendo ad associazioni civiche di funzionare e svolgere i propri obiettivi sociali.

In questi casi il munus, cioè l’esercizio di una funzione pubblica, per il solo fatto che venga esercitato, e senza ulteriori accordi o benefici aggiuntivi, genera comunque un vantaggio nei confronti del destinatario, diretto o indiretto. La dinamica, come sembra chiaro, si presta ad attivare una asimmetria relazionale: il funzionario pubblico è percepito dal destinatario come colui che può generare un vantaggio (oppure può scongiurare uno svantaggio), anche se non fa altro che svolgere correttamente il suo lavoro. In queste particolari transazioni relazionali, il munus si apre nella sfera professionale del dipendente pubblico e si chiude nella sua sfera privata.

Tavola 2 – Schema “Fedele”

Di questa particolare transazione relazionale si occupa la seconda parte del comma 2 dell’art. 4[18], del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici che contiene una esplicita ingiunzione negativa che mira a scongiurare che il dipendente chieda regali o altre utilità a titolo di corrispettivo per compiere o aver compiuto un atto del proprio ufficio. L’origine storica di questa regola è davvero interessante. Ora proveremo a riscriverla cambiando il protagonista ed alcuni complementi: “In ogni caso, indipendentemente che il fatto costituisca peccato, il sacerdote non chiede, per sé o per altri, decime o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per somministrare o per aver somministrato un sacramento”.

Vi dice niente? Parliamo di una rivoluzione culturale profondissima avvenuta in Europa nel XVI secolo e avviata proprio dal giovane uomo di cui abbiamo parlato all’inizio del nostro articolo: la Riforma protestante. Il munus sacerdotale generava credito relazionale, perché l’ampliamento della sfera religiosa del credente cattolico si perfezionava (e si perfeziona tuttora) attraverso i sacramenti. Per un credente cattolico del sedicesimo secolo, ad esempio, la somministrazione dell’estrema unzione ad un proprio familiare rappresentava la certezza, per quell’anima, dell’entrata nel Regno dei Cieli. La vita terrena rappresentava quindi solo una piccola parte del tragitto universale delle anime ed il sacerdote, con la propria intermediazione, poteva scongiurare un destino atroce ed eterno. Immaginate che tipo di munus possa emergere da una tale asimmetria! Martin Lutero si scagliò contro una pratica, la vendita delle indulgenze, che sviliva e snaturava la stessa funzione sacerdotale. La Chiesa protestante tagliò ogni intermediazione tra il credente ed il Divino: non solo i sacerdoti, ma anche i Santi vennero eliminati. E una profonda e radicata tradizione culturale, non priva di pratiche altrettanto controverse, prese piede in Nord Europa e poi in Nord America.

Purtroppo, il posizionamento di questa regola è piuttosto infelice, perché arriva giusto di seguito alla regola in assoluto più conosciuta dai dipendenti pubblici: “Il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali”. Si tratta della prima parte del comma 2 dell’art. 4, un’ingiunzione che inserisce un criterio di valutazione ancorato al cosiddetto modico valore.

Leggendo la prima parte del comma 2, l’accettazione di un dono sembra essere lecita, a patto che esso presenti alcune caratteristiche:

– essere regalo d’uso;

– essere di modico valore;

– essere effettuato occasionalmente;

– restare nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e delle consuetudini internazionali.

Parecchi vincoli a dire il vero, il più noto dei quali è il modico valore, che viene specificato nel comma 5[19] come non superiore ai 150 euro.

Secondo la Cassazione[20], i regali d’uso fanno comunemente riferimento alle donazioni di modico valore, nelle quali la liberalità è attenuata dal motivo più specifico dell’adempimento di doveri sociali. A titolo di esempio si possono indicare i regali fatti in occasioni di compleanni, matrimoni ed altre ricorrenze[21].

Più interessante, infine, il requisito delle normali relazioni di cortesia. Implicitamente, l’ingiunzione tende ad affermare che il regalo è accettabile se il donante e il donatario non sono allo stesso tempo Destinatario e Agente all’interno di una relazione di agenzia pubblica[22]. Questo è valido, ad esempio, proprio nell’ambito delle consuetudini internazionali, cioè nei casi in cui i doni vengono ricevuti, ad esempio, da delegazioni governative in missione all’estero.

A quanto sembra, le fattispecie previste in questa prima parte del comma 2 dell’art. 4 sono davvero residuali. Tuttavia, se chiedete a qualsiasi dipendente pubblico italiano: – È lecito accettare un regalo?-, questi vi risponderà, senza alcuna esitazione: – Solo se di modico valore!

L’infelice costruzione di questo secondo comma, inoltre, ha anche l’effetto di sovrapporre dinamiche e fattispecie del tutto diverse. Basti pensare al fatto che nella prima parte i doni non si accettano, mentre nella seconda parte non si chiedono. Condotte diversissime: accettare un dono significa avallare le aspettative di un Destinatario, mentre chiedere un dono è un comportamento di vero e proprio abuso della funzione delegata[23].

Lo schema “Ricatto”

Il terzo sogno illustra un altrettanto interessante dinamica in cui il munus si apre nella sfera privata del dipendente pubblico e si chiude nell’ambito della sua sfera professionale. Il munus si apre con l’assunzione di Catena, figlia di Candida Di Lemma, da parte di un operatore economico che fornisce servizi alla Regione. L’operatore avrà un’aspettativa di remunerazione nell’ambito dei procedimenti in cui Candida Di Lemma sarà coinvolta.

Tavola 3 – Schema “Ricatto”

La relazione è particolarmente stabile visto che il godimento del munus non è esaurito, ma permane. Tali dinamiche mettono seriamente a rischio la condotta imparziale del dipendente pubblico, che si sente intrappolato all’interno di un ambiguo ricatto: il timore della perdita del lavoro, e l’intensità della relazione tra madre e figlia, saldano il vincolo e gli donano ulteriore stabilità e intensità.

Di queste particolari transazioni relazionali, che coinvolgono familiari o congiunti di dipendenti pubblici, non abbiamo traccia nel Codice di comportamento. A dire il vero, di una dinamica assai simile si occupa il comma 6 dell’art. 4 che stabilisce: “il dipendente non accetta incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di appartenenza”. Come vedete, il comma tratta solo incarichi offerti al dipendente, non a familiari o congiunti, ma la dinamica che rappresenta è calzante con il nostro caso.

Ad un primo esame, l’ingiunzione dell’art. 4, comma 6 sembra avere poco a che fare con il donare. A ben vedere, tuttavia, la presenza di questa ingiunzione è assai coerente: il munus, in questo caso, è l’incarico accettato e la regola vuole scongiurare che il dipendente si senta in obbligo nei confronti di un operatore privato.

Delle relazioni di agenzia passate si occupa anche un altro articolo del Codice di comportamento nazionale. Parliamo dell’attuale art. 6, comma 1, che stabilisce: “Fermi restando gli obblighi di trasparenza previsti da leggi o regolamenti, il dipendente, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni, precisando: a) se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione; b) se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all’ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate”.

Peraltro, l’ingiunzione dell’art. 6 è più attenta nel considerare la permanenza di tali rapporti in capo a familiari e congiunti. Ovviamente, l’art. 6 non tratta degli incarichi elargiti a titolo di munus, ma delle normali relazioni di agenzia privata, anche a titolo gratuito, che si accendono e si spengono lungo la vita professionale di un dipendente pubblico. Si pensi al professionista clinico di un ospedale pubblico che ha o ha avuto incarichi in una Università privata, o ad un professore universitario che ha o ha svolto attività di ricerca scientifica, all’architetto dell’ufficio tecnico di un Comune che svolgeva la sua attività professionale in uno studio.

Se ci fate caso, i due articoli si occupano di dinamiche diverse. L’art. 4, comma 6 è nel campo semantico del munus, dal momento che viene utilizzato il predicato verbale “non accetta”. Questo presume che esiste un donante (offerente) e un donatario (accettante) e che dobbiamo scongiurare a tutti i costi l’attivazione del pericoloso “principio di remunerazione” di cui abbiamo tanto parlato in questo articolo. Se un operatore economico è, o è stato nel biennio precedente, Destinatario di decisioni o attività dell’ufficio di appartenenza del dipendente, allora potrebbe sorgere nel suo animo l’aspettativa tanto temuta di una qualche remunerazione, sia che si tratti di un “atto dovuto”, sia nella più pericolosa ipotesi di “atto non dovuto”.

Lo schema “Prestito”

Assai più controversa è la dinamica in cui il munus si apre e si chiude nella sfera professionale del dipendente pubblico, come nel quarto sogno di Candido Di Lemma. L’oggetto donato è un ulteriore servizio da parte di un fornitore. L’aspettativa dell’operatore economico è consolidare la sua fornitura senza passare dalle forche caudine di una procedura ad evidenza pubblica. Il munus, peraltro, si rafforza in rapporto al fatto che è stato risolto un problema che impediva di fornire servizi ad un certo gruppo di Destinatari e che nessun Agente pubblico ci ha lucrato sopra. In situazioni simili il rischio che il dipendente non colga la rischiosità di una tale condotta è molto elevato.

Tavola 4 – Schema “Prestito”

Attualmente le pubbliche amministrazioni sono alle prese con il difficile compito di attuare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e il problema della carenza di personale negli uffici è ben noto: la costruzione di capacità amministrativa non si fa in un giorno. È ben presente a chi scrive il rischio che il supporto tecnico-giuridico che è necessario per costruire i bandi o per seguire le complesse procedure di rendicontazione venga richiesto a soggetti esterni che già operano nell’Amministrazione, generando un munus che poi vorrà in qualche modo essere remunerato.

Purtroppo, in merito a questa transazione relazionale non abbiamo specifiche regole di comportamento, né all’art. 4, né in nessuna altra regola del Codice nazionale.

ÀNCORE ANTI-DONO

L’ancoraggio delle regole. In questa ultima parte dell’articolo illustreremo tre tecniche di ancoraggio, che consentono di veicolare in modo efficace le regole di gestione dei doni all’interno delle organizzazioni pubbliche: codificazione delle regole, formazione del personale e leadership etica.

Codificazione delle regole

Dopo questa approfondita analisi siamo giunti alla sezione che più ci interessa: come possiamo ancorare questi presidi dell’etica pubblica all’interno delle nostre organizzazioni?

In sintesi, sono almeno tre i pattern che dobbiamo tenere sotto controllo:

1. un munus che si apre nella sfera professionale del dipendente pubblico e si chiude nella sua sfera privata (schema “Fedele”);

2. un munus che si apre nella sfera privata del dipendente pubblico e si chiude nella sua sfera professionale. (schema “Ricatto”);

3. un munus che si apre nella sfera professionale del dipendente pubblico e si chiude sempre nella sua sfera professionale. (schema “Prestito”).

Sappiamo già che lo schema “Fedele” è gestito nella seconda parte del comma 2 dell’art. 4. Il problema non risiede tanto nella cripticità delle locuzioni utilizzate, quanto nella sua posizione. Pertanto, proponiamo di fornire a questo schema dignità di comma a sé stante. Inoltre, proponiamo di rafforzare la dotazione di predicati verbali che sgombrino il campo da possibili manipolazioni. Infine, come sapete, noi raccomandiamo sempre di collegare le ingiunzioni ai principi di riferimento[24]:

A tutela dell’imparzialità, dell’indipendenza e dell’integrità della funzione pubblica, Il dipendente non chiede, non sollecita e non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all’ufficio, né da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell’ufficio ricoperto”.

Questa ingiunzione reclama la sua centralità storica e culturale e deve essere per questo posta in testa all’articolo. Il dipendente deve avere chiaro che non è un sacerdote della Chiesa cattolica del sedicesimo secolo: la sua funzione pubblica non è un sacramento su cui si possa lucrare e il Regno dei Cieli, sia esso un’autorizzazione o il buon esito di un controllo oppure una delicata operazione chirurgica, non si guadagna con gli ex voto o i per grazia ricevuta. Il suo ruolo non è di intermediazione, per ottenere una corsia preferenziale, e il registro del dono non può sovrapporsi alla trasparente relazione di agenzia pubblica, nella quale il Destinatario non è un suddito questuante o un infido manipolatore, ma un titolare di diritti.

Anche il secondo schema (“Ricatto”) è già parzialmente gestito dall’attuale art. 4. Stiamo parlando del comma 6 che, come abbiamo visto, prevede l’ipotesi dell’incarico offerto al dipendente da operatori economici che hanno o hanno avuto un rapporto con il suo ufficio. Per migliorare questa ingiunzione, dobbiamo tenere presente che dobbiamo scongiurare due eventi a rischio:

– la chiusura di un munus che si è aperto nella sfera privata del dipendente pubblico da parte di un operatore economico che ha o ha avuto interesse in decisioni o attività dell’ufficio;

– l’apertura di un munus nella sfera privata del dipendente pubblico da parte di un operatore economico che potrebbe avere interesse in decisioni o attività future dell’ufficio.

Non possiamo certo vietare al familiare o al congiunto di un dipendente pubblico di accettare incarichi o impieghi, perché in futuro si potrebbero generare interferenze con la funzione pubblica dell’ufficio dove lavora il dipendente: questo comporterebbe una violazione del principio di proporzionalità. Per il secondo evento a rischio, pertanto, dobbiamo affidarci all’art. 6, comma 1 che impone l’obbligo di segnalazione di situazioni di conflitto di interessi potenziale, derivanti da rapporti diretti o indiretti di collaborazione avuti negli ultimi tre anni.

Pertanto, suggeriamo di riscrivere l’ingiunzione in questo modo:

Il dipendente non accetta, e non sollecita, per sé o un suo familiare, coniuge o convivente, incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di appartenenza. Nell’ipotesi in cui tali incarichi siano offerti al coniuge, a un suo familiare o a un convivente, il dipendente lo comunica tempestivamente al proprio superiore gerarchico e si astiene dall’intraprendere attività, prendere decisioni e gestire informazioni che possano in qualunque modo coinvolgere gli interessi del soggetto privato, secondo le modalità previste dall’art. 6 (Comunicazione degli interessi finanziari e conflitti d’interessi).

Faticosamente ma orgogliosamente arriviamo al terzo schema (c.d. Prestito). Come anticipato, attualmente, non abbiamo ingiunzioni che regolamentano questa dinamica. Dobbiamo inserire un nuovo comma che potrebbe suonare più o meno così:

Il dipendente non accetta, né richiede o sollecita forniture di servizi o beni a titolo gratuito (o in sconto) da soggetti privati che hanno interessi nell’ambito dell’ufficio”.

L’atteggiamento fieramente Calvinista di uno dei due autori ci spinge ad infierire sulle residue capacità del dipendente di utilizzare la propria funzione per ottenere indebiti vantaggi con una seconda parte di questo comma:

Nella stipula dei contratti di fornitura di beni e servizi, di concessione o di partenariato pubblico-privato, è vietato accettare, richiedere o sollecitare trattamenti agevolati per il personale e i collaboratori dell’ente. Allo stesso modo, è vietato accettare, richiedere o sollecitare sponsorizzazioni da soggetti privati che hanno interessi economici nell’ambito dell’ufficio”.

La riscrittura dell’art. 4 è giunta al termine. Siete comunque liberi di inserire un ulteriore comma per regolamentare, attraverso il modico valore, le regalie offerte per ragioni di cortesia, in cui il donante non è, non è stato e non sarà a breve un Destinatario (sempre che riusciate a trovare qualcuno che si trovi in questa situazione). Se lo fate, però, aprirete il fianco a bias cognitivi di tutti i tipi, come quelli attualmente presenti nelle menti dei dipendenti pubblici per cui l’accettazione di un dono viene valutata in base al suo valore commerciale. Speriamo che la lettura di questo articolo faccia sparire dalla vostra mente, per sempre, ogni argomentazione che si basi su questo fuorviante criterio di valutazione.

La formazione del personale

Sensibilizzare il personale sui rischi associati agli scambi relazionali, e sulle regole adottate per gestire questi rischi, può essere utile, a patto che gli interventi formativi affrontino in modo adeguato questa complessa materia: un corso che si limiti a illustrare i divieti del codice e le sanzioni per chi non li rispetta, per esempio, sarà del tutto inutile ai nostri scopi. Per garantire un buon ancoraggio, l’intervento formativo dovrebbe contemplare un approccio “per casi concreti”[25]. A titolo esemplificativo, suggeriamo di trattare le seguenti tematiche:

– transazioni relazionali e loro schemi (“Fedele”, “Ricatto” e “Prestito”),

– identificazione dei processi maggiormente esposti al rischio di apertura o chiusura di crediti relazionali,

– identificazione dei destinatari rilevanti per gli uffici,

– aspettative dei destinatari,

– casistiche applicative delle diverse regole dell’art. 4, rilevanti per gli uffici coinvolti nell’intervento di formazione.

Considerata la complessità della materia, potrebbe essere utile dare alla formazione un taglio laboratoriale, chiedendo ai partecipanti di applicare le nozioni apprese al proprio ambiente di lavoro.

La Leadership etica

Ovviamente, i dirigenti e i responsabili degli uffici devono adottare un comportamento esemplare: se un leader gestisce le proprie relazioni sulla base del principio di reciprocità, inevitabilmente i suoi collaboratori finiranno per ritenere irrilevanti le regole dell’art. 4 del codice di comportamento.

Il divieto per i dirigenti di accettare doni dai propri subordinati e di offrire doni ai propri subordinati, previsto nel comma 3 dell’art. 4[26], intende proprio garantire una corretta gestione delle relazioni tra superiori gerarchici e collaboratori[27], ma la leadership etica è fondamentale soprattutto per la gestione degli schemi “Prestito” e “Fedele”.

Per quanto riguarda lo schema “Prestito”, è fondamentale che dirigenti e responsabili gestiscano in modo corretto le relazioni con i destinatari, i consulenti e i fornitori, astenendosi dall’adottare comportamenti opportunistici, finalizzati ad ottenere prestazioni o consulenze pro bono non dovute. La medesima attenzione deve essere dedicata nella valutazione delle proposte di sponsorizzazioni, soprattutto in ambito socio-sanitario e nella promozione di iniziative sportive e culturali. In linea di principio, le prestazioni gratuite oppure le sponsorizzazioni (anche tecniche) non devono essere escluse a priori, ma i leader devono dimostrare di essere in grado di identificare correttamente le aspettative e gli interessi espressi dai soggetti privati.

Infine, lo schema “Fedele” rappresenta forse la sfida più grande per dirigenti e responsabili: se i collaboratori sono demotivati o non hanno chiari gli interessi primari che devono promuovere nel corso delle loro attività, allora molto probabilmente la soddisfazione immediata delle aspettative dei Destinatari diventerà il loro unico incentivo ed eventuali remunerazioni offerte nella loro sfera privata non saranno percepite come un azzardo morale. In poche parole, se i dipendenti non si sentono incentivati e stimati dal proprio superiore gerarchico e dalla propria organizzazione, tenderanno a compensare questa mancanza rivolgendosi all’esterno, cercando stima e incentivi dei Destinatari.

NUOTARE CONTROCORRENTE

Conclusioni. Siamo arrivati alla fine del nostro viaggio nell’art. 4 del Codice di comportamento nazionale. Ed è stato un viaggio a nostro parere appassionante, nel corso del quale abbiamo scoperto che il dono in ambito pubblico è qualcosa di più delle bottiglie di vino regalate a Natale o delle quaglie di zaloniana memoria: vincolandosi al principio di reciprocità, le persone vendono se stesse e rinunciano alla propria libertà.

La sfera privata degli Agenti pubblici e dei loro Destinatari è popolata di relazioni che si fondano naturalmente sul principio di reciprocità. Non c’è nulla di male in questo, nella misura in cui, nella sfera privata, l’economia del dono contribuisce a regolare e stabilizzare le interazioni sociali e lo scambio di beni e servizi[28]. Chiedere agli Agenti pubblici e ai Destinatari di rinunciare alla reciprocità, quando si relazionano dentro la sfera pubblica, è come nuotare controcorrente: significa rivendicare l’irriducibilità del sistema pubblico alle logiche del privato.

Il divieto di accettazione di doni e altre utilità, così come le regole per l’emersione e la gestione dei conflitti di interessi (che tratteremo nei prossimi articoli di questa Rubrica) è al centro e deve rimanere al centro dell’Etica pubblica, ma dovrebbe essere affiancato da ingiunzioni positive, orientate a promuovere un uso non strumentale ed ecologico[29] del potere e delle relazioni.

Un’ingiunzione positiva di questo tipo è contenuta nel comma 8 dell’art. 4 del Codice di comportamento della Azienda Sanitaria Locale Cuneo 1:

Il dipendente, nei rapporti con i terzi deve tenere un comportamento tale da disincentivare e prevenire, anche attraverso una corretta informazione circa il carattere doveroso della sua attività, una prassi, quella dell’offerta di regali o di altre utilità, che mal si concilia coi principi di integrità e di imparzialità”.

Per concludere il nostro articolo, non avremmo trovato parole migliori.


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[1] In realtà l’episodio riportato è assai controverso. Non esistono documenti da cui si possa trarre evidenza del fatto che Martin Lutero abbia espresso questo voto. Secondo molti, la conversione di Lutero ed il suo ingresso nel mondo ecclesiastico è da ricercare nella profonda conflittualità presente nel rapporto con il padre che aveva aspettative diverse. Inoltre, in quel tempo, la borghesia tedesca spingeva per affrancarsi da un certo conservatorismo della Chiesa cattolica e Lutero interpretò quel fabbisogno di autonomia di pensiero e di manovra.

[2] L’espressione completa è “ex voto suscepto”, cioè per voto fatto: questa pratica, comune, in differenti forme, a molte religioni, è un impegno che il credente assume nei confronti della divinità purché la stessa ne esaudisca le richieste, ovvero un ringraziamento per una grazia ricevuta.

[3] Prima della Riforma luterana, nella dottrina e nel diritto canonico l’idea che la Chiesa fosse un’istituzione caratterizzata dal passaggio dei doni era solidamente radicata. Il sistema cattolico si caratterizzava per una reciprocità complessa e articolata, in cui a essere donate erano le cose più diverse, dalle candele di cera alla fede. C’era scambio tra laici e preti. I laici donavano calici, paramenti e stendardi e denaro, i preti ricambiavano con l’intercessione liturgica, le preghiere e la messa. Il denaro elargito per una messa era considerato un dono, così come le decime erano considerate un’offerta, un’oblazione delle primizie fatta dal popolo al Signore nella persona dei sacerdoti. Negli scritti ufficiali nessuno metteva in evidenza il vincolo o l’obbligo che Dio assumeva in conseguenza del dono ricevuto. Nei testi del XII° secolo “munus” non era associato a “remuneratio”, ma a “cor” (cuore). Ci si preoccupava di donare a Dio nella giusta disposizione di spirito illustrata dalle offerte dei Re Magi. Nella pratica tuttavia, le cose stavano in maniera assai diversa. Andare a Messa rappresentava per il popolo un dono sotto forma di sacrificio necessario per avere in cambio un risultato positivo. Tuttavia, in queste forme di scambio, il sacrificio a Dio rappresentava il tentativo di placare la sua ira e di indurlo alla riconciliazione (proprio come in moltissimi schemi “pagani”).

[4] La migliore definizione di “dono” è presente in una pubblicazione di Valentin Groebner. Secondo questo autore un dono è una transazione relazionale che assume una particolare formalità retorica, dal momento che mormora (o grida dipende dalle circostanze) “Sono per te solamente e non devi fare niente per contraccambiare”. Al di là se questo è vero oppure no, sta di fatto che al momento del donare, il donatore non può esplicitamente richiedere qualcosa in cambio se non vuole mettere in pericolo l’efficacia dell’intera transazione. I doni possiedono un potere seduttivo, un’eloquenza, nonché la capacità di trasformare le relazioni sociali. Un dono efficace è, pertanto, un dono che evoca ambiguità. Diremmo che, prima o poi, il dono genera un “dilemma”. Cfr.: V. Groebner, “Liquid Assets, Dangerous Gifts: Presents and Politics at the End of the Middle Ages”, 2002, University of Pennsylvania.

[5] Cfr.: M. Sahlins, “Stone Age Economics”, 1972.

[6] Marcel Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, 1965.

[7] Ibidem.

[8] Mauss afferma che la stabilità è garantita dallo spirito della cosa donata. Ma per gli studiosi che hanno in parte superato le sue teorie, si tratta di qualcosa di molto più umano. Ad esempio, nel saggio “Dono, hau e reciprocità. Alcune riletture antropologiche di Marcel Mauss”, Matteo Aria riporta alcune tesi di Firth: “Per spiegare il perché del ‘ridonare’ dopo aver ricevuto non è necessario chiamare in causa la forza dello hau della cosa, né tanto meno l’attivo frammento della personalità del donatore in essa contenuta. L’incentivo a rispettare gli obblighi è invece da far risalire ‘più semplicemente’ alle sanzioni sociali, al desiderio di perpetuare utili rapporti economici o di conservare il prestigio e il potere”.

[9] Cfr: M. Di Rienzo, A. Ferrarini, “Le ‘porte girevoli’ uno stargate verso il conflitto di interessi”, in Azienditalia, 2021.

[10] Con questa espressione si designano i servizi prestati a titolo gratuito e disinteressato, pro bono pubblico, cioè nell’interesse della collettività.

[11] Oggi un approfondimento culturale sui doni potrebbe rappresentare un’utile integrazione al dibattito che si va costruendo sul Valore Pubblico.

[12] Il concetto di Public Value è stato introdotto nel 1995 da Mark Moore (Creating public value: Strategic management in government – Harvard university press) ed è stato sviluppato da numerosi studiosi e ricercatori attivi soprattutto negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia e in Olanda. Il Valore Pubblico è il valore che una organizzazione genera a favore non di sé stessa, ma della società e una pubblica amministrazione genera valore pubblico quando promuove il benessere dei cittadini, soddisfa le loro aspettative e guadagna la loro fiducia. Nei PIAO, in particolare, la creazione del Valore Pubblico è strettamente connessa all’aumento del Benessere Equo e Sostenibile (BES), che ISTAT e CNEL hanno declinato in 12 “dimensioni”: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, innovazione, ricerca e creatività, qualità dei servizi.

[13] Nel precedente articolo di questa rubrica, La geometria delle regole, abbiamo visto che i Principi dell’Etica pubblica definiscono dei requisiti di funzionamento della Pubblica Amministrazione. Sono, metaforicamente, dei meccanismi che descrivono il funzionamento della macchina amministrativa.

[14] Principio di Universalità: “La Pubblica Amministrazione deve garantire a tutti il legittimo esercizio dei diritti, senza escludere nessuno”.

[15] Correttezza e buona fede sono meccanismi di delimitazione dell’agire pubblico: la Pubblica Amministrazione non deve causare consapevolmente danni ingiusti ai Destinatari.

[16] “Ti ho incrociata alla stazione che inseguivi il tuo profumo, presa in trappola da un tailleur grigio fumo. Il giornale in una mano e nell’altra il tuo destino, camminavi fianco a fianco al tuo assassino”: così Fabrizio De André rappresentò la Libertà imprigionata dalla vita, dal potere e dalle convenzioni sociali, che la tagliano a pezzetti, in una famosa canzone del 1981.

[17] Munus è una di quelle parole che ci facevano impazzire quando eravamo chiamati a svolgere il compito di latino perché il vocabolario riportava almeno dieci possibili significati. In buona sostanza, munus è un dono che impone un obbligo di remunerazione. Munus, però, significa anche funzione o, meglio, esercizio di una funzione specie se pubblica (si pensi alla parola Municipio, ad esempio). Pertanto, l’esercizio di una funzione può essere colta dal Destinatario come un dono (munus) che impone un obbligo.

[18] Art. 4, comma 2, seconda parte: “In ogni caso, indipendentemente dalla circostanza che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all’ufficio, né da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell’ufficio ricoperto”.

[19] Art. 4, comma 5: “Ai fini del presente articolo, per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto. I codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni possono prevedere limiti inferiori, anche fino all’esclusione della possibilità di riceverli, in relazione alle caratteristiche dell’ente e alla tipologia delle mansioni”.

[20] Cass. 13 maggio 1987, n. 4394, in Il Fallimento, 1987, 1150.

[21] Cfr.: “Atti a titolo gratuito esenti dall’inefficacia di cui all’art. 64 della legge fallimentare”, 2011, in www.filodiritto.com.

[22] Ad esempio, la fattispecie dell’art. 2, prima parte, non opera per tutte quelle situazioni in cui il donante è (o “sarà di lì a poco” o “è stato”) Destinatario di un provvedimento amministrativo, oppure è candidato in un procedimento di selezione, oppure è Destinatario di un controllo, ecc.

[23] Condotte, peraltro, i cui confini sono piuttosto sfumati. Si pensi al caso in cui, a seguito di un controllo in un pubblico esercizio, un ispettore sanitario si presenti a pranzo con tutta la famiglia. Se non esplicita chiaramente la sua intenzione di pagare il conto, potrebbe implicitamente suggerire al titolare una via per sdebitarsi.

[24] Le integrazioni che proponiamo agli articoli del Codice Nazionale sono, come di consueto, evidenziate in grassetto.

[25] Cfr.: M. Di Rienzo, A. Ferrarini, Lo Spazio Etico, “Il ladro di cestini”, in Azienditalia, 2022: “Il PNA, nell’aggiornamento 2019, ribadisce che l’utilizzo di casi nella formazione non può essere più una opzione oppure una felice sperimentazione: ‘L’Autorità valuta positivamente, quindi, un cambiamento radicale nella programmazione e attuazione della formazione, affinché sia sempre più orientata all’esame di casi concreti calati nel contesto delle diverse amministrazioni e favorisca la crescita di competenze tecniche e comportamentali dei dipendenti pubblici in materia di prevenzione della corruzione’”.

[26] “3. Il dipendente non accetta, per sé o per altri, da un proprio subordinato, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore. Il dipendente non offre, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità a un proprio sovraordinato, salvo quelli d’uso di modico valore”.

[27] Il divieto serve anche ad evitare che le logiche di scambio si diffondano all’interno di un’amministrazione usando, come se fosse un comodo ascensore, la catena di comando che connette tra loro gli Agenti e i Principali delegati. “Agente” e “Principale delegato” sono due dei quattro ruoli della Teoria dell’Agenzia Estesa (i rimanenti ruoli sono Destinatario e Principale delegante). Abbiamo spiegato il ruolo di mediazione di questi due ruoli nell’articolo Il signore delle Lobby – La gestione del conflitto di interessi endogeno e la rigenerazione degli interessi primari, Lo Spazio Etico, in Azienditalia, 2021.

[28] Secondo Natalie Zamon Davis, (Il dono. Vita familiare e relazioni pubbliche nella Francia del cinquecento, Milano, Ed. Feltrinelli, 2002) la teoria dell’economia di mercato è parsa inadeguata a descrivere la condotta e le motivazioni umane nello scambio di beni e servizi e a mostrare come i sistemi si autoregolino.

[29] Per approfondire il tema dell’ecologia relazionale, cfr. M. Di Rienzo, A. Ferrarini, Etica delle Relazioni dell’Agente pubblico – Gestione dei conflitti di interessi e prevenzione della corruzione, IPSOA, 2020.