Zona franca o territorio di caccia? Quando la semplificazione si assume il rischio dell’illegalità

Recentemente, il prof. Giovanni Valotti, Ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso l’Università Bocconi, ha lanciato un accorato appello dalle pagine online del Corriere della Sera, che ha fortemente scosso le nostre coscienze di cittadini [1]. Il prof. Valotti, senza usare inutili giri di parole, propone di dichiarare lo stato di emergenza della pubblica amministrazione”.

Quale calamità si sarà abbattuta sul settore pubblico, si staranno chiedendo i nostri lettori, e di quale portata, se si rende necessaria l’adozione di drastiche misure di gestione delle emergenze? Ce lo siamo chiesti anche noi, ovviamente, e abbiamo letto con grande interesse tutto l’articolo. Così abbiamo scoperto che l’emergenza si chiama PNRR. E sì! Solo in Italia, probabilmente (ce lo auguriamo), le risorse messe a disposizione dall’UE per il rilancio di un’economia e di una società messe in crisi da un’emergenza (quella del Covid-19), seguita da una guerra, sono percepite, a loro volta, come un’emergenza. Un’emergenza dopo l’emergenza, oppure un’emergenza sopra l’altra: decidete voi in che prospettiva guardare questo accumulo di situazioni emergenziali (pandemie, guerre e finanziamenti europei), che sta mettendo a dura prova la salute mentale degli italiani.

Ma torniamo all’intervento del prof. Valotti: egli rileva che, fortunatamente, l’attuazione del PNRR, fino ad ora, ha “rispettato le scadenze, come ha riconosciuto anche l’Unione Europea liquidando le prime tranche di finanziamenti. Ma la fase più importante inizia adesso e si misurerà nella concreta capacità di generare sviluppo attraverso la messa a terra di investimenti in opere strategiche per il Paese. Si pensi solo alla transizione energetica, all’economia circolare, alla digitalizzazione, allo sviluppo di reti e infrastrutture”.

La preoccupazione del prof. Valotti è che tutto questo sviluppo possa essere frenato dal modello di pubblica amministrazione italiano e dal modo in cui sono gestiti, a norma di legge, i processi autorizzativi, che “continuano ad avere tempi lunghissimi, imbrigliati tra competenze e pareri di diversi livelli di governo e amministrazioni, complicati meccanismi di gestione del consenso politico a livello territoriale, un approccio tendenzialmente prudente e difensivo della burocrazia, l’opposizione sistematica di qualche gruppo di interesse. E questo sia che si tratti di costruire un parco fotovoltaico o eolico, piuttosto che un impianto per il riciclaggio dei rifiuti o un nuovo depuratore”. Per riuscire ad attuare efficacemente il PNRR in questo quadro drammatico di inerzia politico-amministrativa, foraggiata da oscuri gruppi di interesse contrari al progresso, il prof. Valotti propone una soluzione inedita e innovativa: le semplificazioni.

Le semplificazioni! Come mai non ci abbiamo pensato prima?

Chi siamo noi per discutere le analisi del prof. Valotti? Lui è docente in una prestigiosa Università che è ai vertici dei ranking europei ed internazionali; noi corriamo su e giù tra le Alpi e la Sicilia per fare corsi di formazione ai dipendenti pubblici! Lui è stato membro di comitati scientifici e dei CdA in note aziende pubbliche e private; noi campiamo con incarichi di docenza elargiti da anonime pubbliche amministrazioni! Lui ha scritto Fannulloni si diventa. Una cura per la burocrazia malata. (Ed. EGEA, Milano, 2009) e Lo Stato imprenditore tra politica e management (Ed. Egea, Milano, 2008) [2]; noi abbiamo scritto un solo libro sull’Etica delle relazioni dell’Agente pubblico, che non ha letto nessuno!

Insomma, il divario è evidente e non possiamo competere. Tuttavia, almeno un’osservazione vorremmo farla, perché ci sembra di buon senso: il processo di semplificazione della pubblica amministrazione italiana è cominciato almeno trent’anni fa [3]; se dopo tre decenni semplificare è ancora così urgente, allora delle due l’una, o il sistema pubblico italiano è davvero irriformabile, oppure gli esperti alfieri della semplificazione sono come il medico della madre di Andrea Ferrarini [4], che nel mese di luglio del 2011 insisteva a curarle il mal di gola con l’aerosol, mentre la povera signora aveva un carcinoma alla laringe!

In entrambi i casi, sarebbe opportuno trovare delle cure alternative, per garantire il buon funzionamento del sistema pubblico.

Secondo Valotti (che cita a sostegno della propria tesi l’autorevole parere di Sabino Cassese) “il modello di amministrazione italiano […] si fonda sulla disciplina dei controlli ex ante, generando di conseguenza procedure complicatissime e processi decisionali interminabili. Per contro il nostro settore pubblico ha una tradizionale debolezza nei controlli ex post, ovvero nella capacità di valutare se i soldi pubblici sono stati spesi bene, rispettando le norme e producendo i risultati attesi. Difficile scalzare questa impostazione e cultura con misure ordinarie di riforma”.

A noi sembra difficile, piuttosto, che un sistema di controlli ex post, che funziona benissimo in una azienda che produce scarpe oppure vende servizi di consulenza, possa funzionare davvero in ambito pubblico. O meglio, non è detto che, in termini assoluti, un sistema di controlli ex post funzioni meglio di un sistema ex ante: dobbiamo prima di tutto capire rispetto a cosa i controlli devono, prima o dopo, intervenire. L’espressione latina ex post è l’abbreviazione di ex post facto, cioè “dopo che un determinato fatto è accaduto”: è un’espressione che ha senso, solo in relazione ha uno specifico evento.

Se l’evento che si vuole controllare, per esempio, è una irregolarità nell’esecuzione di un’opera pubblica, allora è abbastanza chiaro che un controllo ex ante sui requisiti generali dell’aggiudicatario è poco efficace: sono necessari dei controlli ex post (verifiche, collaudi, ecc…) finalizzati a rilevare la qualità effettiva dell’opera realizzata e la sua corrispondenza con il capitolato.
Se invece l’evento è un rischio di tipo corruttivo (o più in generale il rischio che le risorse del PNRR siano impegnate con logiche diverse da quella della creazione di un valore pubblico sostenibile e a favore della collettività, cioè con logiche che privilegiano la promozione immediata di interessi particolari), allora servono misure ex ante, cioè misure di prevenzione. Anche in questo caso, ci sembra una posizione di buon senso: le cinture di sicurezza e i DPI, indossati da automobilisti e lavoratori, sono misure ex ante che riducono i rischi di incidenti, anche mortali. Nessuno sarebbe così folle da sostituire questi dispositivi con controlli ex post, ipotizzando, per esempio, di aspettare una morte sul lavoro in una azienda, per verificare le condizioni di sicurezza dei lavoratori. Allo stesso modo, non possiamo essere così folli da allentare i sistemi di prevenzione, proprio quando il PNRR rende disponibili ingenti risorse pubbliche in settori e processi che sono, senza alcun dubbio, esposti ad un elevato rischio di corruzione.

Ci sembra una posizione di buon senso, ma evidentemente ci sbagliamo, perché il prof. Valotti conclude il suo articolo sollecitando il Parlamento e il governo ad “avere il coraggio e la determinazione di disegnare una sorta di «zona franca temporale» della burocrazia. Per un tempo definito, ipotizziamo due anni, si semplifichino drammaticamente le procedure di spesa, si dimezzino i tempi necessari per autorizzare nuovi investimenti, si accettino minori formalismi negli appalti e negli acquisti pubblici, si riveda la disciplina del danno erariale per porre chi opera negli enti nelle condizioni di fare concretamente piuttosto che di difendersi dalle responsabilità, si prevedano figure dotate dell’autonomia necessaria per decidere senza esasperanti mediazioni dentro la propria amministrazione e con altre amministrazioni, si introducano poteri di avocazione delle decisioni in caso di inerzia, si premino finalmente i risultati e non il semplice rispetto delle norme, si metta in atto una trasparenza vera sull’uso delle risorse. Insomma, per una volta, prevalga la sostanza sulla forma“.

Su alcune di queste proposte, siamo d’accordo: anche a noi non piacciono gli adempimenti privi di senso, come i PIAO che, da strumento di semplificazione, sono diventati documenti senza senso e dal contenuto discutibile; anche noi, ogni giorno, chiediamo ai dipendenti pubblici di prendersi la responsabilità delle proprie azioni, senza nascondersi dietro i formalismi della legge; anche noi, infine, riteniamo inutile, se non dannosa, la trasparenza che si traduce in obbligo di pubblicare dati, informazioni, documenti che probabilmente nessuno leggerà mai.

Siamo invece in totale ed assoluto disaccordo con il pensiero espresso dal prof. Valotti alla fine del suo interessante intervento. Egli è un profondo conoscitore delle dinamiche del settore pubblico e sa che, inevitabilmente, l’istituzione di una zona franca farebbe aumentare esponenzialmente i rischi di corruzione. Tuttavia, ritiene che questo rischio sia, a conti fatti, un rischio accettabile e, di conseguenza, chiude il suo articolo come gli ospiti di Gigi Marzullo, facendosi una domanda e dandosi una risposta: “Tutto questo potrebbe esporre a rischi di comportamenti devianti e opportunistici? Sicuramente sì. Tuttavia, questi possono da un lato essere contrastati da un rafforzamento significativo del sistema dei controlli sull’attuazione dei progetti e degli investimenti, oltre che da un inasprimento delle sanzioni per chi sgarra. Ma, dall’altro, questi rischi sarebbero forse minori di quelli di uno Stato con «il freno a mano», prigioniero dei propri vincoli e incapace di guidare la ripresa

Ecco, no. Questo non possiamo accettarlo. La Pubblica Amministrazione non può diventare un territorio di caccia. E preferiamo di gran lunga uno Stato con «il freno a mano» ad uno Stato che spinge sull’acceleratore e corre in contromano sull’autostrada del PNRR, a fari spenti nella notte, sperando che non sia troppo fatale lo schianto tra gli interessi di tutti e gli interessi di pochi.

NOTE

[1] https://www.corriere.it/opinioni/22_ottobre_17/emergenza-realizzare-pnrr-1bd2f2ae-4e47-11ed-bc0e-7c09bbf42712.shtml

[2] I titoli delle pubblicazioni sono riportati sul sito dell’Università Bocconi. Egea è la casa editrice dell’Università Bocconi.

[3] Generalmente, l’approvazione della legge n. 241/1990 è assunto come termine a quo per lo sviluppo delle politiche di semplificazione amministrativa. Tuttavia, Bernardo Giorgio Mattarella sostiene che la storia della semplificazione amministrativa, in Italia, comincia già alla fine del diciannovesimo secolo, “con alcune norme in materia di contratti pubblici: la legge Cavour del 1853 disciplinava i contratti in modo estremamente semplice, eppure una quarantina d’anni dopo fu necessario semplificare alcune fasi del procedimento contrattuale” (B.G Mattarella, La semplificazione amministrativa come strumento di sviluppo economico, ASTRID n. 11/2019, https://iris.luiss.it/retrieve/handle/11385/191761/90673/Testo%20Astrid.pdf)

[4] Socio fondatore di Spazioetico, noto per avere una fluente barba.