PRO PATRIA MORI? Dovere di collaborazione e tutela del whistleblower nell’art. 8 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici

L’art. 8 del Codice di Comportamento impone ai dipendenti pubblici di collaborare al fine di prevenire la corruzione: un dovere che chiama in causa i principi più nobili dell’Etica pubblica! Purtroppo, questo dovere di collaborazione si scontra con una triste realtà: molto spesso i dipendenti che segnalano illeciti (i cosiddetti whistleblower) vengono discriminati dalla propria Amministrazione, oppure sono oggetto di misure ritorsive.

Questo articolo è apparso sulla Rivista Azienditalia Enti Locali, Mensile per gli enti locali e le loro aziende, nel 2022, nell’ambito della rubrica mensile: lo Spazio Etico, Viaggio nel mondo dei codici di comportamento della PA: istruzioni per l’uso.

Se in qualche orribile sogno anche tu potessi metterti al passo
dietro il furgone in cui lo scaraventammo,
e guardare i bianchi occhi contorcersi sul suo volto,
il suo volto a penzoloni, come un demonio sazio di peccato;
se potessi sentire il sangue, ad ogni sobbalzo,
fuoriuscire gorgogliante dai polmoni guasti di bava,
osceni come il cancro, amari come il rigurgito
di disgustose, incurabili piaghe su lingue innocenti –
amico mio, non ripeteresti con tanto compiaciuto fervore
a fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate,
la Vecchia Menzogna: Dulce et decorum est
pro patria mori .

(Wilfred Owen, Dulce et decorum est, 1917 – 1918).

Il cavallo di Troia del Codice di comportamento nazionale

Per cosa sei disposto a prestare la tua collaborazione?

Se voi foste Achille, non avreste alcun dubbio e rispondereste subito: – Per una grande impresa!

È questo lo spirito dell’eroe greco, secondo la filosofa Hannah Arendt: “l’incessante premura di distinguersi, di essere sempre il migliore di tutti e di conseguire una gloria immortale”. Proprio per conseguire questa gloria immortale “molti ‘re’, ovvero uomini liberi, che abitavano ciascuno nel proprio ambito domestico, si erano messi insieme per una grande impresa che richiedeva l’impegno di tutti”[1]: la guerra contro i Troiani.

Anche l’art. 8 del Codice di Comportamento (D.P.R. n. 62/2013) chiama i dipendenti pubblici a prestare la loro collaborazione per realizzare una grande impresa: muovere guerra ai corrotti, denunciare gli illeciti, promuovere l’integrità! Un dovere che chiama in causa i principi più nobili dell’Etica pubblica: l’imparzialità, l’indipendenza e l’integrità; ma anche il buon andamento, l’efficienza e l’efficacia, contro gli sprechi e i ritardi causati dalla corruzione; e infine la trasparenza, poiché la lotta alla corruzione in molti casi si riduce ad una logorante guerra di posizione, combattuta dai funzionari a colpi di adempimenti e obblighi di pubblicazione!

Ad una prima e superficiale lettura l’art. 8 sembrerebbe rientrare a pieno titolo, insieme ai Dieci Comandamenti di biblica memoria, tra le prescrizioni normative che introducono standard di comportamento universalmente condivisibili e che non necessitano di particolare sforzo esegetico per essere comprensibili ai destinatari. Lo riportiamo di seguito, e invitiamo i nostri affezionati lettori a leggerlo ad alta voce, adottando lo stesso tono solenne con cui, tra i banchi di scuola, recitavano a memoria il proemio dell’Iliade[2]:

Art. 8 – Prevenzione della corruzione

1. Il dipendente rispetta le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell’Amministrazione. In particolare, il dipendente rispetta le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione della corruzione, presta la sua collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione e, fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’Amministrazione di cui sia venuto a conoscenza”.

Tuttavia, il dovere di collaborazione del dipendente pubblico ci apparirà meno pacifico e meno scontato, se scendiamo dal piedistallo delle regole enunciate in teoria e ci inoltriamo nel sottobosco della realtà delle organizzazioni pubbliche, dove quotidianamente più di un funzionario subisce discriminazioni, sanzioni disciplinari e ritorsioni, per avere segnalato illeciti che mettono a rischio l’integrità della sua Amministrazione e di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Ci stiamo riferendo, ovviamente, ai whistleblower, in teoria tutelati dalla normativa italiana[3]: la loro identità non può essere rivelata da chi riceve la segnalazione[4]; non possono essere sanzionati, demansionati, licenziati, trasferiti, o comunque sottoposti a misure organizzative aventi effetti negativi, diretti o indiretti, sulle loro condizioni di lavoro in virtù della loro segnalazioni; e l’adozione di eventuali misure ritenute ritorsive può essere comunicata ad ANAC, che può sanzionare il soggetto che ha messo in atto la ritorsione.

Non di rado i whistleblower vengono rappresentati come degli eroi dalle organizzazioni impegnate nella lotta alla corruzione. Anche noi, in un precedente articolo comparso sulle pagine di questa rubrica[5], abbiamo descritto il whistleblower come una persona che paga personalmente il coraggio di dire la verità, che rompe il consenso che alcune organizzazioni generano attorno a comportamenti vantaggiosi, ma che determinano la caduta dell’imparzialità[6]; come una goccia d’olio che galleggia sull’acqua e che “non si lascia assorbire dai sistemi organizzativi, ma emerge per rivelare i loro limiti e il loro fallimento[7]. Ma gli estensori del D.P.R. n. 62/2013, introducendo l’obbligo di segnalazione nell’art. 8, ci hanno esplicitamente suggerito che la prevenzione della corruzione non dovrebbe avere bisogno né di santi, né di eroi, ma solo di segnalanti, che adeguano il proprio comportamento ad un dovere di collaborazione sancito dal Codice di comportamento, per non incorrere in sanzioni disciplinari.

Già da questa analisi preliminare emerge il corto circuito innescato dal dovere di segnalazione: se non segnali le condotte illecite sarai sanzionato, ma se segnali potresti comunque essere sanzionato. Un evidente paradosso. È come se il Pelide Achille uccidesse i suoi valorosi Mirmidoni, colpevoli di avere assediato la città di Troia.

Spingitori di segnalanti

L’evento. L’analisi dei provvedimenti di ANAC (delibere e relazioni annuali) può aiutare a conoscere meglio il fenomeno del whistleblowing in Italia e rispondere ad una serie di domande: perché i dipendenti segnalano? Perché vengono discriminati, demansionati o sanzionati? E, soprattutto, il sistema di tutele riconosciuto dalla normativa ai segnalanti è realmente efficace?

Leggendo il titolo di questo paragrafo, ad alcuni lettori sarà senz’altro tornata alla mente la bionda Vulvia di Rieducational Channel[8], interpretata dal geniale Corrado Guzzanti, e i suoi argomenti di rilevante interesse scientifico: l’invenzione dell’imbuto, i poteri afrodisiaci della nitroglicerina e il mistero degli spingitori di cavalieri! Gli spingitori di whistleblower,invece, sono abbastanza noti: ai sensi della normativa, è un whistleblower chi segnala nell’interesse dell’integrità dell’Amministrazione, ma in certi casi il segnalante può essere mosso anche da interessi personali[9], oppure dalla volontà di non tradire certi valori; oppure vuole semplicemente lavorare bene, svolgere nel migliore dei modi la propria funzione pubblica.

Non sappiamo esattamente quanti sono i whistleblower italiani: le segnalazioni, infatti, sono riservate e non esiste alcun monitoraggio sistematico a livello nazionale[10]. In compenso, ANAC fornisce annualmente i dati relativi alle segnalazioni che ha ricevuto e gestito direttamente. Gli ultimi dati fanno riferimento all’anno 2020[11] ed evidenziano un aumento esponenziale delle segnalazioni (tabella 1), che ha però avuto una battuta d’arresto dovuta, presumibilmente, alla pandemia Covid-19[12].

Tabella 1 – Segnalazioni ad ANAC, 2014 – 2020

ANNO2014201520162017201820192020
n. fascicoli3125183364783873622

I whistleblower nell’anno 2020 hanno segnalato ad ANAC diverse tipologie di illeciti o irregolarità, ma le segnalazioni di misure discriminatorie rappresentano il 23,47% delle segnalazioni totali: quasi un segnalante su quattro, quindi, sostiene di essere stato oggetto di misure ritorsive (Tabella 2).

Ovviamente, i numeri forniti da ANAC rappresentano solo una parte del fenomeno, tuttavia un’incidenza così alta di segnalazioni di presunte misure ritorsive potrebbe indicare che il whistleblowing in questi anni si è diffuso come pratica individuale, ma non è ancora stato assimilato nella cultura delle organizzazioni pubbliche, che continuano a vedere con sospetto chi segnala illeciti che avvengono all’interno dell’Amministrazione.

Tabella 2 – Contenuto delle segnalazioni, anno 2020

Contenuto della segnalazionen.%
Adozione di misure discriminatorie da parte dell’Amministrazione o dell’ente14623,47%
Corruzione e cattiva Amministrazione, abuso di potere12119,45%
Appalti illegittimi10817,36%
Concorsi illegittimi8814,15%
Mancata attuazione della disciplina anticorruzione314,98%
Cattiva gestione delle risorse pubbliche e danno erariale274,34%
Mancata attuazione della disciplina anticorruzione (trasparenza)264,18%
Incarichi e nomine illegittime, anche in violazione del D.Lgs. n. 39/2013223,54%
Conflitto di interessi132,09%
Assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni o procedure non conformi a quelle di cui al comma 5 dell’art. 1 della Legge n. 179/201781,29%
Altro325,14%
TOTALE622100,00%

Segnalatori di segnalanti

Ma come fanno i whistleblower ad essere discriminati, demansionati, o sottoposti procedimenti disciplinari, se la loro identità è mantenuta riservata?

Per rispondere a questa domanda è utile leggere le istruttorie contenute nei provvedimenti adottati dal Consiglio dell’ANAC in merito a presunti casi di ritorsione.

In certi casi è lo stesso whistleblower a rivelare la propria identità, inviando la segnalazione anche al proprio dirigente, oppure agli organi di indirizzo, oppure rilasciando dichiarazioni alla stampa, perché è convinto di agire nell’interesse dell’organizzazione[13].

In altri casi, invece, l’identità del segnalante viene resa nota dall’autorità giudiziaria, quando, a seguito di una denuncia, avvia le indagini. Nemmeno l’invio della segnalazione ad ANAC, purtroppo, mette del tutto al riparo i segnalanti dal rischio che la loro identità sia rivelata: le segnalazioni aventi oggetto illeciti rilevanti sotto il profilo penale o erariale,infatti, una volta acquisite, possono essere inoltrate da ANAC all’Autorità giudiziaria o contabile ma “la normativa vigente non indica le modalità da seguire al fine di tutelare la riservatezza dell’identità del whistleblower”in occasione di questo passaggio di informazioni tra autorità pubbliche[14].

A volte potrebbero essere gli stessi RPCT a rivelare l’identità dei segnalanti: una istruttoria di ANAC (conclusasi con una sanzione) ha preso in considerazione, per esempio, un procedimento disciplinare avviato in un Comune dopo che l’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD) era venuto a conoscenza, su segnalazione del RPCT, del fatto che un dipendente aveva sporto una denuncia contro un collega per i reati di abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio[15]. Leggendo un’altra istruttoria, invece, si apprende che un dipendente, dopo aver inviato una segnalazione al RPCT e al suo dirigente, è stato sottoposto a procedimento disciplinare, senza che il RPCT sia in alcun modo intervento per prevenire eventuali provvedimenti ritorsivi[16]. In un terzo caso, invece, il Segretario Generale di un ente era sia RPCT, che presidente dell’UPD; e dopo aver ricevuto una segnalazione, ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente medesimo[17].

Abbiamo il dubbio che i responsabili della prevenzione della corruzione delle singole amministrazioni non abbiano sempre la capacità di riconoscere i whistleblower, né procedure adeguate a tutelarli; e che in molti casi siano i primi ad avere dei pregiudizi nei confronti dei dipendenti che denunciano o segnalano illeciti. Un’indagine in questo senso da parte di ANAC sarebbe senz’altro utile, per dimostrare (ce lo auguriamo davvero!) che il nostro dubbio è infondato!

Sanzionatori di segnalanti

Certe volte le amministrazioni sembrano un Far West in cui vige la legge del più forte. Interessante il caso di un dipendente che ha denunciato alcuni membri dell’UPD della sua Amministrazione, che per tutta risposta lo hanno sottoposto a due procedimenti disciplinari. In questo caso ANAC ha ritenuto che i componenti dell’UPD fossero in conflitto di interessi e che avrebbero dovuto astenersi per grave inimicizia nei confronti del soggetto che stavano sottoponendo a procedimento disciplinare (inimicizia derivante dal fatto che il segnalante li aveva denunciati) o per gravi ragioni di convenienza: la mancata astensione, unitamente all’infondatezza della contestazione mossa al dipendente (non aver notiziato sindaco e segretario generale circa la denuncia) e all’entità della sanzione inflitta, è stata valutata come sintomatica dell’intento ritorsivo[18].

La più diffusa forma di ritorsione nei confronti di chi segnala è in effetti l’avvio di un procedimento disciplinare. I dipendenti vengono sanzionati per avere espresso giudizi inappropriati nei confronti dei superiori, innescando inutili polemiche[19]; oppure per avere denigrato l’Amministrazione, causando un danno all’immagine[20]; oppure ancora per avere contribuito a deteriorare il clima relazionale all’interno del proprio ufficio[21].

Le sanzioni ritorsive sono caratterizzate da motivazioni pretestuose e infondate, che danno risalto ad alcuni comportamenti del dipendente, isolandoli in modo strumentale dal contesto in cui si essi si inseriscono; oppure interpretano in modo strumentale e abnorme le dichiarazioni del dipendente, negando la loro valenza di denuncia di presunti illeciti[22].

Altre forme di rappresaglia[23] nei confronti dei segnalanti sono la modifica della mansione lavorativa, oppure il trasferimento d’ufficio; ed è molto difficile, per ANAC dimostrare l’intento ritorsivo di questi provvedimenti organizzativi, che sono caratterizzati da ampi margini di discrezionalità, soprattutto quando sono motivati da modifiche dell’organigramma o dalla necessità di gestire situazioni di incompatibilità ambientale[24].

Agli occhi dei soggetti responsabili delle azioni ritorsive, la segnalazione interviene nei rapporti tra dipendente e organizzazione “in modo del tutto neutro, non assurgendo al ruolo di causa scatenante dell’adozione della misura contestata, ma essendo un elemento accidentale e contingente, pertanto, privo di effetti eziologici”.[25] In estrema sintesi, quindi, le amministrazioni percepiscono le denunce/segnalazioni come un pericolo, anziché come un’opportunità per difendere la propria integrità; e lo fanno, spesse volte, in buona fede, perché, ancora una volta. non hanno ancora metabolizzato l’istituto del whistleblowing nella propria cultura organizzativa.

Ma i whistleblower non devono solo guardarsi dalle ritorsioni delle proprie amministrazioni: devono anche recitare, con grande umiltà e senso della misura, il ruolo che è stato loro assegnato dalla normativa. La scelta di tradurre il termine inglese whistleblower con la parola segnalante non è casuale: il dipendente, infatti, deve limitarsi a segnalare e non può autonomamente svolgere indagini o approfondimenti, pena la perdita delle tutele. È proprio quello che è accaduto al rag. Claudio Curioso e al dott.ssa Federica Ficcanaso, protagonisti di altrettante istruttorie di ANAC[26].

Il rag. Claudio Curioso, gestendo un procedimento che gli era stato assegnato, ha rilevato un possibile errore nel calcolo dei diritti di segreteria, che le imprese devono versare alla sua Amministrazione: vengono richiesti 90 euro, anziché 180 euro. Dopo aver segnalato questa anomalia al responsabile del suo ufficio, il ragionier Curioso accede alla banca dati del suo ufficio, esamina ben 96 procedimenti, analoghi a quello che stava gestendo, e scopre che in tutti i casi i diritti di segreteria sono inferiori a quanto sarebbe presumibilmente dovuto. Questa circostanza viene segnalata al Segretario Generale (che è anche responsabile della prevenzione della corruzione) e al dirigente del settore cui afferisce il suo ufficio.

La dott.ssa Ficcanaso, invece, ha denunciato alla Procura della Repubblica, alla Corte dei conti e ad ANAC presunte irregolarità nell’assegnazione delle qualifiche dirigenziali all’interno del suo Comune. La dott.ssa Ficcanaso ha scoperto queste irregolarità, ovviamente soltanto presunte, accedendo alla banca dati della sua Amministrazione e alle informazioni relative al curriculum di studi e alla carriera lavorativa dei dirigenti.

I nostri sprovveduti lettori, arrivati a questo punto della storia, si staranno già congratulando con il rag. Curioso e la dott.ssa Ficcanaso: hanno avuto la capacità di analizzare le informazioni contenute nelle banche dati delle loro amministrazioni e identificare irregolarità o illeciti che forse erano noti a tutti, ma che nessuno voleva vedere. Tuttavia, non vi è nulla di cui congratularsi, anzi, i due protagonisti della nostra storia sono stati giustamente sottoposti a procedimento disciplinare e duramente sanzionati dalle loro amministrazioni, perché hanno effettuato degli accessi abusivi alle banche dati, effettuando attività di analisi e di approfondimento, che esulavano dal loro ruolo.

Con immensa saggezza, e sulla scorta dell’autorevole orientamento della Cassazione[27], ANAC ha ritenuto non ritorsive le sanzioni irrogate ai due dipendenti, in quanto “la protezione posta dalla legge 179/2017 non può estendersi ai casi in cui il lavoratore si improvvisi investigatore violando le norme per raccogliere prove di illeciti nell’ambiente di lavoro. La tutela opera, infatti, solo nei confronti di chi segnala notizie di un’attività illecita, acquisite nell’ambiente e in occasione del lavoro, non essendo ipotizzabile una tacita autorizzazione a improprie e illecite azioni di indagine[28].

Forse i nostri lettori protesteranno: ma come? Edward Snowden, Julian Assange e Christopher Wylie hanno diffuso documenti riservati, facendo man bassa delle informazioni contenute nelle banche dati e negli archivi informatici di autorità pubbliche e organizzazioni private, e sono i tre più famosi whistleblower del pianeta! Ma le loro proteste sono del tutto inutili: per la normativa italiana il whistleblower deve stare al proprio posto, giocare il ruolo rassicurante della vedetta civica, fiducioso nella capacità del sistema pubblico di approfondire la sua segnalazione.

Sanzionatori di sanzionatori

L’Autorità Nazionale Anticorruzione dispone di un ampio potere istruttorio e sanzionatorio, a garanzia dei diritti dei whistleblower. Ai sensi del comma 1 dell’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001, infatti, l’adozione di misure ritenute ritorsive ai danni di un segnalante “è comunicata in ogni caso all’ANAC dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’Amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere”. Ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, inoltre, “qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’ANAC, l’adozione di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche o di uno degli enti di cui al comma 2, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro”.

La normativa italiana sul whistleblowing, come la conosciamo oggi, è il frutto della Legge n. 179/2017[29], che ha completamente riscritto il sistema di tutele garantite ai segnalanti del settore pubblico e privato. Ed è innegabile che ANAC, in questi ultimi cinque anni, abbia profuso un particolare impegno per garantire la concreta attuazione delle previsioni di legge: l’esercizio del potere sanzionatorio nei confronti dei responsabili di provvedimenti ritorsivi è stato garantito da una serie di Regolamenti, adottati tra il 2018 e il 2020[30]; mentre con la delibera n. 469/2021, dopo una lunga gestazione, l’Autorità ha approvato le Linee Guida per la tutela dei segnalanti[31], rivolte alle pubbliche amministrazioni, che contengono una serie di indicazioni utili a prevenire ritorsioni nei confronti dei segnalanti.

Un primo intervento di ANAC a tutela di un segnalante risale al 2017, all’indomani dell’entrata in vigore della nuova disciplina sul whistleblowing, ed ha interessato una funzionaria in servizio presso un Comune lombardo, che era stata discriminata per aver presentato un esposto alla Guardia di Finanza e denunciato per turbativa d’asta il sindaco e il dirigente del suo ufficio[32]. Nel 2018 non ci sono procedimenti sanzionatori, mentre tra il 2019[33] e il 2020[34] le attività si intensificano: in questo periodo, infatti, ANAC avvia 45 istruttorie e sanziona quattro soggetti responsabili di aver adottato misure ritorsive.

Il potere sanzionatorio di ANAC viene esercitato con un “modello procedimentale […] garantistico bifasico di stampo penale”,in cui il soggetto che gestisce l’attività istruttoria (l’Ufficio UWHIB[35]) è indipendente dall’organo decidente, rappresentato dal Consiglio dell’Autorità; e in cui si realizza un tentativo di “bilanciamento tra l’esigenza di massima celerità dell’intervento dell’Autorità, anche mediante l’individuazione di una specifica griglia di criteri di priorità per la trattazione delle segnalazioni, e le garanzie procedimentali; nonché tra gli interessi del whistleblower e quelli del responsabile della violazione cui è connessa l’irrogazione della sanzione[36].

Tutte queste cautele procedimentali non sono casuali, e non sono nemmeno dettate da una certa propensione a burocratizzare (in senso negativo) l’anticorruzione; ma nascono dalla necessità di gestire correttamente un potere enorme, che la normativa riconosce ad ANAC e che consente all’Autorità di dichiarare nulli i provvedimenti ritorsivi adottati dalle amministrazioni, a valle di procedimenti caratterizzati dall’inversione dell’onere della prova: ai sensi del comma 7 dell’art. 54-bis, infatti, è l’Amministrazione che deve dimostrare che le presunte misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa. Un grande potere, insomma, finalizzato a tutelare i whistleblower, ma che avrebbe potuto far percepire ANAC come una Santa Inquisizione, che allestisce processi alle intenzioni delle pubbliche amministrazioni, garantendo ai presunti segnalanti una generalizzata impunità.

Dopo aver letto le istruttorie gestite da ANAC in questi anni, possiamo dire che questi rischi sono stati scongiurati: le sanzioni comminate da ANAC sono molto rare! L’Autorità, oltre a garantire il diritto di difesa ai soggetti sottoposti a procedimento sanzionatorio[37], ha anche adottato un criterio oggettivo, per distinguere i provvedimenti ritorsivi da provvedimenti non ritorsivi, che possiamo sintetizzare nel modo seguente:

un provvedimento adottato nei confronti di un segnalante non è ritorsivo, quando esistono ragioni estranee alla segnalazione, che sono“tali da sorreggere da sole il provvedimento adottato[38].

Alla luce di questo criterio, saranno certamente ritorsivi i provvedimenti motivati unicamente dalla volontà di sanzionare il whistleblower per aver segnalato, oppure i provvedimenti che si fondano su ragioni“inesistenti, arbitrarie, manifestamente infondate[39]. Se, invece, la segnalazione non è l’unica ragione di un provvedimento, ma esistono altre ragioni concorrenti, che lo avrebbero giustificato anche in assenza della segnalazione, allora tale provvedimento non avrà una natura ritorsiva.

L’orientamento di ANAC, come abbiamo sottolineato, è assolutamente oggettivo, perché non fa riferimento in alcun modo alle intenzioni dell’Amministrazione, ma considera le motivazioni poste a fondamento dei provvedimenti (sanzioni disciplinari, trasferimenti d’ufficio o cambi di mansione) adottati nei confronti del segnalante; tuttavia, tale criterio riduce drasticamente il novero dei provvedimenti che possono essere considerati ritorsivi. Nello specifico, l’intento di rappresaglia nei confronti di un segnalante non potrà essere formalmente dimostrato in tutte quelle situazioni in cui il confine tra ritorsione e uso legittimo del potere organizzativo o disciplinare è labile e confuso, per esempio nei casi in cui:

– il rapporto tra whistleblower e organizzazione era caratterizzato da una elevata conflittualità, anche prima della sua segnalazione;

– il whistleblower, per identificare le irregolarità o gli illeciti, svolge delle attività che esorbitano dalle sue funzioni;

– le misure adottate nei confronti del whistleblower sono motivate anche da esigenze organizzative;

– il whistleblower segnala pubblicamente, alla stampa o usando i social network, anziché usare canali di segnalazione interni o riservati[40].

La limitata efficacia dei procedimenti sanzionatori di ANAC non è in alcun modo attribuibile ad errori di valutazione compiuti dall’Autorità anticorruzione: nessun processo repressivo è in grado di intercettare e sanzionare tutti i comportamenti scorretti. La polizia non potrà mai arrestare tutti i ladri, il fisco non potrà mai identificare tutti gli evasori fiscali, ANAC non potrà mai sanzionare tutte le amministrazioni che adottano misure ritorsive nei confronti dei whistleblower!

L’azione repressiva di ANAC deve essere necessariamente integrata da misure di prevenzione, finalizzate a valorizzare il ruolo dei whistleblower e ridurre la probabilità che soggetti interni alle amministrazioni decidano di mettere in atto misure ritorsive nei confronti di chi segnala illeciti o irregolarità.

I codici di comportamento potrebbero essere lo strumento più adeguato, per promuovere l’assimilazione dell’istituto del whistleblowing nella cultura delle organizzazioni pubbliche e per non scaricare su ANAC tutta la responsabilità di tutelare i segnalanti. Purtroppo, così come è scritto, l’art. 8 del Codice Nazionale non è utile a questo nobile scopo: introduce un obbligo di segnalazione, ma non un divieto di ritorsione nei confronti di chi segnala. E tra l’altro suggerisce di segnalare gli illeciti alla persona sbagliata. È come il cavallo di legno, costruito da Ulisse e Diomede: nel suo ventre vuoto si nasconde una trappola mortale!

Angeli o demoni? Il triste caso di Roberta Scarponi

Il Caso. La legge italiana definisce una serie di requisiti, che consentono di riconoscere a un dipendente pubblico lo status di segnalante. Si tratta di requisiti precisi e stringenti, che tuttavia in certi casi trasformano la tutela dei whistleblowing in una sorta di corsa ad ostacoli, che i segnalanti reali devono disputare, per dimostrare di essere identici al segnalante teorico immaginato dalla normativa.

Vita terrena di Roberta Scarponi

Il suono della sveglia prima dell’alba è da sempre sinonimo di dolore: una stilettata acustica che incide una smorfia sul viso. Ma quando il cervello di Roberta Scarponi si riaccende, il dolore lascia spazio alla gioia: è giunto finalmente il giorno da lei tanto atteso!

Roberta fa un lavoro molto stressante: è una giovane assistente sociale, che si occupa di tutela minori. Ma per lei è stato ancora più stressante convincere il suo capo, il dott. Dario Sedente, a concederle un giorno di ferie, da dedicare all’unica sua grande passione: lo sci!

Roberta beve un caffè, finisce di preparare lo zaino, e intanto pensa alla fortuita coincidenza che ieri ha quasi mandato in fumo la sua giornata sulla neve. Rivede il dott. Sedente che cammina verso di lei con il telefono in mano:

– Mia madre mi ha appena comunicato di aver cacciato di casa la sua badante, perché non ha cotto bene il lesso! Povera donna, è vedova e vive su una sedia a rotelle! Domani mi toccherà prendere un permesso 104[41], per fare io il badante e portarla all’ospedale per una visita di controllo! Proprio domani …

Roberta si ricorda di aver annuito, distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri del dott. Sedente, che finalmente era arrivato al nocciolo della questione:

– … So che ti ho già accordato le ferie … ma se l’assessore viene a sapere che manchiamo in due, che figura ci facciamo? Lo sai che tipo è: dice sempre che non lavoriamo abbastanza!

– Però io mi sono già organizzata – aveva risposto Roberta, cercando le migliori argomentazioni per far capire al suo capo che … insomma … mai e poi mai lei avrebbe rinunciato alle sue ferie!

Roberta ha ancora nelle orecchie le parole del dott. Sedente, un misto di disprezzo e commiserazione: – Non preoccuparti! Se è così importante, prenditi pure il tuo giorno di ferie! E io starò con mia madre. Ognuno nella vita ha le sue priorità!

È andata a dormire con un forte senso di colpa, che adesso è diventato un moscerino che le ronza dentro la mente. Ma una volta caricato lo snowboard sulla macchina, nell’aria ancora frizzante del primo mattino, anche quel moscerino vola fuori dai suoi pensieri, sovrastato dall’immagine di lei sulla neve e della sua tecnica sciistica all’avanguardia.

Una spianata bianca la accoglie all’arrivo in montagna. Roberta Scarponi viene investita dai suoni e dall’atmosfera tipica di una giornata infrasettimanale, con piste semideserte e impianti di risalita immediatamente disponibili. La neve è ancora uno splendore e Roberta si lancia a tutta velocità tra i boschi e i rifugi, sentendo il vento freddo che le brucia il viso.

Circa a metà mattinata, tuttavia, il destino le gioca un bruttissimo scherzo. Al termine dell’ennesima discesa, si trova da sola a risalire in seggiovia un lungo tratto di montagna e mentre è intenta a riprendere fiato, scorge nella seggiola davanti alla sua una figura familiare:

– Non può essere lui! – esclama Roberta portandosi la mano sulla bocca. La persona seduta di spalle, a pochi metri da lei, è il dott. Dario Sedente!

Prima lo stupore, poi una sorta di incertezza la assale: – “Forse è qualcuno che gli somiglia molto, forse non è lui – pensa Roberta, mentre cerca di nascondersi il viso dietro la sciarpa e gli occhiali da sci, per non essere riconosciuta – Magari invece è lui, ma ha deciso di passare un po’ di tempo sulla neve!”.

In effetti, i permessi ex legge 104 possono essere utilizzati anche per accompagnare il proprio familiare in luoghi di svago. Roberta cerca in ogni modo di negare l’evidenza, non può credere che Dario Sedente, dopo averla fatta sentire così in colpa, abbia fatto una cosa del genere: magari la vecchia madre tetraplegica voleva respirare l’aria fresca delle piste da sci! Ma vista da qualunque angolazione, la realtà dei fatti non cambia: la bella e giovane signora che accompagna il dott. Sedente sembra sana come un pesce.

Tra qualche mese, l’Ufficio Provvedimenti Disciplinari lo licenzierà “per avere abusato dei permessi previsti dalla legge n. 104/1992, richiesti dal Sedente medesimo per assistere la madre affetta da patologia invalidante, essendosi egli invece recato presso una rinomata località sciistica insieme a persona del tutto estranea al suo nucleo familiare; circostanza quest’ultima dimostrata in modo inequivoco da evidenze acquisite in fase istruttoria, che lo ritraggono insieme alla suddetta persona in atteggiamenti in alcun modo compatibili con una relazione di familiarità ascensionale”. Ma adesso il tempo scorre ancora felice, sopra la seggiovia che procede lenta su cime d’abeti bianche e silenziose, per l’uomo e la donna che si avvinghiano come serpenti in amore!

Roberta Scarponi decide che è venuto il momento di passare all’azione: arrivata a destinazione, si allontana velocemente dalla seggiovia ed entra in un rifugio, dove ordina punch al rum. Sa esattamente cosa fare: qualche settimana fa, nell’aula consiliare, due curiosi formatori hanno intrattenuto Roberta ed i suoi colleghi con lunghi panegirici sull’etica pubblica; ed ora lei sta scorrendo rapidamente il Codice di comportamento sul cellulare, per trovare l’articolo che introduce un preciso dovere di segnalare illeciti. Finalmente, dopo aver sorvolato sui principi, i regali, la partecipazione ad associazioni e la gestione del conflitto di interessi, l’occhio di Roberta cade sull’ultima parte dell’art. 8: “… segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’Amministrazione di cui sia venuto a conoscenza”.

– Abusare di un permesso 104 è senza dubbio un illecito – pensa Roberta, mentre sente una fitta allo stomaco, forse dovuta al punch bollente che ha bevuto tutto d’un sorso – Un illecito avvenuto sulla pista da sci, ma che ha senza dubbio un impatto sull’Amministrazione: devo subito segnalarlo al mio superiore gerarchico!

Ma poi, stupita dalla propria innocenza, a volte grottesca, si rende conto che il suo superiore gerarchico è proprio il Dario Sedente, allo stesso tempo tombeur de femmes e chef de bureau.

– Se non posso segnalare al mio superiore gerarchico, perché è lui che ha commesso l’illecito, allora lo segnalo al suo capo, che è anche indirettamente il mio superiore gerarchico – conclude Roberta, dimostrando un acume logico degno di Aristotele.

Compone il numero di Adolfo Insabbiato, il dirigente del Settore Welfare del Comune. Una voce spazientita, dopo parecchi squilli, finalmente risponde alla chiamata. Il dottor Insabbiato sembra per nulla stupito e assai poco interessato alla vicenda:

– Prova almeno a fargli una foto! Non è che io posso far licenziare qualcuno sulla base di una chiacchiera da bar!

Infastidita da questa interlocuzione, Roberta decide di andare fino in fondo: salta sul suo snowboard e si mette a cercare Dario Sedente su ogni pista, da quelle più facili a quelle più difficili. Finalmente lo scova, intento a fornire consigli tecnici alla sua finta madre, lo immortala più volte in pose inequivocabili, confeziona gli scatti migliori in una e-mail e la trasmette al dottor Insabbiato. Mentre compie queste operazioni, tuttavia, non si accorge di essere finita in un avvallamento. Uno sciatore poco esperto le piomba contro a tutta velocità. Roberta Scarponi cade, batte la testa e, tragicamente, perde la vita andando ad urtare contro una pietra esposta.

Vita ultraterrena di Roberta Scarponi

Terribile dolore in Terra, ma è in Cielo che si consuma l’atto finale del tragico destino di Roberta Scarponi. Avendo la sua anima raggiunto le porte del Paradiso dei Segnalanti, luogo pensato da Domineddio per coloro che in vita si sono prodigati per il bene comune e per questo hanno subito il martirio, Roberta incontra uno strano personaggio, una specie di custode dalle cui spoglie, prive di santità, emergono le fattezze di un funzionario amministrativo di basso rango. Per fortuna, accanto a lei si manifesta San Barbato da Benevento[42], patrono dei segnalanti, che la accoglie rassicurandola:

– Oh, portatrice di giustizia, intercederò per te, affinché tu abbia il premio che, per la stolta legge degli uomini, non ti è stato riconosciuto in Terra.

Ma improvvisamente emergono dalle viscere della terra due immonde figure: sono due diavoli, che con voce terribile ed alito mortifero affermano di aver ogni diritto sull’anima di Roberta.

– Abbiamo preparato un dolce e caldo giaciglio per questa infangatrice, anche se non abbiamo ancora deciso se andrà nella bolgia dei diffamatori o dei traditori, degli invidiosi o dei delatori! – ringhiano le due disgustose figure – Disprezzava il suo capo ufficio e voleva fare carriera: lo ha segnalato per fargli le scarpe! Non è un’anima degna del paradiso!

Roberta, o forse sarebbe meglio dire l’anima di Roberta, ormai spoglia di umane difese, si lascia andare ad un pianto dirotto:

– È vero, trovavo Dario Sedente insopportabile. In cuor mio, ho sempre pensato che fosse un incapace e che io avrei sicuramente fatto meglio il suo lavoro!

Dopo questa tardiva confessione i due diavoli già stanno affondando le loro sporche unghie nei fianchi di Roberta, ma improvvisamente un solenne boato interrompe ogni loro movimento: è San Barbato, che batte il suo bastone sulle schiene deformate dei demoni e proclama la sua inderogabile verità:

– Indagate voi forse l’anima del segnalante? Stolti! Solo Dio può giudicare le umane intenzioni… a noi basti che abbia segnalato nell’interesse dell’Amministrazione, cioè che la segnalazione abbia contribuito a far emergere un comportamento dannoso a carico dell’Amministrazione. E così fu.

I diavoli tolgono immediatamente le mani di dosso a Roberta e abbassano le corna in segno di sottomissione. Un’ode come di mille voci si sente arrivare dall’altra parte dell’ambito cancello: sono migliaia di anime di segnalanti che elevano inni a Roberta e alla sua prossima beatificazione. Una debole voce, tuttavia, insiste nel chiudere ogni varco: è il sedicente guardiano che, prono su codici, prima occulta con un gesto il passaggio verso la divina salvezza, poi, davanti ai volti di nuovo spauriti dei nostri protagonisti, comincia a parlare con tono perentorio:

– Mentre voi discutevate con inutile animosità, ho provveduto ad intendere correttamente il Codice celeste e la varia giurisprudenza divina che si è consolidata in lungo lasso di tempo, dai tempi di Adamo ad oggigiorno. E sono giunto ad una conclusione!

Con gesto solenne il nostro poco credibile San Pietro alza per la prima volta gli occhi dalle sue carte e continua a parlare:

L’informazione che Roberta Scarponi ha veicolato al Dirigente del Settore Welfare è davvero una segnalazione? Chiediamocelo rispondendo alle cinque fatidiche domande che qualificano una segnalazione e che abilitano le tutele previste, nonché il passaggio verso il Paradiso dei Segnalanti”.

L’arena si trasforma in una specie di quiz televisivo. Davanti alla Scarponi, affiancata da San Barbato da Benevento da una parte e dai disgustosi diavoli dall’altra, appaiono due pulsanti, uno rosso ed uno verde. Il guardiano inizia a porre le domande:

– Il segnalante riveste la qualifica di dipendente pubblico o equiparato?

San Barbato emette un grugnito di soddisfazione e schiaccia senza alcun indugio il tasto verde.

– Esatto! – tuona il guardiano – Seconda domanda: la segnalazione è stata effettuata nell’interesse all’integrità della Pubblica Amministrazione?

I diavoli si agitano ma non possono contrastare la precedente corretta osservazione del Santo, il quale schiaccia di nuovo il tasto verde.

– Esatto, di nuovo! Terza domanda: la segnalazione ha ad oggetto condotte illecite?

I diavoli sembrano retrocedere e perdere ogni speranza: persino loro devono ammettere che una condotta come quella del dottor Dario Sedente non può essere derubricata ad una mera inopportunità. Scuotendo le immonde teste schiacciano essi stessi il tasto verde.

– Per l’appunto! Si tratta proprio di una condotta illecita – sentenzia il guardiano – E di tali condotte illecite il dipendente è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro?

Ad un tratto i demoni riattizzano lo sguardo fiammeggiante. Uno dei due sputa per terra, spergiurando la sua immonda verità:

– Da quando in qua una pista da sci è assimilabile ad un posto di lavoro?

L’altro diavolo rincara la dose, provando a spiegare meglio:

– Nella locuzione “in ragione del rapporto di lavoro” rientrano fatti appresi in virtù dell’ufficio rivestito, così come anche notizie acquisite in occasione e/o a causa dello svolgimento delle mansioni lavorative, sia pure in modo casuale. La perfida Roberta, invece, ha acquisito l’informazione non nell’esercizio di una qualche funzione, né mentre svolgeva un compito lavorativo rientrante nelle mansioni a lei assegnate. Ella si trovava sulle piste da sci!.

A questa controffensiva San Barbato non sa replicare e le due creature infernali, di nuovo in grande spolvero, si gettano sul bottone rosso accompagnando la pressione con un sarcastico rutto.

– Purtroppo, è così – conferma il custode – Ma non tralasciamo l’ultima domanda: la norma stabilisce con chiarezza che, al fine di ricevere le tutele previste, le segnalazioni devono essere indirizzate al Responsabile della prevenzione della corruzione, all’Autorità nazionale anticorruzione, all’Autorità giudiziaria ordinaria oppure l’Autorità contabile. La qui presente Roberta Scarponi ha segnalato ad uno di questi destinatari?

I due diavoli, ormai padroni della scena, sghignazzano in faccia a Roberta:

– Che sbadata, che sei: ha telefonato al Responsabile del Settore Welfare! Hai segnalato attraverso canali non convenzionali! – e schiacciano un’ultima volta il tasto rosso.

il destino di Roberta Scarponi è compiuto: il suo pallido volto trasfigura, mentre sprofonda nella terra scavata sotto i suoi piedi dai due solerti demoni.

Il custode sentenzia che non ci sarà un appello: “Ha fallito due dei cinque requisiti: non è una vera segnalante!” – sentenzia senza possibilità di appello.

San Barbato si allontana lentamente, pentendosi di aver dato credito ad una simile approfittatrice. Le anime beate lo consolano, cantando inni di gloria ai segnalanti funamboli, che stanno in equilibrio sulla sottile lama di un rasoio, senza mai cadere di sotto.

Un grave errore di distrazione

Ingiunzioni. L’art. 8 del Codice di comportamento nazionale impone al dipendente pubblico di segnalare illeciti e irregolarità al proprio superiore gerarchico, mentre ai sensi dell’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 (così come modificato dalla Legge n. 179/2017) la segnalazione deve essere inviata al responsabile della prevenzione della corruzione o ad ANAC. Questo disallineamento è particolarmente problematico, perché la semplice segnalazione al superiore gerarchico, come abbiamo visto, non consente al dipendente di acquisire lo status di segnalante e di accedere alle forme di tutela previste dalla normativa.

I sommersi e i salvati

La povera Roberta Scarponi finisce all’inferno, perché ha segnalato l’illecito alla persona sbagliata. Potrebbe sembrare assurda, questa dura legge dell’oltretomba, ma in verità questo vale anche sulla nostra amata Terra, che Dante Alighieri, forse a ragione, definì “aiuola che ci fa tanto feroci. Ed è particolarmente efferato il criterio adottato dalla normativa italiana per identificare i segnalanti meritevoli di tutela: si diventa whistleblower nel momento in cui si invia una segnalazione al Responsabile della prevenzione della corruzione (RPCT) del proprio ente o ad ANAC, oppure si sporge una formale denuncia all’autorità giudiziaria o contabile. Si tratta ovviamente, di un criterio assolutamente oggettivo e sempre verificabile, ma che in certi casi seleziona in modo iniquo, e anche illogico, chi è meritevole di tutela e chi, invece, si deve difendere da solo.

Questo criterio, a dire il vero, è interpretato da ANAC in modo non restrittivo: a parere dell’Autorità, infatti, “affinché possano operare le tutele di cui alla normativa whistleblowing, è necessario, ma anche sufficiente, che la segnalazione venga indirizzata ad almeno uno dei soggetti indicati dall’art. 54-bis e non esclusivamente ad essi[43]. Ne consegue, che le tutele non vengono meno, nel caso in cui il segnalante si rivolga, per esempio, al superiore gerarchico o agli organi di indirizzo dell’ente, a patto che, contestualmente, la segnalazione sia anche inviata ad almeno uno dei soggetti identificati dalla normativa.

Un semplice avverbio, “anche”, distingue i sommersi dai salvati.

Il segnalante inesistente

Tra le carte di ANAC, per esempio, leggiamo la triste storia del dott. Maurizio Malgrado[44], dirigente, audito dalla Procura Regionale della Corte dei conti in qualità di persona informata dei fatti, nell’ambito di un’indagine per presunti danni erariali a carico della sua Amministrazione. Il dott. Malgrado produca anche delle relazioni scritte, evidenziando inefficienze e sprechi compiuti all’interno dell’ente. A conclusione delle indagini, la Corte dei conti invia “21 atti di citazione a giudizio ad ex amministratori e dirigenti dell’Amministrazione, per danno erariale conseguente a finanziamenti illeciti per complessivi tre milioni di Euro[45].

Pochi mesi dopo la conclusione delle indagini, Maurizio Malgrado viene dapprima trasferito d’ufficio e in seguito riceve una lettera di contestazione disciplinare, a firma del Direttore, nella quale gli viene contestata una “grave omissione delle proprie attribuzioni consistente nella mancata impugnazione di un avviso di accertamento fiscale[46].

Il rag. Malgrado si difende, evidenziando che, seppur inoltrato al protocollo del suo ufficio, egli aveva conosciuto l’avviso solo in un momento successivo, a termini scaduti, “e che comunque si era attivato sia con l’Agenzia delle Entrate che con il legale dell’impresa, avendo proposto un’istanza di annullamento dell’avviso di accertamento in autotutela e una richiesta di sgravio e/o sospensione dell’accertamento e una richiesta di sgravio e/o sospensione previa adesione alla definizione agevolata, tutte sottoscritte dal Direttore[47]. Al termine del procedimento disciplinare, Maurizio Malgrado viene licenziato per giusta causa.

A nostro modesto parere, tutto quanto, in questa storia, puzza di ritorsione: dapprima l’ente assegna al dott. Malgrado la responsabilità di un nuovo ufficio, nonostante egli abbia dimostrato di essere un dirigente fedele e in grado di identificare sprechi e danni erariali. In seguito, il Direttore dell’ente contesta a Malgrado di non avere impugnato un avviso di accertamento fiscale di pertinenza del suo nuovo ufficio e lo licenzia. Negli atti di ANAC tutte le date sono, inspiegabilmente, omissate e quindi non è possibile conoscere l’esatta scansione cronologica degli eventi[48], ma il licenziamento sembra eccessivo, anche alla luce del fatto che l’accertamento, anche se tardivamente, è stato comunque preso in carico da Malgrado, che ha inviato all’Agenzia delle Entrate un’istanza di annullamento dell’avviso e due richieste di sgravio e/o sospensione, tutte firmate dal Direttore dell’ente che ha poi avviato la contestazione disciplinare.

Ma il vero colpo di scena, in questa vicenda disseminata di danni erariali accertati e omissioni presunte, lo realizza ANAC, quando riceve dal dott. Malgrado la comunicazione delle presunte misure ritorsive. L’Autorità anticorruzione afferma, senza usare inutili giri di parole, che “dai fatti così come ricostruiti emerge il fumus di comportamenti gravemente discriminatori e ritorsivi” messi in atto nei confronti del povero dott. Malgrado “in conseguenza della sua attività di collaborazione prestata all’indagine avviata dalla Procura regionale della Corte dei Conti”. Tuttavia, e qui sta il colpo di scena, “sui comportamenti in questione l’Autorità non può svolgere ulteriori approfondimenti” perché l’infelice dott. Malgrado “non rientra fra i soggetti tutelati ai sensi dell’art. 54 bis, D.Lgs. n. 165 del 2001, come modificato dalla Legge n. 179 del 2017, in quanto il predetto non ha presentato denuncia sui fatti oggetto di accertamento in corso da parte della Corte dei conti, essendosi, al contrario, limitato a fornire una collaborazione doverosa, sia pure piena e leale, richiesta dall’ufficio inquirente presso il giudice contabile”.

Accidenti, dott. Malgrado! Ti sei fregato con le tue stesse mani: hai collaborato con la Corte dei conti, segnalando degli illeciti, e invece avresti dovuto fare una denuncia! Le segnalazioni si fanno a RPCT e ad ANAC. Caro dott. Malgrado, non dire che non lo sapevi, che non sapevi che spesso il Giudice ha le mani legate dalla Legge e in nome della Legge deve assolvere il carnefice e condannare la vittima!

Un articolo da buttare via?

C’è indubbiamente qualcosa di enormemente sbagliato nei criteri di identificazione dei whistleblower definiti dalla normativa italiana. Sarebbe auspicabile fare un tagliando alla norma, per garantire almeno qualche forma di tutela all’esercito di funzionari e dirigenti pubblici che, facendo con diligenza il proprio lavoro, scoprono degli illeciti e per questo vengono sanzionati dalle loro amministrazioni. Forse basterebbe aggiungere la parola “rileva” accanto a “segnala” e “denuncia”.

In effetti, l’occasione ci sarebbe. Al fine di uniformare le normative nazionali in materia di whistleblowing, l’Unione Europea ha adottato la Dir. UE 2019/1937 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione. Il recepimento della Direttiva, prevista per dicembre 2021, è slittato al 2022 e non sono ancora noti i termini di tale recepimento. Sappiamo solo che l’art. 6 (Condizioni per la protezione delle persone segnalanti) stabilisce che i benefici di protezione sono garantiti a condizione che i segnalanti:

a) abbiano avuto fondati motivi di ritenere che le informazioni segnalate fossero vere al momento della segnalazione e che tali informazioni rientrassero nell’ambito di applicazione della presente direttiva; e

b) abbiano effettuato una segnalazione internamente[49] a norma dell’art. 7 o esternamente[50] a norma dell’art. 10, ovvero abbiano effettuato una divulgazione pubblica[51] a norma dell’art. 15.

La protezione garantita a chi segnala attraverso divulgazione pubblica, una delle innovazioni più importanti che la Direttiva introduce, seppure a determinate condizioni[52], avrebbe salvato il povero dottor Malgrado? Probabilmente no. Per prima cosa, il nostro Malgrado non ha fatto una divulgazione pubblica, ha solo pensato di fare bene il suo lavoro. Inoltre, per avere le sospirate tutele, chi divulga pubblicamente deve prima procedere ad una attenta valutazione sulla ricorrenza di queste due condizioni:

i) la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse, come nel caso in cui sussista una situazione di emergenza o il rischio di danno irreversibile; oppure

ii) in caso di segnalazione esterna, sussista il rischio di ritorsioni o le prospettive che la violazione sia affrontata efficacemente siano scarse per via delle circostanze del caso di specie, come quelle in cui possano essere occultate o distrutte prove oppure in cui un’autorità possa essere collusa con l’autore della violazione o coinvolta nella violazione stessa.

Anche se la Direttiva ha sofferto di innumerevoli tentativi di “normalizzazione” del whistleblowing[53] fortunatamente non andati a buon fine, risente comunque della stessa ansia da inscatolamento che poi in concreto si riduce in un viaggio semi-psichedelico che il potenziale segnalante deve compiere per giungere all’ottenimento delle tanto agognate tutele. E comunque la Direttiva non è stata ancora recepita e noi non possiamo cambiare nemmeno una virgola della normativa vigente. Possiamo solo auspicare che i Codici di comportamento delle amministrazioni indichino chiaramente ai destinatari a chi devono segnalare o denunciare gli illeciti e come lo devono fare, per non rivelare la propria identità e, soprattutto, per non perdere le tutele riconosciute dall’ordinamento.

I nostri lettori, di conseguenza, comprenderanno la nostra frustrazione, e anche un po’ la nostra rabbia, quando leggiamo l’art. 8 del Codice Nazionale che “il dipendente […] presta la sua collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione e, fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’Amministrazione di cui sia venuto a conoscenza”.

L’obbligo di segnalazione, così come è scritto, è assolutamente fuorviante, perché obbliga il dipendente a inviare la segnalazione al soggetto sbagliato. I whistleblower,come sanno ormai tutti, segnalano al RPCT o ad ANAC, oppure denunciano all’autorità giudiziaria o contabile. Chi segnala al proprio superiore gerarchico, semplicemente non è un whistleblower.

L’art. 8 è probabilmente il peggiore articolo del Codice Nazionale, ma deve il suo triste primato ad un banale errore di distrazione. L’art. 54-bis, introdotto nel D.Lgs. n. 165/2001 dalla Legge n. 190/2012, in effetti, nella sua prima formulazione[54], tutelava i dipendenti pubblici che denunciavano condotte illecite, di cui erano venuti a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti oppure “al proprio superiore gerarchico”. Di conseguenza, il Codice Nazionale, emanato nel 2013, aveva correttamente recepito questa previsione, introducendo un dovere di segnalazione a carico dei dipendenti all’art. 8 e, all’art. 13, comma 8, una disposizione specifica per i dirigenti destinatari delle segnalazioni:

– 8. Il dirigente […] nel caso in cui riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, adotta ogni cautela di legge affinché sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identità nel procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001.

Ma l’art. 54-bis è stato in seguito aggiornato per ben due volte[55] dal Legislatore, che però si è dimenticato di modificare le previsioni dell’art. 8 e dell’art. 13 del D.P.R. n. 62/2013, che di conseguenza risultano, attualmente, completamente disallineati dalla normativa di tutela dei whistleblower.

Cosa fare, davanti a questo sfacelo? Una prima ipotesi è fare finta che l’art. 8 non esista e farne a meno; più tecnicamente, potremmo dire che tale articolo è stato tacitamente abrogato dalla Legge n. 179/2017: anche Raffaele Cantone, già presidente di ANAC, è di questo avviso[56]. Tuttavia, come abbiamo già osservato in precedenza, le regole di comportamento sono necessarie, per promuovere l’inclusione del whistleblowing nella cultura delle organizzazioni e creare contesti interni favorevoli alla tutela dei segnalanti: senza regole di comportamento, la tutela del segnalante sarà sempre garantita in negativo unicamente dall’attività sanzionatoria di ANAC.

Inoltre, la stessa Autorità, nelle linee guida approvate nel 2021, ha suggerito alle amministrazioni di inserire nei codici di comportamento forme di responsabilità specifica a carico del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e di tutti i soggetti coinvolti nella ricezione e gestione della segnalazione[57].

Per queste ragioni, riteniamo utile e necessario riscrivere i contenuti dell’art. 8 dell’art. 13 del Codice di comportamento, per introdurre standard di comportamento allineati alla normativa vigente.

L’Amministrazione Amica … dei segnalanti

L’ancoraggio. In questa ultima parte dell’articolo illustreremo quattro tecniche di ancoraggio, che possono aiutare le Amministrazioni a promuovere una reale cultura della segnalazione e di tutela dei segnalanti: la codificazione delle regole, l’adozione di procedure di gestione delle segnalazioni, la leadership etica e la formazione del personale.

Dopo avere attraversato tante storie individuali di whistleblower, quasi sempre finite male, siamo giunti al tanto atteso momento dell’ancoraggio: dobbiamo trasformare le organizzazioni pubbliche in amministrazioni amiche dei segnalanti. Non è più tollerabile che chi lavora nel settore pubblico si senta autorizzato a discriminare chi segnala illeciti o irregolarità. Le ritorsioni nei confronti dei segnalanti, oltre a ripercuotersi negativamente sul benessere delle persone, tolgono qualunque credibilità alle politiche di prevenzione della corruzione: a cosa serve adottare un PTPCT, un PIAO o qualunque altro documento programmatico di promozione dell’integrità, se poi l’organizzazione spara al primo whistleblower che segnala nell’interesse della sua integrità?

Riscrivere le regole

Non è poi così difficile riscrivere l’art. 8 del Codice nazionale, per introdurre, nei codici di Amministrazione, ingiunzioni che trasformano in standard di comportamento attesi le tutele garantite dalla normativa sul whistleblowing: è sufficiente prendere atto del fatto che, se il contenuto di questo articolo è stato tacitamente abrogato dalla L. n. 179/2017, allora è possibile, ma anche opportuno, allineare l’art. 8 ai contenuti del nuovo art. 54-bis del Testo Unico del Pubblico Impiego.

Dobbiamo indicare chiaramente ai dipendenti cosa devono segnalare, a chi devono segnalare e come devono segnalare, ma dobbiamo anche richiamare l’attenzione del personale sulle tutele che devono essere garantite ai whistleblower:

Ø tutela della riservatezza dell’identità del segnalante e della segnalazione: nessuno deve rivelare l’identità del segnalante;

Ø tutela da eventuali misure ritorsive o discriminatorie, adottate dall’ente a causa della segnalazione effettuata: nessuno deve punire il segnalante;

Di seguito una nostra proposta di riscrittura. Come al solito, le nostre integrazioni all’art. 8 originale sono evidenziate in grassetto:

Art. 8 – Prevenzione della corruzione

1. Il dipendente rispetta le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell’Amministrazione. In particolare, il dipendente rispetta le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione della corruzione, presta la sua collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione.

2. Nell’interesse dell’integrità della Pubblica Amministrazione, il dipendente è tenuto a segnalare tempestivamente al responsabile della prevenzione della corruzione, ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), oppure a denunciare all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, le condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro.

3. In ossequio ai principi di legalità, buon andamento e imparzialità, al fine di garantire una corretta gestione della segnalazione:

a) il Responsabile della prevenzione della corruzione ha il dovere di svolgere tempestivamente adeguate attività di verifica e analisi della segnalazione ricevuta, in collaborazione con gli organi di controllo interno identificati dall’Amministrazione;

b) il Responsabile della prevenzione della corruzione e gli altri i soggetti a qualunque titolo coinvolti nella ricezione, gestione e verifica della segnalazione, sono tenuti a garantire la massima riservatezza;

al medesimo obbligo di riservatezza è tenuto chiunque, in qualunque modo, venga a conoscenza dell’identità del segnalante, della segnalazione o denuncia, ovvero del contenuto delle medesime;

4. Al fine di garantire al segnalante le tutele di cui all’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001, è vietata qualsiasi condotta ritorsiva o discriminatoria avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro del segnalante, qualora determinata dalla segnalazione.

Gli obblighi di riservatezza a carico dei dirigenti, attualmente previsti dall’art. 13, comma 8 sono assorbiti dal “nuovo” art. 8, in quanto il dirigente potrebbe essere uno dei soggetti coinvolti nella gestione e nell’approfondimento della segnalazione, ma non più un destinatario delle segnalazioni. Di conseguenza, possiamo intervenire con un netto colpo di forbice, accorciando il comma 8:

– Art. 13 – Disposizioni particolari per i dirigenti

8. Il dirigente intraprende con tempestività le iniziative necessarie ove venga a conoscenza di un illecito, attiva e conclude, se competente, il procedimento disciplinare, ovvero segnala tempestivamente l’illecito all’autorità disciplinare, prestando ove richiesta la propria collaborazione e provvede ad inoltrare tempestiva denuncia all’autorità giudiziaria penale o segnalazione alla Corte dei conti per le rispettive competenze. Nel caso in cui riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, adotta ogni cautela di legge affinché’ sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identità nel procedimento disciplinare, ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Procedure interne di gestione delle segnalazioni

Alle regole, che orientano i comportamenti delle persone, è certamente utile affiancare delle procedure di gestione, per integrare il whistleblowing all’interno dei processi organizzativi.

L’art. 54-bis, D.Lgs. n. 165/2001 definisce molto chiaramente cosa le amministrazioni non possono fare: come abbiamo visto, non possono rivelare l’identità del segnalante e non possono adottare misure ritorsive; ma non è altrettanto esplicito nel definire cosa le amministrazioni devono fare, dopo aver ricevuto una segnalazione. Queste indicazioni possono tuttavia essere ricavate, indirettamente, dalle sanzioni previste dal comma 6 del medesimo articolo:

– sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro, nel caso in cui venga accertata da ANAC l’adozione di misure discriminatorie;

– sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro, nel caso in cui venga accertata da ANAC l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni, oppure l’adozione di procedure non conformi;

– sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro, nel caso in cui venga accertato da ANAC il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.

In questi ultimi anni le Amministrazioni si sono concentrate soprattutto sull’adozione di soluzioni informatiche in grado di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante nella fase di inoltro della segnalazione. C’è invece ancora molto da fare, relativamente al terzo punto: le piattaforme informatiche garantiscono solo un innesco sicuro del processo di gestione della segnalazione, che deve proseguire con attività di analisi e di verifica, attraverso il sistema dei controlli interni all’Amministrazione, finalizzate a identificare ed eventualmente sanzionare i soggetti che hanno messo in atto i comportamenti illeciti o che hanno generato le irregolarità oggetto della segnalazione.

L’adozione di procedure per l’analisi e la verifica delle segnalazioni è indispensabile, anche per tutelare i whistleblower: se il segnalante ha la percezione che nessuno ha dato seguito alla sua segnalazione, infatti, è più probabile che si rivolga all’esterno, denunciando anche pubblicamente i fatti, rischiando di rivelare la propria identità e, come abbiamo visto, anche rischiando di incorrere in sanzioni disciplinari[58].

Le procedure di gestione delle segnalazioni devono uniformarsi ad una serie di principi e di requisiti, che sono stati identificati da ANAC nella seconda parte della Delibera n. 469/2021[59], ma devono anche identificare chiaramente il ruolo giocato dai whistleblower all’interno dei sistemi di gestione del rischio di corruzione, che, come noto, devono perseguire tre obiettivi strategici:

– creare un contesto sfavorevole alla corruzione.

– ridurre le opportunità che si manifestino casi di corruzione;

– aumentare la capacità di scoprire casi di corruzione[60].

Senza ombra di dubbio le segnalazioni mettono le amministrazioni nelle condizioni di identificare illeciti e irregolarità e, di conseguenza, i whistleblower sono parte integrante dei sistemi anticorruzione: sono delle misure umane di gestione del rischio. Ma proprio perché misure umane, i whistleblower sono anche un indicatore della scarsa efficienza delle misure organizzative di gestione del rischio: quando un dipendente segnala un illecito in via riservata all’RPCT, allora certamente le misure di prevenzione hanno fallito il loro scopo e gli ordinari sistemi di controllo interno non sono stati in grado di rilevare l’illecito o le anomalie da esso generate.

Per queste ragioni, le procedure di gestione delle segnalazioni dovrebbero prevedere anche l’avvio, da parte del RPCT, di un riesame delle misure di prevenzione attuate negli uffici e nei processi in cui l’illecito ha avuto luogo, per l’adozione di eventuali misure correttive[61].

Leadership Etica

Si parla spesso di mancanza di “cultura” in riferimento al whistleblowing. Uno dei bias che più ci colpisce parlando con le persone che partecipano ai nostri corsi o leggendo articoli su questo tema è che sembra che i segnalanti non siano mai esistiti prima dell’introduzione della Legge n. 190/2012. La normativa sul whistleblowing, in realtà, non disciplina altro che le tutele da adottare nei confronti di un fenomeno che è presente da sempre, anche nella cultura e nelle tradizioni che ci appartengono. Ad esempio, a Venezia si possono ancora trovare le Bocche delle denunce segrete[62] che testimoniano come lungo almeno cinque secoli di autonomia della Serenissima si siano sviluppati meccanismi di gestione delle segnalazioni assai simili alle odierne.

Il problema, semmai, è di “cultura organizzativa” e di come siamo abituati a concepire la Pubblica Amministrazione ed il governo in generale: un ambiente militaresco, profondamente gerarchizzato, in cui la segnalazione o la denuncia, specie se fatta contro i propri capi, assomiglia molto all’ammutinamento o alla diserzione.

Il contesto interno è spesso caratterizzato da leadership autoritarie, fondate su rapporti di forza e di appartenenza e scarsamente addestrate al dialogo e alla critica. Le stellette che brillano sulle invisibili uniformi di molti dirigenti chiudono ogni possibilità all’emersione di anomalie o alla messa in discussione di comportamenti controversi. L’assenza della qualità che Muel Kaptein chiama “discuss-ability[63] è strettamente correlata ad un sentimento di profonda impotenza da parte del dipendente che a volte viene risolta con una segnalazione o una denuncia esterna, rivolta alle Autorità o ai media.

Che cosa è dunque la condotta di segnalazionese non il fallimento dell’ascolto e della partecipazione interna? Gli attuali meccanismi di selezione delle leadership all’interno delle organizzazioni pubbliche non favoriscono certo lo sviluppo di questa qualità, anche se esistono numerosi tentativi di cambiare il paradigma. Ad esempio, la promozione della cosiddetta “leadership gentile[64] cioè di una leadership in grado di praticare l’ascolto, l’empatia, di non nascondere le emozioni e lavorare su di esse per favorire una maggiore coesione e responsabilizzazione del proprio team.

Formazione del personale

La storia stessa di Spazioetico nasce con il “dilemma del segnalante[65]. Le forze potenti che animavano il dilemma etico del nostro dipendente (tale dottor Rossi), testimone di un illecito, si dimostravano davvero efficaci in un contesto formativo, certo più di un corso su come usare una piattaforma informatica per inviare una segnalazione.

Molte cose sono cambiate da allora. Le nostre lenti di osservazione sono assai più evolute, il dilemma etico si è arricchito delle dinamiche relazionali e delle convergenze e conflitti di interessi, ma l’approccio “narrativo” che contestualizza il rischio di corruzione all’interno di casi concreti e, appunto, dilemmi etici è rimasto lo schema vincente.

Accanto a questo, la drammatica evidenza di come la formazione tradizionale abbia decisamente abdicato alla sua funzione primaria di gettare lo sguardo dentro all’animo umano, ancorandosi pervicacemente ad un approccio deterministico, di stampo prettamente giuridico, esclude qualsiasi visione sistemica e di analisi della complessità.

Ciò che emerge con forza dalle segnalazioni gestite dai RPCT e da ANAC e che spesso i segnalanti rilevano dinamiche corruttive profondamente “vantaggiose” per chi si trova all’interno dell’organizzazione, spesso sganciate da utilità personali. Per questo la locuzione “segnalare nell’interesse dell’integrità dell’Amministrazione”, introdotta dalla Legge n. 179/2017, può risultare fuorviante, nella misura in cui richiama gli interessi dell’Amministrazione, anziché fare riferimento a interessi pubblici esterni all’organizzazione, cioè gli interessi della collettività. La formazione dovrebbe quindi spostare il tiro e mettere in chiaro cosa sia veramente di interesse per una Amministrazione pubblica, agendo sulla consapevolezza degli interessi primari.

Fuori dal mainstream

Conclusioni. Il valore della segnalazione è la sua capacità di rompere gli equilibri: il segnalante è colui che dice che il re è nudo, come nella favola di Andersen “I vestiti nuovo dell’imperatore”. Di conseguenza dovremmo esaltare il ruolo ed educare persone e organizzazioni a rispettare e supportare i segnalanti specialmente quando le irregolarità o gli illeciti vengono rilevati durante l’ordinaria attività lavorativa. Ma questo punto di vista, purtroppo, non è vincente.

Morire per la patria? Ne vale la pena? Ognuno di voi cari lettori si sarà fatto la sua idea dopo aver letto questo che è un articolo per forza di cose incompleto e che lascia aperte tante domande. Agire sul Codice di comportamento è prioritario, ma non risolve tutti i problemi, così come non risolve i problemi avere una piattaforma di segnalazione performante.

Il dovere di prestare la propria collaborazione, lo avrete capito, fa un po’ a cazzotti con quello che la Direttiva europea di prossima trasposizione riconosce come “diritto umano”, una delle manifestazioni più concrete della libertà di espressione.

Più di ogni soluzione procedurale o regolamentare, valgono i messaggi simbolici che le nostre leadership politiche inviano e che sembrano piuttosto eloquenti. Mentre si tarda ad adottare la Direttiva, infatti, il Governo[66] si è affrettato a prevedere un aggiornamento del Codice di comportamento introducendo una sezione dedicata all’utilizzo dei social network, con la finalità espressa di tutelare l’immagine della Pubblica Amministrazione. Era davvero necessario inserire una nuova specifica sezione che, tra le altre cose, implica una restrizione proprio della libertà di espressione? La conclusione che un attento lettore può trarre è che ci sia una certa ansia nel cucire le bocche, assai meno nel lanciare allarmi, soprattutto nella delicata fase di attuazione del PNRR.

La patria chiama a prestare la propria collaborazione, ma, come farebbe osservare il saggio, poi la collaborazione andrebbe restituita.


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[1] H. Arendt, Che cos’è la politica?, 1993, Biblioteca Einaudi.

[2]Μνιν ειδε θε Πηληιάδεω χιλως / ολομένην, μυρί’ χαιος λγε’ θηκε,”.Nella traduzione italiana, curata da Vincenzo Monti, nota ai più, “Cantami o Diva del Pelide Achille / l’ira funesta che infiniti addusse / lutti agli Achei”.

[3] Le tutele per i segnalanti sono sancite dall’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 (Testo Unico del Pubblico Impiego) introdotto dalla L. n. 190/2012 e poi modificato dalla Legge n. 179/2017.

[4] D.Lgs. n. 165/2001, art. 65-bis, comma 3: “L’identità del segnalante non può essere rivelata. Nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale. Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Nell’ambito del procedimento disciplinare l’identità del segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità”.

[5] Massimo Di Rienzo, Andrea Ferrarini, La parresia del whistleblower. Il coraggio della verità e le convergenze pericolose, in Azienditalia, 2021. L’articolo è incluso nella digital collettino Dinamiche corruttive e conflitto di interessi nella P.A., Milano, 2022 (https://shop.wki.it/ebook/ebook-dinamiche-corruttive-e-conflitto-di-interessi-nella-p-a-s754099/).

[6] Ibidem. È il noto fenomeno delle polarizzazioni stabili che mettono a rischio l’imparzialità,un potentissimo motore del rischio di corruzione.

[7] Ibidem.

[8] https://www.youtube.com/watch?v=3i1yAZS2TB8.

[9] ANAC, Delibera n. 469 del 9 giugno 2021, Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del D.Lgs. n. 165/2001 (c.d. whistleblowing): “Resta fermo, infatti, che, alla luce della ratio che ispira la legislazione in materia di prevenzione della corruzione, non si possano escludere dalla tutela ex art. 54-bis le segnalazioni nelle quali un interesse personale concorra con quello della salvaguardia dell’integrità della Pubblica Amministrazione”.

[10] L’ultimo monitoraggio di ANAC sull’applicazione della normativa di tutela dei segnalanti risale al 2019 e ha coinvolto 40 pubbliche amministrazioni. (https://www.anticorruzione.it/-/presentazione-del-4%C2%B0-rapporto-annuale-sul-whistleblowing?p_p_id=com_liferay_journal_web_portlet_JournalPortlet).

[11] ANAC, Relazione Annuale 2020, 18 giugno 2021.

[12] In che modo la pandemia abbia influito sul numero di segnalazioni non è chiaro. Forse lavorando in smart-working i dipendenti hanno avuto meno possibilità di identificare illeciti all’interno della loro amministrazione. O forse, l’emergenza sanitaria ha creato, all’interno degli enti, un clima meno favorevole alle segnalazioni.

[13] Delibere ANAC n. 761/2020, n. 673/2021 e n. 717/2021. Alcune amministrazioni ritengono che il dipendente, rivelando la propria identità, rinunci anche alle tutele. E questa rinuncia alla tutela spesso viene intesa come una giustificazione delle misure ritorsive.

[14] ANAC, Relazione Annuale 2020, 18 giugno 2021: “Le segnalazioni aventi, invece, ad oggetto illeciti rilevanti sotto il profilo penale o erariale, sono state inoltrate alla competente Autorità giudiziaria o contabile, nel rispetto della tutela della riservatezza dell’identità del segnalante; nel corso dell’anno 2020 sono state inviate alle Autorità giudiziarie, per i seguiti di competenza, 90 segnalazioni di questo tipo, relative anche a fascicoli pervenuti negli anni precedenti. Per tale tipo di segnalazioni vale, però, evidenziare che la normativa vigente non indica le modalità da seguire al fine di tutelare la riservatezza dell’identità del whistleblower, ragion per cui si è ritenuto – pur nella consapevolezza degli obblighi di legge vigenti rispetto ai procedimenti penali e a quelli davanti alla Corte dei conti espressamente richiamati al comma 3 dell’art. 54-bis – di trasmettere dette segnalazioni specificando che si tratta di una segnalazione ex art. 54-bis, nel cui processo di gestione è necessario assumere ogni cautela per garantire il rispetto delle disposizioni previste dal citato co. 3.

Pertanto, in tutti i casi in cui l’Autorità giudiziaria cui è stata inoltrata la segnalazione, per esigenze istruttorie ha avuto necessità di conoscere il nominativo del segnalante, questo è stato debitamente comunicato e l’Autorità giudiziaria ricevente, a partire da quel momento, è divenuta responsabile del trattamento dei dati personali richiesti”.

[15] Delibera n. 782/2019.

[16] Delibera ANAC n. 1118/2020.

[17] Delibera ANAC n. 717/2021. L’istruttoria di ANAC ha evidenziato lo status di whistleblower, ma non ha dimostrato il carattere vessatorio della sanzione disciplinare e si è conclusa con un’archiviazione.

[18] Delibere ANAC n. 782/2019.

[19] Delibere ANAC n. 860/2019 e n. 761/2020

[20] Delibera ANAC n. 1118/2020.

[21] Delibera ANAC n. 236/2020.

[22] Delibera ANAC n. 761/2020.

[23] Questo termine, assai eloquente, è usato spesso da ANAC nelle sue delibere.

[24] Delibera ANAC n. 337/2020:“Questo tipo di provvedimenti è, dunque, caratterizzato da un’ampia discrezionalità quanto al quomodo, vale a dire alla scelta della sede di destinazione, […]; e se il compito del giudice è ‘limitato al riscontro della effettiva sussistenza della situazione di incompatibilità riscontrata dall’Amministrazione (e costituente presupposto del provvedimento) e della proporzionalità del rimedio adottato dall’Amministrazione’ non diversamente potrebbe fare l’Autorità Nazionale Anticorruzione”.

[25] Delibera ANAC n. 761/2020.

[26] Delibere ANAC n. 236/2000 e n. 717/2021. Si tratta ovviamente di nomi di fantasia. Nelle delibere ANAC tutti i nomi sono omissati.

[27] Cass. pen., Sez. V, sent., n. 35792/2018.

[28] Delibera ANAC n. 236/2000.

[29] Legge n. 179/2017:“Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”.

[30] Delibere ANAC n. 1033/2018, n. 312/2019 e n. 690/2020.

[31] Delibera ANAC 469/2021: “Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing)”.

[32] ANAC, Relazione Annuale 2017, 14 giugno 2018. Si è trattato di un intervento sui generis, perché “il caso era stato segnalato all’ANAC prima che si potesse invocare la nuova disciplina dettata dall’art. 54-bis modificato, ma solo chiarendo all’Amministrazione la possibilità di esercitare il potere sanzionatorio che il legislatore ha inteso riconoscere ad ANAC, è stato possibile intervenire in modo incisivo in favore della dipendente discriminata per aver agito nel rispetto delle norme e della legalità.”.

[33] ANAC, Relazione annuale 2019, 2 luglio 2020: “Nel corso dell’anno 2019 sono stati istruiti 24 procedimenti sanzionatori e, di questi, se ne sono conclusi 8. Un procedimento sanzionatorio si è concluso con l’irrogazione della sanzione minima nei confronti del dirigente di un Comune del Casertano, ritenuto responsabile, in qualità di firmatario, dell’adozione di provvedimenti ritorsivi nei confronti di un dipendente che aveva denunciato presunte irregolarità innanzi all’Autorità Giudiziaria”.

[34] ANAC, Relazione annuale 2020, 18 giugno 2021: “Nel corso dell’anno 2020 sono stati definiti 21 procedimenti sanzionatori, così distribuiti: 7 procedimenti sanzionatori relativi all’anno 2018; 11 procedimenti sanzionatori relativi all’anno 2019; 3 procedimenti sanzionatori relativi all’anno 2020. Le sanzioni irrogate nel corso dell’anno 2020 sono pari a 3, ognuna di importo corrispondente a 5.000,00 euro”:

[35] UWHIB è l’acronimo con cui viene indicato l’Ufficio per la vigilanza sulle segnalazioni dei whistleblowers dell’ANAC.

[36] ANAC, Relazione annuale 2018, 6 giugno 2019.

[37] I presunti responsabili di ritorsioni ai danni dei segnalanti hanno sempre il diritto di inviare memorie difensive all’ufficio UWHIB e, dopo la chiusura dell’istruttoria, possono inviare ulteriori memorie difensive, produrre nuova documentazione, oppure chiedere un’audizione al Consiglio.

[38] Delibere ANAC n. 860/2019 e n. 717/2021.

[39] Delibere ANAC n. 782/2019, n. 236/2020, n. 565/2020, n. 761/2020.

[40] Delibera ANAC n. 860/2019: l’Autorità non ha giudicato ritorsivo il licenziamento di un segnalante che, pur rivestendo la qualifica di whistleblower, si era rivolto ad un giornalista, rivelandogli di aver inviato una segnalazione ad ANAC, nonché il contenuto della segnalazione, divulgando in questo modo “notizie e documenti oggetto di segreto aziendale”. Questa condotta, infatti è stata ritenuta eccedente rispetto alle finalità di dell’eliminazione dell’illecito.

[41] Legge quadro sull’handicap (Legge 5 febbraio 1992, n. 104), all’art. 33 prevede agevolazioni lavorative per i familiari che assistono persone con handicap e per gli stessi lavoratori con disabilità e che consistono in tre giorni di permesso mensile o, in alcuni casi, in due ore di permesso giornaliero.

[42] In considerazione della scarsa efficacia della normativa che li tutela, indubbiamente i segnalanti avrebbero bisogno di un santo al quale votarsi. San Barbato è certamente il candidato migliore: nacque a Castelvenere (BN) nell’anno 602. Fu formato al ministero sacerdotale in un convento di monaci basiliani. Fu parroco di Morcone, dove iniziò a denunciare e combattere le ingiustizie ed i soprusi dei potenti ed il malcostume pubblico e privato imperante ai suoi tempi.

[43] Delibere ANAC n. 1118/2020 e n. 119/2020.

[44] La vicenda è riassunta nella delibera ANAC n. 564/2019. Il nominativo del dipendente è omissato e lo abbiamo sostituito con un nome di fantasia.

[45] ANAC n. 564/2019.

[46] Ibidem.

[47] Ibidem.

[48] Gli eventi rilevanti sono tre: a) notifica dell’accertamento; b) trasferimento di Malgrado al nuovo ufficio; c) avvio del procedimento disciplinare. Per esempio, se l’accertamento fosse stato notificato prima del trasferimento di Malgrado, allora la mancata impugnazione potrebbe essere attribuita a ritardi derivanti dalla riorganizzazione e, forse, anche all’inerzia del precedente dirigente. O ancora, se l’avvio del procedimento disciplinare fosse di poco successiva al trasferimento d’ufficio, emergerebbe con maggiore evidenza l’intento di “far pagare” a Malgrado disfunzioni ed errori non imputabili alla sua gestione. L’ omissis delle date, ANAC rende impossibile la comprensione della reale dinamica dei fatti, anche se, come vedremo tra non molto, tutto questo è irrilevante ai fini della tutela del dipendente.

[49] Per segnalazione “interna” si intende la segnalazione effettuata attraverso canali messi a disposizione dall’organizzazione pubblica o privata che è obbligata, ai sensi dell’art. 8 della Direttiva, a istituire tali canali.

[50] Per segnalazione “esterna” si intende la segnalazione effettuata attraverso canali messi a disposizione da una Autorità (ad esempio l’Autorità anticorruzione italiana) delegata da uno Stato a ricevere la segnalazione.

[51] Per segnalazione fatta tramite “divulgazione pubblica” si intende la segnalazione effettuata attraverso canali pubblici, come media o altro.

[52] L’art. 15 stabilisce che una persona che effettua una divulgazione pubblica beneficia della protezione prevista dalla presente direttiva se ricorre una delle seguenti condizioni:

a) la persona segnalante ha prima segnalato internamente ed esternamente, o direttamente esternamente conformemente ai capi II e III, ma non è stata intrapresa un’azione appropriata in risposta alla segnalazione entro il termine di cui all’art. 9, paragrafo 1, lettera f), o all’art. 11, paragrafo 2, lettera d); oppure

la persona segnalante aveva fondati motivi di ritenere che:

i) la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse, come nel caso in cui sussista una situazione di emergenza o il rischio di danno irreversibile; oppure

ii) in caso di segnalazione esterna, sussista il rischio di ritorsioni o le prospettive che la violazione sia affrontata efficacemente siano scarse per via delle circostanze del caso di specie, come quelle in cui possano essere occultate o distrutte prove oppure in cui un’autorità possa essere collusa con l’autore della violazione o coinvolta nella violazione stessa.

[53] Ne abbiamo parlato approfonditamente nell’articolo “La parresia del whistleblower”, pubblicato per Azienditalia nel 2021.

[54] Art. 54-bis. Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (testo in vigore dal 28 novembre 2012 al 18 agosto 2014): “1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

2. Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.

3. L’adozione di misure discriminatorie è segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere.

4. La denuncia è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”.

[55] Il D.L. n. 90/2014 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 114/2014) ha inserito ANAC tra i destinatari della segnalazione, mentre la Legge n. 179/2017 ha riscritto completamente l’art. 54-bis, escludendo il superiore gerarchico dai destinatari della segnalazione, introducendo la segnalazione al RPCT e attribuendo ad ANAC il potere sanzionatorio in caso di ritorsioni, mancata adozione di adeguate procedure di segnalazione e mancato svolgimento di attività verifica o mancato approfondimento delle segnalazioni.

[56] Raffaele Cantone, “Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio della riforma del 2017”, in A. Della Bella, S. Zorzetto (a cura di), Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020: “La norma attuale ha implicitamente abrogato la previsione dell’art. 8 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (d.P.R. n. 62 del 2013) che obbliga i dipendenti a segnalare al superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’amministrazione di cui sia venuto a conoscenza; […]; anche il comma 8 dell’art. 13 del d.P.R. n. 62 del 2013, che prevedeva una serie di obblighi a carico del dirigente dell’ufficio presso cui opera il segnalante di gestione della segnalazione, deve ritenersi abrogato a seguito della modifica dell’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 che ha escluso dai destinatari della segnalazione il superiore gerarchico.

[57] ANAC, Delibera n. 469 del 9 giugno 2021, “Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing)”: “Al fine di rafforzare le misure a tutela della riservatezza di cui sopra, è opportuno che le amministrazioni introducano nei codici di comportamento, adottati ai sensi dell’art. 54, co. 5, del d.lgs. 165/2001, forme di responsabilità specifica in capo al RPCT che riceve e gestisce le segnalazioni, nonché in capo a tutti gli altri soggetti che nell’amministrazione possano conoscere la segnalazione, con i dati e le informazioni in essa contenuti. Ad esempio, qualora l’amministrazione o ente decida di costituire un gruppo di lavoro a supporto del RPCT (cfr. Parte II, § 1), deve prevedere forme di responsabilità anche nei confronti dei soggetti che fanno parte di tale gruppo. Discorso analogo vale per gli amministratori di sistema e per il personale specialistico esperto nella gestione e nella trattazione informatica dei dati personali.

La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all’attuazione del PTPCT, è fonte di responsabilità disciplinare.

D’altra parte, ai sensi dell’art. 1, comma 14, della Legge n. 190/2012, la violazione da parte di dipendenti dell’amministrazione delle misure di prevenzione della corruzione previste nel PTPCT, ivi compresa la tutela del dipendente che segnala condotte illecite ai sensi dell’art. 54-bis, è sanzionabile sotto il profilo disciplinare.

[58] Delibera ANAC n. 860/2019.

[59] Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del D.Lgs. n. 165/2001 (c.d. whistleblowing), PARTE SECONDA – La gestione delle segnalazioni nelle amministrazioni e negli enti.

[60] Questi tre obiettivi risalgono al PNA 2013, dove sono enunciati in un ordine leggermente diverso.

[61] Questa necessità è esplicitamente richiamata anche da ANAC nelle Linee guida e nella Delibera n. 840/2018 (richieste di parere all’ANAC sulla corretta interpretazione dei compiti del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza), in cui si legge che: “si può certamente affermare che, qualora il RPCT riscontri o riceva segnalazioni di irregolarità e/o illeciti, debba, innanzitutto, svolgere una delibazione sul fumus di quanto rappresentato e verificare se nel PTPC vi siano o meno misure volte a prevenire il tipo di fenomeno segnalato. […] Se nel PTPC esistono misure di prevenzione adeguate, il RPTC è opportuno richieda per iscritto ai responsabili dell’attuazione delle misure – come indicati nel PTCP – informazioni e notizie sull’attuazione delle misure stesse […] Qualora, invece, a seguito dell’esame del PTPC non risulti mappato il processo in cui si inserisce il fatto riscontrato o segnalato ovvero, pur mappato il processo, le misure manchino o non siano ritenute adeguate rispetto alla fattispecie rappresentata, il RPCT è opportuno proceda con la richiesta scritta di informazioni e notizie agli uffici responsabili su come siano state condotte le attività istituzionali su cui si innesta il fenomeno di presunta corruzione riscontrato o segnalato […]”.

[62] Dopo il tentativo di colpo di stato di Baiamonte Tiepolo, nel 1310, furono costruite a Venezia diverse Bocche di Leone (Boche de Leon) o Bocche per le denunce segrete (boche de le denuntie), simili alle nostre cassette postali. Le denunce potevano riguardare vari tipi di reati, tra i quali l’inadempienza alla sanità, la bestemmia o l’evasione fiscale. Erano distribuite almeno una in ogni sestiere, vicino alla Magistratura, a Palazzo Ducale o alle chiese, e servivano a raccogliere notizie o denunce contro coloro che si macchiavano dei crimini più vari.

[63] M. Kaptein, “Developing and Testing a Measure for the Ethical Culture of Organizations: The Corporate Ethical Virtues Model”, ERIM Report Series Reference No. ERS-2007-084-ORG.

[64] Cfr. P. Boccardelli, “Sono i leader gentili visionari e ottimisti che attirano i talenti”, 2022, Il Sole 24 Ore.

[65] Per chi vuole fare un bel salto nel glorioso passato di Spazioetico, consigliamo di riassaporare le prime slides su questo tema che risalgono al 2013: “GESTIONE DEI DILEMMI ETICI & WHISTLEBLOWING. Strumenti di contrasto e prevenzione della corruzione: i sistemi di segnalazione ed il whistleblowing. Pillole di integrità”.

[66] Cfr. Decreto PNRR 2, le misure per la Pubblica Amministrazione, aprile 2022.