La corruzione “spontanea”: il grande abbaglio del rischio nei processi
La Teoria della Generazione spontanea
Prendete un bel pezzo di carne (magari una succulenta costata) e lasciatelo per qualche giorno fuori dal frigorifero. Ve la sentite? Siamo sicuri di no, perché non avete nessuna intenzione di buttare via i soldi e sapete benissimo che la carne, così abbandonata al proprio destino, andrà in putrefazione e si riempirà di vermi. E addio bistecca!
Ma da dove vengono i vermi? Gli uomini se lo sono chiesti a lungo e per lungo tempo hanno creduto che a creare i vermi fosse una forza vitale, contenuta nella carne (oppure nell’aria), capace di generare la vita dal nulla. Questa credenza, nota come teoria della generazione spontanea, o teoria dell’autogenesi, ebbe un grande seguito tra gli scienziati dell’antichità: il grande Aristotele (IV secolo a.C.) ne fu un convinto sostenitore e Vitruvio (celeberrimo architetto romano del I secolo a.C), credeva che i venti provenienti da sud e da ovest potessero favorire la comparsa di larve degli insetti che si nutrono di carta, suggerendo quindi di costruire le biblioteche con gli ingressi rivolti a est.
La teoria della generazione spontanea fu confutata nel 1668 da Francesco Redi, con una serie di esperimenti [1] . Redi prese dei “fiaschi di bocca larga” (dei barattoli di vetro), vi inserì diversi tipi di carne e osservò che se i barattoli venivano chiusi (con un tappo o con della garza) le mosche non potevano posarsi sulla carne e i vermi non si formavano. Invece nei barattoli aperti, che consentivano alle mosche di andare sulla carne in putrefazione, si generavano dei vermi che, dopo circa un mese, diventavano mosche a loro volta.
Giocando con i suoi barattoli, Francesco Redi inventò la biologia sperimentale e dimostrò che i vermi della carne non sono altro che le larve di insetti, le mosche, che si poggiano sulla carne per deporre le proprie uova.
La corruzione dei processi organizzativi.
Oggi le conclusioni di Redi ci sembrano scontate e la teoria della generazione spontanea ci appare una credenza assurda. Tuttavia, in campi diversi dalla biologia, l’autogenesi di certi fenomeni è ancora data per assodata. L’altro giorno, per esempio, discutendo con il nostro amico Maurizio Lucca, abbiamo scoperto che, probabilmente, l’anticorruzione italiana si basa sulla falsa credenza che la corruzione si generi spontaneamente dai processi organizzativi.
Ecco il video che testimonia la sensazionale scoperta!
Una credenza inutile e fuorviante
Secondo la teoria dell’autogenesi corruttiva alcuni processi sarebbero più corruttibili di altri, cioè maggiormente predisposti a generare corruzione. Questa errata credenza ha spinto ANAC e gli RPCT a sobbarcarsi interminabili mappature dei processi e controverse valutazioni del rischio basate sulle caratteristiche dei processi: discrezionalità, rilevanza economica, opacità del processo decisionale, carenza di controlli, complessità della normativa, ecc … [2]. Mappature ed analisi che non spiegano nulla e che, nella maggior parte dei casi, conducono ad adottare misure di prevenzione che non servono a nulla.
Ma l’autogenesi corruttiva può anche essere fuorviante: se sono i processi a generare corruzione, allora abolire i processi più a rischio potrebbe sembrare una buona strategia di corruzione. E allora ecco che le pericolosissime autorizzazioni commerciali ed edilizie cedono il passo a più innocue SCIA. E i funesti controlli sulle imprese vengono sostituiti da miti autocertificazioni. E’ la tanto elogiata semplificazione, che negli ultimi tempi sembra essere sempre più di moda, come misura di prevenzione della corruzione.
Cosa direbbe Francesco Redi, se fosse vivo e studiasse i fenomeni di apparente “corruzione spontanea”? Probabilmente cercherebbe nei fenomeni una conferma delle teorie e si metterebbe a studiare dei casi concreti: la corruzione è più difficile da osservare, rispetto ai vermi della carne e i processi non si possono chiudere… dentro barattoli; ma è comunque possibile cercare di fare degli esperimenti!
Dopo mesi di duro lavoro l’illustre Redi, probabilmente, comincerebbe ad accorgersi che i percorsi di semplificazione disattivano i processi, ma non la corruzione! Per inviare una SCIA, per esempio, ci vuole un tecnico e i fenomeni corruttivi si innescano per orientare la scelta del professionista. I cittadini chiedono agli uffici dell’amministrazione il nominativo di un tecnico “di fiducia” (di fiducia per chi?). E i funzionari dell’ufficio possono segnalare:
- un professionista che, a loro parere, lavora bene;
- oppure lo studio professionale di un proprio congiunto o di un amico;
- oppure, ancora, possono segnalare un tecnico, perché c’è un accordo e avranno una percentuale per ogni nuovo cliente acquisito
Una corruzione pressoché incontrollabile, perché corre su relazioni opache, su interessi e aspettative legittime (quale ufficio o quale cittadino vorrebbe mai avere a che fare con un professionista incapace?) e su scambi informativi che non rientrano in alcun procedimento amministrativo.
Anche la corruzione ha le sue mosche.
Purtroppo il nostro Francesco Redi era un biologo, che studiò gli insetti, il veleno delle vipere e “gli animali viventi che si trovano negli animali viventi”, cioè i parassiti. Molto probabilmente, non avrebbe tutte le conoscenze necessarie per analizzare un fenomeno come la corruzione, che non aggredisce i corpi (vivi o morti che siano), ma i sistemi pubblici.
Potremmo aiutarlo e suggerirgli che la corruzione nasce nella dimensione relazionale, si sviluppa nella dimensione etica e si scarica nella dimensione organizzativa. Questo è il nostro Modello Evolutivo [3], che non nega la connessione tra corruzione e processi, ma suggerisce piuttosto che il motore della corruzione non è dentro i processi. La corruzione è spesso una scorciatoia che consente di promuovere interessi percepiti come rilevanti attraverso comportamenti (che manipolano i processi), oppure decisioni (prese in relazione ai processo) oppure ancora attraverso modalità di gestione delle informazioni (rilevanti per un processo), che sono percepiti come moralmente accettabili.
Gli interessi, le relazioni, le percezioni morali e i comportamenti degli Agenti pubblici (funzionari, dirigenti e politici) hanno certamente un ruolo nella genesi dei fenomeni corruttivi, ma da soli contano poco: devono allearsi con gli interessi dei destinatari.
Anche la corruzione ha le sue mosche e queste mosche sono i destinatari, che si interfacciano con il sistema pubblico non solo per rivendicare diritti, ma anche, e soprattutto, per soddisfare i propri interessi. I destinatari non agiscono per promuovere il bene comune e non sono imparziali. Al contrario, hanno generalmente una aspettativa di parzialità, cioè si aspettano che il sistema pubblico si adatti, in modo flessibile, ai loro bisogni.
Gli Agenti pubblici sono chiamati a mediare tra le aspettative dei destinatari e le aspettative dei soggetti che, invece, non sono ancora destinatari, ma che potrebbero esserlo in futuro. Questi destinatari futuri hanno una aspettativa di imparzialità nei confronti del sistema pubblico e rappresentano la collettività che delega al sistema pubblico la promozione di interessi diffusi.
La corruzione emerge quando questa mediazione viene meno e gli interessi dei destinatari prendono il sopravvento, entrando in convergenza con gli interessi secondari degli stessi Agenti.
Destinatario attuale contro destinatario futuro.
Individuo contro collettività.
Parzialità contro imparzialità.
Un conflitto di interessi radicale e ineliminabile attraversa le organizzazioni del settore pubblico, che sono chiamate ad erogare servizi a favore dei singoli individui e, contemporaneamente, a promuovere interessi sovra-individuali. Un conflitto di interessi che accompagna, in sottofondo, tutto l’agire pubblico, proprio come il basso continuo della musica barocca.
Note
[1] Francesco Redi, Esperienze intorno alla generazione degli insetti, Firenze, 1668, https://it.wikisource.org/wiki/Esperienze_intorno_alla_generazione_degl%27insetti
[2] Gli indicatori proposti da ANAC per la stima del livello di rischio si sono modificati nel tempo. Nel 2013 l’Allegato 5 del PNA proponeva una valutazione di tipo quantitativo, che è stata superata dalla metodologia qualitativa proposta nell’Allegato 1 del PNA 2019. Tuttavia, entrambe le metodologie ricorrono a “fattori abilitanti” e a “criteri di valutazione” che fanno riferimento alle caratteristiche dei processi.
[3] Per un approfondimento sul Modello Evolutivo, si rimanda al post “Mettere insieme i pezzi: Il Modello Evolutivo”, pubblicato su questo blog, e all’e-book “L’etica delle relazioni dell’Agente pubblico”, pubblicato da IPSOA nel 2020.