La “meccanica” del settore pubblico: i Principi dei Codici di comportamento

Per alcuni mesi abbiamo smesso di scrivere su questo sito. E ci scusiamo di questa mancanza con i nostri affezionati lettori. Ma sono stati mesi intensi, quelli che hanno chiuso il 2021 e aperto un primo spiraglio sul 2022: Spazioetico, oltre ad erogare numerosi interventi di formazione in presenza e online, ha anche collaborato con ANCI Lombardia alla realizzazione del progetto “POR Legalità”, che ha previsto la realizzazione di interventi formativi e laboratoriali finalizzati all’aumento delle competenze dei dipendenti pubblici. In particolare ci siamo occupati di conflitto di interessi (il nostro “cavallo di battaglia”), di rischi corruttivi in ambito edilizio e di codici di comportamento.
E proprio da qui vorremmo ricominciare: dai principi, dai doveri, ma anche dai divieti codificati nel DPR n. 62/2013, il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
Non è un argomento nuovo, ma è un argomento che non abbiamo mai approfondito in modo sistematico. La corruzione nasce nella dimensione relazionale e si scarica nella dimensione organizzativa, dopo avere attraversato la dimensione etica (figura 1).

Per noi è stato abbastanza ovvio seguire questo Modello Evolutivo di analisi dei fenomeni corruttivi, cioè partire dalla dimensione relazionale e studiare il conflitto di interessi, l’uso delle relazioni e l’interferenza tra sfera personale e sfera personale pubblica. E abbiamo anche esplorato tutte le fragilità della dimensione etica, la malleabilità delle nostre percezioni morali e i fenomeni di neutralizzazione che spesso fanno “franare” i valori sotto il peso e l’intensità degli interessi.
Prima o poi, lo sapevamo avremmo dovuto affrontare anche la dimensione organizzativa. E abbiamo deciso di iniziare ad esplorarla partendo proprio dai Codici di comportamento, che sono documenti adottati (dallo Stato e dalle pubbliche amministrazioni) per arginare gli azzardi morali attraverso la definizione di principi e standard comportamentali. Il motivo di questo interesse è presto detto: mentre altre misure di prevenzione (per esempio i controlli e le procedure dei PTPCT o dei PIAO) gestiscono gli azzardi morali, i Codici di comportamento gestiscono soprattutto i conflitti di interessi, un fenomeno che abbiamo studiato approfonditamente negli ultimi 5 anni e al quale abbiamo dedicato un libro, articoli e numerosi corsi di formazione.
Partire dai Codici di comportamento ci è sembrata, insomma, la scelta più sicura, anche per valorizzare il bagaglio di teorie, strumenti e casi-studio sviluppati per il conflitto di interessi.
Ma contrariamente alle nostre aspettative, appena abbiamo messo piede nel mondo dei codici di comportamento, ci siamo accorti che il terreno era più scivoloso di quanto pensassimo…
Doveri che vengono dal nulla
Come Dante e Virgilio sulle spalle del mostro Gerione, che nuotava nel vuoto per condurli nelle Malebolge dell’ottavo cerchio dell’Inferno, anche noi ci siamo sentiti un po’ a disagio: come formatori (in aula e a distanza) abbiamo sempre sottolineato la necessità di sviluppare, nei dipendenti pubblici, la consapevolezza dei fenomeni e la responsabilità individuale nel gestire le relazioni, nel percepire correttamente l’intensità degli interessi primari e nella conduzione dei processi a rischio. Il mondo dei codici di comportamento, invece, sembrava fatto esclusivamente di doveri e di sanzioni, che cascavano come tegole pesanti sulla testa di inconsapevoli destinatari.
ANAC, per esempio, nelle sue Linee Guida in materia di Codici di comportamento delle amministrazioni pubbliche (Delibera n. 177 del 19 febbraio 2020) ha chiarito che i Codici di comportamento “fissano doveri di comportamento che hanno una rilevanza giuridica che prescinde dalla personale adesione, di tipo morale, del funzionario ovvero dalla sua personale convinzione sulla bontà del dovere. Essi vanno rispettati in quanto posti dall’ordinamento giuridico e […] ad essi si applica il regime degli effetti e delle responsabilità conseguenti alla violazione delle regole comportamentali previsto dall’art. 54, co. 3, del d.lgs. 165/2001”.
Questa affermazione è senza dubbio fondata: lo Stato, infatti, non deve moralizzare i cittadini e i dipendenti pubblici, ma deve piuttosto definire diritti e doveri nell’interesse delle collettività. E i codici di comportamento hanno proprio l’obiettivo di regolare l’esercizio del potere pubblico, le interferenze tra interessi e le relazioni tra agenti pubblici e destinatari. D’ora in poi ci riferiremo a questo tentativo di regolazione usando l’espressione Etica pubblica, che non deve essere confusa con la morale pubblica o con le intuizioni morali dei singoli individui, guidate dai valori individuali o di gruppo.
La domanda che ci siamo posti è abbastanza banale, ma dalla difficile risposta: se i doveri dei Codici di comportamento non trovano il loro fondamento nel mondo dei valori e della morale (pubblica o privata), da dove vengono?
Non potevamo accettare l’idea che i Codici di comportamento fossero il frutto dell’arbitrio di un’autorità sovraordinata. E quindi abbiamo azzardato una risposta, che potrebbe non essere corretta, ma che ci sembra molto sensata: l’Etica pubblica trova il suo fondamento in una serie di Principi (quali tutti elencati nell’art. 3 del Codice di Comportamento Nazionale) che non hanno nulla di morale, ma che descrivono i requisiti di funzionamento di uno stato di diritto. Se si accettano e si comprendono questi Principi, allora bisogna accettare le regole che da essi derivano.
Partendo da questa idea, abbiamo intrapreso un lavoro compilativo abbastanza annoiante, ma che forse potrebbe tornare utile alle amministrazioni: spiegare il significato dei Principi dell’Etica pubblica, uno ad uno, senza dare per scontato nulla. Perché non è semplice, né scontato, capire quali requisiti di funzionamento di un sistema o di una organizzazione sono essenziali, per qualificare come pubblica la natura di quel sistema, o di quella organizzazione.
I principi di funzionamento del sistema pubblico

Elementi di base.
Il primo gruppo di principi definisce i requisiti fondamentali di funzionamento di un sistema pubblico:
- Buon Andamento. La pubblica amministrazione deve erogare dei servizi di qualità e promuovere l’interesse pubblico nella maniera più immediata, conveniente e adeguata possibile.
- Imparzialità. La pubblica amministrazione deve essere equidistante da tutti gli interessi in gioco e deve essere percepita come tale.
- Uguaglianza. La pubblica amministrazione deve garantire parità di trattamento a parità di condizioni. Eventuali trattamenti differenziati sono ammessi nella misura in cui rimuovono situazioni penalizzanti o di discriminazione.
- Universalità. La pubblica amministrazione deve garantire a tutti il legittimo esercizio dei diritti, senza escludere nessuno.
Meccanismi di limitazione del potere pubblico
Il secondo gruppo di principi è costituito da cinque meccanismi che limitano e delimitano il potere pubblico, affinché la discrezionalità di tale potere non diventi arbitrio:
- Legalità. La pubblica amministrazione deve essere soggetta alla legge: trova nella legge la fonte del suo potere, i fini della sua azione e il suo limite.
- Integrità. La pubblica amministrazione deve agire nell’interesse delle collettività, promuovendo gli interessi primari e senza lasciarsi influenzare dagli interessi secondari.
- Equità. La pubblica amministrazione deve farsi carico della specificità dei singoli Destinatari. Deve agire e decidere tenendo in considerazione non solo le norme, ma anche il comune sentimento di giustizia.
- Correttezza e buona fede. La pubblica amministrazione non deve causare consapevolmente danni ingiusti ai Destinatari o alle collettività.
- Obiettività. La pubblica amministrazione deve agire e decidere in base a dati oggettivi, senza pregiudizi e personalismi.
Criteri di misurazione della performance.
Il terzo gruppo di principi introduce dei criteri per misurare l’adeguatezza del sistema pubblico, cioè la sua capacità di raggiungere gli obiettivi per cui è stato istituito.
- Economicità. La pubblica amministrazione non deve sprecare le risorse (umane, strumentali e finanziarie) pubbliche.
- Efficienza. La pubblica amministrazione deve usare nel migliore dei modi le risorse (umane, strumentali e finanziarie) pubbliche
- Efficacia. La pubblica amministrazione deve conseguire gli obiettivi per cui è stata istituita, cioè deve promuovere gli interessi primari.
- Proporzionalità. La pubblica amministrazione deve agire in modo da non eccedere i propri fini, che sono rappresentati dalla promozione degli interessi primari. Di conseguenza, è necessario un bilanciamento degli interessi in gioco, garantendo che la promozione degli interessi primari non danneggi in modo ingiustificato altri interessi.
Requisiti di Accountability.
Il quarto gruppo di principi introduce dei requisiti che rendono possibile l’accountability, cioè il processo attraverso cui la pubblica amministrazione rendiconta il proprio operato:
- Indipendenza. La pubblica amministrazione deve essere libera di agire, senza subire il condizionamento di gruppi o interessi particolari.
- Trasparenza. I dati e i documenti e le informazioni in possesso della pubblica amministrazione devono essere accessibili, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione e forme diffuse di controllo sulle attività delle istituzioni e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
L’Etica pubblica non è una bussola
I principi dell’etica pubblica sono tanti e possono entrare in conflitto tra loro: l’universalità, per esempio, mal si concilia con l’economicità e, come noto, imparzialità e buon andamento si fanno la guerra da sempre.
L’etica pubblica non è una bussola che indica sempre la direzione giusta da seguire. È piuttosto una bilancia che deve essere tenuta in equilibrio con un preciso gioco di pesi. E la grande sfida, per chi scrive le regole dell’agire pubblico, è suggerire gli standard di comportamento più adeguati per consentire a principi tanto diversi di coesistere pacificamente.