2 – PEZZI DI UNO SPECCHIO ROTTO: le cause della corruzione

In questa serie di articoli presenteremo il nostro Modello Evolutivo, che descrive la genesi e lo sviluppo dei fenomeni corruttivi. Secondo questo modello, la corruzione è un evento che si origina nella dimensione relazionale, attraversa la dimensione etica e, se non trova ostacoli nel suo processo di sviluppo, si scarica nella dimensione relazionale sotto forma di azzardo morale, che manipola i processi, genera anomalie e (con una sorta di “retro-azione”) ritorna nella dimensione relazionale, ponendo le basi per la genesi di ulteriori e futuri eventi corruttivi (che possono anche assumere carattere sistemico). Il Modello Evolutivo è applicabile in tutti i sistemi di prevenzione che considerano la corruzione come fenomeno di caduta dell’imparzialità e consente di descrivere in modo lineare i diversi “precursori” dei fenomeni corruttivi.

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1.La Teoria della Mela Marcia

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In Italia è abbastanza diffusa l’opinione che alcune persone siano più inclini alle condotte corruttive di altre. E’ la famosa teoria della mela marcia: i corrotti sono mele marce che finiscono dentro il cesto di frutta delle organizzazioni e si mimetizzano tra le mele sane, cioè i dipendenti onesti. Ma questo modo di intendere la corruzione non è specifico del solo contesto italiano: nel 2007  Gjalt de Graaf, professore di Scienze Sociali all’Università di Amsterdam, ha scritto un bellissimo articolo sulle cause della corruzione[1] e ha incluso le Bad Apple Theories tra i sei principali modelli teorici di riferimento per lo studio dell’origine dei fenomeni corruttivi in Occidente.

La Teoria della Mela Marcia fornisce una rappresentazione abbastanza rassicurante della corruzione: si tratta di un fenomeno puntuale, “di una patologia temporanea generata da poche mele marce all’interno di una organizzazione pubblica che, per il resto, è sana”[2]. Questo modo di vedere le cose è anche assolutorio per le organizzazioni pubbliche: i processi di selezione del personale non saranno mai in grado di identificare le mele marce, perché i candidati inclini alla corruzione non avranno alcun interesse a rivelare la loro vera natura e poi perché, in fin dei conti, i processi di selezione valutano le competenze e non possono indagare l’animo umano!

Ma esiste anche l’altra faccia della medaglia, il lato meno rassicurante della Teoria della Mela Marcia: questa teoria ci dice che la corruzione non si può prevenire. Nasceranno sempre, più o meno casualmente, persone con qualche particolare “difetto di fabbricazione”, che le rende pre-destinate alla corruzione, e queste persone, altrettanto casualmente, potranno finire dentro le organizzazioni, dove resteranno, magari per anni, aspettando l’occasione che le corromperà.

La Teoria della Mela Marcia riduce la prevenzione ad una attività di controllo sull’operato degli agenti pubblici: regole, procedure, vincoli e controlli sono imposti a tutte le mele del cesto organizzativo, nella speranza di impedire alla mela marcia di agire e promuovere interessi particolari.  Una prospettiva assai poco rassicurante. Fortunatamente, esistono anche altri modelli di analisi dei fenomeni corruttivi, che Gjalt de Graaf identifica nel suo articolo e che vale la pena di analizzare. 

2. Pubblici calcolatori

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Per la Teoria della scelta pubblica (public choice theory) la corruzione è un fenomeno individuale, che deriva da una scelta razionale. I funzionari pubblici diventano corrotti perché dopo un calcolo dei costi e dei benefici, percepiscono che i potenziali benefici (profitto illecito) dell’essere corrotti superano i potenziali costi (possibilità di essere scoperti e puniti).

Se la corruzione deriva da una scelta razionale, allora è possibile identificare i fattori che rendono vantaggiosa o svantaggiosa la corruzione. Robert Klitgaard lo ha fatto con una equazione molto nota[3], che ha influenzato le strategie di prevenzione di mezzo mondo:

  • C = M + D – A: “la corruzione (C) aumenta se si incrementano i monopoli (M) e la discrezionalità (D), mentre diminuisce quando gli agenti pubblici sanno che dovranno rendere conto (–A = Accountability) del loro operato”

L’assunzione è semplice e lineare. Se aumenta la trasparenza, se si rompono i monopoli e si riduce la discrezionalità, i rischi aumentano e la corruzione diventa svantaggiosa: nessuno sceglierà più di diventare corrotto. Il tallone d’Achille di questo approccio è che non sappiamo esattamente quali sono i fattori che entrano nel calcolo dei costi e dei benefici: il valore economico delle utilità conseguite o il loro valore simbolico? Le perdite economiche derivanti da una sanzione o i costi morali della corruzione?[4] Inoltre, questo approccio non spiega perché alcune persone non diventano corrotte, pur vivendo in contesti in cui la corruzione conviene. Infine, l’assunzione che la corruzione sia una scelta razionale potrebbe non essere corretta: molto spesso i dipendenti pubblici chiedono tangenti e utilità non parametrate con i guadagni che il soggetto privato ricava dall’accordo corruttivo. Cioè si vendono per niente. Le cronache sui giornali e sul web ci raccontano del finanziere che blocca le verifiche fiscali in una concessionaria, chiedendo in cambio di usare gratuitamente auto di grossa cilindrata. O di politici che dirottano i finanziamenti pubblici verso determinate aziende, chiedendo in cambio cene e incontri di natura sessuale. Dal Trentino alla Puglia, dalla Val d’Aosta alla Sicilia leggiamo di funzionari che finiscono in galera per avere chiesto ad una impresa edile di ristrutturare gratis il bagno o di tinteggiare la casa, in cambio di appalti milionari per la ristrutturazione di interi padiglioni ospedalieri, o per far lievitare i costi degli appalti…

3. Contesti disfunzionali

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Per le teorie del contesto organizzativo la corruzione dipende invece da un malfunzionamento della cultura organizzativa. Gjalt de Graaf descrive la cultura di un’organizzazione come un insieme di “modi collettivi di pensare, sentire e fare” che “determinano, in gran parte, le decisioni e il comportamento delle persone”. Se gruppi di persone, all’interno dell’organizzazione, sviluppano una “cultura corrotta”, questa cultura influenzerà i comportamenti individuali.

Le dinamiche di gruppo associate ai fenomeni corruttivi sono state descritte usando metafore assai vivide: la corruzione è stata paragonata ad una malattia contagiosa[5] (chi entra in contatto con una cultura organizzativa corrotta, corre il rischio di diventare corrotto) o come un pendio scivoloso in cui si cade, perché non diventare corrotti in certe culture organizzative significa tradire il gruppo[6].

Queste analisi colgono in pieno una caratteristica fondamentale dei fenomeni corruttivi: la loro connessione con bisogni di tipo identitario di appartenenza e affiliazione. E privilegiano strategie di prevenzione che si focalizzano sul processo di definizione e trasmissione della cultura organizzativa e soprattutto sulla qualità della leadership.

Tuttavia, anche questo modello non risponde alla domanda fondamentale: perché non  tutte le persone esposte ad una cultura organizzativa corrotta diventano, a loro volta, corrotte? Secondo Gjalt de Graaf tra la cultura di un’organizzazione e i fenomeni corruttivi non esiste una relazione di causa-effetto: la cultura di un’organizzazione non determina la corruzione dei suoi componenti, ma agisce come un fattore che entra in gioco e che può promuovere o contrastare l’emersione della corruzione.

4. Collisioni valoriali

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Le Teorie della collisione valoriale (Clashing moral values theories) fanno derivare la corruzione da una collisione (clash) tra sistemi valoriali[7]. Christian Höffling descrive questo scontro nei termini di un conflitto tra micro moralità e macro moralità. La micro moralità è l’insieme dei valori, degli obblighi e delle norme morali che regolano le relazioni della nostra vita quotidiana personale e sociale. La macro moralità, invece, è universale, cioè non ancorata specifiche relazioni della sfera privata. I due sistemi valoriali sono percepiti con un diverso livello di intensità: gli obblighi della micro-moralità sono molto forti, mentre l’elevato livello di astrazione della macro-moralità limita le possibilità di interiorizzare le sue norme.

Quando questi due sistemi di valori entrano in conflitto, è necessario compiere delle scelte: la macro-moralità, per esempio, obbliga i funzionari pubblici a trattare allo stesso modo tutti i destinatari (principio di imparzialità), mentre la micro-moralità richiede loro di favorire gli amici, ove possibile. Si genera un dilemma etico che, se non adeguatamente gestito, può condurre verso la corruzione. 

Le teorie del conflitto valoriale ci obbligano ad abbandonare l’idea che la corruzione sia un fenomeno puntuale ed estemporaneo: si tratta piuttosto, di un fenomeno radicato, comune e permanente in tutti i sistemi sociali, le organizzazioni, i gruppi di età e di genere[8]. E promuovono un approccio alla prevenzione della corruzione basato sulla definizione e applicazione di codici di condotta e sulla formazione etica del personale, piuttosto che sull’introduzione di controlli e sanzioni. Un rappresentante di questa corrente di pensiero è Muel Kaptein[9].

Le teorie del conflitto valoriale hanno tuttavia un limite: riducono il conflitto tra sfera professionale pubblica e sfera privata ad uno scontro di valori, dimenticando che le relazioni hanno anche meccanismi di funzionamento che sfuggono alla dimensione etica. Le relazioni si reggono su aspettative, promuovono interessi, possono essere codificate contrattualmente e soddisfare dei bisogni. Le interazioni, quindi, non coinvolgono solo i sistemi valoriali, ma chiamano in causa i conflitti di interessi, la competizione tra i bisogni e possono generare dilemmi spuri, in cui si verifica una collisione tra interessi (“ciò che conviene”) e valori (ciò che è giusto).   

5. L’ethos Pubblico

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Nelle teorie del conflitto valoriale la collisione tra valori della sfera pubblica e valori della sfera privata e sociale avviene a livello del singolo agente pubblico. Nelle Teorie dell’ethos pubblico (Ethos of public administration theories), invece, questa collisione è mediata dall’ethos organizzativo[10]: la società e la politica esercitano una pressione sul sistema pubblico e questa pressione influenza la cultura delle organizzazioni in cui operano i dipendenti pubblici. Tutto ciò, insieme ad una scarsa attenzione alle tematiche dell’integrità, può spingere i funzionari pubblici ad innescare dinamiche corruttive per raggiungere i propri obiettivi. 

Queste teorie sono molto critiche nei confronti dei processi di semplificazione e “aziendalizzazione” delle pubbliche amministrazione, che rischiano di enfatizzare eccessivamente le aspettative di efficienza della politica e degli stakeholder, a discapito dell’imparzialità. Alcuni autori[11], per esempio, hanno notato che gli interventi di deregulation e privatizzazione hanno fatto emergere una serie di agenzie di regolamentazione quasi governative, enti parastatali e organizzazioni del terzo settore, che sono diventate agenti privati delle politiche pubbliche. Questo processo di ibridazione tra pubblico e privato, avviato negli anni ‘80 del Novecento e ancora in corso, ha creato canali favorevoli al traffico di influenze ed ha depotenziato il controllo pubblico[12]

Le Teorie dell’ethos pubblico sono indubbiamente efficaci nel cogliere il carattere sistemico della corruzione e le specificità che questo fenomeno ha assunto negli ultimi quarant’anni anche in Italia. Tuttavia, se adottate come modello per descrivere la corruzione in generale, hanno un grosso limite, che le rende, per certi versi, assimilabili alle teorie della mela marcia: descrivono la corruzione come un fenomeno che viene da fuori (anche se mediato dalla cultura organizzativa), dipendente dalle pressioni esercitate dagli interessi della sfera privata e della politica su un Sistema Pubblico che, se non fosse inquinato dall’esterno, funzionerebbe correttamente. Ancora una volta, non viene data una risposta a quella che, ormai, sta diventando la domanda fondamentale di questo articolo: “perché alcune persone dentro al Sistema Pubblico diventano corrotte ed altre no?”

6. Correlazioni

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Le Teorie della correlazione (correlation theories) non forniscono un vero e proprio modello teorico dei fenomeni corruttivi. Sono, piuttosto, una categoria eterogenea di ricerche sul campo, che cercano di identificare i fattori sociali, politici, organizzativi e individuali che sono correlati al livello di corruzione di un Sistema Pubblico.

Alcune di queste ricerche si basano su dati di tipo quantitativo[13], altre cercano di misurare la percezione del fenomeno corruttivo e coinvolgono gruppi di esperti, che devono identificare i fattori sociali, economici, politici, organizzativi e individuali che, a loro avviso, sono importanti per la spiegazione dei casi di corruzione che si verificano nel loro paese. Gli indici di Transparency International[14] sono un noto esempio di analisi di tipo percettivo, così come le ricerche condotte da Leo Huberts nella seconda metà degli anni Novanta[15] e che hanno mostrato come (indipendentemente dal reddito di una nazione) la corruzione è associata ai valori dei politici e dei funzionari pubblici, alla mancanza di impegno per l’integrità pubblica da parte della leadership, ai problemi di tipo organizzativo, al rapporto tra il Settore Pubblico e le imprese e alla diffusione del crimine organizzato.

7. Il Filo di Arianna

A prima vista può sembrare che la percezione della corruzione chiami in causa fattori troppo diversi tra loro. Ma forse questi fattori non sono così distanti: è solo difficile trovare il modo di farli stare insieme coerentemente. E le diverse teorie della corruzione sono come i pezzi di uno specchio rotto, che riflettono in modo frammentario il fenomeno.

Nella genesi dei fenomeni corruttivi è coinvolto un qualche tipo di calcolo dei costi e dei benefici. Tuttavia, anche se in molti contesti la corruzione “conviene” e determina l’appartenenza a organizzazioni o gruppi di potere, non tutte le persone in quei contesti diventano corrotte. Anzi, i corrotti sono una minoranza, tanto da sembrare delle mele marce finite casualmente in organizzazioni che sembrano sane.

La corruzione crea consenso e determina appartenenza: è una distorsione del potere pubblico associata a bisogni di tipo identitario.

Nella genesi dei fenomeni corruttivi entrano in gioco conflitti tra interessi e sistemi valoriali, che possono essere influenzati dalla cultura dell’organizzazione.  Ma anche le politiche di riforma e privatizzazione che rendono incerti i confini tra pubblico e privato, ed enfatizzano l’efficienza a discapito dell’imparzialità, possono favorire la corruzione.

Infine, gli studi sul campo confermano che la corruzione viene percepita come un fenomeno che si distribuisce su tre dimensioni: relazionale, etica e organizzativa.

E’ venuto il momento di mettere insieme questi pezzi e trovare un Filo di Arianna che ci aiuti a non perderci nel labirinto della corruzione.

8. Il contesto della corruzione.

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Dopo aver passato in rassegna i diversi modelli di analisi della corruzione, nella parte conclusiva del suo articolo Gjalt de Graaf sottolinea la necessità di contestualizzare le ricerche e studiare le dinamiche dei singoli casi di corruzione: in che modo i funzionari corrotti giustificano il proprio comportamento? Come entrano in contatto con i soggetti privati da cui ricevono utilità? Da quali relazioni emerge la dinamica corruttiva? Come vengono giudicati dai colleghi?

Analisi di questo tipo, secondo l’autore, potrebbero essere svolte attraverso focus group e casi studio, perché “i casi studio hanno il vantaggio di essere più ricchi di dettagli dei casi reali”.

Anche noi, che ci occupiamo di formazione, usiamo spesso i casi studio per promuovere il confronto tra i partecipanti ai nostri corsi su diversi argomenti: gestione del conflitto di interessi, applicazione dei codici di comportamento, valutazione e trattamento del rischio di corruzione, ecc…

L’uso dei casi ci ha aiutato a comprendere in che modo il conflitto di interessi, l’azzardo morale e il fallimento etico[16] sono percepiti da chi lavora all’interno della pubblica amministrazione italiana, in particolare negli enti locali e negli enti del sistema sanitario pubblico. I confini tra questi fenomeni sembrano essere abbastanza incerti, perché la corruzione è percepita dai dipendenti pubblici come un pot-pourri di criticità relazionali, etiche ed organizzative.

Per mettere ordine nelle percezioni, spesso confuse, dei partecipanti (e non solo), abbiamo sviluppato un nostro modello di analisi della corruzione: il Modello Evolutivo. Un modello che, elaborato a fini didattici, si è invece rivelato utile anche per definire strategie di gestione del rischio corruttivo.

Abbiamo fatto riferimento a questo modello in diverse occasioni (post, articoli, corsi di formazione) e anche nel nostro libro “L’etica delle relazioni dell’Agente pubblico”.

Ve lo presenteremo, nei suoi dettagli, in un prossimo articolo.


[1] Gjalt de Graaf, Causes of Corruption: Towards a Contextual Theory of Corruption. Public Administration Quarterly, vol 31, 2007

[2] David Jancsics, Corruption as Resource Transfer: An Interdisciplinary Synthesis, Public Administration Review,vol. 79-4, 2019

[3] Klitgaard, R. Controlling Corruption, 1988.

[4] Alberto Vannucci, per esempio, ha riscritto la formula di Klitgaard, per spiegare la corruzione sistemica:

  • Ct = f(R; D; I; –A; –CM; Ct-1, Ct-2,…) = “La corruzione al tempo t dipende dalle rendite (R) create e allocate dallo Stato grazie a poteri “monopolistici” attribuiti ad agenti pubblici, dalla discrezionalità (D) delle decisioni, dalla presenza di informazioni riservate (I), dall’effetto deterrente dei controlli (– A) penali, disciplinari, contabili, sociali, ecc…, dai costi morali (–CM) della corruzione e dall’eredità lasciata dalla corruzione passata (Ct-1, Ct-2, …)”.

Questa formula è molto interessante, perché include la dimensione etica. Inoltre, consente di cogliere alcune caratteristiche della corruzione sistemica: in un sistema corrotto la corruzione genera corruzione e i componenti delle reti di corruzione si scambiano rendite e informazioni.

[5] Klitgaard, R., Subverting Corruption, Finance & Development, Giugno 2000: “La corruzione è come una malattia pandemica. È un problema in ogni Paese ed è particolarmente dannosa soprattutto in alcuni Paesi. Le sue conseguenze sociali si fanno sentire anche a livello economico. Infine, questa malattia contagiosa è difficile da combattere […]”

[6] Jackall, R., Moral Mazes: The World of Corporate Managers, New York: Oxford University Press, 1988 – Punch, M. Police Corruption and Its Prevention, European Journal on Criminal Policy and Research 2000, vol. 8

[7] L’antagonismo tra sistemi di valori è centrale nella riflessione di Max Weber (Economy and Society: An Outline of Interpretive Sociology, University of California Press, 1921), Jürgen Habermas (The Theory of Communicative Action, Heinemann Polity Press, 1984.) e Christian Höffling (Korruption als Soziale Beziehung, Leske+Budrich, 2002.)

[8] Alatas, S., Corruption: Its Nature, Causes and Functions, Aldershot, 1990 –

[9] Kaptein, M. Ethics Management, Kluwer Academic Publishers, 1998 – Kaptein, M.; Wempe J. The Balanced Company: A Theory of Corporate Integrity, Oxford University Press, 2002.

[10] Il termine inglese ethos identifica l’insieme delle credenze e dei valori fondamentali di riferimento per un gruppo di persone: i valori condivisi e veicolati da una organizzazione, le credenze e le percezioni morali di una società, le percezioni etiche alla base della deontologia di una comunità professionale, ecc …

[11] Doig, A., Wilson J. What Price New Public Management?, Political Quarterly 1997, 69 – 

[12] Heywood, P., Political Corruption: Problems and Perspectives. Political Studies, 1997, XLV,

[13] Thomas Holbrook e Kenneth Meier, per esempio, analizzando i casi di corruzione registrati dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti nel 1988 hanno correlato il livello di corruzione a diversi fattori: urbanizzazione, istruzione, l’affluenza alle urne, la competizione tra i partiti politici, le dimensioni del settore pubblico e gli arresti per gioco d’azzardo.

[14] CPI – Corruption Perceptions Index (Classifica di oltre 180 Paesi al mondo in base al livello di corruzione percepita) e GCB – Global Corruption Barometer (Sondaggio ai cittadini sulla percezione della corruzione). Questi indici sono e ricerche ad essi correlate, sono pubblicati anche sul sito di Transparency International italia (https://www.transparency.it/cosa-facciamo/ricerca-e-analisi)

[15] Huberts, L. Western Europe and Public Corruption. European Journal on Criminal Policy and Research 1995, 3 –  Huberts, L., Expert Views on Public Corruption Around the Globe. Research Report on the Views of an International Expert Panel, 1996 – Huberts, L., What Can Be Done Against Public Corruption and Fraud: Expert Views on Strategies to Protect Public Integrity, Crime, Law & Social Change 1998, 29.

[16] Si tratta di tre fenomeni diversi. Il conflitto di interessi è una situazione in cui la promozione di un interesse rappresenta una minaccia per un altro interesse. L’azzardo morale è un comportamento opportunistico che un Agente pubblico pone in essere ai danni del proprio principale. Il fallimento etico è l’effetto di una decisione o di un comportamento che violando, intenzionalmente o meno, una norma, trasgredendo ad un obbligo di condotta o disattendendo le aspettative di un sistema di valori, individuali o organizzativi, determina la caduta in concreto di uno o più interessi primari. Tuttavia, come vedremo, i tre fenomeni sono tra loro connessi: il conflitto di interessi è un precursore di un azzardo morale, mentre il fallimento etico è la conseguenza di un azzardo morale.