1 – SCAMBIO O CADUTA? Definire la corruzione

In questa serie di articoli presenteremo il nostro Modello Evolutivo, che descrive la genesi e lo sviluppo dei fenomeni corruttivi. Secondo questo modello, la corruzione è un evento che si origina nella dimensione relazionale, attraversa la dimensione etica e, se non trova ostacoli nel suo processo di sviluppo, si scarica nella dimensione relazionale sotto forma di azzardo morale, che manipola i processi, genera anomalie e (con una sorta di “retro-azione”) ritorna nella dimensione relazionale, ponendo le basi per la genesi di ulteriori e futuri eventi corruttivi (che possono anche assumere carattere sistemico). Il Modello Evolutivo è applicabile in tutti i sistemi di prevenzione che considerano la corruzione come fenomeno di caduta dell’imparzialità e consente di descrivere in modo lineare i diversi “precursori” dei fenomeni corruttivi.

L’incertezza della prevenzione

La necessità di definire la corruzione emerge nel momento stesso in cui si decide che identificare e sanzionare i corrotti non basta, ma è necessario definire norme e sistemi organizzativi finalizzati a prevenire i fenomeni corruttivi.

Per reprimere la corruzione, infatti, è sufficiente ricondurre determinate condotte a fattispecie di reato e disporre di un sistema giudiziario che sia in grado di indagare e sanzionare i comportamenti illeciti. Non si tratta, ovviamente, di una impresa semplice. Tuttavia, costruire un sistema repressivo è meno problematico che definire un sistema preventivo e infatti storicamente le strategie repressive hanno preceduto di molti secoli lo sviluppo delle strategie preventive.

Il problema è essenzialmente di carattere logico-temporale: proprio perché la repressione della corruzione è delegata al Potere Giudiziario, un determinato comportamento, messo in atto da un pubblico ufficiale, o da un soggetto privato, diventa chiaramente qualificabile come illecito solo a seguito della pronuncia di una sentenza definitiva da parte dell’autorità giudiziaria. Prima di una sentenza definitiva, vale una presunzione di innocenza. Tuttavia, le condotte illecite, prima di essere sanzionate da un Giudice, emergono all’interno delle organizzazioni pubbliche e private. E le organizzazioni, con i loro sistemi di prevenzione, dovrebbero cercare di ridurre questo fenomeno di emersione.

Ma quando emergono, tali condotte non sono qualificabili come illecite, sono altro:

sono qualcosa che potrebbe diventare corruzione, ma per saperlo, dobbiamo aspettare che ce lo confermi un giudice. 

Ovviamente, un sistema di prevenzione, che deve gestire il rischio di emersione di un reato, deve essere tempestivo e non può attivarsi dopo che la giustizia ha fatto il suo corso. Deve agire prima, molto prima che si attivi l’autorità giudiziaria, per identificare le condotte a rischio e, soprattutto, per ridurre la probabilità che si generino delle condotte a rischio.

Chiaramente, la prevenzione della corruzione opera in uno scenario di radicale incertezza, una incertezza che ha a che fare con la natura stessa del rischio di cui si occupa: il rischio di reato, cioè il rischio di qualcosa che non sta dentro le organizzazioni, ma dentro le sentenze dei tribunali. E il concetto giuridico di corruzione è troppo aleatorio per essere usato da una organizzazione. La prevenzione della corruzione deve dotarsi di una propria “nozione di corruzione”. Ne prenderemo in considerazione solo due, che sono tuttavia abbastanza rappresentative e diffuse:

Definizione A: “corruzione = scambio non dovuto di denaro o utilità con un agente pubblico, teso a favorire interessi privati”. 

Definizione B: “corruzione = malfunzionamento dell’organizzazione, dovuto all’interferenza di interessi privati”

Definizione A: la corruzione è uno scambio. 

Nei codici penali il fenomeno della corruzione viene segmentato in diverse fattispecie di reato. Nel Codice Penale italiano, per esempio, troviamo i reati di concussione (art. 315), corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318), corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319) e induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater), che descrivono tutti uno scambio non dovuto tra un agente pubblico e un soggetto privato [1].

Questa impostazione si trova anche nella legislazione penale di altri Paesi e, soprattutto, è richiamata nell’art. 15 della Convenzione di Merida (Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione) [2].

Ecco allora che questo particolare tipo di scambio può essere il rischio che sistema di prevenzione deve gestire: le organizzazioni private devono ridurre la probabilità che i propri dipendenti, amministratori, soci o partner decidano di offrire o promettere utilità a degli agenti pubblici, affinché gli agenti pubblici compiano o si astengano dal compiere un atto nell’esercizio delle loro funzioni. Specularmente, le organizzazioni pubbliche dovranno ridurre la probabilità che propri dipendenti o dirigenti o rappresentanti politici richiedano delle utilità a soggetti privati, per compiere o astenersi dal compiere un atto nell’esercizio delle loro funzioni.

Questo approccio caratterizza soprattutto i sistemi di prevenzione delle società private, che tendono ad evitare la commissione di reati nell’interesse dell’organizzazione (un esempio italiano di questi sistemi sono i modelli di gestione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, adottate ai sensi del d.lgs. n. 231/2001).  E non è un caso che la norma internazionale sui sistemi di gestione anticorruzione (UNI ISO 37001:2016) proponga la seguente definizione di corruzione:

“offrire, promettere, dare, accettare o sollecitare un indebito vantaggio (di natura finanziaria o non), direttamente o indirettamente ed indipendentemente dalla posizione ricoperta, in violazione delle leggi applicabili, come incentivo o ricompensa per una persona che agisce o si astenga dall’agire in relazione all’esercizio delle funzioni di quella stessa persona”

Definizione B: la corruzione è un malfunzionamento. 

Nel sistema pubblico italiano, invece, si è imposta una diversa definizione di corruzione, che fa perno sul concetto di “malfunzionamento”. Questa definizione si è diffusa in seguito all’entrata in vigore della Legge n. 190/2012 (Legge Anticorruzione) ed è stata adottata dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) in tutti i suoi atti di indirizzo. 

Quando il codice penale definisce i reati di corruzione, oltre a parlare di scambio, parla anche di “abuso della funzione pubblica”. La corruzione, dunque, è uno scambio che implica una deviazione dai fini che devono essere perseguiti da un soggetto delegato ad esercitare un potere pubblico. 

Questo è in effetti uno degli aspetti più rilevanti della corruzione passiva, cioè del fenomeno corruttivo che emerge all’interno di una pubblica amministrazione:

il dipendente pubblico infedele è un treno che deraglia, che danneggia l’immagine dell’amministrazione e rompe il legame fiduciario che lega il sistema pubblico alla collettività dei cittadini.

Il contenuto di questa catastrofica deviazione è stato descritto in modi diversi dal 2012 a oggi nei diversi Piani Nazionali Anticorruzione (PNA) adottati da ANAC.

Nel 2013  la corruzione veniva definita come “ogni situazione in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontra l’ABUSO da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati”. Si tratta di una definizione molto ampia, forse troppo ampia: mentre la “definizione A”, che abbiamo visto in precedenza (adottata dall’ONU, dai sistemi di gestione certificati e nei Modelli Organizzativi “231”) è in un certo senso ancorata al reato (l’organizzazione deve in fin dei conti evitare di innescare relazioni di scambio che potrebbero violare le normative), la definizione proposta nel PNA orientava i sistemi di prevenzione pubblici a prendere in considerazione (per ammissione della stessa Autorità) situazioni “più ampie della fattispecie penalistica, che è disciplinata negli artt. 318, 319 e 319 ter, c.p., e sono tali da comprendere non solo l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del codice penale, ma anche le situazioni in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite ovvero l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo”. 

Questo approccio era sicuramente funzionale ad evitare sovrapposizioni all’interno del sistema pubblico: il Potere Giudiziario si occupa dei reati, mentre ANAC e le singole pubbliche amministrazioni si occupano dei malfunzionamenti derivanti da un uso distorto del potere pubblico o da un inquinamento ab externo dell’azione amministrativa

Nei successivi Piani Nazionali, ANAC ha cercato di descrivere sempre meglio questo malfunzionamento corruttivo.  Nel 2015, per esempio, l’Autorità proponeva di descriverlo come “l’assunzione di decisioni devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari”.  Il focus, dunque, non era più sull’uso a fini privati del potere pubblico, ma sulla interferenza degli interessi privati nelle decisioni pubbliche: un fenomeno che chiama in causa il conflitto di interessi, ma che è stato (chissà perché) qualificato come mala gestio o maladministration, due termini che sembrano equivalenti, ma non lo sono per nulla. 

Il Cambridge Dictionary definisce la maladministration come “ lack of care, judgment, or honesty in the management of something”: mancanza di cura, di giudizio o di onestà nella gestione di qualcosa”. Il termine mala gestio, invece, è di derivazione giuridica ed indica una situazione che si manifesta: 

  • quando un assicuratore assume una condotta processuale ed extraprocessuale dilatoria, indolente, o comunque non caratterizzata dalla cura diligente degli interessi e dei doveri previsti dal contratto di assicurazione (art.1882 C.C.)
  • quando gli amministratori di una società non osservano dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo (art. 2476 C.C.)

Leggendo i Piani Triennali di Prevenzione della corruzione di numerose amministrazioni, e parlando con i Responsabili della prevenzione, negli anni, abbiamo notato una inversione del rapporto causa-effetto: la maladministration/mala gestio per molte amministrazioni pubbliche è una cattiva gestione dei processi che, anche involontariamente, promuove interessi estranei all’amministrazione; anziché essere un malfunzionamento che deriva dall’interferenza generata da interessi privati. Eppure, il fenomeno dell’interferenza sembra essere l’aspetto più rilevante della corruzione anche per ANAC, che infatti nel PNA 2017 propone una nuova definizione, più sintetica, del malfunzionamento corruttivo: “assunzione di decisioni devianti dalla cura dell’interesse generale a causa di condizionamenti impropri”. 

Infine nel PNA 2019, l’Autorità ha chiarito quale interesse generale deve essere particolarmente tutelato dalle strategie di prevenzione: esse devono identificare le misure organizzative volte a contenere il rischio di assunzione di decisioni non imparziali”

Il malfunzionamento corruttivo si sostanzia in una rovinosa caduta dell’imparzialità.

Qual è la definizione migliore?

Scambio corruttivo o disfunzione corruttiva? Mercimonio della funzione pubblica o caduta dell’imparzialità? Decidere quale dei due approcci è il migliore, non è facile. Sono modi diversi di descrivere uno stesso fenomeno, che generano modi diversi di intendere l’integrità delle organizzazioni e strategie differenti di risk management. Nella maggior parte dei casi i fenomeni corruttivi determinano una caduta dell’imparzialità e instaurano una relazione di scambio tra soggetto pubblico e privato. Ma ci sono alcune situazioni che sfuggono a questo schema, come la seguente:

Il Comune di Assai con Fuso sta programmando una gara pubblica per la gestione di due piscine e di un centro sportivo comunale. Tra le società interessate a partecipare alla gara c’è anche la Umma-Umma Spa, una società controllata al 45% dal Comune di Assai con Fuso. Il Sindaco, rag. Aldo Aquila, fa un paio di conti in tasca all’Amministrazione Comunale e si convince che sarebbe senza dubbio vantaggioso per la città, e anche per gli equilibri di bilancio del Comune, consentire alla Umma-Umma Spa di vincere la gara. Forte di questa convinzione, invia le bozze del capitolato d’appalto al legale rappresentante della Umma-Umma Spa, chiedendogli di modificarlo, inserendo elementi e criteri di valutazione favorevoli alla sua azienda…

In questa vicenda non c’è alcuno scambio: il sindaco non ricava alcun vantaggio personale. Eppure la caduta dell’imparzialità è evidente: gli interessi del Comune nella sua qualità di socio della Umma-Umma Spa hanno la meglio e la società partecipata viene favorita a discapito di altre aziende che, invece, si reggono solo su capitali privati. Ed è altrettanto evidente la manipolazione del processo di approvvigionamento, nella fase di definizione del contenuto del bando di gara.

Per fare una sintesi dei due approcci, potremmo dire che la corruzione è sempre un fenomeno di malfunzionamento, che determina la caduta dell’imparzialità. Lo scambio, invece, potrebbe essere una componente del fenomeno, presente nella maggior parte, ma non in tutti i casi.

Comprendere in profondità cosa è corruzione e cosa non è, ci aiuta a inquadrare meglio questo sfuggente fenomeno. Ci permette, inoltre, di compiere dei decisi passi in avanti nella definizione di nuovi modelli di gestione del rischio e di individuare i veri “fattori abilitanti“, cioè quelli che noi chiamiamo i “precursori della corruzione“. Infine ci offre grandi prospettive soprattutto su come prevenire in concreto il rischio di corruzione.

Allo studio appassionante di queste controverse tematiche dedicheremo i prossimi articoli.


Note

[1] Quello che differenzia i diversi reati è la maggiore o minore “simmetria” tra i due soggetti coinvolti nello scambio. Nella concussione l’agente pubblico costringe il soggetto privato a dare o promettere utilità e il privato accetta lo scambio per far cessare una situazione, percepita come “di pericolo”, generata dall’agente pubblico che abusa dei suoi poteri. Nella corruzione “propria” e “impropria” i due soggetti si accordano e ottengono un reciproco vantaggio. L’induzione indebita è “a metà strada” tra corruzione e concussione: il privato viene indotto ad entrare nello scambio corruttivo, ma sa che, in fondo in fondo, ci guadagnerà qualcosa. 

[2] Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, art. 15: Corruzione di pubblici ufficiali nazionali : “Ciascuno Stato Parte adotta le misure legislative e le altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando gli atti sono stati commessi intenzionalmente: 

  1. al fatto di promettere, offrire o concedere ad un pubblico ufficiale, direttamente od indirettamente, un indebito vantaggio, per se stesso o per un’altra persona o entità, affinché compia o si astenga dal compiere un atto nell’esercizio delle sue funzioni ufficiali;
  2. al fatto per un pubblico ufficiale di sollecitare od accettare, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio per se stesso o per un’altra persona o entità, affinché compia o si astenga dal compiere un atto nell’esercizio delle sue funzioni ufficiali.