ALLE ORIGINI DELL’ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO. La figura di Anders Chydenius e la contrapposizione tra “libertà di accesso” e “diritto di accesso”

“Una libertà frammentata non è libertà, mentre una costrizione, anche se frammentata, è una costrizione assoluta”

Anders Chydenius (1729-1803), statista svedese e padre del primo FOIA

A seguito dell’emersione e del consolidamento di un’opinione pubblica che ha sempre più richiesto maggiore trasparenza sui centri di potere, maggiore disponibilità di informazioni, regole più chiare, semplificazione delle procedure, maggiore chiarezza nei servizi erogati, più informazioni sui risultati dell’azione amministrativa, gli Stati occidentali sono stati sollecitati e, a volte, costretti ad applicare soluzioni tecnico-legislative via via più raffinate.

Negli Stati Uniti tale “piena” libertà è stata riconosciuta nel 1966, ed è entrata effettivamente in vigore attraverso miglioramenti apportati nel 1974. Così come in altri Paesi dell’occidente tale libertà viene progressivamente riconosciuta e promossa anche sotto la spinta degli organismi internazionali.

Tuttavia, già 200 anni prima, nel 1766, tale libertà venne riconosciuta nel Regno di Svezia, che all’epoca comprendeva anche la Finlandia. Duecento anni prima, cioè, più di 250 anni fa (nel 2016 si è celebrato l’anniversario), dieci anni prima della rivoluzione americana e ventitré anni prima della rivoluzione francese.

Alcuni osservatori notano come tale “rivoluzione silenziosa” non ha avuto i giusti clamori della storia perché fu, appunto, silenziosa.

Ma se chiedete ad un abitante della Svezia, della Finlandia e dell’area geografica che va sotto il  nome  di  Scandinavia  di  cosa  debba  andare fiero un cittadino di  quelle  parti,  molto  probabilmente  vi  risponderebbe  con  la  libertà  di  informazione  e  di  accesso  introdotta  nel  1766.  A tal punto sono fieri di questo che alcuni esponenti  politici  scandinavi hanno messo in passato (e continuano a mettere tutt’oggi) in diretta relazione la titubanza ad entrare stabilmente a far parte dell’Unione europea con l’incertezza sul livello di apertura che le istituzioni continentali assicurerebbero.

Ne vanno fieri perché ad essa attribuiscono un cambiamento effettivo, non fittizio, dei rapporti tra Stato e cittadini che non a caso li ha portati in testa a tutte le classifiche di integrità e di trasparenza del settore pubblico.

Per comprendere meglio come fu possibile che una tale innovazione si realizzasse in quei Paesi, occorre inquadrare il contesto storico e culturale di quell’area in quell’epoca e tratteggiare i contorni della figura più rappresentativa che fece  in  modo  che  la  “riforma”  si  realizzasse  e  fosse così radicale per quell’epoca e per noi oggi, cioè, un esponente della Chiesa Luterana della profonda periferia del Regno, il finlandese Anders Chydenius.

Anders Chydenius

All’epoca il Regno di Svezia sperimentava un Parlamentarismo del tutto peculiare. La Dieta svedese nella cosiddetta Età della Libertà (1719- 1772) fu un esperimento unico del suo genere. Il nome dato al periodo si riferisce al passaggio di potere dal monarca assoluto alle corporazioni (Estates). La dieta svedese era divisa in quattro corporazioni: nobiltà, clero, borghesia e agricoltori. Ogni corporazione esprimeva un voto. Pertanto la nobiltà o il clero non si trovavano in una posizione di preminenza rispetto alle altre corporazioni che, alleandosi potevano realmente avere un ruolo.

Il Re era poco più che una figura rappresentativa. Come accade nel parlamentarismo, c’erano partiti, ma non erano potenti organizzazioni a livello nazionale ed erano per lo più concentrati a Stoccolma.

Intorno al 1760 l’azione di governo sostenuta dal partito degli Hattarna (Cappelli), con la sua impenetrabile burocrazia e la simbiosi quasi perfetta tra i vertici dell’amministrazione pubblica e interessi economici privati, divenne progressivamente intollerabile per i suoi avversari politici, il partito dei Mössorna (Berretti).

I Cappelli, che potremmo considerare dei “tradizionalisti”, avevano l’ambizione di riportare la Svezia a livello di una grande potenza europea ed erano sostenuti dalla Francia. I Berretti ritenevano, invece, che quei tempi fossero passati; avevano il supporto di Inghilterra e Russia.

Peter Forsskäl e Anders Nordencrantz, due autorevoli intellettuali dell’epoca, sostenitori dell’area progressista (e quindi dei Berretti), sostenevano che i “segreti” dell’amministrazione pubblica dovessero essere resi visibili.

Nordencrantz si avventurò in una catalogazione di quello che sarebbe dovuto essere pubblicato: il lavoro dei funzionari pubblici in generale e la loro particolare posizione di potere (oggi diremmo, i conflitti di interessi), i privilegi ed il conferimento di onori (oggi diremmo, le autorizzazioni e le concessioni) e poi le informazioni sulle finanze nazionali (i bilanci) e i tribunali speciali.

Nel 1765 i Berretti andarono al potere e, come raramente succede nella storia della politica e del diritto, si aprì la strada affinché queste idee potessero essere tradotte in dispositivi legislativi, come appunto avvenne nel 1766 in Svezia con la legge costituzionale denominata “Tryckfrihetsförordningen, parola del tutto impronunciabile che significa “libertà di stampa” e che fu la prima esperienza di “Freedom of Information Act” (“Legge sulla libertà di informazione”) in uno stato che ancora non era nemmeno considerato moderno.

Lo sviluppo dell’Illuminismo in Europa ed una certa “debolezza” del sovrano locale fecero sì, pertanto, che idee per il tempo assai innovative di libertà e di circolazione delle informazioni potessero, per la prima volta in Europa, “andare al potere”

La figura di Anders Chydenius

Una caratteristica unica presente nella legge svedese, oltre alla libertà di scrittura e stampa, è la libertà di accesso ai documenti pubblici.

Altamente significativa è anche l’attribuzione di preminenza di questo diritto, lasciando le necessarie restrizioni in  una  posizione  secondaria. Tale ordine di importanza è proprio di tutte le leggi successive sulla libertà di accesso. E, come vedremo è anche una delle caratteristiche che distingue la libertà di accesso da ciò che non lo è.

Ma per raggiungere un tale risultato la Svezia ebbe bisogno non tanto di accademici illuminati, come Forsskäl e Nordencrantz, ma di un oscuro pastore della chiesa luterana svedese. Anders Chydenius (1729-1803) nato a Sotkamo in Finlandia, esponente dell’Illuminismo svedese e come tale fautore dell’idea, rivoluzionaria per quell’epoca, che il Governo di una nazione funziona meglio se condivide più informazioni possibili con il proprio popolo.

Nei suoi scritti Chydenius rappresenta il “libero Stato” non come il nemico delle libertà ma come il garante. Le suggestioni più “radicali” per quell’epoca avevano a che fare, per Chydenius, con la responsabilità del decisore pubblico. I cittadini dovevano seguire i loro capi, ma non “ciecamente”, questo dà spazio a forme di “non conformità”, di dissenso. Una nazione si doveva considerare libera solo quando potevano partecipare alle decisioni non solo coloro ai quali veniva attribuita una rappresentanza, ma anche coloro che attribuivano tale rappresentanza.

Chydenius parla della libertà di stampa e di quello che essa porterà, cioè, “la concorrenza delle penne” (in questo fu profetico).

Nessuna fortezza può essere lodata più di quella che ha subito i più duri assedi. Se l’obiettivo è chiaro, allora la verità deve essere ricercata attraverso lo scambio di scritti”.

Chydenius afferma che la ricerca della verità debba essere perseguita attraverso l’illustrazione di punti di vista diversi, attraverso, cioè, “lo scambio di scritti”. Le tesi che subiranno la critica più dura e comunque rimarranno in piedi, saranno le più convincenti. Questo ricorda una delle più significative visioni di Karl Popper nell’Open Society:

La democrazia, proprio come una teoria scientifica, non è valida di per sé, ma è fallibile, incerta, piena di errori. Essa può essere ‘falsificata’ da un controllo esterno. Proprio come in un laboratorio al fine di rafforzare una teoria se ne cercano le falle, in democrazia, per rafforzarne i valori e le istituzioni, è necessario mettere a nudo tutto quello che non funziona o che è migliorabile”.

L’Illuminismo,  di  cui  Chydenius  fu  il  più  autorevole  rappresentante in Scandinavia, può essere considerato come un fenomeno europeo che raggiunse una influenza ben oltre i confini continentali. Gli approcci filosofici, scientifici, economici, politici, culturali e religiosi legati alla sua nascita differivano da paese a paese. L’ambizione dei sostenitori dell’Illuminismo era di condurre le nazioni verso una pace stabile, una nuova prosperità economica dopo le tempeste del primo Settecento.

Ma in nessun luogo come in Scandinavia nell’Età delle Libertà questa corrente filosofico-culturale ebbe un impatto così  evidente  e  significativo, nonostante non ci fosse un vero e proprio movimento illuminista in quell’area, ma solo “voci” anche se estremamente autorevoli. E una  di quelle voci si trovò al posto giusto nel momento giusto.

La presenza di Chydenius nell’arena politica svedese è breve ma di quelle che lasciano il segno. Nel 1763 si fa notare in un incontro pubblico a Kokkola in Finlandia. A partire dal 1765 rappresenta i Berretti nella Dieta, quando, appunto, i Berretti si trovarono a guidare la nazione dopo un lungo periodo di dominio dei Cappelli. Chydenius si trovò a far parte della Commissione che doveva redigere una nuova legge sulla libertà di stampa. Occorreva discutere dell’abolizione (parziale o totale) della censura. Chydenius affermò subito la sua leadership nella Commissione, promosse l’idea che la censura politica non fosse affatto necessaria e guidò la Commissione alla formulazione di una proposta di legge omnicomprensiva che, oltre ad abolire la figura del Censore, garantì una completa ed incondizionata libertà di rendere generalmente pubblico attraverso la stampa tutto ciò che non si trovava ad essere espressamente proibito.

Libertà di accesso vs. diritto di accesso

“Noi, Adolfo Federico, per Grazia di Dio Re di Svezia e Finlandia, proclamiamo che,

  • dopo aver considerato quali grandi vantaggi fluiscano al pubblico da una legittima libertà di scrittura e di stampa,
  • e che una visibilità reciproca e senza restrizioni in diverse materie favorisce non solo lo sviluppo e la diffusione delle scienze e dei mestieri,
  • ma offre anche maggiori opportunità a ciascuno dei nostri fedeli sudditi di acquisire una migliore conoscenza e l’apprezzamento di un sistema di governo saggiamente ordinato;
  • e inoltre, tale libertà dovrebbe anche essere considerata come uno dei migliori mezzi per migliorare la moralità e la promozione dell’obbedienza alle leggi, dal momento che abusi e illegalità vengono rivelati al pubblico attraverso la stampa”.

Questo che avete appena letto è l’incipit del Tryckfrihetsförordningen svedese. Già nel 1766 Chydenius aveva intuito quali fossero “i grandi vantaggi”, cioè le opportunità di un “reciproca visibilità”:

  • opportunità di business (sviluppo e diffusione di arti e mestieri);
  • opportunità di conoscenza del funzionamento dell’apparato amministrativo;
  • opportunità di sviluppo dell’integrità pubblica e di emersione di condotte illecite.

Visibilità, inoltre, che deve essere “senza restrizioni”. Oltre a questo capolavoro legislativo, ad Anders Chydenius si attribuisce anche il detto: “Una libertà, se frazionata, non è libertà, mentre una costrizione, anche se frammentata, è una costrizione assoluta”.

Questa è forse l’immagine più potente per illustrare un principio cardine dell’accesso e che consiste nel fatto che la libertà di accesso, per essere tale, non può essere frazionata in base alla qualità o alla provenienza del dato informativo.

Tutte le informazioni (prodotte e/o detenute) dalle amministrazioni, infatti, nascono “libere”, non vengono cioè sottoposte ad un processo di “liberazione” gestito discrezionalmente dalle amministrazioni.

Questo è il meccanismo di base che permette alla libertà di accesso di diventare, soprattutto nel corso del secolo passato e dell’attuale, uno degli strumenti che le democrazie occidentali hanno sviluppato per rendere “accountable” (in qualche modo “affidabili” perché rispondono ai cittadini e alle leggi) le amministrazioni e per costruire una solida cultura della trasparenza amministrativa.

La libertà di accesso è un principio costituzionale. Perché traduciamo “Freedom of Information” con “Libertà di accesso” (e non, come sembrerebbe ovvio, con “Libertà di Informazione”)?

Perché la libertà di informazione e la libertà di accesso, in realtà, sono due facce della stessa medaglia se si tratta di considerare il rapporto di fiducia, il patto, l’alleanza che ogni singolo cittadino instaura con la propria amministrazione pubblica e che si basa sulla delega di potere ad una autorità pubblica che è tenuta a rendere conto della modalità con cui tale potere è stato esercitato e dei risultati che ha ottenuto.

Non può esistere, cioè, una vera e propria libertà di informazione in una democrazia moderna se le persone non hanno anche la libertà di accedere alle informazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche, al fine di sorvegliare, orientare, partecipare alle decisioni. La libertà di informazione, pertanto, in assenza di accesso alle informazioni non rappresenta l’esercizio di una piena libertà.

Tale considerazione sembra tutt’altro che banale, visto che, in molte nazioni, come anche l’Italia, che vivono una fase democratica in cui molte libertà vengono riconosciute attraverso l’inserimento in norme costituzionali, non si è ancora realizzata questa necessaria liaison, che, invece, era già presente nella originaria formulazione del  Tryckfrihetsförordningen svedese.

Alla libertà di informazione (o libertà di stampa) in Italia viene garantita una tutela costituzionale attraverso l’articolo 21 della Costituzione. Tuttavia, non esiste un analogo riconoscimento costituzionale per la libertà di accesso alle informazioni prodotte e detenute dall’amministrazione. E questo nonostante siano intervenute recenti riforme (pensiamo al d.lgs. 33/2013 e al d.lgs. n. 97/2016).

Tale elemento determina un effetto piuttosto importante. In assenza, infatti, di una tutela costituzionale, qualunque compagine governativa o parlamentare, a maggioranza semplice, può restringere o ampliare la libertà di accesso con una certa facilità. È un effetto che abbiamo osservato in molti dei FOIA esistenti, tra cui, quello inglese e americano. A seguito, ad esempio, degli attacchi dell’11 settembre che hanno portato i Governi di quei Paesi a restringere fortemente l’accesso su alcune tipologie di dati e informazioni.

L’allontanamento della normativa italiana dallo schema originario di Chydenius e dal FOIA svedese è ancora più visibile se si approfondisce una seconda caratteristica della “libertà di accesso” e che ci fa concludere che nell’attuale sistema italiano ci troviamo di fronte ad un mero “diritto di accesso”.

Nella libertà di accesso, il processo di richiesta, valutazione e accesso si configura come un “servizio”.

Immaginate che, come la fornitura di acqua da parte di un Comune o la raccolta differenziata, esista anche un ufficio (meglio, un “archivio”) che raccolga e metta a disposizione di chiunque ne faccia richiesta, con poche e tassative eccezioni, i dati, le informazioni e i documenti prodotti o detenuti dalle amministrazioni.

La separazione tra chi produce il dato e chi lo detiene esclude o limita molto la discrezionalità e la valutazione da parte dell’amministrazione pubblica, un elemento che abbiamo osservato in molti casi di gestione delle istanze di Accesso Civico Generalizzato che abbiamo osservato.

L’accesso che, invece, è stato disegnato nel nostro Paese è un vero e proprio “procedimento”, costruito sul modello della legge 241/990. Ad esempio, l’esistenza del controinteressato, è un tipico elemento del “procedimento di accesso”. Questo fa pensare che in Italia siamo in presenza di un (semplice) “diritto di accesso”.

Nella libertà di accesso le esclusioni sono tassativamente identificate. La libertà di accesso disegnata dagli scandinavi non era senza confini. Che erano (e sono), principalmente, di due tipi: la sicurezza nazionale, cioè, non erano accessibili dati e informazioni che avrebbero messo a rischio la sicurezza nazionale; nemmeno erano accessibili dati e informazioni che avrebbero minacciato i diritti delle persone.

Ma tali eccezioni dovevano essere ben catalogate, devono cioè essere scritte all’interno di un “libro delle eccezioni” che fosse anch’esso accessibile a tutti e che estromettesse o limitasse fortemente qualsiasi elemento di arbitrarietà da parte di chi tale accesso deve garantire, cioè la pubblica amministrazione.

Al di là di inserire significativi momenti di valutazione ampiamente discrezionale che potrebbero dar vita a numerosi contenziosi, la ragione è di tipo logico. L’operatore pubblico destinatario di una istanza di accesso (sappiamo che con la attuale normativa italiana si può inviare una istanza all’ufficio detentore del dato) si verrebbe a trovare nella particolare condizione di dover decidere valutando tra interessi contrapposti, anche in situazioni in cui viene messa sotto osservazione proprio la sua condotta, esponendolo ad un significativo rischio di azzardo morale.

Si tratta di un vero e proprio corto circuito. La legge italiana, infatti, richiama l’accesso ai dati e alle informazioni, come strumentale “per favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (articolo 1). L’agente pubblico o l’ufficio sottoposto a tale controllo è lo stesso agente pubblico o ufficio che dovrebbe decidere se, attraverso il procedimento di accesso, sia più o meno opportuno rilasciare l’informazione.

Per questo, nei sistemi più avanzati, è la legge o regolamenti, molto stringenti che regolano a quali atti, documenti o informazioni si possa accedere, a volte separando gli uffici che producono il dato da quelli che lo detengono e lo rendono accessibile.

Il senso profondo della libertà di accesso non risiede tanto nella capacità di un’amministrazione di “fornire” un’informazione o un dato, quanto piuttosto nella sua capacità di “archiviare”. Questo permette di “tenere traccia” del percorso che ha condotto il decisore pubblico alla scelta o degli influenzamenti che ha subito, oppure ancora del comportamento che ha tenuto nelle circostanze rilevanti per l’interesse pubblico, realizzando così i tre canoni della trasparenza come atteggiamento individuale del decisore pubblico indicati da un altro noto illuminista, Jean-Jacques Rousseau (1712-1778):

  • “I funzionari pubblici dovrebbero operare sotto gli occhi dei cittadini”.
  • “L’azione pubblica dovrebbe essere condotta con un alto livello di franchezza, apertura, candore”.
  • “Una società trasparente, in cui nessuna condotta privata può essere tenuta al coperto dallo sguardo dei cittadini, è un meccanismo cruciale per evitare intrighi destabilizzanti“.

Dal momento in cui fu introdotta tale libertà in Svezia si ebbero due risultati fondamentali per una democrazia evoluta: (1) la nascita di una stampa indipendente e critica, con la messa al bando di ogni forma di censura preventiva e (2) un formidabile sistema di archiviazione in grado di mettere a disposizione di chiunque, più o meno in tempo reale, dati e informazioni prodotti e detenuti dalle amministrazioni pubbliche (la Svezia può essere descritta un po’ come un grande “archivio di Stato”).

Pertanto, si può affermare che, in regime di “libertà di accesso”:

  • I dati, le informazioni e i documenti vengono archiviati separatamente rispetto all’ufficio che li produce.
  • Chi gestisce le richieste di accesso è un agente pubblico che non ha avuto alcun ruolo nella produzione del dato e dell’informazione.
  • La “pubblicità” di una tipologia di dato o di informazione è un principio costituzionale.
  • I dati e le informazioni vengono “categorizzatealla fonte e questo limita le operazioni di bilanciamento tra interessi a pochi casi.
  • Le eccezioni sono tassative, non lasciate alla interpretazione che può assumere i caratteri dell’arbitrarietà da parte dell’amministrazione chiamata a gestire una richiesta di accesso.
  • Le amministrazioni vengano dotate di un “libro delle eccezioni”, un catalogo di casi in cui si deve escludere l’accesso, una elencazione tassonomica di fattispecie di esclusione.
  • Si adottano criteri trasparenti che orientano l’agente pubblico o l’ufficio a rispondere alle istanze di accesso con il giusto atteggiamento.