Lo Yoga e l’arte di prevenire la corruzione: i sette chakra dell’integrità

Avvicinatevi al nostro approccio con lo stesso spirito con cui il noto fisico americano Bobby Henderson, per protestare contro la decisione del consiglio per l’istruzione del Kansas di insegnare il creazionismo nei corsi di scienze come un’alternativa alla teoria dell’evoluzione, professò di credere in un creatore sovrannaturale molto somigliante a degli spaghetti con le polpette. Egli sostenne, in una lettera aperta indirizzata al suddetto consiglio, che la sua teoria era altrettanto valida quanto quella del disegno intelligente e chiese che le venissero dedicate un numero pari di ore di lezione in classe. Bobby Henderson è l’inventore della religione pastafariana, un movimento pseudo-religioso che raccoglie milioni di “adepti” in tutto il mondo.

Qual è il senso profondo dell’integrità? Da dove proviene questo misterioso flusso di spiritualità applicata alle organizzazioni?

L’integrità è come l’anima: non esistono prove scientifiche della sua esistenza. Eppure le abbiamo a lungo cercate, anche realizzando un ingegnoso esperimento ispirato dalla nota teoria di MacDougall che pesò sei persone al momento del trapasso, riportando i risultati a sostegno della sua teoria che l’anima avesse un peso, per l’esattezza di 21 grammi.

Ma ripetendo l’esperimento con un’amministrazione pubblica prima e dopo un efferato evento di corruzione, purtroppo non abbiamo rilevato alcuna significativa perdita di peso. E questo fallimento non è in alcun modo attribuibile a difetti tecnici dell’enorme bilancia da noi utilizzata!

L’ineffabile natura spirituale dell’integrità, forse, può essere meglio colta in negativo, cioè enumerando ciò che essa non è. Ad esempio, con il termine compliance si indica l’acquiescenza (o la conformità) a determinate norme, regole o standard; nelle aziende la compliance normativa indica il rispetto di specifiche disposizioni impartite dal legislatore, da autorità di settore nonché di regolamentazioni interne alle società stesse. La compliance non è integrità perché manca dell’elemento spirituale, dell’elevazione a senso e non ad adempimento. Di contro l’onestà, dotata della succitata natura spirituale, tuttavia è una qualità individuale e poco si attaglia alle organizzazioni.

Occorre indagare più in profondità. Il campo semantico della parola integrità è indissolubilmente collegato alla antica saggezza della tradizione induista.

La parola Mandala, che in sanscrito significa, per l’appunto, “integrità”, ma anche “cerchio” e “completezza”, indica lo stato di accesso al nostro centro profondo, dove siamo consapevoli delle nostre vere priorità e ci sentiamo allineati con gli ideali più elevati del nostro percorso di vita.

Per un’organizzazione, l’integrità si sostanzia nell’incessante ricerca del Mandala, ricerca che di per se stessa apre le porte ad una nuova visione qualitativa dell’agire pubblico.

Questa ricerca, peraltro, è al centro anche delle attuali indagini dell’Autorità anticorruzione (ANAC) che nel Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) 2019 raccomanda di operare un deciso “salto di qualità” nella prevenzione della corruzione.

La nostra esplorazione, ispirata al Modello Evolutivo dei fenomeni corruttivi, rappresenta un vero e proprio “framework spirituale” che innesta la tradizione vedica all’interno degli attuali approcci nazionali e internazionali alla prevenzione della corruzione, trovando il suo fondamento ultimo nella millenaria disciplina dello yoga organizzativo o Fatthurathi Yoga.

Le organizzazioni sono realtà complesse con un alto grado di connessione interna. L’integrità, come la Kundalini, funziona come una energia vitale, latente all’interno del corpo organizzativo, che, se adeguatamente stimolata e gestita, può fluire nell’organizzazione e contrastare l’energia nociva della corruzione.

In questa lotta tra forze opposte, tra bene e male, tra vita e morte, tra integrità e corruzione, un ruolo fondamentale è giocato dai sette chakra dell’organizzazione: punti energetici che, se adeguatamente stimolati, possono liberare qualità organizzative fondamentali per potenziare l’integrità. A nostro parere ogni buon responsabile della prevenzione dovrebbe conoscere nel profondo questi chakra, e i loro effetti. 

Il chakra del ruolo. Questo primo chakra è associato a Rhol, il temibile dio guerriero che non poteva mai essere disarcionato dal suo cavallo. Il chakra del ruolo è in bilico sulla testa del corpo organizzativo ed è fondamentale per sviluppare la consapevolezza del ruolo pubblico (Roleability). Se questo chakra è ostruito, le persone si dimenticano di appartenere all’amministrazione, lavorano in solitudine e non sono più in grado di dare un senso alla propria funzione. L’energia localizzata nel chakra del ruolo può essere liberata definendo correttamente ruoli e le responsabilità, identificando gli interessi primari che l’amministrazione deve perseguire, anche attraverso adeguati percorsi di formazione. Anche indossare un diamante può avere effetti benefici: il diamante promuove infatti l’elevazione e il collegamento con gli altri mondi ed è simbolo di fedeltà e amore. Attenzione però! Se un destinatario dell’attività di un ufficio regala un diamante a un dipendente o ai suoi familiari, la pietra perde tutti i suoi poteri!

Il chakra dell’orecchio. Associato ad Akkounth, il dio elefante, questo chakra è localizzato sulle orecchie dell’amministrazione, ma anche sulle orecchie dell’opinione pubblica, dei contribuenti e degli elettori posizionato nelle orecchie. È associato allo zaffiro arancione, una pietra che stimola la voglia di parlare al mondo direttamente e dal proprio cuore. È il chakra dell’accountability, termine derivato dal verbo sanscrito akkounthabilitusmana, che può essere tradotto come “desidero rendere conto agli altri di quello che faccio”. Per aprire questo chakra non basta la pubblicazione dei dati e delle informazioni così come prescritto dalla normativa attuale, ma occorre costruire un sistema organico di controlli interni ed esterni. All’interno, è consigliabile chiedere protezione al figlio del potente dio Akkounth. Si tratta del dio Audit, il grande orecchio del corpo organizzativo che cresce all’interno e vigila sull’integrità dell’organismo. All’esterno, raccomandiamo di pregare la dea Monitor, anch’essa figlia di Akkounth, ma cresciuta all’esterno e spesso raffigurata in pose distratte.

Il chakra dell’occhio. Il terzo chakra è legato al secondo da un groviglio di turbini energetici ed è associato alla pietra acquamarina, assai indicata anche per chi ha problemi di vista. È posizionato proprio in mezzo agli occhi dell’amministrazione e favorisce la visibility, cioè la trasparenza verso l’interno. Quando questo chakra è ostruito, le decisioni e le attività messe in atto nel corso della gestione dei processi non sono visibili all’organizzazione e gli uffici sono avvolti in una notte buia e senza stelle. Per lavorare sul chakra dell’occhio bisogna fare come la dea indù Visi, la “dea infuocata” che rinunciò alla sua ombra e che portava la luce ovunque andasse. Se non avete doti di autocombustione, potete comunque aumentare la visibility della vostra organizzazione realizzando una adeguata mappatura dei processi, che identifichi le “zone d’ombra” dei procedimenti e che descriva compiutamente le decisioni e le attività dei processi, ma anche i criteri che regolano le decisioni e le informazioni gestite durante i processi.

Il chakra della parola. Il dio Diskuss dalle cento bocche protegge il chakra della parola. L’amuleto di lapislazzuli può aiutarvi a purificare questo chakra, se percepite che la vostra organizzazione si è trasformata in una falange spartana in cui i dipendenti, come degli opliti, devono eseguire gli ordini senza pensare e soprattutto senza farsi domande. La disciplina militare ha indubbiamente il suo fascino, ma ricordate che gli eserciti erano masse di uomini che uccidevano altri uomini, mentre la vostra amministrazione dovrebbe essere un insieme di uffici organizzati secondo disposizioni di legge, che devono garantire i diritti di altri uomini, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità.

Il chakra della parola governa la gestione dei dilemmi etici, dona il coraggio di avere dei dubbi e un clima inclusivo, in cui ogni individuo sente che le proprie opinioni contano e in cui la possibilità di mettere in discussione le decisioni rappresenta una risorsa. L’apertura di questo chakra diffonde nel corpo organizzativo la qualità della discussability e può essere realizzata, oltre che con l’amuleto di lapislazzuli, anche con la promozione di gruppi di lavoro all’interno degli uffici, che garantiscano la gestione “condivisa” di attività complesse, con indagini e questionari che misurano il benessere organizzativo e definendo un sistema di valutazione interna inclusivo, che non escluda la possibilità di fornire un feedback ai propri superiori gerarchici. Ovviamente, per la buona riuscita di questa iniziativa, dovete avere dalla vostra parte anche il dio Lider, la divinità protettrice del chakra del comando.  

Il chakra del comando. Nel cuore del corpo organizzativo risiede il chakra dell’integrità. Questo punto energetico è fondamentale per la prosperità del bodhisattva, colui che, pur avendo ormai raggiunto l’illuminazione, e avendo quindi esaurito il ciclo delle sue esistenze terrene, sceglie tuttavia di rinunciare provvisoriamente al nirvana e di continuare a reincarnarsi, sotto la spinta della compassione, per dedicarsi ad aiutare gli altri. Un antico modo di indicare la leadership etica, cioè quella pratica sciamanica che individua nella funzione dirigenziale un esempio ed una guida. Il prasio (quarzo verde) è fondamentale per garantire l’equilibrio energetico del chakra del comando: se questo chakra è bloccato, infatti, i dirigenti tenderanno a non svolgere per nulla il proprio ruolo. Ma anche una eccessiva attivazione di questo chakra può essere dannosa, perché induce i leader a non riconoscere più i limiti del proprio potere.

Il chakra delle risorse. Nelle braccia forzute del corpo organizzativo risiede il sesto chakra, che presiede allo sviluppo della promptability, una qualità dell’organizzazione che deve il suo nome all’antica esclamazione sanscrita: “prompthabilityskar!”, che significa letteralmente “c’è ogni ben di dio, servitevi!”, con cui gli antichi indù davano inizio ai banchetti. La scoperta di questo chakra risale a tempi in cui si credeva che fare le nozze coi fichi secchi fosse di cattivo augurio per gli sposi e li condannasse ad una vita senza progenie, dal momento che allestire un pranzo senza risorse era considerato un oltraggio al Dio Prompth. Il Dio Prompth viene raffigurato con una corporatura possente e braccia gigantesche. Egli porta sulle sue spalle i quattro elefanti che sorreggono il mondo. Liberare il sesto chakra significa utilizzare le proprietà del diaspro rosso per dotare l’organizzazione di competenze e conoscenze adeguate, allocare adeguate risorse economiche.

Il chakra degli interessi. Il chakra degli interessi si trova nella pancia del corpo organizzativo e viene anche chiamato chakra radice, perché in esso si annidano (arrotolati come serpenti) gli interessi primari dell’amministrazione. Ma è anche detto chakra monnezza, perché nella pancia dell’organizzazione finiscono anche tutti gli interessi secondari e strutturali ingoiati inavvertitamente dagli uffici nel corso dell’ordinaria gestione dei procedimenti. L’assimilazione di questi interessi può essere disturbata dalla creazione di conflitti e convergenze, che potrebbero non essere risolti con il semplice ricorso al Quarzo citrino o alla Citrosodina. Per la buona salute dell’organizzazione, nei casi estremi, è necessario ricorrere al dio Surph, nume protettore di coloro che si avventuravano a nuoto nel fiume Gange. Egli amava divagarsi, calvalcando con la sua tavola d’oro le terribili onde degli interessi umani. Illuminata dal dio Surph, l’amministrazione svilupperà la qualità della surfability, vale a dire la capacità di essere pienamente in grado di gestire la pressione esercitata sui processi decisionali da parte degli interessi primari, secondari e strutturali.

Le Upanishad dell’integrità[1]

La solitudine organizzativa riservata dalla Legge n. 190/2012 al Responsabile della prevenzione della corruzione non è una condanna all’inazione e all’adempimento forzoso. Al contrario! È occasione di meditazione interiore ed elevazione spirituale alla ricerca dei sette chakra.

Peraltro, numerosi passaggi delle Delibere ANAC assomigliano ad antichi testi vedici, solo apparentemente incomprensibili, ma la cui accessibilità è riservata ad illuminati che in stato di trance ipnotico siano in grado di mandare a memoria le più criptiche disposizioni. Un chiaro esempio è il noto passaggio contenuto nella Delibera n. 840 del 2 ottobre 2018 in cui ANAC, sotto potenti effetti allucinogeni, predice in maniera solo apparentemente oscura il fatale destino del Responsabile anticorruzione (RPCT): “Innanzitutto, si può certamente affermare che, qualora il RPCT riscontri o riceva segnalazioni di irregolarità e/o illeciti, debba, innanzitutto, svolgere una delibazione sul fumus di quanto rappresentato e verificare se nel PTPC vi siano o meno misure volte a prevenire il tipo di fenomeno segnalato”. Solo liberando i chakra si può accedere al pieno significato del termine fumus e dell’opportunità, anzi della necessità, di delibare.

Le tecniche e le meditazioni dello yoga organizzativo doneranno al RPCT senso di benessere e profonda mindfulness[2], paragonabili solo al nirvana che il RPCT raggiunge nel caricare il Piano anticorruzione sul portale di ANAC.

Dunque, affidatevi ai chakra e se il nostro approccio vi lascia disorientati, sappiate che ha la stessa consistenza ed evidenza di molte teorie economico-giuridiche su cui si basa l’attuale architettura della prevenzione della corruzione.


[1] Le Upanishad sono considerate la "fine dei Veda", così come dalle parole di conclusione. Il termine significa "sedersi vicino", così come uno studente al maestro, onde ricevere informazioni non intese per il resto della classe.
[2] Mindfulness è una parola inglese che vuol dire consapevolezza ma in un senso particolare. Non è facile descriverlo a parole perché si riferisce prima di tutto a un’esperienza diretta. Tra le possibili descrizioni è diventata “classica” quella di Jon Kabat-Zinn, uno dei pionieri di questo approccio. “Mindfulness significa prestare attenzione, ma in un modo particolare: a) con intenzione, b) al momento presente, c) in modo non giudicante”. Si può descriverla anche come un modo per coltivare una più piena presenza all’esperienza del momento, al qui e ora. Fonte: https://mindfulnessitalia.it/