Ruoli, processi, relazioni, interessi, dilemmi e valori: la prevenzione della corruzione nella dimensione organizzativa

Un evento di corruzione, quando si scarica all’interno della dimensione organizzativa, ha sempre una energia potenziale impressionante, la stessa energia potenziale di una massa d’acqua che fuoriesce da una diga che crolla. Tutta questa forza deriva dal fatto che la corruzione, quando diventa fenomeno organizzativo, ha già attraversato la dimensione relazionale e la dimensione etica, senza trovare alcun ostacolo al proprio processo di sviluppo. Detto in altri termini: il comportamento corruttivo, quando viene messo finalmente in atto nella dimensione organizzativa, sembra essere vantaggioso e giustificabile, sembra essere una soluzione compatibile con un determinato insieme di interessi in gioco che interagiscono e con un determinato sistema di valori.

Questo articolo è un output del progetto “Rafforzamento Competenze per Contrastare Riciclaggio e Corruzione nella P.A.” attuato da ANCI Lombardia.


1. Obbligo e opportunità: le due facce dell’anticorruzione italiana

Ci siamo lasciati alle spalle la data del 31 marzo 2021, termine ultimo per l’adozione dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT), che non rappresenta un punto di arrivo, bensì un punto di passaggio, che consentirà alle amministrazioni comunali di attuare strategie aggiornate di prevenzione della corruzione.

La lotta ai fenomeni corruttivi è fondamentale per qualunque organizzazione pubblica e privata. Tuttavia, non possiamo nascondere che l’anticorruzione, in Italia, è anche caratterizzata da una buona dose di adempimenti formali che, in certi casi, potrebbero mandare “fuori dal seminato” i responsabili della prevenzione della corruzione. E’ essenziale ricordarsi che l’anticorruzione non si realizza attraverso gli adempimenti, ma attraverso azioni concrete, che hanno l’obiettivo di aumentare l’integrità dell’amministrazione, cioè la capacità di gestire i ruoli, le decisioni, le informazioni e i procedimenti con modalità che non rappresentino una minaccia per l’imparzialità.

Questo “scarto” tra l’adempimento eteronomo e l’agire organizzativo autonomo misura la qualità delle politiche di prevenzione: il sistema anticorruzione raggiunge i propri obiettivi quando legge delle opportunità nella filigrana degli adempimenti.

Questa doppia lettura dei PTPCT introdotti dalla L.n. 190 del 2012 (fonte di adempimenti e occasione per promuovere l’integrità) è fondamentale ed ha ispirato diversi progetti promossi da ANCI Lombardia degli ultimi anni: “Agenda 190”[1], “Legalità in Comune”[2] e “Competenze per la Legalità”[3]. In questo articolo vorremmo tornare su questo argomento, con alcune brevi riflessioni su opportunità e i limiti di alcune misure organizzative di prevenzione della corruzione attualmente adottate dalle pubbliche amministrazioni in ossequio agli indirizzi di ANAC[4]

2. Corruptissima re pubblica plurimae leges

Un recente studio del Parlamento europeo dal titolo “L’efficacia delle politiche sul conflitto di interessi negli Stati membri dell’UE[5], almeno per quanto concerne la materia del conflitto di interessi, afferma che aumentare il numero di regole e procedure (cioè, gli adempimenti) non è una strategia efficace per contrastare la corruzione e i conflitti di interessi. E non è un caso che, nei paesi in cui i livelli di corruzione sono più elevati, la quantità di norme e politiche in vigore è maggiore (densità normativa superiore) rispetto ai paesi con livelli di corruzione più bassi.

L’effettiva utilità di certe regole o di certe misure di gestione non è dimostrata, né tanto meno dimostrabile. Facendo un parallelo tra anticorruzione e omeopatia, potremmo dire che alcune misure sono efficaci perché interviene un effetto placebo (funzionano perché ci crediamo) oppure perché possono portare dei benefici all’organizzazione (per esempio, possono aiutare a gestire meglio i processi), senza però incidere sul rischio di corruzione. Questa incertezza deriva anche dalla complessità della dimensione organizzativa in cui le misure di prevenzione sono messe in atto, una dimensione “fatta” di ruoli, processi, responsabilità, ma che è direttamente collegata ad altre due dimensioni: la dimensione relazionale, fatta di bisogni, interessi e relazioni, e la dimensione etica, che include le persone, i dilemmi etici e la valutazione valoriale dei comportamenti.

3. Una complessità interconnessa

Il collegamento tra dimensione organizzativa e dimensione etica dipende dal fatto che l’organizzazione è fatta di persone e le persone hanno sistemi morali di riferimento, individuali e collettivi.

Il collegamento tra dimensione organizzativa e dimensione relazionale, invece, avviene su due livelli. Innanzitutto, il sistema pubblico funziona perché al suo interno sono definiti dei ruoli e delle relazioni e questo sistema è strettamente connesso con i soggetti esterni: operatori economici, associazioni, destinatari dei procedimenti, ma anche soggetti che sono nella rete di relazioni dei politici, dei dirigenti e dei funzionari che operano all’interno delle amministrazioni. Le relazioni, insomma, mettono in contatto il sistema pubblico con una molteplicità di sotto-sistemi privati e sono un veicolo che trasporta interessi che possono entrare in convergenza e in conflitto. Le interazioni tra interessi rappresentano proprio il secondo canale di collegamento tra dimensione organizzativa e dimensione relazionale: la gestione dei processi influenza gli interessi primari, secondari e strutturali in gioco in una situazione; li fa interagire. Alcuni interessi entrano in conflitto tra loro, altri vanno in convergenza.

Ogni comportamento adottato all’interno della dimensione organizzativa pubblica modifica gli equilibri tra interessi primari e secondari e può rispettare o violare sistemi valoriali individuali e collettivi. Tutto ciò può far emergere dei dilemmi (fig.1), vale a dire situazioni in cui:

  • un medesimo comportamento che appare vantaggioso, non è moralmente accettabile (dilemma etico “spurio”)
  • oppure un comportamento svantaggioso deve essere adottato in ossequio a determinati valori morali (dilemma del “Martire”)
  • oppure ancora un medesimo comportamento appare giustificabile alla luce di determinati valori morali, ma ne viola contemporaneamente altri (dilemma etico “puro”).

Dimensione organizzativa, dimensione etica e dimensione relazionale non sono quindi sganciate una dall’altra, ma sono piuttosto una complessità interconnessa: una “nuvola” di ruoli, relazioni, interessi, dilemmi e valori.

4. Il Modello evolutivo

Quando si effettua la valutazione del rischio e si programmano le misure di prevenzione, bisogna tenere in considerazione il fatto che il rischio di corruzione si sviluppa in modo tridimensionale.

In particolare, il rischio di corruzione si sviluppa dapprima nella dimensione relazionale (a partire da fenomeni come il conflitto e le convergenze di interessi), attraversa la dimensione etica e si scarica nella dimensione relazionale sotto forma di azzardo morale, cioè nella forma di un comportamento che manipola i processi e causa una caduta dell’imparzialità (ma anche di altro interessi primari dell’amministrazione) dando vita a una gestione “anomala” del processo.

Questo particolare modo di leggere la genesi e lo sviluppo del fenomeno corruttivo è riassunto nella figura 2, che rappresenta il Modello Evolutivo della corruzione.

Come abbiamo avuto modo di sottolineare in un precedente articolo[6],  il Modello Evolutivo non serve solo per spiegare la genesi dei fenomeni corruttivi: consente anche di identificare misure di prevenzione che agiscono su più dimensioni. Se, infatti, la corruzione è un processo lineare che attraversa tre dimensioni (relazionale, etica ed organizzativa), allora è possibile identificare strategie di trattamento del rischio che siano in grado di “bloccare” il processo di sviluppo dei fenomeni corruttivi quando si trova ad attraversare le singole “dimensioni (fig. 3):

  • misure di regolazione degli interessi e standard di gestione delle relazioni
  • sviluppo delle competenze etiche
  • misure di gestione e “protezione” dei processi
  • monitoraggio delle anomalie.

Il pregio di questo modello è la capacità di “tenere insieme” in modo coordinato ed organico tipologie diverse di intervento, che, come vedremo tra poco, sono tutte funzionali ad innalzare il livello di integrità del sistema pubblico: gestione del conflitto di interessi, sviluppo e applicazione dei codici di comportamento, formazione, definizione e attuazione di misure di prevenzione e controlli ex-post sulla gestione dei processi.

5. Le sette qualità di un’organizzazione

Fino ad ora abbiamo scritto cose condivisibili ai più, ma adesso diremo qualcosa di controverso e qualcuno potrebbe non essere d’accordo con noi: ha poco senso identificare eventi di corruzione e valutare la loro probabilità e il loro impatto, con la stessa logica di risk assessment con la quale si calcola, per esempio, quanto è probabile (statisticamente) morire in un incidente aereo, piuttosto che in un incidente stradale, oppure se è più rischioso lavorare 8 ore davanti a un PC, oppure lavorare 8 ore davanti ad una pressa idraulica. Definire livelli differenziati di rischio di corruzione, cioè fare una classifica tra diversi eventi di corruzione, è fuorviante e illusorio, perché alimenta l’idea che possano esistere eventi corruttivi frequenti ma con un impatto scarso, oppure eventi corruttivi devastanti ma impossibili, o ancora eventi di corruzione trascurabili, che possono essere tralasciati, per affrontare eventi di corruzione altamente probabili e con un impatto elevato.

Purtroppo non è così: un evento di corruzione, quando si scarica all’interno della dimensione organizzativa, ha sempre una energia potenziale impressionante, la stessa energia potenziale di una massa d’acqua che fuoriesce da una diga che crolla. Tutta questa forza deriva dal fatto che la corruzione, quando diventa fenomeno organizzativo, ha già attraversato la dimensione relazionale e la dimensione etica, senza trovare alcun ostacolo al proprio processo di sviluppo. Detto in altri termini: il comportamento corruttivo, quando viene messo finalmente in atto nella dimensione organizzativa, sembra essere vantaggioso e giustificabile, sembra essere una soluzione compatibile con un determinato insieme di interessi in gioco che interagiscono e con un determinato sistema di valori.

Valutare il rischio di corruzione ha poco senso, dunque, se l’obiettivo di questa valutazione è indagare la natura della corruzione e prevenire la corruzione più “rischiosa”. Ha senso invece, valutare il rischio per determinare quanto un’organizzazione è vulnerabile alla corruzione, cioè identificare i settori, i ruoli o i processi che sono più fragili e che potrebbero crollare nel terremoto della corruzione.  

Abbiamo identificato sette qualità di un’organizzazione, che possono essere usate per valutare il livello di integrità, vale a dire la capacità dell’organizzazione di opporsi alle dinamiche corruttive:

  • ROLEABILITY: le persone che prendono decisioni hanno chiaro il proprio ruolo, le proprie responsabilità e gli interessi primari che devono essere perseguiti;
  • SURFABILITY: capacità di includere, metabolizzare, mediare e gestire la pressione degli interessi ed i conflitti di interessi;
  • LEADERABILITY: esemplarità dei comportamenti della leadership, capacità di gestione dei comportamenti organizzativi, ethos organizzativo;
  • DISCUSSABILITY: clima inclusivo, condivisione, benessere organizzativo;
  • VISIBILITY: le scelte compiute nel corso del processo sono sufficientemente visibili e documentate, e i flussi informativi sono trasparenti;
  • PROMPTABILITY: tutti i diversi ruoli e le funzioni intervengono adeguatamente nelle attività: (es. risorse e competenze adeguate, procedure idonee, ecc…)
  • ACCOUNTABILITY: responsabilità sociale, capacità dell’organizzazione di identificare e sanzionare i comportamenti non corretti o illeciti.

Il rischio di corruzione è inversamente proporzionale al livello di integrità, cioè diminuisce se l’integrità aumenta. Le qualità dell’organizzazione hanno una distribuzione “tridimensionale” (fig. 4) e possono essere usate anche per definire le misure di prevenzione e valutare la loro efficacia.

6. Breve catalogo ragionato delle misure anticorruzione

Concludiamo questo articolo con una breve disamina (sicuramente non esaustiva) delle principali misure anticorruzione. Chiariremo l’impatto di queste misure sulle dimensioni organizzativa, etica e relazionale e la loro capacità di promuovere le diverse qualità organizzative. Nel nostro breve catalogo le misure sono suddivise in tre gruppi, che corrispondono ai tre obiettivi strategici identificati nel Piano Nazionale Anticorruzione 2013[7].

6.1 Ridurre le opportunità che si manifestino casi di corruzione.

Il primo gruppo di misure anticorruzione che prenderemo in considerazione agisce esclusivamente nella dimensione organizzativa e sono misure di “protezione” dall’azzardo morale.

In questo gruppo rientrano i controlli di primo livello e le diverse procedure che vincolano la gestione dei procedimenti e che sono contenute nella normativa, nei regolamenti adottati dall’amministrazione oppure nel Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione. Procedure e controlli aumentano la Visibility, perché contribuiscono a ridurre le asimmetrie informative presenti all’interno dell’amministrazione; e la Promptability, perché consentono agli uffici di gestire adeguatamente le proprie attività.

A questo primo gruppo appartengono anche le misure di Trasparenza, vale a dire gli obblighi di pubblicazione sanciti dal d.lgs.. n. 33/2013, l’accesso documentale previsto L. n. 241/1990 e l’Accesso Civico Generalizzato. Questi strumenti, infatti, oltre ad aumentare la Visibility, hanno un effetto positivo sulla Accountability, perché consentono ai destinatari dell’attività amministrativa e alla collettività di conoscere e valutare l’operato delle amministrazioni.

6.2 Creare un contesto sfavorevole alla corruzione

Il secondo gruppo di misure di prevenzione agiscono anche al di fuori della dimensione organizzativa e supportano la gestione dei dilemmi e dei conflitti di interessi, cioè di fenomeni che si evidenziano a monte dell’azzardo morale.

In questo gruppo rientra la formazione del personale che, non a caso, ha carattere di obbligatorietà e deve essere organizzata annualmente. Esistono diversi tipi di formazione, che consentono di sviluppare qualità specifiche: la formazione “tecnica” (aggiornamento professionale) rafforza la dimensione organizzativa, perché promuove Promptability, Visibility e Accountability; la formazione valoriale, invece, sviluppa Discussability e Leaderability. La formazione sul conflitto di interessi, infine, si pone su una dimensione del tutto diversa, perché agisce nella dimensione relazionale ed aumenta la Surfability e la Roleability.  

Anche l’adozione di Codici di comportamento è una iniziativa di carattere organizzativo, che però rimanda ad altre dimensioni: gli standard di comportamento, infatti, intervengono nella dimensione etica e relazionale e promuovono Roleability e Leaderability.  

Infine, le misure di gestione del conflitto di interessi consentono di incidere su uno dei più rilevanti precursori della corruzione. Tali misure dovrebbero prendere in considerazione anche i conflitti tra interessi primari, le incompatibilità e le convergenze tra interessi primari e secondari che mettono a rischio l’imparzialità. E garantire un potenziamento della dimensione relazionale, in termini di Surfability e Roleability, ma anche un aumento della Visibility.

 6.3 Aumentare la capacità di scoprire casi di corruzione.

Il terzo e ultimo gruppo di misure è finalizzato ad individuare eventuali casi di corruzione che sono “sfuggiti” al sistema di prevenzione. Rientrano in questo gruppo le misure di gestione del whistleblowing e i controlli di secondo e terzo livello, che sono finalizzate ad identificare condotte illecite oppure anomalie che potrebbero essere indicative di eventi corruttivi.

C’è ancora molto da fare, per rendere le organizzazioni nelle condizioni di rilevare adeguatamente gli eventi di corruzione. La tutela del whistleblowing, per esempio, viene spesso ridotta ad un semplice problema tecnologico, che si risolve mettendo a disposizione dei segnalanti piattaforme di comunicazione che garantiscano la loro riservatezza. Ovviamente, la riservatezza è importante, così come è fondamentale tutelare chi segnala da eventuali ritorsioni, ma è riduttivo interpretare il whistleblowing come se fosse, semplicemente, un flusso informativo da gestire in sicurezza. Il whistleblowing è innanzitutto un dilemma: il dilemma vissuto da un soggetto che deve decidere se tollerare le dinamiche illecite in atto nella sua amministrazione (e che l’amministrazione spesso finge di non vedere), oppure se denunciare tali dinamiche, rischiando in prima persona. In secondo luogo, il whistleblower rivendica l’importanza della Roleability, cioè ricorda alla propria organizzazione che ci sono interessi primari che sono messi in pericolo e che devono invece essere sempre promossi.

In futuro le politiche di gestione del whistleblowing dovrebbero, a nostro parere, tendere verso un obiettivo solo apparentemente paradossale: rendere superflui i segnalanti, attraverso iniziative tese ad aumentare la Visibility, la Discussability e la Roleability delle organizzazioni; e definire processi trasparenti e condivisi di identificazione e fronteggiamento dei comportamenti illeciti.

Il raggiungimento di questo obiettivo dipende in gran parte dal modo in cui si svilupperanno i controlli di secondo e terzo livello.

Attualmente, i controlli sulle amministrazioni sono svolti da una molteplicità di soggetti e prendono in considerazione diversi aspetti: la regolarità amministrativo-contabile; il rispetto delle misure di prevenzione della corruzione; il rispetto degli obblighi di trasparenza; la performance;l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa; congruenza tra gli obiettivi realizzati e programmati, ecc…

In questo quadro, così complesso, dovrebbero trovare spazio anche processi di integrity auditing, in grado di rilevare efficacemente non soltanto eventuali anomalie ed azzardi morali, ma anche fenomeni precursivi della corruzione (conflitti di interessi non gestiti, convergenze a rischio, asimmetrie informative) ed altre “non conformità” che mettono a rischio l’integrità dell’organizzazione.


[1] https://www.legalitaincomune.it/it/progetti/agenda-190

[2] https://www.legalitaincomune.it/it/progetti/legalita-in-comune

[3] https://www.legalitaincomune.it/it/progetti/por-legalita

[4] Nella nostra analisi faremo riferimento al “Modello Evolutivo” (che descrive la genesi e lo sviluppo dei fenomeni corruttivi) e le “Sette qualità delle organizzazioni” (che consentono di valutare il livello di integrità). Per approfondire questi argomenti, si rimanda all’Archivio registrazioni webinar di formazione generalista presente sul sito Legalità in Comune (https://www.legalitaincomune.it/it/progetti/por-legalita) e al sito www.spazioetico.com .

[5] Studio comparativo pubblicato a dicembre 2020, commissionato dal dipartimento tematico Diritti dei cittadini e affari costituzionali del Parlamento europeo, che analizza l’efficacia delle pertinenti norme, politiche e pratiche adottate negli Stati membri in materia di conflitto di interessi per quanto riguarda le nomine politiche ad alto livello (capo del governo, ministri e altri funzionari di livello elevato).

[6] “Prima e Dopo la corruzione. Prevenire e proteggersi dal fallimento etico”

[7] PNA 2013, § 2.3: “Obiettivi strategici ed azioni”