Anticorruzione. Tra mito e realtà.

ATTENZIONE! Questo non è un post qualunque. Questa è una “strenna di Capodanno”. Una usanza antica e forse passata un po’ di moda.

La strenna (come ci ricorda l’Enciclopedia Treccani) è un “dono che si fa a parenti, amici, conoscenti, o che una ditta fa a clienti o a dipendenti, in occasione di festività annuali” . Niente a che spartire con il munus, cioè al dono che impone un obbligo. La strenna è un dono di buon augurio. Noi almeno, lo intendiamo così.

La nostra strenna del 2020 (e per il 2021) è un divertissement, senza alcuna pretesa. Perché crediamo che questo sia il migliore augurio che possiamo farvi per il 2021: che, al di sopra di tutte le difficoltà della vita, possiate trovare sempre qualcosa di divertente (e di vitale) nel vostro lavoro. Che la nostra (e vostra) professionalità non si esprima soltanto nella capacità di interpretare e gestire il presente, ma anche nella voglia di immaginare nuovi mondi. E a volte di credere in un futuro migliore.

Buon 2021 a tutti!


Il mistero dei sassi di Monte Verza.

Negli anni ‘30 dell’Ottocento un escursionista francese, André Forgeron, scoprì in una grotta del Monte Verza (la principale vetta della Val Crauta, in Lombardia) un mucchio di sassi bianchi ricoperti da stranissime iscrizioni.

Dopo averli usati per allestire un falò e avere passato la notte, l’escursionista intuì il valore della loro scoperta e, con un epico sforzo, riportò i sassi a valle e li trafugò in Francia. Il prezioso reperto, dopo alterne vicende, finì custodito negli scantinati del Museo del Louvre e ivi rimase per più di un secolo, dimenticato dal mondo. 

Il Monte Verza in una cartolina di fine Ottocento.

L’attenzione del mondo accademico si è però risvegliata allorché, nel 2001, un giovane ricercatore francese, Maxim De Riens, scrisse un primo articolo sull’argomento: “Les mystérieux cailloux du Mont Verza”, che segna il punto di avvio di una intensa ricerca finalizzata a tradurre le iscrizioni incise sugli antichi sassi. 

Nel 2020 il professor De Riens ha completato, dopo anni di duro lavoro, la propria traduzione ed ha annunciato al mondo una sensazionale scoperta: quello scritto sui sassi di Monte Verza è un antichissimo poema, che racconta le gesta di Agon e Dolos e di una misteriosa popolazione ancestrale: gli Errepiciti. 

I Sassi di Monte Verza (foto di M. De Riens)

Purtroppo, la sensazionale scoperta è passata in secondo piano, a causa dell’emergenza Covid-19: i giornali e le testate online avevano troppe statistiche epidemiologiche e info-grafiche dei DPCM da pubblicare, per trovare uno spazio per notizie di tipo culturale. 

Noi di Spazioetico abbiamo casualmente letto questa notizia su Totoscommesse (l’unico giornale di riferimento per noi, in questi tempi di incertezza) e siamo rimasti stupiti dalle somiglianze che esistono tra la cultura degli Errepiciti e l’Italia odierna.

Gli Errepiciti, per esempio, vivono sotto terra e le loro case sono costruite all’interno di pubbliche amministrazioni invase da mostri mitologici. Il più pericoloso di questi mostri è un drago senza ali chiamato Corruzione.

Anche l’Olimpo degli Errepiciti è di notevole interesse! Gli dei degli Errepiciti sono molto crudeli: il dio Tar vessa continuamente i mortali, insieme a Nomos, che lancia come tegole le proprie leggi sulla testa dei malcapitati Errepiciti, per farli impazzire. A poco serve l’intervento del dio Anac, il quale, come Prometeo, dona agli Errepiciti un misterioso oggetto magico: l’Allegato Cinque, che tuttavia non funziona. Solo il provvidenziale intervento dei due impostori, Agon e Dolos (dediti al culto di una divinità minore chiamata Spazioetico) salverà la situazione, nella totale indifferenza degli dei. 

Ma non vogliamo svelarvi tutta la storia…


Il Poema di Agon e Dolos

Vi proponiamo di seguito il testo integrale in versi del poema di Agon e Dolos, che abbiamo indegnamente tradotto dal francese, non avendo alcuna conoscenza della arcaica lingua errepicita. 

Il testo è accompagnato dalle pregevoli illustrazioni dell’autore ed è corredato da utili note di commento.


O Musa mia che ormai da molti anni

vivi nei ripostigli polverosi

e negli armadi, tra gli attaccapanni,

rendi i miei versi chiari e melodiosi

perché stonata e confusa è la storia

che canterò. Storia di due impostori

storia di inutili Dei senza gloria

storia che narra il sopra, il sotto e il fuori.

Il Dio Tar

In un tempo perduto nella notte

dei tempi il Dio Tar dal Monte Spada

scendeva sol per dare molte botte

col martellon a chi perdea la strada.

La stirpe umana ancora non riempiva

la Madre Terra in questi tempi antichi

Ma una diversa gente primitiva:

mezzuomini chiamati Errepiciti… (1)

Gli Errepiciti

Ma in quei giorni lontani i Numi tosto  

divennero crudeli coi mortali:

sulla griglia venivan fatti arrosto

oppure, stretti in vincoli formali,

dal Divo Tar subivan la sanzione!

E il martellon di Tar rase la casa

a popoli di cui soltanto il nome

oggi ci resta: i Rup, i Dec e i Rasa!

Gli Errepiciti, per fuggir tal sorte,

dentro le pubbliche amministrazioni 

scavarono le loro case storte

fatte di carta straccia e di faldoni.

Triste esistenza degli Errepiciti

in case prive di illuminazione!

Tra tenebre e processi mal gestiti

si corrompeva l’amministrazione.

Il Dio Anac

Ma un dì in soccorso al volgo errepicita 

accorse Anac dall’addome pingue (2)

Anac il semi-dio con svelte dita

rubò a sua madre l’Allegato Cinque (3)

e lo donò alla mortale gente.

Gli Errepiciti preser l’Allegato

ma ad essi fu assai chiaro immantinente

che non avrebbe giammai funzionato!

L’Allegato Cinque

Ahi crudel Anac, divo ingannatore

gridaron dalle case senza luce

gli Errepiciti pieni di rancore

il tuo Allegato Cinque ci conduce

fuori strada, se proviamo con esso 

a illuminare l’amministrazione 

oppure a veder se in qualche processo

s’annida il mostro della corruzione!”

Sappia il lettore che in quei tempi antichi 

nei pubblici luoghi, dove scavate

eran le case degli Errepiciti,

vivevano creature depravate:

la corruzione, drago senza l’ali,

strisciava tra gli uffici notte e giorno

E avvelenava il cuore dei mortali

che nel buio giravan tutt’attorno. 

Avrebbero voluto muover guerra

di certo i nostri miseri antenati

al mondo in cielo e al mondo sotto terra

ma non potean: mezzuomini eran nati.

Il secondo Allegato non era migliore del primo …

Ad Anac giunsero i lamenti loro,

che dalle olimpiche guerre fiaccato

potè soltanto, con suo gran disdoro,

far dono ad essi di un nuovo Allegato.

Ma avendo perso in Anac la fiducia (4)

del seme errepicita l’empia prole

si volse a due impostor che con audacia

facevano commercio di parole.

Agon e Dolos

Agon e Dolos era il loro nome. 

Aveva lingua svelta e mente furba

Agon il vecchio dalle corte chiome,

Dolos invece aveva folta barba

lunghi capelli ed uno sguardo truce.  

Di Spazioetico i due eran profeti, 

il dio che scioglie il buio nella luce

coi suoi dilemmi e i suoi casi concreti.

Divinità perdente, Spazioetico

viveva nei sobborghi dell’Olimpo

in povertà, cacciato come eretico

da Tar, perché in un remoto tempo

Nomos sfidò, Signore delle Regole,

che fatto con le nuvole un balcone,

getta ai mortali leggi come tegole

fino a condurli alla disperazione. 

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Luce, luce!” gridan gli Errepiciti 

ma domande strane e vane speranze 

pongono ai due, perché sono storditi

dalle dolci e psicotrope sostanze

che Nomos con le leggi avea donato 

ad essi con l’aiuto del dio Cannabis.

Spiegami” dice uno “il combinato

disposto del comma 205-bis

dell’articolo 6 di quella Legge 

modificata poi dal tal Decreto

e del comma 22 che più non regge

dell’articolo 30 mai abrogato!

Agon e Dolos non avean risposte

a queste domande. E così pian piano

nei cuori errepiciti il dubbio sorse 

che fossero impostori. Ma ecco un piano

tosto balena ad Agon nella mente:

Agon il Furbo

Noi della pubblica amministrazione

dice a Dolos “la lingua deprimente

dobbiamo apprender senza esitazione”

E poco dopo, il mortal gergo appreso,

tornaron dalla gente sotterrata

Agon e Dolos, presso un fuoco acceso

parlando legalese errepicita:

Agon dice a Dolos “sai, l’illecito

disciplinare è certo un ircocervo

giuridico”. E Dolos: “Ti sollecito

a notar l’orribile coacervo” 

risponde ad Agon “ del nesso eziologico

irrilevante, ipso facto illusorio,

probabilistico e del pari illogico

del tuo supposto schema probatorio!” 

Mentre i due continuavano a parlare

gli Errepiciti lentamente giunsero

sentendo quella lingua familiare.

Agon e Dolos allora li spinsero

fuori dal buio, come pifferai,

fuori a vedere il dilemma del mondo:

luce fioca che passa tra gli dei

ciechi del cielo e l’inferno profondo.  

Anac non seppe mai di questa fuga

nella luce, a metà tra bene e male.

Di loro non si prese più la briga,

gli bastava un sacrificio annuale

da parte dei mortali sfortunati,

un olocausto di parole vane:

la Relazione degli Errepiciti (5),

l’osso portato da un fedele cane.

Dolos il Barbuto

E corre il tempo come un fiume in piena 

sulla memoria di persone e cose.

Dissolto si è il dio Anac come rena

e Agon, Tar, gli Errepiciti. Ed erose

arriveranno a voi anche le parole

che sulla pietra, come un saluto,

nell’ombra che non è buio né sole,

scolpito ha Dolos, l’impostor barbuto.


Un’iscrizione scolorita

Quando stavamo terminando di scrivere questa strenna di fine anno, Maxim de Riens ha comunicato al mondo di avere trovato la prova certa dell’esistenza storica di Agon e Dolos.

Si tratta di una iscrizione scritta su un lungo sasso, rinvenuto a Roma alla vigilia del cinquantennale dell’avvio dei lavori di manutenzione del selciato di Campo dei Fiori. Nei pressi di questa piazza, universalmente nota per il rogo di Giordano Bruno e per una allegra canzone di Antonello Venditti, nell’antichità sorgeva il Teatro di Pompeo.

Il lungo sasso ingiallito (che proviene presumibilmente da un antico vespasiano) riporta un’iscrizione scolorita nell’antica lingua errepicita. Il professor De Riens la attribuisce con estrema certezza a Dolos, l’impostore barbuto. L’iscrizione riporta queste solenni parole: 

Per amor di verità e per interesse raccontammo storie 

e di dilemmi salvifici con Agon fummo ordinati tessitori”.


Note al testo

(1) “mezzuomini chiamati Errepiciti…”: presumibilmente è questo il nome dell’antico popolo protagonista del poema, anche se nei sassi di Monte Verza tale popolo è indicato solo con l’acronimo RPCT. A onor del vero, sono possibili anche altre interpretazioni dell’acronimo, tramandate da fonti successive. Erodoto, per esempio, parla del popolo dei Repeciti. Mentre Plinio il Vecchio, nel catalogo riportato nel De extinctis antiquissimisque gentibus, cita gli Arpoceti.

(2) “accorse Anac dall’addome pingue”: gli Errepiciti rappresentavano il dio Anac come obeso. Il dio infatti, secondo la mitologia errepicita, aveva divorato Avcp, una divinità ancestrale dal nome impronunciabile, assai temuta da coloro che si occupavano di approvvigionamenti.

(3) “rubò a sua madre l’Allegato Cinque”: si tratta di un oggetto assai misterioso, che nella iconografia errepicita assomiglia molto ad un orinatoio. In realtà l’Allegato 5 (in alcune iscrizioni dell’antica Roma viene riportato con il nome latinizzato di “Ligatum V”) era una stele di marmo che raccoglieva la damnatio memoriae del suo scopritore, tale Caius Padellarus Emeritus, abitante della città che ora viene chiamata Merida in Spagna. Padellarus rinvenne l’Allegato 5 in scavi archeologici errepicitici e, come erano soliti fare i “consulentes” dell’epoca, se ne arrogò indebitamente il titolo di inventore. Ma un triste destino lo attendeva.
L’Imperator Traiano decise di applicare il Ligatum V perché Roma era travolta da scandali di corruzione. Ma l’empio documento non sortì alcun effetto calcolando come “media” i rischi di corruzione nelle Province romane esposte, invece, a traffici di interessi di ogni tipo. Per questo Padellarus fu incarcerato e condannato ad una morte ignominiosa. Ma fuggito al suo destino una notte dopo aver corrotto i carcerieri, portò con sé l’empio documento nella sua patria Merida. Dopo la sua morte, scoperta la sua infamia, il documento venne sotterrato insieme a Padellarus. Fu ritrovato fortuitamente negli stessi giorni in cui fu proclamata la nota Convenzione di Merida. E da quel giorno l’allegato diventò il simbolo della lotta alla corruzione, anche se in realtà porta in sé la sciagura e la sventura di chi se ne attribuì ignominiosamente ogni merito.

(4) “Ma avendo perso in Anac la fiducia” : in realtà iscrizioni più antiche sembrano lasciar intendere che il declino del dio ANAC fosse dovuto anche a questioni politiche in seno all’Olimpo. Una rara pandemia colse di sorpresa il popolo degli Errepiciti e li rese poveri e affamati nelle loro buie case. Gli Dei, vedendo un tale sfacelo, incolparono il dio ANAC della scarsa capacità dei mortali di spendere in commerci. A questo si deve aggiungere il fatto che proprio in quello stesso periodo i sacerdoti del tempio del dio Anac morirono tutti per la grave pestilenza e furono sostituiti. I nuovi sacerdoti erano all’oscuro delle prerogative e dei compiti del dio e cominciarono ad occuparsi di altro. Il declino, a quel punto, fu inarrestabile.

(5) “la Relazione degli Errepiciti” : la Relazione degli Errepiciti era un adempimento sacrificale che ogni anno veniva richiesto dal semidio ANAC. Era un atto del tutto privo di efficacia sostanziale, ma costituiva di fatto un rituale a cui l’atterrito popolo errepicita si sottoponeva per timore di presunte ritorsioni divine. Anac predisponeva persino un formato sacrificale che gli Errepiciti potevano scaricare dall’Olimpo: “Un indistinguibile coacervo di assurdità!” tuonò una volta un eretico errepicita, immediatamente fulminato da un Parere vincolante.