La formazione con i dilemmi etici

I dilemmi etici sono strumenti didattici di fondamentale importanza in ambito formativo, per diversi motivi:

  • mettono i partecipanti a diretto contatto con situazioni della loro vita lavorativa (real-case scenario) calando le tematiche oggetto di formazione in contesti specifici ad alto grado di complessità;
  • impongono ai partecipanti l’uso di capacità decisionali etiche, che, se assenti, rappresentano un fattore di rischio per le organizzazioni. Contribuiscono, in questo modo a sviluppare l’autonomia e la responsabilità degli Agenti, rafforzando lo “spazio etico” individuale e l’”ethos organizzativo”;
  • possono essere adattati a particolari contesti organizzativi, generando notevole interesse e coinvolgimento.

Da un punto di vista “strutturale” i dilemmi etici sono situazioni che si caratterizzano rispetto ad altre situazioni perché posseggono almeno i seguenti elementi:

  • la presenza di un Agente che deve compiere una scelta;
  • la presenza di molteplici opzioni;
  • a seconda della decisione intrapresa, la caduta di alcuni “interessi” (primari o secondari) e la promozione di altri “interessi” (primari o secondari).

L’apprendimento attraverso i dilemmi etici nella prevenzione della corruzione è paragonabile all’apprendimento della storia e della filosofia nella scuola. Conoscere le misure di contrasto alla corruzione non basta. Occorre comprendere come i meccanismi che sono alla base delle dinamiche corruttive, e, cioè, le vulnerabilità organizzative, la configurazione degli interessi ed i meccanismi di automanipolazione, influenzino l’agire degli Agenti pubblici in concreto.

I fondatori di Spazioetico (Massimo Di Rienzo & Andrea Ferrarini) utilizzano i dilemmi etici in formazione praticamente da quando la legge 190/2012 ha inserito la misura della formazione nell’architettura della prevenzione della corruzione, rendendola obbligatoria per le organizzazioni pubbliche.

Il dilemma è “etico” se prende in considerazione le fondamenta logico-razionali di una scelta e la dinamica delle relazioni e degli interessi in gioco.

Non è, ad esempio, un dilemma “etico” la scelta che si pone davanti ad un Agente che deve interpretare a quale disposizione normativa la sua scelta debba ottemperare.

E’ un dilemma “etico”, invece, la scelta che si pone davanti ad un Agente il quale si trovi a valutare se segnalare o meno una condotta illecita che ha appena osservato all’interno della sua organizzazione. In questo secondo caso, la dinamica delle relazioni (leadership-followership) è in grado di determinare un potente condizionamento e ostacolare la promozione di interessi sovraindividuali, quali la tutela di un diritto o di una organizzazione.

I dilemmi etici di Spazioetico: sotto la superficie della corruzione

5 regole per DILEMMI ETICI efficaci nella formazione

“La nostra indagine non è diretta verso i fenomeni, ma verso le possibilità  dei fenomeni” (Ludwig Wittgenstein – Ricerche Filosofiche)

I dilemmi etici di Spazioetico non si concentrano sui fenomeni corruttivi (mettendo in competizione comportamenti illeciti e comportamenti leciti) ma sulla possibilità dei fenomeni corruttivi: si concentrano sui bias cognitivi, sulla manipolazione della percezione etica e su altri meccanismi non razionali che possono, in qualche modo, offuscare il giudizio morale sui comportamenti.

Gli Agenti coinvolti in eventi di corruzione sono influenzate da scorciatoie mentali e false categorizzazioni delle azioni (i cosiddetti “bias cognitivi”), dalla pressione che ricevono dal contesto sociale e organizzativo a cui appartengono, dalle norme non codificate e dalle prassi delle organizzazioni e così via.

I dilemmi etici di Spazioetico esplorano in profondità l’irrazionalità degli Agenti attraverso i condizionamenti che vengono generati dal contesto organizzativo e dalla fallibilità dei meccanismi decisionali individuali.

I dilemmi etici di Spazioetico: identificazione e proiezione

“La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta […] la quale per mezzo della pietà e della paura finisce con l’effettuare la purificazione da tali passioni”. (Aristotele – Poetica)

I dilemmi etici di Spazioetico hanno una forma narrativa, sono mimesis delle dinamiche che si verificano realmente all’interno delle organizzazioni:

  • hanno la forma di storie in cui ci sono protagonisti e co-protagonisti che interagiscono ed agiscono all’interno di contesti organizzativi ben definiti;
  • prevedono il verificarsi di eventi critici che rompono gli equilibri tra interessi in gioco o che interferiscono con la gestione dei processi, rendendo la decisione necessaria
  • seguono, passo dopo passo, i ragionamenti che possono condurre i protagonisti a scegliere determinati comportamenti non ottimali;
  • si concludono con un fallimento etico, che implica sempre la caduta di un interesse primario, ma non necessariamente l’emersione di un evento corruttivo.

Una struttura è drammatica quando richiama a grandi linee la struttura della tragedia greca. E allo stesso modo consente a chi affronta il dilemma una proiezione, attraverso una identificazione dei protagonisti del caso, ma anche un distanziamento.

I dilemmi etici di Spazioetico: non solo valori, ma anche processi, interessi e relazioni

Tradizionalmente un dilemma etico fotografa lo snodo di un processo decisionale in cui esistono due comportamenti alternativi, che sono entrambi accettabili (o inaccettabili) dal punto di vista etico[1]. Questi dilemmi etici “puri” (che prendono in considerazione esclusivamente la dimensione etica) sono indubbiamente esperimenti mentali utili per analizzare le percezioni (e i limiti) dello spazio etico individuale; ma descrivono delle situazioni abbastanza irreali.

Per questo Spazioetico ha deciso di sviluppare dilemmi etici misti, cioè multidimensionali, in cui entrano in gioco variabili di tipo organizzativo (ruoli e processi), economico (gli interessi) e relazionale. I dilemmi etici misti sono molto utili per analizzare il processo decisionale delle organizzazioni pubbliche che, a differenza del processo decisionale degli individui, si svolge sotto la pressione dei vincoli normativi e degli interessi primari e secondari che possono essere influenzati dalle decisioni; e si sviluppa all’interno di reti relazionali complesse e caratterizzate da una notevole ambiguità. 

Ovviamente, i dilemmi etici misti si prestano ad essere studiati sotto diversi punti di vista, anche grazie alle schede di analisi sviluppate da Spazioetico, che consentono di identificare:

  • le interazioni tra gli interessi primari, secondari e strutturali,
  • gli azzardi morali (eventi a rischio di corruzione) che si potrebbero generare a valle del dilemma etico,
  • i fattori abilitanti, che rendono vulnerabili i processi in cui i dilemmi hanno luogo.

I dilemmi etici come strumenti per andare oltre la “conformità formale” (compliance)

La definizione di “spazio etico“, introdotta da Lord Moulton attraverso la celebre parafrasi del “comportamento non esigibile per legge” coglie uno degli aspetti più interessanti della fragilità delle organizzazioni (pubbliche o private). L’organizzazione funziona un po’ come una forte struttura che regola, attraverso precise prassi e norme di comportamento, la vita di soggetti che provengono da situazioni molto diverse. Al di fuori di un rigido controllo, tuttavia, cosa avviene? Come prendono effettivamente le decisioni le persone che ci lavorano? Che grado di autonomia esprimono nel loro processo decisionale? Come risolvono i dilemmi etici a cui sono chiamati a rispondere nella quotidianità e nella complessità del loro lavoro?

In effetti, di fronte ai cosiddetti “dilemmi etici” la struttura viene meno, così come vengono meno i confini comportamentali costituiti dalle relazioni tra pari e con la leadership.

Ed ecco che entra in gioco il “comportamento non esigibile per legge”, cioè, lo spazio etico. Se questa dimensione non è stata presidiata, se lo spazio etico non è stato alimentato (ad esempio attraverso la riattivazione di un pensiero forte ed una posizione etica anche sulle piccole scelte operate quotidianamente) il singolo Agente rischia di non saper affrontare la complessità della scelta. La conquista di un proprio spazio etico, pertanto, è parallela alla conquista dell’autonomia.

La perdita di autonomia è un fenomeno dilagante e che a vari livelli coinvolge tutti i settori e gli ambiti professionali nei quali siamo inseriti.

La capacità di prendere decisioni etiche in piena autonomia, in particolare, è stato in questi anni un problema reale per il nostro Paese, sia a livello politico che amministrativo. L’etica, in questo caso, ha a che fare con la tutela dell’interesse primario (pubblico o privato) all’esclusivo perseguimento del quale gli Agenti dovrebbero essere orientati nel momento in cui compiono una scelta.

Al di là della cura degli interessi primari, ci sono altri fenomeni che stanno profondamente intaccando la tenuta etica degli Agenti pubblici. Si tratta del fenomeno dell’ipertrofismo legislativo, cioè, della proliferazione di leggi, norme, regolamenti, codici, che sta determinando un fenomeno di “corsa all’adeguamento” e che produce nuove forme di nevrosi quali, ad esempio, l’ipengiofobìa, cioè la paura di assumersi responsabilità o la nomodipendenza, cioè la dipendenza dalle leggi. Entrambi i fenomeni nascondono un profondo disagio. Abbiamo precedentemente visto come le regole producono certezze, ma troppe regole, invece, producono incertezze, nel senso che, quando ci sono troppe regole le persone cominciano ad aver paura di infrangerle.

Le persone cominciano ad essere ossessionate dall’ottemperanza (adeguamento) alle regole che diventano, di fatto, l‘unico obiettivo. Le pratiche sono svolte seguendo tutte le procedure e questa è l‘unica cosa che conta. In poche parole, le persone smettono di pensare. In altri casi, quando ci sono troppe regole le persone cominciano a non poterne fare a meno. Le regole vengono percepite come un modo per aumentare la performance dell‘amministrazione. Le persone cominciano a richiedere ancora più regole perché l‘assenza di regole le fa sentire inadeguate. Anche in questo caso, purtroppo, le persone smettono di pensare.

Mai come in questa fase, pertanto, accanto alla predisposizione di norme, regole, procedure, policy, regolamenti, ecc., occorre rafforzare il cosiddetto “spazio etico” del professionista ed ottenere una piena comprensione e condivisione delle regole e dei valori che costituiscono le fondamenta etiche dei comportamenti.

L’approccio socio-costruttivista e la valenza formativa dei dilemmi etici

Una delle criticità più evidenti e distorsive dell’attuazione delle strategie di prevenzione della corruzione è lo scarso coinvolgimento degli attori interni, cioè dei dipendenti e del management. Questo perché le metodologie e gli strumenti che attivano la partecipazione ed il coinvolgimento degli attori interni alle organizzazioni (pubbliche e private) sono in netto contrasto con le attuali pratiche formative. Siamo dell’avviso che occorra promuovere con forza le metodologie di apprendimento “non formale”, cioè, tutto ciò che è diverso dal “formale” rappresentato in maniera specifica dalla lezione e dai metodi di apprendimento legati alla centralità del testo e del docente.

I dilemmi etici costituiscono un potente vettore di coinvolgimento cognitivo ed emotivo. L’identificazione proiettiva che essi producono agevola un certo livello di introspezione e di riflessione attiva.

I dilemmi etici contribuiscono a costruire un clima ideale per una gestione “socio-costruttivista” della relazione di apprendimento.

L’approccio socio-costruttivista propone un’educazione costruita insieme tra formatori e partecipanti, dove il centro del processo educativo è sempre il partecipante.

I punti qualificanti del costruttivismo sono l’attenzione al contesto di apprendimento, la centralità del soggetto che apprende, la costruzione sociale della conoscenza attraverso la negoziazione interpersonale e cooperativa dei significati e la diversità/molteplicità delle strategie, dei processi e degli approcci conoscitivi.

Rispetto alle più tradizionali modalità di insegnamento, il centro dell’attenzione è spostato sul soggetto che apprende in modo non passivo, ma attivo: con altre parole si potrebbe sostenere che il socio-costruttivismo costruisce sul sapere posseduto dal partecipante che produce conoscenza e nuovo sapere partendo da sé stesso e dal confronto con il gruppo dei suoi pari.

Dilemmi etici e prevenzione della corruzione

Tutte le organizzazioni pubbliche italiane hanno dato il via ad un’azione di prevenzione della corruzione per molti versi carica di aspettative e di questioni ancora tutt’altro che definite, in attuazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione“. Le strategie si sono consolidate nei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione, documenti di programmazione contenenti varie misure obbligatorie che, nello spirito del legislatore, dovrebbero raggiungere obiettivi a breve e a medio-lungo periodo di riduzione del fenomeno della corruzione e di promozione della cultura dell’integrità all’interno del settore pubblico.

Dei tre obiettivi strategici posti dal Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.), il terzo “creare un contesto sfavorevole alla corruzione” è di certo quello più sfidante. Un obiettivo di medio-lungo periodo che impone un investimento in cultura organizzativa, ma soprattutto in una diversa “qualità etica” dell’amministrazione. Per “qualità etica” intendiamo l’insieme delle condizioni necessarie per il raggiungimento di un clima etico all’interno dell’amministrazione, che riflettono la capacità dell’amministrazione stessa di stimolare la condotta etica dei dipendenti pubblici.

Il Piano Nazionale Anticorruzione, alla sezione 3.1.12., propone anche per l’Italia l’attivazione di questa pratica attraverso una specifica misura obbligatoria “FORMAZIONE”, che deve essere inserita nel Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (P.T.P.C.).

In virtù di tale disposizione, le amministrazioni dovranno attivare percorsi formativi su due livelli:

  • livello specifico, rivolto al responsabile della prevenzione, ai referenti, ai componenti degli organismi di controllo, ai dirigenti e funzionari addetti alle aree a rischio;
  • livello generale, rivolto a tutti i dipendenti: riguarda l’aggiornamento delle competenze (approccio contenutistico) e le tematiche dell’etica e della legalità (approccio valoriale).

In particolare, il Piano Nazionale Anticorruzione, a proposito di formazione generale con approccio valoriale, riporta: “Le amministrazioni debbono avviare apposite iniziative formative sui temi dell’etica e della legalità: tali iniziative debbono coinvolgere tutti i dipendenti ed i collaboratori a vario titolo dell’amministrazione, debbono riguardare il contenuto dei Codici di comportamento e il Codice disciplinare e devono basarsi prevalentemente sull’esame di casi concreti; deve essere prevista l’organizzazione di appositi focus group, composti da un numero ristretto di dipendenti e guidati da un animatore, nell’ambito dei quali vengono esaminate ed affrontate problematiche di etica calate nel contesto dell’amministrazione al fine di far emergere il principio comportamentale eticamente adeguato nelle diverse situazioni“.

La prima generazione della formazione in materia di prevenzione della corruzione vedeva docenti e partecipanti impegnati nell’interpretare la normativa e nel decodificare la strumentazione a volte piuttosto incoerente messa a disposizione. Più che di “formazione” si sarebbe dovuto parlare di “aggiornamento professionale”. Il fabbisogno formativo era guidato dalla emergente normativa e della fitta regolamentazione che è stata adottata in seguito. L’approccio “casi concreti” era una indicazione metodologica già presente nel PNA 2013, ma rappresentava poco più che una scommessa giocata da alcuni formatori (noi di Spazioetico).

La seconda generazione della formazione ha visto crescere la qualità della domanda che è stata progressivamente “guidata” dall’organizzazione committente. Si individuavano aree specifiche e si richiedevano interventi che fossero maggiormente contestualizzati non solo rispetto alla tipologia di amministrazione ma anche rispetto ai diversi processi e aree a rischio all’interno della stessa organizzazione. L’approccio “casi concreti” era un’opzione, anche se ormai nota, che caratterizzava una certa offerta formativa. Stiamo parlando degli anni 2016-2019.

La terza generazione della formazione, quella che ci potrebbe vedere impegnati in futuro, è ancor più orientata dalla consapevolezza dei committenti (RPCT, uffici formazione), i quali cominciano a comprendere che la dimensione organizzativa è solo il luogo dove si scarica la corruzione, ma che la dimensione economica ed etica, le reti di relazioni, i conflitti di interessi ed i bias cognitivi, per intenderci, sono elementi indispensabili da affrontare nel percorso di crescita della consapevolezza rispetto al fenomeno corruttivo. Per queste tematiche, l’approccio per “dilemmi etici” è l’unico approccio possibile, perché è l’unico in grado di mettere in scena e far comprendere la complessità delle dinamiche generative dell’evento corruttivo.

Il PNA 2019 ribadisce che l’utilizzo di “casi concreti” (leggi “dilemmi etici”) nella formazione non può essere più una opzione oppure una felice sperimentazione, ma… “L’Autorità valuta positivamente, quindi, un cambiamento radicale nella programmazione e attuazione della formazione, affinché sia sempre più orientata all’esame di casi concreti calati nel contesto delle diverse amministrazioni e favorisca la crescita di competenze tecniche e comportamentali dei dipendenti pubblici in materia di prevenzione della corruzione“.

La lettura di queste disposizioni ci porta a considerare la cosiddetta “formazione generale con approccio valoriale” (formazione valoriale) come uno strumento di recupero di efficienza ed efficacia, nonché di credibilità complessiva, del settore pubblico in Italia. Crediamo che una naturale evoluzione della formazione in materia di prevenzione della corruzione sia da orientare allo sviluppo di contenuti e modelli formativi per il settore pubblico che necessita, più di qualsiasi altro settore, di metodologie innovative in materia di formazione.

UN ESEMPIO DI DILEMMA ETICO PER LA FORMAZIONE VALORIALE

Contesto

Marta è una funzionaria che da poco lavora presso l’Ufficio anagrafe del Comune di Benvenuto con Calci. E si trova spesso a gestire le procedure di iscrizione anagrafica di cittadini comunitari soggiornanti in Italia da più di tre mesi.

Il cittadino iscritto a un corso di studi o che soggiorna in Italia senza svolgere alcuna attività lavorativa deve produrre:

  • iscrizione presso un Istituto scolastico o di formazione professionale pubblico o privato riconosciuto;
  • dichiarazione sostitutiva (ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000) per la quantificazione delle proprie risorse economiche;
  • documento (non sostituibile con autocertificazione) che attesti la titolarità di una assicurazione di durata annuale, che prevede una copertura completa e che non crei un onere per le finanze pubbliche dello Stato ospitante.

Nel caso specifico di persone che non hanno un posto di lavoro, un documento piuttosto difficile da produrre è la copia dell’assicurazione sanitaria.

Evento critico

Un giorno si presenta allo sportello la signora Sophia Vimachorù (Σοφία Bημαχορού), una ragazza greca. La ragazza non parla molto bene italiano e cerca di esprimersi in un misto di inglese e lingua greca. Marta alla fine capisce che la ragazza sostiene di essere una ballerina di Sirtaki, venuta in Italia in cerca di fortuna, ma che attualmente non svolge alcuna attività lavorativa.

Sophia, non riuscendo a capire la documentazione da produrre (o non potendo produrre tale documentazione) e non sapendo come ottenerla, torna diverse volte allo sportello e Marta sente di doverla aiutare.

Marta, anch’ella sprovvista delle informazioni necessarie ad aiutare la donna, chiede aiuto a un suo collega, il dottor Lupi.

Nessuno all’ufficio anagrafe sa quale sia la reale mansione del dottor Lupi. Viene in ufficio solo due volte alla settimana, perché ha un contratto di lavoro part-time verticale.

E quando è presente, per la maggior parte del tempo lui legge mentre i suoi colleghi lavorano.

Ma appena sorge un problema qualunque, viene chiamato per intervenire ed ha sempre una soluzione.

Anche la responsabile dell’ufficio richiede spesso il suo aiuto. Conosce benissimo la normativa ed è lui, di fatto, il responsabile dell’ufficio anagrafe, ma ha sempre detto di non ambire a quel ruolo, perché preferisce occuparsi dei suoi affari.

Marta parla con Lupi, che ha subito una soluzione da proporgli: le dà il biglietto da visita di una agenzia che si occupa di gestire vari tipi di pratiche per cittadini stranieri, comunitari ed extracomunitari. “Il titolare è un mio amico. Lui sicuramente potrà aiutare la nostra utente a stipulare l’assicurazione sanitaria e a produrre tutta la documentazione richiesta” dice Lupi a Marta.

Dilemma + bias cognitivi

Dilemma: Marta si chiede… “Posso consegnare il biglietto a Sophia?”

A Marta viene in mente di consegnare il biglietto da visita in ragione del fatto che:

  • non c’è niente di male a compiere un gesto che, al contrario, mostra disponibilità all’aiuto e promuove valori di tempestività e presa in carico dell’utente risolvendo un problema a un soggetto, peraltro, già piuttosto angosciato dalle vicende personali;
  • si tratta di pubblicizzare una iniziativa imprenditoriale locale che, in qualche modo, surroga le carenze del pubblico e risolve problemi concreti all’utenza;
  • Marta ha verificato che altri colleghi consigliano agenzie o negozi oppure banche o assicurazioni;
  • interrogato in merito, il superiore gerarchico non ha trovato nulla da eccepire, confermando la bontà dell’iniziativa volta alla risoluzione di un reale problema per gli utenti.

Fallimento etico

Marta consegna a Sophia Vimachorù il biglietto da visita. E la ragazza torna dopo una settimana con tutta la documentazione richiesta. Sophia è molto felice e prima di uscire dall’ufficio anagrafe si rivolge a Marta dicendole “Ευχαριστώ … Grazie!”.

Anche Marta è soddisfatta … Quello che non sa è che esiste un accordo tra il dottor Lupi e l’Agenzia segnalata a Marta: l’Agenzia chiede soldi agli stranieri per produrre documentazione falsa e Lupi si adopera per impedire che l’ufficio esegua dei controlli sulla veridicità della documentazione.

In cambio, Lupi si prende una percentuale dei soldi incassati dall’Agenzia privata dai clienti che lui ha segnalato.


[1] Un esempio di dilemma etico “puro” è il problema del carrello ferroviario, formulato negli anni ‘60 dalla filosofa Philippa Ruth Foot (https://it.wikipedia.org/wiki/Problema_del_carrello_ferroviario). Il M.I.T. ha anche creato una piattaforma online (http://moralmachine.mit.edu/) in cui è possibile testare le proprie percezioni etiche e preferenze morali.



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