Marco Polo e la valutazione qualitativa del rischio di corruzione

Chi siamo? Da dove veniamo? Ed esattamente dove stiamo andando? Sono domande che noi di Spazioetico ci facciamo spesso e soprattutto durante il periodo estivo, quando la routine quotidiana del nostro lavoro viene meno e nella mente diventa impellente la necessità di fare dei bilanci e definire nuovi obiettivi. E’ un esercizio necessario, almeno per noi, considerato il lavoro che facciamo e chi siamo.

Siamo Massimo Di Rienzo e Andrea Ferrarini. Siamo due padri di famiglia, che non hanno l’ambizione di cambiare il mondo e che non hanno particolari grilli per la testa. Eppure abbiamo l’ambizione di aiutare le pubbliche amministrazioni a prevenire la corruzione, in un paese, come l’Italia, che è corrotto fino al midollo, non tanto per il numero di condanne per reati contro la pubblica amministrazione, quanto per l’abitudine (socialmente accettata) a tollerare l’uso strumentale, tossico e criminogeno delle relazioni umane.

Siamo due persone qualunque, senza particolari “entrature politiche” o posizioni di rilievo nel mondo accademico o della ricerca scientifica. E nonostante questo continuiamo a studiare la natura e la genesi di fenomeni corruttivi. E speriamo, un giorno, di arrivare a scoprire il codice sorgente dell’integrità, trovare la formula per costruire sistemi pubblici evoluti, non più esposti, come oggi, ad un elevato rischio di fallimento etico.

Spazioetico è questo. Spazioetico esiste non perché siamo migliori di altri o ne sappiamo più di altri. Ma perché abbiamo scelto di fare questo lavoro e questo lavoro (oltre a dare molte soddisfazioni) richiede una certa propensione a cambiare il presente e a cercare nuovi orizzonti, nuovi punti di vista sul mondo.

Se dovessimo scegliere un personaggio, per rappresentare il nostro modo di essere e di intendere la nostra attività professionale, sceglieremmo senza dubbio Marco Polo.

Marco Polo è passato alla storia per Il Milione, in libro in cui racconta i suoi viaggi in Asia, compiuti alla fine del XIII secolo insieme al padre e allo zio, sulla via della seta e alla corte del Gran Khan. In realtà, questo resoconto di viaggio si intitola “Le Divisament dou Monde” e non è stato nemmeno scritto da Marco Polo, ma da Rustichello da Pisa, un autore di romanzi cavallereschi che ha messo per iscritto le sue memorie mentre i due si trovarono in prigione a Genova. Perché Marco Polo non era uno scrittore. Faceva un’altro mestiere: era un commerciante. Ha descritto mondi fantastici e tracciato nuove strade non per amore dell’avventura, ma per lavoro. Questo particolare rende forse la sua impresa meno poetica, ma più autentica.

Anche noi siamo degli operatori economici e abbiamo viaggiato a lungo in questi anni in molti luoghi dell’italia, per tenere i nostri corsi di formazione. Ma anche con la mente, per identificare nuove strade in grado di guidare i sistemi pubblici e le organizzazioni private verso l’integrità.

Abbiamo cercato di comprendere i meccanismi di base della corruzione: le asimmetrie informative, i conflitti di interessi e l’azzardo morale. Ci siamo concentrati sui bias cognitivi e sui meccanismi di neutralizzazione dei dilemmi etici. Dilemmi etici che rappresentano l’ultimo argine contro gli azzardi morali.

Abbiamo studiato i fenomeni di interferenza relazionale e i diversi tipi di conflitto di interessi: esogeno, endogeno, inerente e apparente. E ci abbiamo scritto anche un libro (un e-book per l’esattezza): L’etica delle Relazioni dell’Agente pubblico. Un libro che da un lato sintetizza i risultati del nostro viaggio e, dall’altro, vuole essere un monito, rivolto ai politici e ai dipendenti pubblici, per un un approccio “ecologico” alle relazioni umane, che salvaguardi il senso dei legami interpersonali e scongiuri fenomeni di strumentalizzazione e tossificazione relazionale.

Ma c’è un’altro motivo per cui ci sentiamo molto vicini alla figura di Marco Polo. Non tanto al Marco Polo storico (di cui comunque si sa abbastanza poco), quanto, piuttosto, al Marco Polo protagonista, insieme a Kublai Khan, del visionario romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino:

Dopo il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Polo esponeva al sovrano le risultanze delle sue ambascerie. D’abitudine il Gran Khan terminava le sue sere assaporando a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sbadiglio non dava il segnale al corteo dei paggi d’accendere le fiaccole per guidare il sovrano al Padiglione dell’Augusto Sonno. Ma stavolta Kublai non sembrava disposto a cedere alla stanchezza. – Dimmi ancora un’altra città,– insisteva.
– …Di là l’uomo si parte e cavalca tre giornate tra greco e levante… – riprendeva a dire Marco, e a enumerare no- mi e costumi e commerci d’un gran numero di terre. Il suo repertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a lui d’arrendersi. Era l’alba quando disse: – Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco.
– Ne resta una di cui non parli mai.

Marco Polo chinò il capo.

 Venezia  disse il Khan.

Marco sorrise. – E di che altro credevi che ti parlassi?
L’imperatore non batté ciglio. – Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome.
E Polo: – Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia“

Il viaggio di Marco Polo, insomma, è un viaggio che lo porta solo apparentemente lontano: è in realtà è un viaggio attorno a Venezia e che si concluderà (anche nella realtà) con il ritorno nella sua città natale.

Anche in questo il nostro viaggio è molto simile a quello di Marco Polo. Abbiamo esplorato la dimensione relazionale ed etica dei fenomeni corruttivi, adottando approcci e concetti di tipo psicologico e filosofico, ma solo apparentemente abbiamo ignorato la dimensione organizzativa, tanto cara ad ANAC e ai suoi PNA che raccomandano mappature dei processi, analisi dei rischi e prevenzione della cattiva amministrazione. Nella realtà il nostro viaggio è servito per raccogliere i diversi pezzi necessari a ricostruire il complicato puzzle della valutazione qualitativa del rischio di corruzione.

Una valutazione qualitativa del rischio dovrebbe misurare la capacità dei sistemi di sviluppare una sorta di attrito, che si oppone alla generazione dei fenomeni corruttivi. Questa valutazione non deve concentrarsi esclusivamente sulla dimensione organizzativa, ma “risalire” fino alla dimensione relazionale ed etica e misurare:

  • la capacità di gestire nella dimensione relazionale i precursori della corruzione (conflitti di interessi, caduta di interessi primari, ambiguità relazionale, ecc…);
  • la capacità dello spazio etico di “bloccare” l’emersione degli azzardi morali (disponibilità delle persone a negoziare i propri valori, percezione dei valori condivisi e dell’ethos organizzativi, capacità di affrontare dilemmi etici);
  • la capacità della dimensione organizzativa di impedire che i processi siano manipolati dalla corruzione (modalità di esecuzione dei processi, gestione dei momenti decisionali, capacità di rispettare le leggi i regolamenti e le procedure, gestione delle informazioni)

Nel mese di luglio 2020 abbiamo dedicato una serie di dirette Facebook alla costruzione dello spazio etico. In  realtà, siamo andati un po’ oltre e abbiamo cercato di spiegare come costruire l’integrità nell’ambito di una organizzazione pubblica e privata. In queste dirette abbiamo paragonato l’integrità a un panino confezionato con tre ingredienti: ecologia, autonomia e conformità.

la formula dell'integrità

Quindi, l’integrità di una organizzazione o di un sistema pubblico può essere misurata in funzione:

  • del livello di ecologia della dimensione relazionale, cioè valutando la capacità di gestire le relazioni e i conflitti di interessi, evitando fenomeni di strumentalizzazione delle relazioni e di caduta degli interessi primari;
  • del livello di autonomia della dimensione etica, vale a dire in funzione della capacità delle persone e delle organizzazioni di fronteggiare i dilemmi etici (senza ricorrere a meccanismi di neutralizzazione o cadere vittima di bias cognitivi) e di adottare comportamenti “non esigibili per legge”, ma che vengono adottati in virtù di un sistema di valori etici individuali o collettivi; 
  • del livello di conformità dell’organizzazione, cioè valutando la capacità dell’organizzazione di darsi delle regole e rispettarle, ma anche di rispettare le leggi e le norme che regolano il suo funzionamento.

Se un sistema pubblico oppure un’organizzazione sono poco ecologici, autonomi o conformi, allora il rischio di corruzione esplode. Se, al fine di prevenire la corruzione, un sistema o una organizzazione aumenta il proprio livello di ecologia, di autonomia e di conformità, allora aumenta l’integrità. Corruzione e integrità sono, insomma, le due facce, opposte della stessa medaglia. Se indichiamo con “E” il livello di ecologia, con “A” l’autonomia e con “C” la conformità, quanto detto può essere sintetizzato nelle seguenti formule:

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E’ stato anche necessario sviluppare degli strumenti, per effettuare queste misurazioni. Per misurare la capacità delle organizzazioni di arginare il rischio della caduta degli interessi primari (o il rischio di fallimento etico), abbiamo sviluppato una serie di indicatori di qualità. Delle “ABILITY” che possono essere misurate e, in qualche modo, pesate. Le abbiamo inserite in questa scheda che si può scaricare.

Tuttavia, crediamo che le idee siano più importanti delle schede di analisi e dei criteri di valutazione del rischio. Perché gli strumenti sono come le automobili: servono a poco, se non sai dove vuoi andare.