La pandemia delle regole
Ho sempre odiato le discoteche. Non mi piaceva la musica e non mi piaceva la gente che le frequentava. Ci andavo solo perché ci andavano i miei amici. Ma questo non credo interessi a nessuno. Tantomeno a chi sembra non poterne fare a meno, tanto da sfidare protocolli di distanziamento sociale. E tantomeno ai gestori che lamentano perdite di molto superiori alle entrate che dichiarano al fisco.
Personalmente avrei di gran lunga preferito che avessero chiuso le discoteche per la scarsa qualità della musica o per l’odore, ma in realtà il provvedimento di chiusura dei locali è stato adottato in seguito al mancato rispetto delle regole messe a presidio della salute collettiva. Un provvedimento su scala nazionale, che è stato molto criticato, tanto che i gestori hanno richiesto al TAR del Lazio di pronunciarsi su tale chiusura.
Si è sempre detto che è normale che ci si lasci un po’ andare, che i locali notturni sono “luoghi di trasgressione”, quando in realtà a me sono sempre sembrati posti frequentati da gente molto ordinaria, che ha voglia di divertirsi con poco. In alcuni casi la cosiddetta trasgressione è rappresentata dallo sballarsi con alcol o droga, ma quel comportamento è quanto di più lontano dal significato profondo del termine TRASGREDIRE, che riguarda, invece, il rapporto che ognuno di noi instaura con le regole, soprattutto delle regole di condotta, cioè quelle che prescrivono l’adozione di determinati comportamenti.
Le regole sono fondamentali strumenti di orientamento dei comportamenti. Servono moltissimo, soprattutto quando c’è bisogno di allineare i comportamenti a standard attesi, necessari per la vita civile (dal pagare le tasse fino o raccogliere le deiezioni canine), oppure per affrontare un’emergenza (mettere le mascherine), oppure per gestire situazioni il cui rischio è improbabile ma ha un elevato impatto (mettersi le cinture sull’areo o sulla macchina, oppure mettersi il casco in moto) oppure il rischio è probabile e ha anche un elevato impatto, come nella prevenzione della corruzione (la segnalazione e l’astensione in caso di conflitto di interessi, ad esempio).
Le regole risolvono gli eventuali dilemmi etici che potrebbero emergere da situazioni in cui entrano in conflitto interessi (ciò che è vantaggioso) ed etica (ciò che è giusto). Attraverso la regola, cioè, si prescrive ciò che “è conforme”, in modo da evitare che le persone, che hanno valori di riferimento assai diversi tra loro, entrino in dilemma laddove non sarebbe opportuno che questo succedesse. Immaginate di trovarvi su un aereo che sta precipitando e di dover decidere verso quale uscita dirigersi, mentre siete in preda ad una comprensibile paura. In questi casi, come è ovvio, non è né pragmatico né intelligente far decidere i passeggeri.
Al di fuori di queste circostanze, tuttavia, le regole non dovrebbero mai essere adottate, lasciando alle persone un giusto spazio di autonomia e di responsabilità: in sintesi, è importante tenere allenato lo “spazio etico” delle persone.
Purtroppo il nostro sfortunato Paese si è sempre distinto per un uso irrazionale delle regole, (norme, procedure, leggi, regolamenti, codici, adempimenti, ecc…). E questo anche in tempi di pseudo-normalità. Così che lo spazio etico delle persone risulta compresso e compromesso.
Con l’arrivo della pandemia siamo stati sommersi da un numero incredibile di nuove regole, protocolli di distanziamento sociale e protezione individuale. Regole necessarie in un periodo di emergenza. Una pandemia di regole che rischia però di enfatizzare la nostra atavica incapacità di dare loro un senso.
E’ passato relativamente inosservato il monito del Presidente della Repubblica che ha dovuto chiarire che “la libertà non è far ammalare gli altri“. Così come è sembrata inaccettabile a molti la decisione del TAR del Lazio che respinge la richiesta dei sindacati delle associazioni da ballo, in quanto nel bilanciamento degli interessi la posizione dell’Associazione dei gestori delle sale da ballo “risulta recessiva rispetto all’interesse pubblico alla tutela della salute nel contesto della grave epidemia in atto“.
Come è facile notare, entrambi i pronunciamenti, fanno emergere una contrapposizione, anzi un conflitto, tra interessi primari (salute e economia) e forniscono una lettura complessa di un fenomeno altrettanto difficile da gestire.
Il conflitto tra interessi primari viene di norma relegato alle leadership che sono chiamate ad affrontare un difficile processo di controbilanciamento. Ma spesso, quando decidono, invece di spiegare ai cittadini o ai dipendenti di un’organizzazione il senso della decisione presa e l’interesse che deve essere privilegiato in luogo della compressione degli altri interessi (primari o secondari), adottano “LA REGOLA”.
A volte la regola è necessaria proprio per arginare comportamenti pericolosi, quando non c’è tempo o non c’è modo per verificare che i risultati confermino che la scelta è stata corretta, come in questa difficile fase storica. A volte, invece, la regola è solo una scorciatoia. Non ha un vero fondamento logico. Viene adottata solo per rendere visibile chi ha il potere. O, peggio ancora, viene adottata o tenuta in vita perché esiste una prassi consolidata che lo impone.
Colin Jones, professore presso la Doshisha Universit di Kyoto in Giappone, racconta, in un bell’articolo sulla rivista online “The Japanese Time“, il peculiare rapporto che i giapponesi hanno con le regole. I giapponesi hanno regole per ogni cosa, sono molto osservanti, ma quasi sempre verrebbero messi in difficoltà da una semplice domanda: “Perché esiste questa regola?” Jones racconta di aver ricevuto una email in cui gli veniva richiesto di validare il verbale di una riunione che non si era mai tenuta. Dopo qualche momento di imbarazzo Jones comprese che il richiedente doveva obbligatoriamente produrre un verbale, per ottemperare ad un adempimento normativo, ma che la riunione non si era tenuta per via del fatto che se ne era già svolta un’altra nella società controllante (la vera riunione). Sarebbe stata un’inutile perdita di tempo.
Quante volte vi è capitato (ci è capitato) di dover fare qualcosa di perfettamente inutile solo perché è richiesto da una norma o da una procedura interna? E secondo il vostro metro di giudizio, un atteggiamento di adesione incondizionata ad una regola inutile o quantomeno poco comprensibile è sintomo di un maggiore o minore esposizione al rischio per un’organizzazione? Cioè, è tutto sommato preferibile avere dipendenti (pubblici o privati) che non si fanno domande sull’opportunità di un comportamento sulla base che esso è comunque lecito?
Il mito della compliance o dell’adempimento normativo miete ogni giorno molte vittime, soprattutto tra le persone più produttive. In generale, le persone hanno un atteggiamento molto passivo rispetto alle regole. Eseguono senza chiedersi il perché o boicottano per abitudine.
Allora, pochi facili consigli (non “regole”) per chi ha una qualche forma di responsabilità all’interno di un’organizzazione:
- Adotta una regola di comportamento solo ed esclusivamente nel caso in cui sia strettamente necessaria.
- Evita di cambiare le regole in continuazione. Se succede, allora non era il caso di adottare una regola.
- Spiega sempre quale è il comportamento atteso ed il motivo per cui l’organizzazione (pubblica o privata) ha deciso che le persone si conformino ad un determinato standard.
- Evita sempre di inasprire nei confronti di tutti una regola di condotta a seguito della violazione di un singolo. Lo fanno le cattive maestre a scuola. Non ha mai funzionato. Quelli che osservano e danno un senso alle regole si sentiranno stupidi e ti boicotteranno. Inoltre, perderai ogni forma di autorevolezza e ti resterà in mano solo l’autorità.
- Scegli un giorno qualsiasi e poi annuncia a tutti che quello è il giorno in cui non ci sono regole e ognuno ha la “libertà” di fare quello che vuole. Siediti poi sulla riva del fiume e aspetta che passino i cadaveri. Come minimo dovrai somministrare ansiolitici pesanti.
- Ogni tanto, fai un piccolo test con i tuoi collaboratori. Alla loro richiesta di conformarsi ad una procedura o ad una regola di condotta, chiedi “perché?” Se ti rispondono: “Perché è la regola“, torna al punto 1 e ricomincia.
Purtroppo, la disabitudine a dare un senso alle regole e l’abitudine a non poterne fare a meno nasce da lontano. Dai percorsi educativi, all’interno delle famiglie e nella scuola e poi si amplifica nei contesti lavorativi, pubblici e privati.
Se le scuole riapriranno, sarebbe forse il caso di aiutare i bambini ed i ragazzi a comprendere meglio il ruolo delle regole nella promozione della libertà. Il giusto compromesso tra la necessità di conformarsi ad uno standard di comportamento richiesto e l’opportunità o la necessità di comprendere il fondamento logico-razionale sottostante.
…Se le scuole riapriranno… Ed è già pronto un castello di regole che ci toglierà ogni ansia.
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