Nessuna privacy per le Persone Politicamente Esposte!

La tentazione è forte. Quella di dire: “Chissenefrega dei furbetti del bonus partite IVA!“. Ci sono questioni su cui l’opinione pubblica si dovrebbe interrogare di più (come ad esempio le nomine ANAC).

Ma poi capisci che questa vicenda ti ha fatto un incredibile regalo. Una situazione che illustra mirabilmente cosa significa “spazio etico” e come funziona lo spazio etico delle persone.

I comportamenti “non esigibili per legge” formano lo spazio etico delle persone. E così, se anche un rappresentante istituzionale ritenesse vantaggioso e lecito adottare un comportamento come quello di richiedere un contributo, dovrebbe, almeno in teoria, fronteggiare un dilemma (etico), cioè un conflitto tra la soddisfazione di bisogni primari (“Sono soldi!“) e la soddisfazione di altri bisogni, ad esempio legati all’identità (“Che cosa sono diventato?“). 

Lo spazio etico, dunque, è come un filtro, un controllo interno alle persone che si attiva quando, come in questo caso, regole ed interessi sembrano convergere (“è vantaggioso” e “è lecito“), ma qualcosa di più profondo entra in conflitto (“non è giusto“). 

La storia della norma scritta male, che viene malamente posta a giustificazione della condotta dei cinque parlamentari, proprio per questo motivo, è una barzelletta. Le norme lasciano sempre uno spazio di valutazione e ogni persona deve valutare tra ciò che gli conviene, ciò che è lecito e ciò che è giusto fare. E quella è una valutazione che mette in primo piano la qualità delle persone, la loro maturità e la capacità di non far prevalere sempre e comunque il proprio interesse, anche dietro la giustificazione della liceità della condotta. Uno spazio (etico) che queste persone non hanno evidentemente dimostrato di possedere. Per questo non sono degne di stare in Parlamento (in realtà io mi preoccuperei se fossero miei familiari o frequentatori abituali).

Se il filtro etico “fa cilecca“, come sembra essere stato in questo caso, ed i controlli interni saltano, allora dovrebbero operare i cosiddetti “controlli esterni”, cioè la trasparenza.

Spesso la trasparenza viene descritta come l’accesso a dati e informazioni, ma in realtà è molto più di questo.

La trasparenza è, prima di tutto, una forma di deterrenza. Se un rappresentante delle istituzioni è certo che si muoverà sempre sotto gli occhi dell’opinione pubblica (pubblico scrutinio) e che tutto quello che farà potrà essere osservato, allora è lecito aspettarsi che egli non venga assalito nemmeno dal dubbio se richiedere o meno quei contributi. 

Purtroppo, però, in questo povero Paese, in cui lo spazio etico individuale sembra essere un lusso, non è chiaro nemmeno il primo e fondamentale assunto: chi rappresenta i cittadini ed opera in quanto da essi delegato deve essere sottoposto costantemente al “pubblico scrutinio”. Non esiste privacy per chi ha una delega pubblica!

Nella vicenda del bonus partite IVA, come si sarebbe potuto distinguere in concreto la posizione di un normale cittadino e quella dei parlamentari e altri rappresentanti e delegati pubblici?

A nostro avviso, sarebbe stato sufficiente inserire nella finestra INPS in cui si richiedeva il contributo uno spazio su cui il richiedente avrebbe dovuto segnalare la propria situazione di “PERSONA POLITICAMENTE ESPOSTA” (PEP). La PEP è una locuzione ormai abbastanza nota, che nasce nell’ambito dell’antiriciclaggio (1) e si basa sul fatto che, dal momento che rivestono un ruolo influente nella scena economico-politica transnazionale, nella visione del legislatore le Persone Politicamente Esposte sono maggiormente esposte a potenziali fenomeni di corruzione, data la rilevanza degli incarichi ricoperti (2).

Con la segnalazione chiara, da parte di INPS, che per questi soggetti non poteva invocarsi alcuna privacy (come la legge indica) e che i loro nomi sarebbero stati pubblicati. Questa soluzione avrebbe risolto l’attuale problema, cioè il fatto che in caso di pubblicazione di tutti i beneficiari verrebbe leso il diritto di circa quattro milioni di professionisti di tutelare la propria privacy.

Avremmo, in questo modo, le liste di tutte le Persone Politicamente Esposte già da molto tempo, in piena trasparenza. Poi ognuno avrebbe fatto la giusta e corretta distinzione tra un parlamentare della Repubblica e un consigliere comunale. Ma per fare questo occorre che per tutti sia molto chiara la posizione di una persona politicamente esposta, per cui non può valere alcuna privacy, non solo sui contributi richiesti (fatto alquanto raro), ma anche sulle relazioni della propria sfera personale e professionale che potrebbero essere coinvolte con il ruolo istituzionale.


(1) La normativa indica nel dettaglio quali sono le categorie di persone politicamente esposte:
  • Capi di Stato, Capi di Governo, Ministri e Vice Ministri e Sottosegretari;
  • Parlamentari;
  • Membri delle corti supreme, delle corti costituzionali e di altri organi giudiziari di alto livello le cui decisioni non sono generalmente soggette a ulteriore appello, salvo in circostanze eccezionali;
  • Membri delle corti dei conti e dei consigli di amministrazione delle banche centrali;
  • Ambasciatori, incaricati d’affari e ufficiali di alto livello delle forze armate;
  • Membri degli organi di amministrazione, direzione o vigilanza delle imprese possedute dallo Stato;
  • Presidenti di regione;
  • Sindaci di capoluogo di regione.
Il provvedimento comprende anche tutti i familiari di primo grado (coniuge, figli e loro coniugi, conviventi nell’ultimo quinquennio, genitori) e coloro che intrattengono stretti legami, come soci d’affari. La normativa non si limita ai cittadini italiani, ma comprende anche i cittadini degli altri stati dell’Unione Europea e i cittadini della Repubblica di San Marino.
(2) https://www.alavie.it/le-persone-politicamente-esposte/