Spazioetico scopre la formula per entrare a far parte di una task force (articolo “serio” sui rischi della cooptazione)

Il problema con cui ci confrontiamo quotidianamente tutti noi che operiamo nel campo della formazione, o della conoscenza, in generale, è che le informazioni che trasferiamo, le conoscenze che aiutiamo a formare e le competenze che aiutiamo a costruire entrino realmente a far parte dei processi decisionali responsabili del corretto esercizio dei diritti costituzionali dei cittadini.

Un desiderio naturale. Covato nei lunghi anni di apprendistato, di studio, di carriere professionali a volte lunghe e appassionate. Un desiderio che nutre la nostra sete di riconoscimento sociale e che troppo spesso porta ad innamorarci delle nostre idee e che ci rende reticenti ad accettare la bontà delle idee degli altri. Ma anche un desiderio di appartenenza e la testimonianza di un solido impegno civile.

Le fasi emergenziali sono, in questo senso, vere e proprie cartine di tornasole per capire se il contributo che sentiamo di aver fornita ai destinatari delle nostre attività sia entrato a far parte del modo in cui vengono affrontate le questioni di rilevanza nazionale (come vedete ci siamo ben cautelati dall’usare la terribile parola “mainstream”).

Ad esempio, nell’ambito della corruzione si grida all’emergenza ogni qual volta eventi di una certa rilevanza penale sconvolgono gli animi e le coscienze dei comuni cittadini e dei loro rappresentanti politici. Il buon senso imporrebbe che, all’atto di discutere e decidere cosa fare per arginare o contrastare il fenomeno, i contributi più rilevanti emergano all’attenzione dei decisori pubblici o, quantomeno, all’attenzione dei media che hanno il compito di orientare l’opinione pubblica.

Ma poi ci rendiamo conto che sia il decisore pubblico che tutto il circuito mediatico che lo circonda e lo nutre raggiunge livelli di autoreferenzialità parossistici. Ad esempio, è stato piuttosto straziante e, in qualche modo, paradossale osservare come dopo tanti anni di formazione e comunicazione sul fenomeno della corruzione e dell’anticorruzione abbiamo dovuto recentemente ascoltare politici con importanti responsabilità affermare che la corruzione sarebbe stata sicuramente debellata da (niente di meno che) un provvedimento legislativo appena adottato (sic!).

Quali esperti avranno consigliato i suddetti politici? Come sono stati scelti questi esperti? Non ci è dato di sapere anche perché un minuto dopo che le leggi vengono approvate o che importanti decisioni vengono adottate è davvero impossibile trovare il padre o il patrigno o, quantomeno, l’ispiratore. E’ tutta una corsa allo smarcamento, al prendere una certa distanza, al cautelarsi sulla bontà, allo scendere dal carro in corsa.

Anche perché gli esperti in questione, una volta tornati nell’arena, non fanno altro che azzuffarsi su tutto. Si costituiscono sui social network come “bande” e si aggirano sul web, sulla carta stampata e in televisione fornendo un punto di vista sempre prevalente ed esclusivo rispetto a quello degli altri.

Attualmente, osserviamo questa guerra di posizioni non solo sulla questione, centrale, di come affrontare il coronavirus e la delicata fase di riapertura, ma anche su argomenti collaterali (ma non troppo) che vengono coinvolti in questa marmellata di opinioni, come la tecnologia da adottare per la tracciabilità, la privacy, la didattica a distanza e tanti altri.

E’ cruciale, come è ovvio, che chi decide abbia a disposizione le migliori conoscenze. Meno ovvio comprendere come si arriva a selezionare la componente tecnica che dovrebbe garantire solidità alle decisioni.

Il metodo che si utilizza per scegliere a chi dare retta nei momenti di emergenza dovrebbe essere adottata in tempi di non emergenza, attraverso procedure snelle e dalla provata efficacia. Il rischio, troppo alto, è che si adottino approcci estemporanei e che prassi pericolose si consolidino.

Ebbene, in Italia, attualmente, l’unico vero approccio, che in realtà è una prassi consolidata, sembra essere quello della “COOPTAZIONE”.

Se fai parte di un determinato “circuito” o “club” e quindi “appartieni” ad un soggetto che ha una forte esposizione relazionale (noi li chiamiamo “hub relazionali”) con la politica o con i media o con l’economia o con l’”accademia”, allora hai la possibilità di entrare nella stanza dei bottoni, altrimenti il tuo contributo verrà del tutto ignorato. Sembra che a prevalere sia la presenza nelle agende telefoniche giuste piuttosto che avere delle buone idee su una certa questione. E questo vale anche per i comitati redazionali dei giornali o delle televisioni, per i Consigli di Amministrazione delle società pubbliche o private, per i partiti politici, ecc… Valeva anche per la ricca attività convegnistica che, fortunatamente, a seguito del diffondersi del contagio, subirà per forza di cose una decisa contrazione.

La cooptazione sembra essere anche alla base del meccanismo di selezione delle famose “task force” che nel periodo dell’emergenza hanno proliferato intorno ai centri decisionali nazionali e locali. Con l’apporto di circa 450 esperti. Alcuni di essi con comprovata esperienza ed autorevolezza, altri con mere ambizioni di visibilità.

La cooptazione è un meccanismo assai noto per chi si occupa di prevenzione della corruzione. Fa parte dei meccanismi di selezione basati sulla “qualità relazionale” degli Agenti, cioè sulla loro capacità e disponibilità ad “appartenere” ad un certo gruppo che soddisfa bisogni di appartenenza, nonché bisogni di acquisizione di un certo status sociale e, ovviamente, di appartenenza.

E’ un meccanismo vecchio come il mondo. Ma è anche uno dei più pericolosi precursori dei fenomeni corruttivi. E’ un meccanismo che genera crediti e debiti relazionali, cioè relazioni ambigue perché, se da un lato garantiscono visibilità ad un soggetto, dall’altro lo fidelizzano e lo mantengono in una situazione che noi chiamiamo “aspettativa di remunerazione”.

Per farla breve e comprensibile, chi ha ottenuto, pur non meritandolo, un posto in prima fila nella stanza dei bottoni, di certo arricchirà il suo CV, la sua rete di relazioni, e la sua esperienza professionale. Di contro, allo stesso soggetto, potrebbe essere richiesto, in futuro, una qualche forma di remunerazione, cioè il perfezionamento di uno scambio che resta sospeso nel tempo.

Per questo la cooptazione non è un crimine di per sé, ma attiva una pericolosa dinamica relazionale. Non sarà un caso che i meccanismi di cooptazione sono stati esclusi da qualsiasi processo di selezione a parte quelli universitari in ambito anglosassone, salvo, tuttavia, collegare le sorti di un eventuale fallimento del soggetto cooptato con quelle del soggetto cooptante.

Invece il mondo della politica italiana, dei media e gran parte del mondo dell’economia e della finanza funziona quasi esclusivamente attraverso il modello della cooptazione. Non ci stupiamo poi se qualcuno utilizza queste relazioni per promuovere interessi indicibili. E non ci lamentiamo se siamo circondati da persone che hanno venduto la propria libertà per un posto in una task force o in un comitato scientifico, in un Consiglio di Amministrazione, o per una cattedra universitaria… Prima di gridare vittoria contro la corruzione c’è tanta strada da fare nella comprensione profonda dei suoi meccanismi di base.

I processi decisionali delle democrazie deboli come quella italiana non sono destinati, purtroppo, ad essere troppo efficaci proprio perché sopravvivono meccanismi relazionali ancestrali.

Un modo assai efficace per escludere molti dei rischi che provengono da questi meccanismi relazionali ci sarebbe ed è quello di farsi, sempre, pagare. In questo modo, una relazione di scambio verrebbe sostituita da una relazione di agenzia, cioè un incarico professionale che non innesca ambiguità di sorta dal momento che è remunerato attraverso la corresponsione di un pagamento chiaro e trasparente.

Purtroppo, spesso, questa soluzione mal si concilia con le casse sgangherate dei richiedenti. E poi, vuoi mettere la bella figura di dire “Lo faccio a titolo gratuito! Lo faccio per dare una mano al mio Paese”!

Ebbene, noi siamo sicuri che non appena l’emergenza allenterà un po’ la morsa i nostri decisori dovranno affrontare in maniera energica la questione di come selezionare le migliori risorse da spendere nel caso di emergenze come un maledetto virus, la corruzione o il collasso dell’economia.

E quindi penseranno di costituire l’ennesima task force su come attivare una task force. Preoccupatevi di stare nelle agende giuste.

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Approfondimento matematico. 

Una postilla per spiegare il significato della formula che abbiamo inserito nell’immagine all’inizio di questo post: 

La parte sinistra della formula (la “radice quadrata” di una task force”) non ha alcun senso matematico. O non dovrebbe averlo. Non è possibile moltiplicare le task force e quindi non avrebbe senso immaginare la radice quadrata di una task force, perché una radice quadrata è l’inverso dell’elevamento a potenza, cioè dell’operazione che moltiplica una task force per se stessa. Tuttavia, visto che le task force si stanno moltiplicando, tra non molto potremmo leggere sull’ANSA la notizia di una task force “al quadrato” e a quel punto estrarre una radice quadrata sarebbe possibile. E opportuno. E probabilmente Spazioetico vincerà la Medaglia Fields, che in pratica è il Premio Nobel della Matematica. Fino ad allora, la radice quadrata di una task force è solo una metafora, per spiegare le logiche della cooptazione. Logiche che sono illustrate nella seconda parte della formula (quella a sinistra) che invece ha un significato preciso:

E’ una sommatoria, cioè la rappresentazione abbreviata di una addizione. Può essere riscritta in questo modo, usando il segno “+“, che tutti noi abbiamo imparato a conoscere alle scuole elementari (oppure semplicemente per cambiare le pile di qualunque apparecchio elettronico):

  •  degree(m1) + degree(m2) + degree(m3) + … + degree(mn)

In pratica, è una addizione che prende in considerazione tutti i membri di una task force (indicati con la lettera “m“) e somma il degree di tutti i membri. 

Ma cosa diavolo è un degree? Qui viene il bello! Dovete sapere che le relazioni tra le persone possono essere rappresentate usando dei grafi, cioè degli insiemi di punti (detti nodi) collegati tra loro da segmenti (detti archi):

Due persone in relazione tra loro saranno rappresentate come nodi connessi da un arco. Considerando qualunque nodo di un grafo (lo indicheremo per convenzione con la lettera “v“) il grado di v, cioè degree(vè il numero degli archi che escono da v (o che entrano in v: se il grafo non è orientato, è la stessa cosa), vale a dire il numero di relazioni in cui il nodo v è coinvolto. Adesso il significato della sommatoria dovrebbe essere chiaro:

  •  relazioni di m1 + relazioni di m2 + relazioni di m3 + … + relazioni di mn

Una task force gestita con il meccanismo della cooptazione è un accumulo di relazioni. Ciascun membro porta “in dote” le proprie relazioni, che vengono condivise con gli altri membri, e può accedere a nuove relazioni. E’ una logica quantitativa, non qualitativa. Chi ha più relazioni (ha un degree elevato) ha più probabilità di essere cooptato. Cioè, chi ha più relazioni è destinato ad avere sempre più relazioni.

Ovviamente, c’ è qualcosa che non va in questa logica quantitativa. Che non guarda alla qualità delle relazioni. Esistono diversi tipi di relazioni ed è rilevante anche il modo in cui si gestiscono e si usano le relazioni. Sono rilevanti anche gli interessi che corrono sulle relazioni e i bisogni che vengono soddisfatti dalle relazioni. La qualità delle relazioni è fondamentale per prevenire la corruzione. La cooptazione è un meccanismo a rischio di corruzione perché non distingue tra relazioni buone e relazioni cattive.


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