#stateacasa con SPAZIOETICO #3
3. LA FAVOLA DEL FUOCO
di Massimo Di Rienzo e Andrea Ferrarini
SPAZIOETICO ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE
A partire da questo post approfondiremo il fenomeno corruttivo con particolare riferimento all’ambito sanitario.
- Perché l’ambito sanitario è così esposto al rischio di corruzione?
- Quali sono gli interessi che la corruzione danneggia?
- E quali diritti vengono negati?
Per rispondere in modo semplice a queste difficili domande…
… abbiamo scritto una favola.
La favola del fuoco
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In un tempo che si perde nella notte dei tempi una piccola tribù di cacciatori viveva in una terra fredda d’inverno e calda d’estate. Non sapevano ancora di essere uomini e parlavano una lingua fatta di poche parole. Non avevano leggi, né una città in cui vivere, ma abitavano dentro le caverne. Non avevano un re, ma erano tutti uguali: si chiamavano tra loro “Bréter” (fratelli).
In realtà i Bréter non erano proprio tutti uguali. Solo alcuni componenti della tribù dei Bréter andavano a caccia: i più forti e coraggiosi. Si chiamavano “Ey”, una parola che noi oggi potremmo tradurre come “i cacciatori”, ma che in realtà voleva dire anche qualcosa di più: “Ey” difatti, nella lingua primitiva dei Bréter, voleva dire “quelli che vanno via”.
Perché esattamente questo facevano i cacciatori: uscivano dalle grotte armati di frecce con la punta di pietra e bastoni e spesso non tornavano più. In cerca di prede, diventavano loro stessi prede dei feroci animali che abitavano nella foresta, morivano a causa del freddo oppure del caldo.
Tutti gli altri componenti della tribù, anziani, donne e bambini, erano detti “Manu” (che significa semplicemente “persona”) ed aspettavano il ritorno dei cacciatori, per essere nutriti da loro.
Questo non era visto come una vergogna nella tribù dei Bréter. Anzi, gli Ey veneravano i Manu: i bambini, perché sarebbero stati i cacciatori di domani, le donne perché mettevano al mondo i cacciatori e gli anziani perché erano stati a loro volta cacciatori.
Quando gli Ey erano via per la caccia, i Manu scrutavano ogni giorno il cielo, in cerca di buoni auspici: uno stormo di uccelli che volava verso la tribù, un gruppo di nuvole bianche, la luna piena sopra la foresta. Ma a volte, con grave dolore, il cielo mandava loro segnali di disgrazia: notti senza luna, nuvole nere davanti al sole, stormi di uccelli in fuga dalla tribù.
Anche il ritorno degli Ey era accompagnato da segni e da riti: se la caccia era andata male, ritornavano dalla foresta con dei rami in mano, tagliati dai quattro alberi sacri alla tribù: l’acero, il faggio, la quercia e la betulla. E poi dormivano fuori dalle caverne tutta la notte, per espiare le loro colpe.
Se invece la caccia era andata bene, i cacciatori indossavano le pelli degli animali uccisi e correvano verso le loro famiglie, gridando ad alta voce “Pehùr!!! Pehùr!!!”. Era questo il nome con cui i Bréter chiamavano il fuoco.
Il Pehùr occupava un posto importante nella vita della tribù: con il fuoco i Bréter cucinavano il cibo, si scaldavano d’inverno e bruciando legni profumati mandavano verso il cielo le loro preghiere al “Diw Pehùr”, il Dio del Fuoco.
Ma non sempre le cose andavano nel modo migliore: a volte mancava la legna da ardere, oppure la legna c’era ma era bagnata. E allora non era possibile cucinare la carne.
Altre volte invece diverse famiglie accendevano il loro fuoco per il Diw Pehùr nello stesso momento, e i diversi fumi, gradevoli se presi da soli, si mescolavano diventando una miasma puzzolente che impestava l’aria. “Diw Pehùr si arrabbierà!” esclamavano gli anziani con le lacrime agli occhi, tra i colpi di tosse dei Bréter mezzo intossicati dal fumo.
Per risolvere il grande problema del fuoco, un giorno tutti i Bréter andarono nella caverna dove viveva il vecchio Bhardeh, che era cieco ed aveva una barba lunga fino ai piedi, ma che era da tutti considerato un uomo saggio.
“Gli animali uccisi con la lancia sono della mano che tiene la lancia” dissero gli Ey. “Invece la foresta è di tutti, la legna è di tutti, uno solo è il Pehùr! Mentre noi andremo a cacciare, tu, vecchio Bhardeh, preparerai un grande fuoco, con tutta la legna della tribù. Un fuoco che non si spegnerà mai, dove cuoceremo la nostra carne e bruceremo legni profumati per il Diw Pehùr”.
Il vecchio Bhardeh rispose: “Questo carico è troppo grande per le mie spalle stanche: potrò avere qualcuno che mi aiuti?”
“Puoi chiedere a qualcuno di noi di portare la legna sulle spalle” risposero i Manu. “E accendere il fuoco al posto tuo. Solo una cosa ti è vietata: mai e poi mai negherai a un Bréter di usare il Pehùr: perché il fuoco che farai non è tuo”.
Allora il vecchio Bhardeh chiamò tre bambini e disse loro: “le mie gambe sono stanche e voi sarete le mie gambe: vi chiamerete Bhew e il vostro compito sarà andare a raccogliere la legna nella foresta”.
Poi il vecchio Bhardeh chiamò tre donne e disse loro: “i miei occhi non vedono e voi sarete i miei occhi: vi chiamerete Arg, accenderete il Pehùr e veglierete giorno e notte, affinché la fiamma non si spenga mai”.
Infine il vecchio chiamò tre uomini anziani, ma che un tempo erano stati degli Ey coraggiosi e disse loro: “tracciate un largo cerchio attorno al fuoco. Lo chiameremo Ghorto. Sarà un luogo sacro al Diw Pehùr. Nessuno potrà metterci piede senza il vostro consenso, perché voi sarete i Lew, che accompagnano i Bréter vicino al fuoco, per cuocere le carni degli animali e bruciare legni profumati”.
Da quel giorno i Bréter ebbero un solo Pehùr sempre acceso al centro del Ghorto, davanti alle caverne. E il fuoco fu di tutti e di nessuno insieme.
Il vecchio Bhardeh dalla lunga barba morì dopo molti anni ed il suo corpo fu bruciato con grandi onori.
Morì convinto che il Diw Pehùr fosse contento del grande fuoco che i Bréter tenevano accesso per lui.
Ma era cieco e i suoi occhi non vedevano i Bhew che rubavano la legna dalla foresta, per accendersi un fuoco privato nelle proprie caverne.
Non vedevano le Arg che si addormentavano davanti al fuoco e non si curavano della fiamma che si spegneva.
Non vedevano alcuni Ey che regalavano un pezzo di carne ai Lew, per entrare nel Ghorto e usare il fuoco prima degli altri.
A domani per un approfondimento sul “sacro fuoco” del diritto alla salute.
A proposito…
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