#stateacasa con SPAZIOETICO #1
1. LA CORRUZIONE. STORIA DI UNA IDEA
di Massimo Di Rienzo e Andrea Ferrarini
SPAZIOETICO ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE
Inizieremo questo percorso parlandovi di un medico. Si tratta di Bernard de Mandeville. Nato a Dordrecht nel 1670, presso Rotterdam, dopo la laurea in medicina si trasferì a Londra e qui esercitò, con eccellenti risultati, la professione medica, trascorrendo gran parte della vita pubblicando scritti in cui combatteva le convenzioni sociali e morali del tempo[1].
Bernard de Mandeville
Non parlò di corruzione nei suoi scritti, ma alcune idee che espresse fanno ancora discutere coloro che si occupano di corruzione. Sosteneva che:
«Il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa… Se l’uomo fosse stato per sua natura umile e indifferente all’adulazione, il politico non avrebbe mai potuto raggiungere i propri fini, né avrebbe saputo che fare di lui. Senza i vizi la superiorità della specie umana non si sarebbe mai manifestata… ».
Rompendo un velo di ipocrisia che tuttora circonda il mondo degli “onesti”, cioè di coloro che si ritengono al di sopra di ogni rischio, Bernard de Mandeville sollevò una questione molto complessa che in tutte le epoche si è sempre posta alla base dell’esigenza di incriminare le condotte di corruzione e di punirle con una sanzione penale:
- il disvalore sociale di tale comportamento presenta un substrato naturalistico oppure deriva da una artificiosa creazione dei sistemi giuridici allo scopo di tutelare le funzioni pubbliche di uno Stato?
- La corruzione, cioè, appartiene alla categoria delle condotte, cosiddette, mala in se, cioè i delitti come, ad esempio, l’omicidio, oppure delle condotte mala quia prohibita, cioè le contravvenzioni, che vengono represse solo in rapporto alle mutevoli esigenze di comune ordine e sicurezza?
In parole ancora più semplici. Di fronte ad un evento corruttivo, la società è portata ad avere una reazione di naturale repulsione? Oppure è propensa ad accettarla? Oppure, ancora, finge di provare repulsione ma poi dimostra di non poterne fare a meno perché, in fondo, dalla corruzione derivano numerosi vantaggi?
E’ evidente che secondo la visione di Mandeville la corruzione fa parte delle condotte mala quia prohibita, nel senso che essa risulterebbe punita solo per volontà contingente dei gruppi politici dominanti ma non perché la società ne percepisca il disvalore, anzi la società, secondo la sua visione, ne trarrebbe vantaggi, in una certa misura.
Secondo un approccio giusnaturalistico la corruzione sarebbe invece un comportamento censurabile a priori, indipendentemente dalla presenza o meno di una norma. A quest’ultima concezione si è certamente ispirato Dante quando nel ventunesimo canto dell’Inferno ha collocato i corrotti (barattieri) nell’ottavo cerchio, tra gli indovini e gli ipocriti, immersi in un lago di pece bollente, ammassati gli uni sugli altri, privi di luce, condannati a un fuoco eterno, sui quali, appena osavano alzare la testa fuori del liquido, si gettavano i demoni con zanne e uncini.
Nella pece sono puniti quindi i barattieri, che nel lessico giuridico del Medioevo indicavano generalmente gli imbroglioni che arraffavano denaro sottobanco o ottenevano altri vantaggi con la frode e quindi, più nello specifico, anche i concussori o magistrati corrotti. Il contrappasso è piuttosto generico e consiste nel fatto che come in vita essi agirono al coperto invischiando le loro vittime, adesso sono immersi nel buio nero della pece
A ben vedere, la corruzione come “idea” sembra un concetto strettamente legato alla nascita della “sfera pubblica” intesa come spazio di esercizio del potere politico e religioso ed i protagonisti di questa storia sono i soggetti che agiscono all’interno di tale sfera e che sono delegati alla gestione di attività che hanno un valore collettivo, cioè che sono[2]:
- la relazione con le divinità (preghiere, sacrifici, ecc …),
- l’applicazione della legge (sia essa di origine terrena o divina),
- la difesa della comunità,
- l’amministrazione degli interessi della comunità.
La corruzione è una storia di inquinamento, distorsione, alterazione di una funzione delegata a causa dell’intromissione di un interesse, economico o meno, che appartiene alla sfera personale e privata di chi assume quella delega. Un’intromissione tanto prepotente da rompere il patto che lega chi è stato delegato a chi ha esercitato la delega.
Così andò nel Paradiso terrestre, dove il Signore delegò la cura dell’albero della conoscenza, ma venne tradito dalla volontà di soddisfare un interesse che si perfezionò attraverso una relazione di scambio con il serpente “corruttore”. E così Adamo ed Eva tradirono il patto di fiducia che li legava creatore.
Peccato originale
Albrecht Dürer (1504)
Stranamente, “l’abuso di un potere delegato per fini privati” è la definizione attualmente più in voga, dopo che la corruzione ha subito numerosi tentativi di collocazione all’interno dei più svariati ambiti del sapere umano: la filosofia, la religione, l’economia e, ovviamente, il diritto.
Giudici e sacerdoti incarnavano nell’antichità il potere delegato. I primi rispondevano al re o all’Imperatore, i secondi a Dio.
Contro la corruzione dei giudici c’è da segnalare un noto versetto del libro dell’Esodo della Bibbia (23:8): “Non accetterai doni, perché il dono acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti”.
La cecità che coglie il giudice a seguito dell’intromissione di un interesse privato accompagnò per molto tempo l’immaginario collettivo dei Cristiani d’Europa, fino a giungere al Medioevo.
Nei Simulacri della morte (1538), una serie di disegni di Hans Holbein, viene ritratto uno strano gruppo di giudici. La figura centrale è il Presidente della Corte, accecato dai doni ricevuti e distratto dal prendere la giusta decisione. I giudici hanno le mani mozze affinché non possano afferrare i doni. Il contendente povero è solo e in disparte Il giudice porge la mano al ricco che è ripreso nell’atto di mettere la mano nella borsa. Nell’illustrazione completa, si vede la morte che viene a prendersi il giudice. Il messaggio di questa illustrazione ammonisce su come il dono legato alla corruzione (che aspetta una reciprocità) non può generare gratitudine, non ha libertà di movimento e aspetta solo di essere contraccambiato.
I disegni di Hans Holbein il Giovane (1497-1543) rielaborano il tema tardomedievale delle danze della morte e ne rinnovano l’iconografia. Attraverso queste immagini si esprime una feroce critica che si accanisce sulle figure emblematiche dell’epoca: la gerarchia ecclesiastica e quella mondana, dal papa all’imperatore, sono rappresentate accanto al re, il vescovo, il consigliere comunale, l’abate, il monaco, il commerciante, il proprietario terriero, il contadino, lo scienziato, il ricco, ecc. Gli elementi paganeggianti abbondano, dalla quiete nel paradiso alla cura con cui si rappresenta la natura, fino ai corpi dei risorti del “giudizio finale”, in cui non c’è traccia d’inferno.
Fonte: “Simulacri della morte. Hans Holbein il Giovane” (2003) . A cura di Paolo Thea, Mimesis Edizioni
Contro la corruzione dei sacerdoti, invece, si scagliò Lutero nel diciottesimo secolo. Prima della Riforma luterana, nella dottrina e nel diritto canonico l’idea che la chiesa fosse un’istituzione caratterizzata dal passaggio dei doni era solidamente radicata. Il sistema cattolico si caratterizzava per una reciprocità complessa e articolata, in cui a essere donate erano le cose più diverse, dalle candele di cera alla fede.
Martin Lutero
C’era scambio tra laici e preti. I laici donavano calici, paramenti e stendardi e denaro, i preti ricambiavano con l’intercessione liturgica, le preghiere e la messa. Il denaro elargito per una messa era considerato un dono, così come le decime erano considerate un’offerta, un’oblazione delle primizie fatta dal popolo al Signore nella persona dei sacerdoti.
Negli scritti ufficiali nessuno metteva in evidenza il vincolo o l’obbligo che Dio assumeva in conseguenza del dono ricevuto (principio di reciprocità). Nei testi del XII° secolo “munus” non era associato a “remuneratio”, ma a “cor” (cuore). Ci si preoccupava di donare a Dio nella giusta disposizione di spirito illustrata dalle offerte dei Re Magi.
Nella pratica tuttavia, le cose stavano in maniera assai diversa. Andare a Messa rappresentava per il popolo un dono sotto forma di sacrificio necessario per avere in cambio un risultato positivo. Tuttavia, in queste forme di scambio, il sacrificio a Dio rappresentava il tentativo di placare la sua ira e di indurlo alla riconciliazione (proprio come in moltissimi schemi “pagani”).
In cosa tale sistema prestava il fianco alle critiche dei riformatori? Nel frequente degradarsi dei doni tradizionali in pagamenti imposti (peccato di simonìa), reso più acuto dalle invettive dei protestanti i quali accusavano i preti di far mercimonio di cose sacre: in una parola, nella “mercificazione della funzione sacerdotale” che imponeva una remunerazione indebita per la somministrazione di un sacramento.
Fonte: https://www.etimo.it
Il concetto di “mercificazione della funzione pubblica” fu alla base del Codice Napoleonico che, in gran parte, abbiamo ereditato e che riconduce la corruzione nell’ambito del diritto, con particolare riferimento al diritto penale.
Attraverso il patto corruttivo il funzionario pubblico vende un atto, cioè l’esito di un procedimento, così come un sacerdote vende un sacramento. Ci si allontana progressivamente dall’idea dell’abuso di una funzione delegata e dalle relazioni della sfera personale dell’Agente pubblico che tendono ad inquinare l’esercizio della sua funzione delegata. Si punta il dito, da una parte, sull’atto, cioè sull’oggetto del patto, dall’altra, sull’utilità economica che l’Agente ne ricava.
Un modo di vedere la corruzione di cui faremo fatica a liberarci.
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[1] Aragona F., La corruzione nella storia (I parte). Il periodo greco e romano. GNOSIS 1/2017
[2] la corruzione nella storia:
http://eventipa.formez.it/sites/default/files/allegati_eventi/bitonto_30_11_2015.pdf
http://anticorruzione.eu/2015/03/corruzione-nella-storia-le-olimpiadi-dellantica-grecia/