MUNUS e RE-MUNER-ATIO, ovvero il rischio di corruzione che si cela dietro la chiusura di un credito relazionale
di Massimo Di Rienzo e Andrea Ferrarini
Carissimi lettori di @spazioetico. In questo articolo ci occupiamo di uno dei meccanismi più ambigui attraverso cui si manifesta il fenomeno corruttivo e si instaurano i conflitti di interessi tra individui e tra individui e organizzazioni: il DONO.
Quando ci siamo trovati ad approfondire, qualche anno fa, l’articolo 4 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici (divieto di accettazione di regali o altre utilità) abbiamo avuto l’impressione di trovarci di fronte, in qualche modo, alla storia dell’umanità.
Vi sembra di esagerare? Allora seguiteci e vedrete che non ve ne pentirete!
Dunque, esistono almeno quattro diverse prospettive attraverso cui si può osservare la dinamica relazionale che si instaura attraverso un dono.
Si possono tipizzare inserendole all’interno di due macro-categorie:
- Dono che APRE UN CREDITO RELAZIONALE (che noi chiameremo “MUNUS“)
- Azione che CHIUDE UN CREDITO RELAZIONALE (che noi chiameremo “RE-MUNER-ATIO‘”)
MUNUS è una parola latina. E’ una di quelle parole complesse che ci facevano impazzire quando eravamo chiamati a svolgere il compito di latino perché, quando andavi a vedere sul vocabolario, avevano almeno dieci significati diversi. In buona sostanza, MUNUS ha a che fare con l’OBBLIGO A REMUNERARE che il donatario percepisce quando accetta un dono o altra liberalità. MUNUS, però, significa anche “FUNZIONE” o, meglio “ESERCIZIO DI UNA FUNZIONE” specie se pubblica. Strano vero? Vedrete che alla fine dell’articolo si capirà bene perché. Per ora ci basti sapere che, allo stesso tempo, MUNUS significa “dono che crea obbligo” e “funzione o servizio”.
La RE-MUNER-ATIO‘ è il momento finale della particolare relazione che il dono “interessato” instaura tra DONANTE e DONATARIO, quando, cioè, il dono diventa esigibile. La RE-MUNER-ATIO, a sua volta, può essere “ambientata” in uno scenario di vita PERSONALE o PROFESSIONALE.
Per non perderci fin da subito, proviamo a fare degli esempi di MUNUS (dono che crea credito relazionale) proposto ed accettato nell’ambito della SFERA PERSONALE e che viene “esatto” (participio passato di “esigere”, (ctrl su https://it.bab.la/coniugazione/italiano/esigere).
1. Il signor DANTE regala alla dottoressa DONATA un mazzo di rose, sperando che lei gli conceda un appuntamento.
Ora, se riusciamo ad andare oltre il lecito sospetto che un tale dono instaura nella mente delle donne, allora osserveremo una transazione del tutto neutra, dal momento che il MUNUS crea credito relazionale nell’ambito esclusivo della sfera personale.
2. Il signor DANTE regala alla dottoressa DONATA un corso ECM, sperando che la dottoressa DONATA acquisti i suoi farmaci.
Assai più interessante, vero? Qui siamo nell’ambito esclusivo della SFERA PROFESSIONALE in cui il MUNUS apre, quasi sempre, un credito relazionale che attende di essere remunerato in futuro. In questo caso, peraltro, tutto si svolge nell’ambito professionale sia del donante che del destinatario.
3. Il signor DANTE assume il figlio della dottoressa DONATA, per vincere il bando di gara di cui la dottoressa DONATA è RUP.
Ed eccoci nella più ambigua delle transazioni che hanno come sfondo un dono. Il MUNUS si attiva sulla SFERA PERSONALE, ma il credito relazionale viene esatto nell’ambito della SFERA PROFESSIONALE.
Pertanto, se dovessimo visualizzare tali dinamiche, avremmo questa immagine:
Speriamo ora sia più chiaro e andiamo avanti. Sì, perché, chissà se ci avete fatto caso, manca ancora una transazione, cioè, quando il MUNUS, cioè il credito relazionale, nasce in ambito professionale e si scarica nella sfera personale.
Sembra strano vero? Un credito relazionale che si perfeziona nella sfera professionale. Esiste davvero?
E’ qui che entra in gioco il secondo significato di MUNUS, cioè “FUNZIONE“.
Per capire questa interessantissima dinamica non ce la possiamo cavare con un piccolo esempio. Questa transazione richiama una tradizione storico-culturale amplissima e richiede un tuffo in un vero e proprio “DILEMMA ETICO“.
Il DILEMMA ETICO DI FRANCESCA
Francesca è un’infermiera che lavora nel carcere di Caciucco.
Si occupa di varie cose, tra cui la somministrazione della terapia per i detenuti che ne hanno bisogno, di assistenza nel corso delle visite mediche e di somministrazione del metadone.
L’attività di somministrazione del metadone è la più stressante. Spesso i detenuti le chiedono di aumentare la dose di metadone che gli spetta.
Addirittura, alcuni le hanno chiesto di aiutarli a smerciare il metadone all’esterno del carcere.
Lei non si è mai fatta coinvolgere in queste vicende, ma sente il peso particolare di quel compito così complesso.
Forse anche per questo, si è affezionata ad un detenuto, Vincenzo, che non le ha mai chiesto niente di più che la dose spettante.
Nel corso dei loro incontri Vincenzo le ha raccontato la sua provenienza. Il padre gestisce un ristorante/albergo e, nonostante la tossicodipendenza, sono ancora molto legati. Vincenzo questa volta vuole dimostrare al padre di potercela fare.
Francesca prende a cuore la vicenda umana di Vincenzo e, dal momento che conosce una educatrice all’interno di una comunità di recupero, lo aiuta a svolgere i colloqui di inserimento.
Alla fine Vincenzo ottiene il provvedimento di inserimento in comunità ed esce dal carcere.
All’atto della comunicazione del formale inserimento in comunità, il padre di Vincenzo contatta Francesca per testimoniarle il suo senso di gratitudine, sia per l’attenzione ricevuta da Vincenzo durante i difficili giorni della carcerazione, sia avendogli indicato la comunità terapeutica, infine, per averlo accompagnato e sostenuto nei colloqui di inserimento.
Francesca lo ringrazia ma gli spiega che ha fatto solo il suo dovere.
Il padre di Vincenzo la saluta lasciandole intendere che il suo ristorante è a sua disposizione e sarebbe assai felice di poter in qualche modo ricambiare quanto fatto da Francesca.
Ecco come si forma l’obbligo a ricompensare. Ed ecco svelato il secondo significato della parola MUNUS. Talvolta l’esercizio di una funzione (pubblica) ingenera nell’animo del destinatario un obbligo morale a ricompensare. L’atto amministrativo ovvero la prestazione prestata in ambito pubblico viene vissuta dal destinatario non come la corretta esecuzione di un lavoro peraltro già retribuito attraverso l’imposizione fiscale, ma come un dono che impone una ricompensa. Pertanto, il MUNUS, cioè il credito relazionale, si apre nell’ambito della sfera professionale (pubblica) ma viene esatto nell’ambito della sfera personale.
Il nostro ordinamento non ama tali transazioni, in particolar modo se a porle in essere è un dipendente pubblico e se la RE-MUNER-ATIO è oggetto di una esplicita o implicita richiesta. La regola che governa questo scenario è l’articolo 4 comma 2, seconda parte, del Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici:
“In ogni caso, indipendentemente che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio“.
Come potete notare, in questi casi, quando cioè la richiesta proviene dall’agente pubblico, viene esclusa anche la soglia del modico valore (150 euro), proprio perché qui non si tratta dei doni che APRONO un credito relazionale in ambito personale o professionale. Qui si tratta dei doni che CHIUDONO crediti relazionali e che hanno a che fare con la sfera professionale pubblica, cioè, con il “compiere o l’aver compiuto un atto del proprio ufficio”. Ora capite perché MUNUS significa anche “FUNZIONE”?
Dove è il dilemma? Ovviamente, dal momento che non si ravvede alcun “interesse secondario” di Francesca, cioè, dell’agente pubblico, il rischio di chiusura dell’asimmetria relazionale è basso.
Ma guardate cosa succede se inseriamo un interesse secondario “pompato” da un forte interesse guida: il senso di colpa.
Passa circa un anno dagli eventi.
Francesca ha un figlio, Daniele, che ha avuto da una precedente relazione purtroppo interrottasi molto tempo prima. Lo ha tirato su da sola con grandi sacrifici senza mai chiedere niente a nessuno.
Ora Daniele ha 10 anni. E’ l’ultimo anno delle scuole primarie e Francesca vuole regalargli una bellissima festa di compleanno.
Il problema è che non può spendere molto.
Ci pensa e ci ripensa a quella festa. Daniele se la meriterebbe. Ogni anno chiede alla madre di poter invitare i suoi amici di scuola e lei è sempre costretta a inventarsi una scusa.
Quest’anno proprio non se la sente. Ripensa alle parole del padre di Vincenzo. Alla fine prende il telefono in mano e lo chiama.
Lo saluta calorosamente e riceve un altrettanto caloroso saluto dal padre. Gli spiega che lo ha chiamato per farsi dare aggiornamenti sul percorso in comunità di Vincenzo.
Ed ecco manifestarsi il dilemma. Un bel dilemma, si direbbe.
Gli interessi spingono e lo scenario è ideale affinché si manifestino pesanti bias cognitivi, cioè errori di valutazione o ricostruzione parziale di scenari così che l’agente pubblico si potrebbe convincere che la sua condotta non è il alcun modo commendevole e continuare a percepirsi come onesto (cfr. “La disonestà delle persone oneste“), anche se si sta violando una regola di comportamento.
In effetti, la regola del codice di comportamento afferma che solo in presenza di una RICHIESTA dell’agente pubblico si perfeziona tale spiacevole fattispecie. Francesca potrebbe essere portata, nel corso della sua valutazione, a non ritenere che quel comportamento (richiedere un’utilità) sia sbagliato. Del resto è stato lo stesso padre di Vincenzo a proporlo. Oltretutto, se non richiedesse quell’utilità il padre di Vincenzo ci rimarrebbe male. Secondo questo ragionamento, quindi, lei dovrebbe esclusivamente fare attenzione al fatto che l’offerta del padre di Vincenzo non esorbiti i 150 euro, così come stabilisce la prima parte del comma 2 dell’articolo 4 del Codice di Comportamento dei dipendenti della PA:
“Il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia”.
Purtroppo si sbaglia. Per come funziona il MUNUS e la RE-MUNER-ATIO, la semplice azione del prendere in mano il telefono e chiamare il padre di Vincenzo perfeziona, attraverso un “comportamento concludente”, la dinamica della RICHIESTA (implicita). Francesca, infatti, sa benissimo (oppure è in grado ragionevolmente di sapere) che il padre di Vincenzo tornerà alla carica con il suo “obbligo morale da spendere”, cioè la remunerazione del credito relazionale che si è aperto con lo svolgimento da parte di Francesca del MUNUS (esercizio della funzione).
Si tratta del momento in cui il credito relazionale diventa “esigibile” anche agli occhi dell’agente pubblico, che sono in questo momento offuscati dalla pressione esercitata dall’interesse-guida, cioè dal senso di colpa che lei vive nei confronti del figlio.
Possiamo discutere sulla formazione del MUNUS. Fino a che punto l’obbligo sorge in base ad una funzione correttamente svolta? Se osserviamo bene, infatti, Francesca effettua tre diverse azioni che vengono puntualmente percepite dal padre di Vincenzo e che fanno sorgere il suo obbligo a remunerare. Quando il padre di Vincenzo contatta Francesca per testimoniarle il suo senso di gratitudine, fa esplicito riferimento:
- all’attenzione ricevuta da Vincenzo durante i difficili giorni della carcerazione,
- all’indicazione della comunità terapeutica,
- all’accompagnamento e al sostegno nei colloqui di inserimento.
La funzione (il MUNUS) di Francesca si dovrebbe limitare solo al primo dei punti elencati. L’indicazione della comunità di riferimento è un “orientamento al privato” e non è un comportamento appropriato in sede pubblica, mentre l’accompagnamento e il sostegno è una condotta che, nonostante sia meritevole da un punto di vista etico, non sarebbe opportuna visto che la relazione in ambito professionale dovrebbe sempre rimanere all’interno di limiti certi e non esorbitare proprio perché si rischia di innescare dinamiche ambigue.
Tuttavia, anche se il comportamento di Francesca si limitasse a svolgere esclusivamente il proprio compito, probabilmente il MUNUS (credito relazionale) si formerebbe ugualmente.
E’ qui che dobbiamo passare a discutere dell’aspetto storico-culturale di questa strana ma affascinante dinamica relazionale. In effetti, se ci pensate, il “compimento di un atto del proprio ufficio” può innescare l’obbligo morale a ricompensare in molti altri ambiti del lavoro pubblico. Nella prevenzione della corruzione, ad esempio, facciamo riferimento ad una particolare “area a rischio”, cioè quella dei “provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario“, sia che essi siano:
- “privi di effetti economici diretti ed immediati per il destinatario“,
ma ancor di più se:
- “con effetti economici diretti“.
Nella prima categoria si fa riferimento, ad esempio, alle autorizzazioni o alle concessioni che permettono a soggetti privati o ad operatori economici di svolgere ulteriori attività e quindi di “ampliare” una casa o un’attività con ampliamento anche del business.
Nella seconda categoria si fa riferimento ai contributi economici erogati a persone o organizzazioni che, ovviamente, migliorano il proprio stato economico, ad esempio, riducendo il rischio di povertà oppure permettendo ad associazioni civiche di funzionare e svolgere i propri obiettivi sociali.
In questi casi, il MUNUS, cioè l’esercizio di una funzione pubblica, per il solo fatto che sia esercitato e senza ulteriori benefici aggiuntivi, genera comunque un vantaggio nei confronti del destinatario, diretto o indiretto.
La dinamica, come sembra chiaro, si presta ad attivare un’asimmetria relazionale. Il funzionario pubblico è percepito dal destinatario come “colui che può generare un vantaggio“, anche se non fa altro che svolgere correttamente il suo lavoro. L’ordinamento, attraverso l’articolo 4 comma 2 seconda parte, intende scongiurare che il dipendente pubblico ABUSI di tale asimmetria, permettendosi implicitamente o esplicitamente di ottenere un vantaggio, cioè di soddisfare un proprio interesse secondario.
L’origine storica di questa regola è davvero interessante. Ora proveremo a riscriverla cambiando il protagonista e alcuni complementi. Prima la regola che abbiamo nel nostro codice, poi una nostra variazione.
“In ogni caso, indipendentemente che il fatto costituisca reato, il DIPENDENTE non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio”.
“In ogni caso, indipendentemente che il fatto costituisca PECCATO, il SACERDOTE non chiede, per sé o per altri, DECIME o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per SOMMINISTRARE o per aver SOMMINISTRATO un SACRAMENTO”.
Di cosa stiamo parlando? Di una rivoluzione culturale profondissima avvenuta in Europa nel 16esimo secolo: la riforma luterana.
Il MUNUS sacerdotale generava credito relazionale dal momento che l’ampliamento della “sfera religiosa” del credente cattolico si perfezionava (e si perfeziona ancora) nella somministrazione del sacramento.
La posizione di asimmetria relazionale del sacerdote deriva dal fatto che la Chiesa, come quasi tutte le organizzazioni religiose è detentrice della più profonda “asimmetria informativa” che si sia mai conosciuta, un’informazione che tutti cercano ma che nessun sembra davvero avere: “cosa succede dopo la morte?“. Ebbene, le religioni tendono a risolvere tale asimmetria informativa in cambio di obbedienza e conformità alla morale che esse stesse dettano o esprimono. Il potere informativo si traduce in asimmetria relazionale. Per un credente cattolico del sedicesimo secolo, ad esempio, la somministrazione dell’estrema unzione ad un proprio familiare, rappresentava la certezza, per quell’anima, dell’entrata nel Regno dei Cieli. La vita terrena rappresentava solo una piccola parte del tragitto universale delle anime ed il sacerdote, con la propria intermediazione, poteva scongiurare un destino atroce ed eterno.
Immaginate che tipo di MUNUS (credito relazionale) offriva tale asimmetria. Lutero si scagliò contro una pratica, quella della mercificazione delle indulgenze che, quando veniva abusata, mercificava la stessa funzione sacerdotale. La Chiesa protestante tagliò ogni intermediazione tra il credente ed il Divino. Non solo i sacerdoti, ma anche i Santi vennero eliminati. Una profonda e radicata tradizione culturale, non priva di pratiche altrettanto controverse, prese piede in Nord Europa e poi in Nord America.
Il MUNUS, cioè la funzione (pubblica), viene percepito dal destinatario come MUNUS (dono che impone un obbligo). Si genera un credito relazionale che si scarica nell’ambito della sfera personale. L’agente pubblico che esercita la funzione, in presenza di un interesse secondario, richiede (esige) una RE-MUNER-ATIO, cioè una ricompensa per l’ufficio svolto.
Il meccanismo si perfeziona e dà vita a quello che i latini chiamavano “PRINCIPIO DI RECIPROCITA’“. Un meccanismo che, se va in porto, genera un evento corruttivo. Se Francesca richiederà di organizzare il compleanno del figlio dal padre di Vincenzo, contribuirà a rafforzare nell’opinione pubblica la percezione che chi opera in quella organizzazione può ottenere intollerabili vantaggi, nuocendo gravemente alla reputazione dell’Ente. Inoltre, contribuirà a rafforzare una cultura diffusa tra la comunità locale per cui sembra essere un atto dovuto il “doversi sdebitare” a seguito dell’esito positivo di una prestazione/procedimento amministrativo. Infine, un interesse privato (secondario) inquina il processo amministrativo pubblico e lo distorce.
In conclusione, l’esito di un procedimento amministrativo o di una prestazione svolta in ambito pubblico (MUNUS) può essere visto dal destinatario come un “dono” (MUNUS) da parte di chi, nei suoi confronti, detiene un potere o è in una posizione di “ASIMMETRIA RELAZIONALE”.
Nel destinatario sorge l’obbligo ad offrire un sacrificio necessario ad ingraziarsi il dipendente. Oppure, una volta ricevuto l’atto, anche se nulla è dovuto in cambio, sorge nel destinatario un obbligo morale a sdebitarsi. E’ la cultura dell’ex voto (se l’offerta del dono antecedente all’atto) e del “per grazia ricevuta” (se l’offerta del dono è successiva all’atto) come remunerazione per un dono che si vuole ricevere o che si è ricevuto dalla “divinità”.
Come vedete tutto questo fa parte di una cultura antichissima. Nell’analisi del contesto esterno potremmo, in effetti, indagare il contesto culturale nel quale un’organizzazione pubblica è immersa. Molti ambiti locali italiani sono immersi in questa tradizione e non solo al Sud d’Italia. Noi siamo, generalmente e con varie eccezioni, dei “contro-riformati“. Torquemada, con la sua oscura presenza, ha ristabilito le vecchie gerarchie (con le relative potentissime asimmetrie).
Purtroppo non riconosciamo subito il rischio che emerge dietro l’asimmetria relazionale che generiamo quando svolgiamo una funzione pubblica, oppure, siamo culturalmente più indulgenti nell’abusare di tale asimmetria o nell’esserne vittime.
Per questo è così importante che la “formazione sulla prevenzione della corruzione” si concentri sui crediti relazionali e sulle transazioni ambigue, che sono, peraltro, assai più interessanti da studiare e da approfondire delle transazioni esplicite, cioè dei patti corruttivi.
Crediamo sia opportuno iniziare ad utilizzare nuove parole nell’anticorruzione: ad esempio, la locuzione “credito relazionale” è di grande impatto esplicativo su molte dinamiche presenti nel lavoro pubblico e che generano rischi di corruzione. Lo studio del MUNUS, nel suo duplice significato, chiarisce enormemente molte dinamiche che spesso osserviamo ma che non siamo in grado di decodificare.
Lo studio del DONO e della sua meravigliosa ambiguità ci spinge a costruire modelli più sofisticati di lettura ed interpretazione del’umano comportamento e di quella feroce guerra interiore che chiamiamo CORRUZIONE.
Per approfondimenti sul DONO e sul divieto di accettazione, consulta anche questo articolo: Il divieto di accettare doni, regali e utilità. Una regola che viene da lontano – (art. 4 Codice di Comportamento PA)
L’immagine che apre l’articolo raffigura i principali fautori della Riforma protestante. In primo piano vediamo i riformatori che discutono le grandi questioni teologiche poste dai loro scritti. Essi provengono da tutta Europa e sono vissuti in periodi diversi: i tedeschi Lutero, Ecolampadio, Melantone, l’alsaziano Bucero, gli svizzeri Zwingli e Bullinger, i francesi Calvino e Teodoro de Beza, lo scozzese Knox, lo slavo Flacco Illirico, gli italiani Vermigli e Zanchi, gli inglesi Wyclif e Perkins, i boemi Hus e Girolamo da Praga. L’immagine è: Il Candeliere, di Carel Allard, seconda metà del XVII secolo.
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