La costruzione dello SPAZIO ETICO nella scuola

PRIMA PARTE. Lo spazio etico dei cittadini del futuro

La necessità di costruire lo “spazio etico” dei cittadini del futuro è ormai una pratica consolidata a livello internazionale e si costruisce e si realizza attraverso la cosiddetta “formazione valoriale” (o “formazione all’etica, alla legalità, all’integrità”). Ma lo scopo di tali iniziative è anche di promuovere l’integrità dei decisori pubblici del futuro, politici, amministratori, tecnici che saranno chiamati a scegliere avendo come unico riferimento l’interesse pubblico. E’ noto che i Paesi che investono maggiormente nella costruzione e manutenzione dello spazio etico dei propri bambini/e si trovano ad avere decisori pubblici migliori, più integri, più eticamente orientati, più capaci di prendere posizione nei confronti di tentativi di corruzione e/o collusione, meno inclini a cedere di fronte alla richieste di tenere un comportamento non etico da parte dei propri superiori.

La Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza attribuisce al bambino il diritto a partecipare in tutte le questioni che lo riguardano. L’articolo 12 ci chiede, come adulti responsabili, di abbandonare progressivamente la visione di un bambino incapace di formarsi e di esprimere un’opinione e di accogliere l’idea che bambini e adolescenti debbano essere coinvolti nelle decisioni che riguardano la loro vita, la vita delle loro famiglie, della comunità e della società più ampia in cui vivono. Le competenze partecipative di bambini/e, ragazzi/e sono state sempre più dimostrate in questi ultimi anni e per fasce di età anche basse. Una volta che si siano forniti loro informazioni rilevanti, un supporto adeguato e la libertà di esprimersi nei modi che li facciano sentire a loro agio, i bambini e gli adolescenti – in base alla loro età e maturazione – sono capaci di dimostrare di potersi coinvolgere in maniera competente. Inoltre, essi dimostrano un alto livello di responsabilità nel modo in cui usano tali opportunità perché essi sono tanto coinvolti quanto gli adulti nel fare qualcosa di davvero diverso.

Nello spirito del principio di partecipazione ci viene richiesto di passare da una “educazione al rispetto delle regole” ad una “educazione al rispetto e alla comprensione delle regole“. I bambini/e cioè, devono poter partecipare in alcuni casi alla formazione delle regole che li riguardano, in altri almeno alla comprensione e alla condivisione di esse. Come fare?

La definizione di “spazio etico“, introdotta da Lord Moulton attraverso la celebre parafrasi del “comportamento non esigibile per legge” coglie uno degli aspetti più interessanti della fragilità del rapporto tra agenzie educative e vita quotidiana dei nostri bambini/e.

La scuola, ad esempio, funziona un po’ come una forte struttura che regola, attraverso precise prassi e norme di comportamento, la vita dei bambini/e che provengono da situazioni molto diverse tra loro. Ed in effetti funziona, laddove si verifica un “adeguamento alla regola”. Ma fuori dalla scuola, nel difficile percorso verso l’autonomia, tutto cambia. La struttura viene meno, così come vengono meno le gabbie comportamentali costituite dalle relazioni tra pari e con la leadership (gli insegnanti, la dirigenza scolastica, ecc.).

Ed ecco che entra in gioco il “comportamento non esigibile per legge“, cioè, lo spazio etico. Se questa dimensione non è stata appresa, se lo spazio etico non è stato alimentato (ad esempio attraverso l’attivazione di un contraddittorio sull’etica delle piccole scelte operate quotidianamente) i bambini/e non impareranno a comprendere il senso profondo delle regole. La conquista di un proprio spazio etico è parallela, in un certo senso, alla conquista dell’autonomia.

Con il termine “autonomia” facciamo riferimento al letterale significato della parola. L’etimo del termine “autonomia” [dal gr. αὐτόνομος, comp. di αὐτός «stesso» e tema di νέμω «governare»; propr. «che si governa da sé», fonte: treccani.it] riconduce alla capacità di un individuo di vivere “secondo le proprie leggi”, non in quanto estraneo dal contesto e dalla comunità, ma in quanto pienamente consapevole del significato e delle implicazioni delle proprie scelte.

In questo senso apprendere l’etica significa costruire le basi della partecipazione dei bambini/e nella vita sociale. Costruire lo spazio etico dei cittadini del futuro significa investire oggi in una formazione che ci restituirà cittadini migliori, individui con una salda posizione etica.

Nel seguito di questo articolo illustreremo 3 percorsi formativi che le scuole possono adottare:

  1. Percorso formativo per minori e adulti “Giusto o sbagliato?” con approccio “Ethical Dilemma Training” (per scuole secondarie di primo e secondo grado)
  2. Percorso formativo per minori e adulti con approccio “Policy di Salvaguardia” (per tutte le scuole)
  3. Percorso formativo per minori e adulti “Articolo 12” con approccio “Partecipazione” (per tutte le scuole).

SECONDA PARTE. Laboratorio “GIUSTO O SBAGLIATO?”

L’approccio è laboratoriale e supporta i bambini/e attraverso tecniche che includono un modello di processo decisionale etico. Il metodo che utilizziamo è l'”ethical dilemma training“. Nei laboratori, cioè, vengono discussi casi concreti, situazioni che innescano i cosiddetti “dilemmi etici” e che si presentano nel corso del vissuto quotidiano dei bambini/e.

I dilemmi sono situazioni in cui i valori e le norme sono in conflitto e dove la scelta deve essere fatta tra diverse alternative (buone ragioni possono essere fornite per ciascuna di queste alternative). L’obiettivo del laboratorio sui dilemmi etici è riconoscere che tali situazioni sono inevitabili, che i bambini/e non sono soli quando li affrontano e di fornire loro tecniche e orientamenti su come affrontare queste situazioni.

Per fare un esempio, un possibile dilemma etico che potrebbe essere discusso in un’aula scolastica è quello di un bambino/a che è testimone diretto di un atto di bullismo e deve decidere se segnalare all’insegnante ciò che ha visto oppure ignorare. La regola lo spingerebbe a segnalare, ma entrano in gioco numerose “forze” che, invece, potrebbero spingerlo ad ignorare, come, ad esempio, la paura di atti di ritorsione nei suoi confronti, il timore di essere stigmatizzato per aver fatto la spia, l’isolamento dal gruppo e altro. Ma l’eventuale atto del non segnalare avrà implicazioni molto negative sul piano individuale e sociale che occorre prendere in seria considerazione. Se non si possiede una piena comprensione (posizione etica) del motivo per cui è importante segnalare, è molto probabile che le forze contrarie abbiano il sopravvento. Questo è un classico esempio di come “aver stabilito una regola” non sia sufficiente per aspettarsi un comportamento conseguente. Occorre lavorare sulla posizione etica che sta a fondamento di quella regola e si può fare solo entrando all’interno dei casi concreti.

Il collegamento con la strategia anticorruzione inserita nel Piano Triennale Anticorruzione risiede nel fatto che il rafforzamento dello spazio etico dei dipendenti pubblici rappresenta l’asse portante su cui costruire la strategia stessa.

All’interno del Piano Nazionale Anticorruzione è contenuta uno specifico invito alle amministrazioni a dotarsi di metodologie formative più raffinate in merito a questo specifico elemento: “Le amministrazioni debbono avviare apposite iniziative formative sui temi dell’etica e della legalità: tali iniziative debbono coinvolgere tutti i dipendenti ed i collaboratori a vario titolo dell’amministrazione, debbono riguardare il contenuto dei Codici di comportamento e il Codice disciplinare e devono basarsi prevalentemente sull’esame di casi concreti; deve essere prevista l’organizzazione di appositi focus group, composti da un numero ristretto di dipendenti e guidati da un animatore, nell’ambito dei quali vengono esaminate ed affrontate problematiche di etica calate nel contesto dell’amministrazione al fine di far emergere il principio comportamentale eticamente adeguato nelle diverse situazioni”.

Pertanto, il rafforzamento dello spazio etico dei dipendenti pubblici passa attraverso un’analisi di casi concreti (dilemmi etici) calati nel contesto dell’amministrazione e che facciano emergere principi comportamentali eticamente adeguati. Il nostro intento è di introdurre nelle scuole una metodologia assai simile al fine di promuovere un esercizio ed una manutenzione dello spazio etico dei nostri concittadini fin da quando essi sono in grado di sviluppare una riflessione su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (gli esperti affermano che tale riflessione si sviluppa intorno al decimo anno di età).

Un secondo importante collegamento con il Piano Anticorruzione riguarda la cosiddetta co-determinazione delle regole. In effetti, la formazione sui dilemmi etici può essere utilizzata per la “determinazione” (a posteriori) delle regole di comportamento. Se concepita come laboratorio aperto, con metodologie socio-costruttiviste (cioè dove la conoscenza si forma attraverso il contributo dei partecipanti piuttosto che da una rappresentazione parziale della conoscenza del docente), è l’attività giusta per ragionare insieme almeno agli attori interni (funzionari e dirigenti dell’amministrazione) su quali regole servano veramente per quella specifica amministrazione, a valle di un processo di codificazione già avvenuto, ma ancora aperto.

Nei nostri percorsi con le scuole intendiamo promuovere tale esperienza di co-determinazione delle regole. Al termine dei percorsi, infatti, facilitiamo un confronto tra studenti e adulti responsabili (docenti, dirigenza scolastica e genitori) al fine di co-determinare specifiche regole di comportamento per i diversi casi che saranno oggetto di discussione e analisi.

PER FORMATORI/DOCENTI. Si attivano contestualmente percorsi per formatori/docenti in cui approfondire metodi e tecniche per l’analisi dei dilemmi etici, la conduzione di un “ethical dilemma training” e una formazione specifica sulla pedagogia dei diritti. Nel corso vengono, inoltre, definite le condizioni organizzative da predisporre per il raggiungimento di un clima etico all’interno di un’organizzazione (sia essa famiglia, scuola, servizio sociale, o altro) che stimoli, cioè, la condotta etica sia dei bambini/e che degli adulti di riferimento nel rispetto del principio di partecipazione stabilito dalla Convenzione ONU sui Diritti dell’infanzia e dell’Adolescenza.

Questo approccio prevede:

  • n.5 incontri laboratoriali della durata di 2 ore ciascuno con il coinvolgimento di 2 formatori
  • n.3 incontri seminariali con i docenti delle scuole della durata di 3 ore ciascuno con il coinvolgimento di 2 formatori.

TERZA PARTE. Laboratorio partecipativo “Costruiamo una Policy di Salvaguardia”

Una Policy di Salvaguardia è un sistema basato su una procedura di riferimento che prevede un criterio specifico nella selezione di figure di riferimento tra gli adulti responsabili, l’adozione di un Codice di Condotta rispetto alla tutela dei minori conosciuto e sottoscritto da tutti gli adulti che operano a contatto con bambine, bambini e ragazzi, all’interno della propria organizzazione e di quella di eventuali partner coinvolti, la formazione e sensibilizzazione del personale sul tema dei diritti e della tutela dei minori e la valutazione preventiva dei possibili specifici rischi di abuso relativamente al tipo di attività svolta.

La particolarità di questo approccio sta nel fatto che questa Policy viene costruita insieme ai bambini stessi, all’interno di un processo partecipativo in cui vengono coinvolti studenti e adulti di riferimento che, in questo caso, sono non solo i docenti ed il personale scolastico ma anche figure istituzionali come ad esempio, il Corpo della Polizia locale, i Carabinieri, la Polizia di Stato, l’Associazione di protezione civile, le Associazioni territoriali competenti in materia di sicurezza urbana) e quelle più rappresentative del tessuto sociale (Istituzioni comunali, Istituzioni scolastiche Associazioni del terzo settore).

Il collegamento con la strategia anticorruzione inserita nel Piano Triennale risiede nel fatto che la costruzione di sistemi di protezione e l’esperienza positiva che i bambini e gli adolescenti possono effettivamente fare riguardo alla segnalazione di condotte particolarmente “odiose” (sia quando esse provengono da pari sia quando esse provengano da adulti), aumenti la capacità del “futuro” funzionario pubblico o del semplice cittadino di “segnalare” condotte illecite (pratiche corruttive, situazioni di mal-administration, sperpero di danaro pubblico, pericolo per la sicurezza di cittadini, ecc.) di cui venga a conoscenza e che mettano a repentaglio l’interesse della collettività. Una delle misure più controverse ma anche più promettenti del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione, infatti, è proprio la tutela del cosiddetto “Whistleblower“, cioè di colui che segnala condotte illecite. L’amministrazione è tenuta, nel Piano, a mettere in campo una serie di procedure (Policy) di tutela (salvaguardia) del Whistleblower al fine di scongiurare situazioni di ritorsione da parte dei soggetti che vengono segnalati.

Esiste, pertanto, un importante isomorfismo tra l’istituto del Whistleblowing nell’ambito della prevenzione della corruzione e la segnalazione di un atto di bullismo di un pari o di un abuso da parte di un adulto nell’ambito della protezione del minore. Ad esempio, nel mondo anglosassone si utilizza la stessa parola “bullying” per descrivere il comportamento violento o minaccioso sia nel mondo del lavoro degli adulti sia nel mondo dei bambini/e. Così come le amministrazioni sono state chiamate a dotarsi di specifiche procedure di tutela, così anche le scuole possono essere accompagnate a dotarsi di specifiche procedure di salvaguardia o a costruire insieme ai bambini Policy più adeguate al contesto locale.

PER DOCENTI E GENITORI. Anche gli adulti responsabili vengono coinvolti, parallelamente al percorso fatto dai bambini/e, in una attività formativa. Può succedere, infatti, che l’analisi dei dilemmi etici fatta dai bambini/e evidenzi criticità in capo agli adulti stessi. Ad esempio, nel caso dell’atto di bullismo, potrebbe succedere che i bambini/e non segnalino perché pensano di non venir presi in seria considerazione dagli adulti (che, ad esempio, spesso tendono a minimizzare l’accaduto), o perché una volta segnalato, l’adulto non è in grado di gestire la riservatezza e la cautela che il caso necessita. Per questo è importante che l’apertura di uno spazio di partecipazione a favore dei bambini/e venga accompagnato dall’apertura di una fase di riflessione da parte degli adulti responsabili volto ad approfondire la “capacità” dell’organizzazione scolastica di far fronte efficacemente alle richieste di supporto.

Questo approccio prevede:

  • n.5 incontri laboratoriali della durata di 2 ore ciascuno con il coinvolgimento di 2 formatori
  • n.4 incontri seminariali con i docenti delle scuole della durata di 3 ore ciascuno con il coinvolgimento di 2 formatori.

QUARTA PARTE. L’articolo 12 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ed il principio di partecipazione

Articolo 12 Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: “Gli Stati garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione in tutte le questioni che lo riguardano, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”.

La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza riconosce che i bambini non sono solo meri beneficiari passivi di cure protettive da parte degli adulti. Sono anche e soprattutto “soggetti di diritto“, titolari, cioè, di specifiche posizioni attive nei confronti degli adulti, soprattutto per quanto riguarda il loro coinvolgimento nelle decisioni che li riguardano.

Hanno piena facoltà giuridica ad esercitare una responsabilità nelle scelte che, in qualsiasi caso, abbiano una ricaduta diretta e indiretta sulle loro vite.

L’articolo 12 della Convenzione sancisce questo particolare status legale e sociale del bambino minore di anni 18 che, sebbene non abbia la piena autonomia di un adulto, non per questo non è titolare di diritti.

Sancisce che ogni bambino che è in grado di formarsi un’opinione ha il diritto di esprimerla liberamente in ogni questione che lo riguardi e alle sue opinioni deve essere dato il giusto peso tenuto conto dell’età e del livello di maturità del bambino stesso.

Quello che in seguito è stato definito il “diritto alla partecipazione” è un diritto civile fondamentale ed un principio generale che è trasversale a tutti gli altri articoli della Convenzione. In particolare, gli articoli che hanno un riferimento specifico alla partecipazione dei bambini sono:

  • articolo 12 – diritto ad essere ascoltati e ad essere presi in seria considerazione
  • articoli 13 e 14 – diritto alla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e religione
  • articoli 13 e 17 – diritto di accesso alle informazioni
  • articolo 13 – ricerca e diffusione di informazioni
  • articolo 15 – diritto alla libertà di associazione.

Se i ragazzi/e sono in grado di esprimere le loro opinioni su questioni che li riguardano (art. 12), hanno bisogno di informazioni (articolo 17) ed essere in grado di riunirsi con gli altri per discutere delle questioni (articolo 15). Senza la libertà di espressione e la libertà di pensiero (articoli 13 e 14), i bambini non possono avere una voce.

Purtroppo l’applicazione del principio di partecipazione in Italia, in particolare nelle scuole, non è assolutamente soddisfacente. Il 6° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2012-2013 del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC) sottolinea come “…per quanto riguarda la partecipazione dei minorenni a scuola, si segnala che non vi sono state evoluzioni e questa rimane un’area da sviluppare“.

Il Rapporto di sintesi sugli esiti del monitoraggio del terzo Piano nazionale per l’infanzia, pubblicato il 29 febbraio 2013 evidenzia alcune criticità: “la mancanza di politiche generali improntate alla partecipazione che si configura più spesso come un “principio generale”, senza trovare nelle politiche centrali e locali una concreta applicazione pratica”.

Lo stesso Rapporto ricorda che il “diritto all’ascolto”, di cui all’art. 12 della CRC, è spesso considerato solo in ambito giudiziario e che la partecipazione come azione proattiva degli adulti in un contesto di riconoscimento di soggettività dei minorenni stenta ad entrare nella cultura generale.

In ambiente scolastico la partecipazione dei bambini/e assume un ruolo cruciale in conseguenza del fatto che la loro vita si svolge per la maggior parte del tempo nelle aule.

Il sintomo di una scarsa partecipazione dei bambini/e alla vita scolastica è costituito, in primis, dal fenomeno della dispersione scolastica, termine con il quale si indica il progressivo allontanamento dal percorso educativo, e in particolare l’abbandono del ciclo scolastico delle secondarie di primo grado e secondo grado da parte dei bambini/e e ragazzi/e in obbligo scolastico.

All’interno del contesto scolastico, la partecipazione di bambini/e dovrebbe essere intesa come una dimensione costitutiva dei percorsi didattici che preveda sempre la possibilità per gli allievi di esprimere le proprie idee, operare scelte, dare suggerimenti, proporre domande, valutare il proprio lavoro. Per questo gli insegnanti dovrebbero innanzitutto mettersi in una posizione di ascolto dei propri studenti prima di programmare e svolgere le attività didattiche curricolari, sia disciplinari che interdisciplinari.

In un approccio centrato sui diritti il docente, in quanto duty bearer (che potremmo tradurre con “portatore di dovere” e che si identifica con l’adulto responsabile), diventa parte di una relazione educativa basata sul riconoscimento dello studente come titolare di diritti (right holder) e sulla possibilità che lo studente stesso possa, attraverso le attività didattiche che il docente gli propone, conoscere ed esercitare i propri diritti.

Alcune iniziative sperimentali in questi anni, promosse dalle organizzazione che principalmente si occupano di promuovere il principio di partecipazione nelle scuole, se pur con approcci molto diversi, hanno iniziato a percorrere una strada che, tuttavia, risulta per molti versi impervia, per via della complessità del quadro istituzionale scolastico e del clima organizzativo generale in cui vive la scuola a seguito degli interventi di riforma recenti.

Attraverso la partecipazione si ottengono i seguenti risultati:

  • I ragazzi/e possono acquisire preziose competenze che dureranno tutta la vita – per esempio organizzando e presiedendo incontri, lavorando in squadra, pianificando le azioni, raccogliendo informazioni, formulando opinioni, parlando in pubblico.
  • I ragazzi/e possono imparare molto circa le strutture di potere che esistono all’interno della società, i loro diritti e il loro ruolo nel contribuire a portare un cambiamento positivo. Il loro coinvolgimento in età precoce può ispirare in loro la consapevolezza di essere cittadini attivi con una forte spinta all’uguaglianza e alla giustizia sociale.
  • I ragazzi/e acquisiscono fiducia attraverso il loro coinvolgimento nella possibilità di determinare un cambiamento positivo, nella propria vita o nella vita degli altri.
  • Il coinvolgimento dei ragazzi/e può aiutare a cambiare la percezione dell’opinione pubblica su ciò che i ragazzi/e sono capaci di fare e permette di percepirli come cittadini e come attori sociali nella tutela dei diritti.

Le metodologie e gli strumenti che attivano la partecipazione dei bambini/e sono in netto contrasto con le attuali pratiche. Occorre promuovere con forza le metodologie di apprendimento “non formale”, cioè, tutto ciò che è diverso dal “formale” rappresentato in maniera specifica dalla lezione frontale e dai metodi di apprendimento legati alla centralità del testo. Le nuove tecnologie ci propongono metodi, strumenti e linguaggi che vanno decisamente nella direzione indicata ma che trovano nella scuola italiana, vista l’età media degli insegnanti, ostacoli enormi. L’approccio socio-costruttivista costituisce il contenitore metodologico più appropriato per la progettazione e esecuzione di tali attività nei contesti scolastici. Questo approccio propone un’educazione costruita insieme tra formatori e partecipanti, dove il centro del processo educativo è sempre il partecipante. I punti qualificanti del costruttivismo sono l’attenzione al contesto di apprendimento, la centralità del soggetto che apprende, la costruzione sociale della conoscenza attraverso la negoziazione interpersonale e cooperativa dei significati e la diversità/molteplicità delle strategie, dei processi e degli approcci conoscitivi. Rispetto alle più tradizionali modalità di insegnamento, il centro dell’attenzione è spostato sul soggetto che apprende in modo non passivo, ma attivo: con altre parole si potrebbe sostenere che il socio-costruttivismo costruisce sul sapere posseduto dal partecipante che produce conoscenza e nuovo sapere partendo da se stesso e dal confronto con il gruppo dei suoi pari.

L'esperienza dei Consigli Consultivi di Save the Children all'interno del Programma "Fuoriclasse" 

Ormai più di qualche anno fa ci ritrovammo (con quello che ora è il “Dipartimento Educazione” di Save the Children italia) a ragionare in sede di valutazione sugli effetti dei progetti a cui avevamo partecipato, interventi importanti di informazione/sensibilizzazione ma che avremmo voluto che lasciassero un segno reale, un impatto più sulla cultura organizzativa degli adulti responsabili che sulla “pratica” della partecipazione.

Per alcuni di questi progetti, quelli che “predicavano” la partecipazione, ci sembrava oltremodo etico non abbandonare i ragazzi/e a contesti che tutto erano meno che partecipativi.

Molti di noi avevano osservato, a seguito dei nostri interventi, che l’apertura di spazi di partecipazione per i ragazzi nelle scuole metteva in crisi più gli adulti responsabili (insegnanti, genitori, dirigenti scolastici) che i ragazzi stessi che, invece, sembravano vivere queste esperienze con la massima naturalezza possibile. Così, non era raro assistere, al termine dei nostri progetti, ad un ritorno alle comuni prassi che escludevano i ragazzi/e da qualsiasi forma di partecipazione. Per questo pensammo di agganciare ai progetti dei moduli che dovevano dare alle nostre parole, che spesso si perdevano tra polverosi doposcuola e disattenzione atavica degli adulti, una sostenibilità nel tempo.

Nacquero così i Consigli Consultivi, organizzazioni stabili di dialogo, partecipazione e consultazione tra studenti e docenti all’interno delle scuole. E nacquero per essere alla fine di un percorso e per essere l’inizio di un cambiamento reale.

Obiettivo ambizioso ma che, a distanza di qualche anno e in alcune realtà importanti e significative, stiamo effettivamente raggiungendo anche grazie alla straordinaria capacità e professionalità dei nostri coordinatori e formatori e alla capacità e disponibilità di molti istituti scolastici, dei loro insegnanti e dei loro dirigenti.

Sappiamo per esperienza e crediamo profondamente che quando i bambini hanno la possibilità di assumere un ruolo, di collaborare con gli adulti e di prendere decisioni congiunte con loro, forniscono un contributo di grande rilievo e, allo stesso tempo, credono di più in loro stessi/e, migliorando in capacità, aumentando le loro conoscenze, sentendo di appartenere.

Durante tutti questi anni di lavoro abbiamo sempre cercato di ottemperare ad un diktat etico per noi irrinunciabile, che, più o meno, può essere sintetizzato con la seguente affermazione: “La partecipazione dovrebbe essere un atteggiamento istituzionale, professionale e personale più che una pratica occasionale, dal momento che fa sorgere aspettative e puà causare grande frustrazione se non è adeguatamente realizzata”. E’ nostro preciso compito, pertanto, fare sì che il principio venga realmente adottato e non solamente sbandierato da improvvisate forme volontaristiche di partecipazione.

Per questo riteniamo non particolarmente “etico” promuovere il principio di partecipazione attraverso iniziative di informazione/sensibilizzazione nei confronti dei bambini senza promuovere, al tempo stesso, analoghe iniziative di coinvolgimento e messa in gioco degli adulti responsabili.

La partecipazione richiede determinati comportamenti da parte degli adulti che prevedono una formazione specifica rispetto ad atteggiamenti, approcci e strumenti. L’investimento in formazione degli adulti responsabili (formatori di Save the Children, insegnanti, genitori, dirigenti scolastici, ecc.), con particolare riferimento ad alcune realtà più complesse ma contestualmente più interessanti, è un’opzione cruciale per l’efficacia dei nostri progetti.

La “formula” che sta alla base dei Consigli Consultivi è che il contesto scolastico, in assenza di partecipazione, è a rischio di dispersione. Al contrario, i Consigli Consultivi possono rappresentare un importante strumento di contrasto alla dispersione. Non l’unico strumento, certo, ma quello che l’ambiente scolastico può efficacemente approntare dal momento che le variabili che condizionano la dispersione scolastica sono anche esterne alla scuola.

In un primo momento, i Consigli Consultivi dovevano esprimersi sui metodi per accompagnare gli studenti con difficoltà rispetto al programma scolastico, secondo modalità suggerite dai ragazzi stessi. Nelle prime applicazioni, tuttavia, è apparso subito chiaro come questo “mandato” fosse troppo ristretto. I ragazzi/e coinvolgevano livelli che potremmo definire appartenenti al cosiddetto “benessere organizzativo” e, cioè, volevano discutere di questioni che riguardavano il rapporto tra i compagni di classe, la metodologia didattica, il rapporto tra docenti e alunni, la qualità delle strutture a disposizione e, in generale, l’organizzazione scolastica.

E’ importante sottolineare come il valore aggiunto della partecipazione non debba essere ricercato solo nella opportunità di rafforzamento (empowerment) e crescita che viene offerta ai giovani che vengono coinvolti, quanto piuttosto, nell’effettiva capacità del processo partecipativo di evidenziare il punto di vista dei giovani e di perseguire un effettivo (e misurabile) cambiamento. Anche se in alcuni contesti riteniamo sia ancora prematuro ottenere risultati su entrambi i fronti, occorre sempre considerare che è il secondo elemento (perseguire il cambiamento) il più importante, anche perché implica l’attivazione di processi di riadeguamento culturale soprattutto nei confronti degli adulti.

La partecipazione, pertanto, permette al bambino/a di sviluppare quel senso di appartenenza alla comunità locale che, in seguito, porterà l’adulto a prendersi cura del bene pubblico, promuovendo azioni di controllo sociale e partecipazione civica che vengono universalmente riconosciute come azioni chiave in un’ottica preventiva della corruzione.

Si è notato come un approccio partecipativo, laddove sia stato consapevolmente applicato, abbia permesso di raggiungere i seguenti risultati:

  • Sviluppare competenze di bambini/ragazzi grazie alla promozione di metodologie e attività partecipative
  • Sviluppare senso di responsabilità e appartenenza alla scuola di bambini/ragazzi
  • “Potenziare” (empowerment) i bambini/ragazzi come individui titolari di diritti e cittadini attivi
  • Migliorare la qualità e l’impatto delle attività che riguardano i bambini/ragazzi, tramite il coinvolgimento degli stessi nelle fasi di progettazione/attuazione/valutazione
  • Aumentare la visibilità di bambini/ragazzi e quella delle problematiche a loro collegate.

I Consigli Consultivi sono una realtà ormai in varie città: Milano, Torino, Napoli, Bari, Scalea (CS) e Crotone. In alcuni casi l’esperienza è in corso da più di due anni e sta radicalmente trasformando le scuole che lo hanno adottato. La nostra sfida (e il nostro impegno) è stato e sarà quello di assicurare che, una volta che il progetto sarà concluso, i Consigli Consultivi divengano strumenti “ordinari” di confronto tra adulti e bambini/e nelle scuole dove sono stati attuati.