Il Whistleblowing e la democrazia vibrante. SECONDA PARTE

(…leggi la PRIMA PARTE di questo articolo)

SECONDA PARTE: il Whistleblowing come 
atto indivuale del "non-conformarsi" 

aschAbbiamo visto come il Whistleblowing rappresenti un atto di resistenza all’assoggettamento, è l’atto individuale del “non conformarsi” alle dinamiche di asservimento agli interessi illeciti.

Ma quanto è difficile “non conformarsi”?

Un autorevole ricercatore Solomon E. Asch, nel lontano 1955, pubblicò una ricerca “Opinions and social pressure” all’interno della quale era contenuto quello che diventò un “famoso” esperimento e che potremmo chiamare: “Ciò che osservi non è ciò che affermi!“.

Asch voleva provare la teoria secondo cui le persone possono arrivare a formulare dei giudizi indipendentemente dall’opinione altrui. Per dimostrarlo si affidò al suddetto esperimento. Ad ogni turno, 7 persone furono invitate a partecipare ad un test di osservazione. Erano sedute una vicino all’altra intorno ad un ampio tavolo. Al gruppo vennero fatte vedere due carte, una carta con una riga, l’altra carta con 3 righe di lunghezza diversa. Ai partecipanti venne chiesto di affermare ad alta voce quale riga della seconda carta fosse della stessa lunghezza della riga della prima carta

Solo uno dei partecipanti, in effetti, era sotto osservazione, mentre gli altri avevano ricevuto istruzioni anticipatamente. Asch mise il “partecipante” sempre al numero 6, così che avrebbe ascoltato le affermazioni di altre 5 persone prima di essere invitato a parlare. Dopo 12 giri di tavolo Asch diede l’istruzione ai complici di cominciare a dare risposte chiaramente sbagliate. Nei successivi 12 giri, il 75% dei “partecipanti” (soggetti non complici) diede almeno una risposta sbagliata. Il 50% dei partecipanti diede risposte sbagliate per almeno 6 giri. Il 5% dei partecipanti diede sempre risposte sbagliate, seguendo l’opinione del gruppo invece di affermare ciò che avevano effettivamente osservato.

A quel punto, Asch intervistò i “partecipanti”. Quelli che si erano “conformati” all’opinione altrui, in molti casi ammisero che effettivamente avevano osservato che la risposta era sbagliata, ma che avevano risposto in quel modo per risolvere un’incertezza (“se tutti la vedono in quel modo, allora deve essere vero”). La ricerca ripetuta più volte diede risultati tali per cui si poté stabilire che tra il 20 e il 40% dei partecipanti aveva effettivamente seguito l’opinione del gruppo. L’esperimento, in qualche modo, mostrava quanto la pressione sociale potesse portare le persone a comportarsi in un certo modo: “Sebbene siamo in disaccordo, siamo portati a conformarci alle opinioni del gruppo“.

Quali implicazioni potremmo dedurre da questo esperimento per un’amministrazione? Che, in primo luogo occorre creare una cultura (e un ambiente) in cui la libertà di esprimere la propria opinione (anche e soprattutto se diversa da quella del gruppo) sia una ricchezza e non un ostacolo. Una singola opinione divergente, infatti, in alcuni casi può fare la differenza. Asch dimostrò, in studi successivi, che quando il gruppo è composto da un soggetto con opinioni divergenti, il tasso di conformismo del gruppo si riduce di tre volte.

(…continua)